VOCI DELL'ISLAM
MODERNO |
NOTIZIE
BIOGRAFICHE SUGLI AUTORI DELL'ANTOLOGIA
gli autori verranno indicati tra parentesi all'inizio delle
citazioni
in blu gli interventi dei curatori dell'antologia
▸ ‘Abd al-Rahman al-Gabarti (1754-1825) Nato nel 1754
in una famiglia proveniente dall’Etiopia e installatasi al cairo nel XVI
secolo, sotto forma di annali raccolse gli avvenimenti salienti della storia
egiziana dal 1688 al 1821 e ci ha lasciato una cronaca dell’occupazione
francese
▸ Rifa’a al-Tahtawi (1801-1873) Giovane giornalista
egiziano a Parigi per incarico del sultano di egitto
▸ Hair al-Din (1820-1889) Brillante ufficiale
tunisino di origine circassa
▸ Sakib Arslan (1869-1946) Druso, si farà
infaticabile apostolo della causa araba. Ha contatti in tutte le sedi arabe.
Convoca a Ginevra un congresso siro-palestinese del quale sarà il
rappresentante nell’assemblea delle nazioni
▸ Gamal al-Din al-Afgani (1838-1897) Iraniano e
sciita per nascita nascose il suo sciismo E diede vita a circoli riformistici
in opposizione ai regimi autocratici e illiberali e si impegnò soprattutto per
contrastare la crescente ingerenza delle potenze europee.
▸ Rasid Rida (1849-1905) Fondatore del Salafismo
▸ Muhammad Iqbal (1873-1938) Indiano, attivista per
l’indipendentismo pakistano (che avverrà nel 1947), ha studiato a lungo in
Inghilterra e a Monaco e subito l’influsso di Nietzche e Goethe
▸ Ahmad Amin (1866-1954) Egiziano, studia religione
e inglese, è in relazione col movimento nazionalista e fa il giudice, modo per
rimanere in contatto con i problemi della società. E’ anche giornalista,
insegnante e conferenziere e influisce sullo sviluppo della cultura egiziana.
Scrive una storia dello sviluppo del pensiero islamico nel quadro di una storia
collettiva del pensiero islamico promossa dalla neo fondata università del
Cairo (1926)
▸ ‘Ali ‘Abd al-Raziq (1888-1966) Egiziano, si forma
ad Al-Ahzar e in Inghilterra. Fa il giudice. Pubblica L’Islam e le basi del potere secondo cui è necessario introdurre
una netta distinzione tra religione e politica perché la confusione tra i due
campi è stata voluta dai detentori del potere in funzione dei loro interessi.
Il Corano non propone un sistema politico piuttosto che un altro. Per queste
idee sarà temporaneamente allontanato dagli uffici.
▸ Taha Husain (1889-1973) Per la sua vastissima
cultura e varietà di interessi, per le straordinarie doti di scrittore e
oratore e per l’apertura intellettuale è uno dei personaggi più significativi
della cultura araba del Novecento. Studia con orientalisti italiani al Cairo e
poi in Francia. E’ sostenitore di nuovi metodi di critica testuale.
▸ ‘Abd al-Razzaq Ahmad al-Sanhuri (1895-1971)
Egiziano, studia diritto al Cairo e diritto europeo in Francia. Si occupa di
insegnamento e contribuisce alla moderna codificazione del diritto in diversi
paesi arabi
▸ Muhammad Ahmad Halaf Allah (1916 -) Egiziano,
sostiene un nuovo approccio critico al Testo sacro, fondato sulla filologia, la
psicologia e la sociologia. Ⓓ La reazione dei tradizionalisti fu estremamente dura
▸ Sadiq Galal al-Azm (1934-) Siriano, studia in
Libano e negli USA. Pubblica numerosi studi sulla filosofia occidentale
moderna,insegna nelle università mediorientali. Contrariamente a quanto avevano
fatto i pionieri del riformismo islamico egli non ceca di comporre il dissidio
né tanto meno si arrocca su posizioni tradizionaliste nella ricerca di
un’originalità islamica che funga contemporaneamente da fattore di
identificazione e di contestazione. In coerenza con le premesse razionaliste
del suo pensiero e con le sue scelte politiche sviluppa una serrata critica del
“pensiero religioso” in generale e dell’Islam in particolare, tanto nei loro
principi costitutivi quanto nelle espressioni storiche che hanno assunto nel
corso dei secoli.
▸ Hasan al-Banna (1906-1949) Egiziano, di modeste
origini, ricevette un’educazione essenzialemnte incentrata sulla tradizione
islamica e fin da ragazzo venne affiliato a una confraternita mistica. Preferì
agli studi giuridici la carriera di insegnante, alla quale abbinò l’attività di
animatore in associazioni di beneficenza e di predicatore del ritorno ai valori
della religione che considerava minacciati dalle mode culturali importate
dall’Occidente. Nel 1928 fondò il movimento dei fratelli musulmani, che divenne
un’associazione a diffuzione nazinale e sviluppò ramificazioni anche in altri
paesi islamici. Il movimento sostenne la causa della Palestina araba nel ’36 e
durante la seconda guerra mondiale contestò la presenza britannica in egitto.
Dopo la guerra il movimento appoggiò moti di piazza antigovernativi e fu
sciolto nel 1948. Il provvedimento portò alla rottura totale tra le autorità e
gli attivisti delmovimento uno dei quali attentò alla vita del primo ministro
al-Nuqrasi uccidendolo. Nonostante i tentativi di ricomposizione dle conflitto
la situazione non migliorò e l’anno successivo Hasan al-Banna morì durante uno
scontro con le forze di polizia.
▸ Sayyid Qutb (1906-1966) Massimo ideologo del movimento
dei fratelli musulmani in una delle fasi più critiche della sua storia.
Egiziano, insegnante e studente di pedagogia negli USA, dove si accorse
dell’inconciliabilità delle due culture e dell’inapplicabilità dei metodi
scolastici americani. Nel 1952 con la rivoluzione di Nasser sembrò che i
Fratelli potessero giocarvi un ruolo importante. Ma nel 1954, dopo il fallito
attentato a Nasser, finì in carcere a vita. Liberato per controbilanciare i
comunisti, nel 1965 fu nuovamente arrestato e giustiziato nel 1966. Il
movimento dei fratelli ha in seguito intrapreso un percorso di riavvicinamento
alle istituzioni.
▸ ‘Abd al-Qadir ‘Uda (m. 1954) Attentatore di
Nasser. Accanto ai grandi nomi dei leader il movimento dei fratelli musulmani
conta una folta schiera di pubblicisti e di divulgatori delle sue tesi che
hanno contribuito al formarsi di una sterminata letteratura nella quale si
trovano opere di diverso valore. Alcune di queste hanno incontrato un
particolare favore da parte del pubblco e sono state ampiamente diffuse anche il lingue straniere
grazie allo zelo delle numerose associazioni di studentimusulmani presenti in
diversi paesi del mondo.
Fu vice di Hasan al-Hudaybi,primo successore di
al-Banna alla guida dei Fratelli
▸ Abu al-A’la al-Mawdudi (1903-) Nato nel sud
dell’India da famiglia musulmana molto religiosa. Studi irregolari. Giornalista
dopo la prima guerra mondiale e aderisce a associazione islamica riformista.
Sogna uno stato dove la gestione del potere sia indirizzata dalla religione. La
sua opposizione al governo indiano lo porta in carcere. Il suo modello alla
fine influenza la costituzione pakistana. La fama sua e delle sue idee cresce
enormemente. Percorre il mondo musulmano legandosi all’arabia saudita e alle
sue organizzazioni internazionali
▸ Ruhollah M. Khomeini (1902-1990) L’attaccamento
alla tradizione religiosa e l’opposizione all’autorità politica erano di casa
nella sua famiglia. Compì severi studi religiosi a Qom. Reza Khan capostipite
dei Pahlevi, già nel 1927 era inviso alla gerarchia sciita.
▸ Sati’ al-Husri (1880-) Nato nello Yemen, con padre
funzionario giudiziario. Giornalista e saggista si interessò all’educazione e
all’unità nazionale. Ministro dell’educazione. Operò a Damasco e al Cairo per
conto della lega araba e apostolo del nazionalismo
▸ Michel ‘Aflaq (1910-) Siriano, cristiano
ortodosso, ma nazionalista acceso, condivide l’ideale dell’unica patria araba.
Fondatore del ba’t, partito del risorgimento arabo, che prenderà una sfumatura
socialista, con ramificazioni in Libano e Iraq.
▸ ‘Allal al-Fasi (1910-1974) Nato a Fès, si
interessa sin da giovane della riforma dell’insegnamento religioso e prende
parte alle attività dei primi movimenti indipendentisti. Per tutta la vita sarà
una figura di primo piano della vicenda nazioanle e della vita intellettuale
del suo paese
▸ Halid Muhammad Halid (1920-) egiziano, studi
religiosi ad al-Azhar, fu insegnante di lingua araba al Cairo. Nel 1949 scrisse
Cominciamo da qui, dove si scagliava
contro chiunque cercasse di giustificare su base religiosa un sistema che
teneva nell’indigenza e nell’ignoranza la grande parte della popolazione (aveva
avuto esperienza della grande miseria delle masse contadine egiziane) e non
esitava a sostenere la necessità di una netta separazione tra religione e
politica. Condannato da una commissione di al-Ahzar, il libro fu in seguito
riabilitato da un tribunale civile con ampi consensi. In seguito cambia idea e
nella sua ultima opera ribalta l’idea della netta separazione tra religione e
stato da cui era partito.
▸ Muhammad ‘Aziz Lahbabi (1922-) Nato a Fes
(Marocco) è professore all’università di Rabat. Fin dagli anni 50 è stato una
personalit di spicco della cultura marocchina, specie nel campo delle lettere e
della filosofia.
▸ ‘Ali Shariati (1933-1977) Iraniano, è stato la
seconda anima della rivoluzione iraniana, quella che purtroppo ha avuto meno
seguito e sviluppo. Al contrario della gerarchia religiosa del proprio paese
non fu spinto dal confronto tra l’islam
e modernità a vagheggiare il ritorno all’epoca d’oro delle origini, ma
piuttosto ad accettare la sfida restando nello stesso tempo fedele al suo credo
musulmano e sciita e aperto alle prospettive suggerite dalle scienze umane per
l’analisi della società e verso ardite prospettive di rinnovamento. Studiò gli
orientalisti occidentali e i sociologi. Fu incarcerato dal regime.
▸ Hasan Hanafi Attualmente professore di filosofia
all’università del Cairo è uno degli spiriti più vivaci e originali delpensiero
arabo contemporaneo. Ha frequentato i maggiori esponenti delle moderne correnti
di pensiero. A partire dagli anni ’70 , momento cruciale della riflessione
anche per molti altri intellettuali arabi, si è applicato alla riformulazione
sistematica dei grandi temi del pensiero islamico, tentando di coniugarli
efficacemente con la situazione storica attuale del proprio mondo. Benché la
sua posizione non corrisponda esattamente a quella dei movimenti islamici
radicali ai quali in gioventù fu direttamente legato, conserva alcune delle
loro tesi di fondo e certe sue espressioni ricalcano da vicino quelle dei
maggiori esponenti dei fratelli musulmani, primo fra tutti Sayyid Qutb. Si
tratta di una decisa riproposizione della pretesa totalizzante dell’Islam
inteso come “un’ideologia, un insieme di toerie, sull’uomo e sulla società,
sull’economia e sulla politica che può servire alla fondazione dello Stato”
▸ Muhammad ‘Ammara Egiziano. Le sue opere trattano
di argomenti quali “Islam e potere religioso”, “Islam e rivoluzione”,
“indipendenza culturale”, tenendo costantemente un occhio al presente e uno al
passato, cercando di offrire una risposta non solo attraverso argomentazioni
teoriche ma rifacendo la storia di un determinato problema, partendo dalle
origini dell’Islam e cercando di individuare quali posizioni di fondo possano essere considerate una costante
valida a cui ancor oggi rifarsi e quali scelte invece siano state piuttosto
contingenti e vadano ritenute ormai superate.
▸ Sadek Sellam (1950-) Algerino emigrato in Francia
non si è accontentato delproprio lavoro di insegnante ma ha voluto fare della
presenzamusulmana in Occidente il tema di riflessioni e interventi.
▸ Mahmud Muhammad Taha (1908-1985) Sudanese, esperto
di agricoltura, dopo l’incarcerazione ad opera degli inglesi si dà a studi
religiosi e fonda il partito repubblicano, che sostiene posizioni di tipo
socialista ma che ben al di là di questo coinvolge i suoi seguaci in uno stile
di vita simile a quello delle confraternite religiose. L’Islam non ha compiuto in modo completo la sua
“prima missione”, ma è tutora una realtà dinamica tesa a una più piena e matura
realizzazione. Gli ideali di portata universale che devono guidare questa
evoluzione ancora in corso sono da rintracciare nello spirito e nei contenuti
della prima predicaizone di Maometto alla Mecca: principi e indicazioni che
sono stati successivamente messi tra parentesi per la necessità di dare ai
primi fedeli una legislazione alla loro portata: essa ha quindi costituito un
primo passo tutt’altro che definitivo verso la realizzazione dell’ideale
islamico. In questo contrasta con i Fratelli Musulmani e gli altri gruppi
radicali i quali vedono invece nell’esperienza storica della prima comunità di
credenti un modello di società islamica compiuto e insuperabile, valido per
ogni luogo e per ogni momento.
▸ Fazlur Rahman (1919-) Pakistano, intellettuale di
spicco, profondo conoscitore dell’islam del subcontinente indiano e delle
diverse discipline religiose musulmane. Ha diretto l’Islamic Research Institute
di Karachi. Entrato in conflitto con i conservatori e le correnti islamiche
radicali subentrate in Pakistan nel 1968 si è rifugiato in Canada e USA.
▸ ‘Abdallah Laroui (1933-) Marocchino, professore
universitario di storia a Rabat. Studi in Francia e Egitto. Impegnato
nelmovimento nazionale marocchino. Numerosi saggi sul ruolo degli
intellettuali, sul rapporto dell’Islam con la modernità
▸ Muhammad Mzali (1925-) Tunisino, professore
universitario di lettere e filosofia con incarichi pubblici di rilievo. Si
adopera per una cultura nazionale che sappia contemporaneamente mantenersi
fedele alle proprie origini e aprirsi al rinnovamento.
▸ Muhammad Arkoun (1928-) Algerino, completa a
Parigi gli studi di lingua e letteratura araba. Insegna a Strasburgo, alla
sorbona, a Los Angeles. Una delle figure di maggior rilievo della cultura araba
contemporanea. Ha studiato la civiltà arabo-musulmana e l’umanesimo arabo del X
secolo con l’aiuto della linguistica, della sociologia, della semiotica e di
quant’altro la scienza moderna mette a disposizione.
▸ Husain Ahmad Amin (1929-) Egiziano, figlio di
Ahmad Amin, ha ereditato dal padre l’amore per la cultura e uno spirito aperto
e critico. Diplomatico.
▸ Muhammad Sa’id
al-‘Asmawi (1932-) Egiziano. Ha recentemente scritto un libro sulla
questione del rapporto tra religione e politica. Giudice della Corte suprema.
Si è formato fuori di al-Azhar, che si è astenuta dal commentare le sue tesi,
che sono state lodate dalla associazione Muslim Jurists of Pakistan.
▸ ‘Abd al-Magid Charfi (1942-) Tunisino, insegnante
in Francia, attualmente professore di islamologia all’Ecole normale superieure
di Tunisi. Interviene sui temi del confronto e del dialogo.
▸ Muhammad Talbi (1921-) Tunisino, Studi di storia
islamica medievale in particolare nordafricana
▸ Fouad Zakariya Egiziano, direttore del
dipartimento di filosofia dell’università del Kuwait, ha suscitato interesse in
Europa per i suoi scritti anticonformisti nei quali si pone come portavoce
della corrente laica del pensiero arabo attuale.
▸ Khaled Fouad Allam (1955-) Nato a Tlemcen, studia
in Algeria e Francia e si laurea in scienze politiche a Trieste.Segue le
tematiche dell’interculturalità.
VOCI DELL'ISLAM MODERNO
Il Corano è stato per la quasi
totalità dei musulmani l’unico libro al mondo ad essere considerato rivelato.
In teoria essi ammettono l’esistenza di una Torah, di un libro dei Salmi e di
un Vangelo donati da Dio agli uomini. Ma, dato che il Corano afferma che tali
testi sarebbero stati falsificati, la teologia
musulmana non tiene praticamente in alcun conto le loro edizioni attualmente
diffuse tra ebrei e cristiani. Una simile linea di condotta si ispira al detto
del Profeta: “Non approvateli né smentiteli”. Tale rifiuto ha conseguenze
rilevanti. Non essendo d’altra parte per nulla inclini a ricerche di critica
storica o testuale, i musulmani non si sono mai messi alla ricerca dei testi
autentici di cui il Corano afferma l’esistenza.
Recenti studi di carattere
antropologico hanno mostrato come la situaizone creatasi in Arabia al tempo del
profeta favorisse l’affermazione di una composizione su base religiosa delle
tensioni che interessavano l’ordine sociale vigente.
Dì: “Io non sono un novatore di fra i
messaggeri né so che cosa avverrà di me né di voi, io non seguo altro che
quello che m’è rivelato e io non sono altro che un ammonitore chiaro” (XLVI,
9).
Probabilmente la classifa definizione
che lo designa “Suggello dei Profeti” (XXXIII, 40) intendeva anzitutto porre il
suo messaggio in rapporto di continuità
con quello di quanti lo avevano preceduto, anche se successivamente è prevalsa
la lettura che in questo versetto vede l’affermazione del compimento e della
fine della Rivelazione con Muhammed, non solo come purificazione e
completamento delle precedenti ma come loro completa sostituzine, non senza
toni polemici verso i seguaci delle rivelazioni precedenti che essi avrebbero
addirittura in qualche misura falsificato.
Ma molto presto l’ortodossia rifiutò
di considerare la religione inserita in una dinamica evolutiva, pretendendo
l’intera dottrina come già compresa e definita fin dalle origini e negando gli
apporti di componenti e di epoche differenti. Se dunque la formazione di una
visione del mondo islamica si produsse con sorprendente agilità e rapidità è
anche vero che, giunta a maturità, essa
si cristallizzò altrettanto velocemente, chiudendo definitivamente con le
correnti che avrebbero potuto dare un contributo decisivo all’ulteriore
sviluppo del suo pensiero (si pensi che la filosofia islamica si conclude in
pratica nel XII secolo con Averroè) ripiegandosi su se stessa in sterili
ripetizioni e commenti della propria tradizione e assumendo un atteggiamento
ostile verso ogni tipo di innovazione.
La dinamicità della rivelazione è
teoricamente riconosciuta dal Corano, che si pone in continuità coi messaggi
affidati da Dio a Inviati precedenti, ma in pratica viene svuotata di
significato in forza della concezione che vede ogni fase della Rivelazione
superare e sostituire le precedenti, per rispetto alla libertà divina non
costretta da alcuna logica evolutiva (questo principio vale tra l’altro nel
Corano stesso relativamente ai versetti abroganti e abrogati). La già citata
accusa di falsificazione delle scritture precedenti radicalizza infine questo
atteggiamento.
Nella tradizione musulmana la novità
veniva considerata un male, a meno che non venisse dimostrato che era un bene.
Il termine bid’a, innovazione o
novità, implica il significato di allontanamento dai principi e dalla prassi
trasmessi all’uomo dal Profeta, dai suoi discepoli e dagli antichi musulmani;
il bene è nella tradizione custode del messaggio di Dio all’uomo.
L’allontanamento dalla tradizione
pertanto è male e, nel corso del tempo,
il termine bi’a venne ad assumere,
nel mondo musulmano, lo stesso significato attribuito al termine eresia dai cristiani. Una forma
particolarmente deplorevole di bid’a
è quella che si concretizza nell’imitazione dlel’infedele, in quanto, secondo
un detto attribuito al Profeta, “chiunque imiti un popolo entra a farne parte”.
Ne consegue che chiunque adotti o imiti gli usi caratteristici degli infedeli
commette un atto di infedeltà e pertanto diviene un traditore dell’Islam.
Questo detto e la dottrina ivi racchiusa vennero frequentemente invocati dalle
autorità religiose musulmane quale denuncia e opposizione nei confronti di
qualsiasi azione essi giudicassero compiuta a imitazionje degli usi e della
vita europei, e quindi un compromesso con la miscredenza. Le autorità religiose
conservatrici si trovavano così in mano un’arma molto potente, di cui veniva fatto
largo uso per impedire il diffondersi delle innovazioni di stampo occidentale,
quali la tecnologia applicata, la stampa e persino la medicina (Lewis, Europa barbara e infedele. I musulmani alla
scoperta dell’Europa, Mondadori, 1983)
Il Corano stesso (III, 7) e il
Profeta non sembrano ritenere la speculazione teologica indispensabile alla
fede e sconsigliano anzi apertamente di lasciarsi indurre a eccessive
disquisizioni su quanto la Rivelazione non ha espressamente e chiaramente
definito. Ne consegue il ruolo in qualche misura secondario della teologia
rispetto ad altre scienze legate alle fonti della fede che prima di essa si
formarono:
a) Quella del tafsīr, cioè dei commentari coranici strettamente
legati alla filologia
b) Quella del hadīṯ, cioè la raccolta dei detti del Profeta a
completamento e chiarimento di quanto la Rivelazione taceva o trattava soltanto
in modo implicito
c) il Fiqh, ossia la giurisprudenza islamica che, sulla spinta di
motivazioni pratiche, ben presto si trovò a dover definire l’oggetto e gli
strumenti della propria azione.
Non si vuol certo affermare che
problemi più squisitamente teologici furono del tutto assenti nei primi tempi
della storia del pensiero islamico, né sarebbe stato possibile escluderli al
momento di fondare le altre scienze religiose a cui si è fatto cenno, resta
tuttavia il fatto che il sorgere della prima scuola teologica propriamente
detta si verificò piuttosto tardi e, come vedremo, essenzialmente sulla spinta
di sollecitazioni esterne.
Il Corano, al pari e forse più di
altri testi rivelati, poiché nato e per un certo tempo mantenuto in una cultura
esclusivamente orale, presenta caratteri di dinamicità che non consentono di
considerarlo un’esposizione sistematica di verità, ma piuttosto la
testimonianza in presa diretta dell’esperienza religiosa di un uomo e di un
popolo. Alla luce di tale rilievo non stupisce che su alcuni grandi temi, quali
il rapporto tra onnipotenza divina e libertà umana, lo stesso testo sacro
contenga espressioni di tono differente e talora opposto, a seconda che
prevalga l’intento di sottolineare da n lato la confidenza e il timore dovuti a
Dio o dall’altro la responsabilità individuale e collettiva dei destinatari del
suo messaggio.
Alcuni versetti coranici affermano il
libero arbitrio: II, 38; IV, 110; VI,70,104,148; VIII,25,53;IX,105;
XIII,11-27;XVII,84; XVIII,29; XXXV,32; LXI,5; LXXIV,18-20; altri lo negano:
VI,149; VII,128; XVI,35-37; XVII,13;XLII,13;L,27;LXXIV,31-56; LXXVI,30;
LXXX,19; LXXXIV,29.
Un tema di tale rilevanza non poteva
non suscitare prese di posizione diversificate, con conseguenti divergenti
conclusioni circa lo status del musulmano peccatore, intorno al quale sorsero,
se non vere e proprie differenti scuole, almeno correnti di pensiero che presto
presero a confrontarsi vivacemente, anche a motivo delle implicazioni politiche
che dalle loro posizioni derivavano: rimettere a Dio il giudizio sulla fede di
governanti iniqui risultava meno pericoloso dell’estendere ad ogni credente il
diritto-dovere di “promuovere il bene e contrastare il male” (Corano III,110),
fino alla destituzione di quanti non osservassero coerentemente i dettami della
fede nello svolgimento delle loro mansioni.
Tutto questo non fu che il prologo
alla formazione della Mu’tazila, la prima vera e propria scuola teologica
islamica che si sviluppò durante la prima fase del califfato abbaside e che
ebbe tanta fortuna da divenire per un certo periodo la scuola ufficiale
dell’impero.
L’influsso del pensiero greco, in
quegli anni sempre più conosciuto grazie alle accurate traduzioni promosse
dagli stessi califfi di Baghdad e svolte in un rimo tempo principalmente da
dotti cristiani al servizio dei sovrani musulmani, è paragonabile alle
suggestioni provenienti dall’Europa che investirono il mondo islamico a partire
dalla fine del XVIII secolo. Allora come ora gli schieramenti che si sono
formati si sono divisi sulla differente condotta ritenuta opportuna di fronte
agli influssi provenienti dal contatto con una cultura straniera.
Da una parte i tradizionalisti, come
il radicalismo islamico di oggi, rifiutavano di sottoporre il contenuto della
propria fede al vaglio di strumenti analitici “d’importazione”, foss’anche in
vista di un’esposizione più convincente
o per difenderli più efficacemente dalle accuse di avversari e
detrattori: neppure il fine apologetico e difensivo che proprio in quei tempi
emergeva come movente principale della speculazione teologica, pareva
sufficiente ai loro occhi per giustificare l’adozione di nuovi modelli di
pensiero.
Sul versante opposto i filosofi, come
oggi i riformisti più spinti, non vedevano alternativa all’adozione di sistemi
di pensiero “profani”, se non altro a completamento dei dati della fede
islamica che essi erano ben lungi dal considerare una dottrina compiuta e
perfetta, almeno nella sua formulazione comune e corrente.
Il ruolo svolto dai mu’taziliti in
questo frangente fu per molti aspetti analogo a quello che oggi gioca il
riformismo musulmano e si può considerare una posizione intermedia tra le due
or ora richiamate.
Gli intellettuali del Vicino e Medio
Oriente che hanno adottato di volta in volta tendenze di matrice positivista,
liberale, democratica o socialista, pur nella varietà delle loro posizioni non
hanno fatto che esprimere in forme diverse e talora contrapposte la medesima
ricerca di un aggiornamento ritenuto indispensabile e non più procrastinabile
nella sostanza anche se perennemente incerto sui tempi e i modi di attuazione.
La scuola teologica mu’tazilita cadde
in disgrazia nell848 con la vittoria dei tradizionalisti, né certe sue tesi
particolarmente sgradite all’ortodossia sono state più sollevate. Dopo la
sconfitta del mu’tazilismo, la strada imboccata dall’ortodossia islamica ha
privilegiato gli aspetti di continuità col passato, penalizzando progressivamente
le inclinazioni all’apertura e consacrandosi sempre più al mantenimento e alla
perpetuazione del patrimonio tradizionale.
Quanto la cultura araba senta la
vocazione a “perpetuare” è ben documentato sia dagli studi classici del von
Grunebaum sui fondamenti estetici della letteratura araba sia da più recenti
saggi, quali quello di A. Kilito, L’autore
e i suoi doppi, Einaudi.
Il costante contatto con le chiese
d’occidente aveva predisposto i cristiani ad accogliere favorevolmente i germi
del risveglio culturale e la loro adesione a un’altra fede li esimeva dai
vincoli di lealtà verso il potere del califfo. I musulmani vedevano i cristiani
come veicolatori della nuova e pericolosa cultura europea.
“Nella maggior parte dei paesi
musulmani l’Islam costituisce ancora il supremo criterio di lealtà e di
identità di gruppo. L’Islam è ancora la
più accettabile, anzi, in tempi di crisi la sola accettabile base di autorità”
(Lewis, Il linguaggio politico dell’Islam)
“Pedante e acritica trasmissione del
sapere da parte delle università religiose, immutata da secoli nelle forme e
nei contenuti.
Nel 1899 il siriano al-Kawakibi
indicò come cause del “ritardo islamico” fattori religiosi (lo sviluppo
incontrollato e illegittimo delle tendenze dottrinali volte a sminuire il valore
dell’azione umana e responsabili di un diffuso e pernicioso senso di
rassegnazione e fatalismo; rigidezza e pesantezza del sistema giuridico
affidato spesso a uomini chiusi a ogni novità), culturali (ignoranza delle
masse e pregiudizi nei confronti del sapere scientifico ritenuto incompatibile
con la religione) e politici (inettitudine degli amministratori e dispotismo
dei governanti). Con grande eloquenza, più o meno negli stessi anni si occuperà
dei medesimi temi, giungendo ad una diagnosi simile, la grande figura di Sakib
Arslan.
Il personaggio che più di ogni altro
avvertì l’acuto stato di decadenza del mondo islamico e contribuì al risveglio
delle coscienze sulla necessità di un profondo rinnovamento a tutti i livelli
fu Gamal al-Din al-Afgani (1838-1897). Secondo lui era necessario il ritorno
alle fonti del pensiero religioso musulmano senza la mediazione delle scuole
canoniche che, nel corso die secoli, avevano spento lo spirito di ricerca
originale e creativo, contribuendo al diffondersi di perniciosi atteggiamenti
fatalisti e rinunciatari. Rifiutava le letture più restrittive della dottrina
islamica, che si erano imposte nei secoli della decadenza con l’acritica
imitazione (taqlīd) del passato.
La scuola Salafiyya dal maestro Rasid
Rida (1865-1935) orientata essenzialmente verso la difesa apologatica
dell’Islam contro i suoi detrattori, la purificazione della religione da quelle
pratiche e credenze di origine spuria che ne avevano alterato l’originalità e
svilito la vitalità e volta alla ricerca di soluzioni islamiche ai grandi
problemi che emergevano sul piano politico e sociale.
Concezione islamica dell’işlāh,
la quale prevede, per bocca stessa del Profeta, un ciclico rinnovamento inteso
essenzialmente come restaurazione della primitiva purezza della fede.
Ali Abd al-Raziq osò sostenere che l’autorità del Profeta era stata
esclusivamente di tipo spirituale e che quindi non aveva senso parlare di una
successione politica (califfato). La religione islamica non comporterebbe una sua specifica forma di governo e i
musulmani sarebbero liberi di scegliersi quella che ritengono più opportuna in
base a criteri di scelta legati unicamente alla logica e alla convenienza.
Mentre in Europa Lorenzo Valla
dimostrava la non-autenticità della donazione di Costantino, ancora nel
novecento Taha Husain venne allontanato per qualche tempo dalle cariche
pubbliche per aver messo in dubbi alcuni dati della rivelazione, ritenendoli
leggendari.
Secondo la teoria classica la guida
(imama) della comunità dei credenti è riservata ai discendenti del Profeta.
Nell’islam l’autorità e quella legislativa in
particolare, appartiene in ultima analisi a Dio solo e, specialmente in ambito
sunnita, più che del potere di interpretarla, esperti e governanti sono
depositari del dovere di applicarla. Per tutte le faccende non direttamente o
non esaurientemente trattate dalla legge religiosa è però sempre rimasto un
ampio margine di manovra.
La legittimità di un governo è per i
musulmani maggiormente garantita quando deriva dall’Islam che non quando deriva
da rivendicazioni nazionalistiche patriottiche o anche dinastiche o peggio da
nozioni occidentali quali sovranità nazionale o popolare.
Il pensiero salafita, che si proponeva
la riforma dei centri tradizionali del sapere religioso in vista di una
riproposizione del messaggio islamico in termini rinnovati e più consoni alla
nuova realtà, dapprima osteggiato, fu in seguito gradualmente accolto,
divenendo la nuova dottrina ufficiale che privilegiava gli aspetti meno
dirompenti della corrente riformista, quelli cioè rivolti alla restaurazione
della tradizione, ritenuta inquinata e corrotta piuttosto che inadeguata e
passibile di un radicale rinnovamento.
Secondo la tesi espressa da Ernest
Renan la cultura elaborata in terra d’Islam, e in special modo la filosofia, si
sarebbero sviluppate indipendentemente, se non addirittura in contrasto tanto
ai contenuti della fede musulmana quanto ai valori della cultura e degli arabi.
Nata dallo stesso clima in cui germogiava il mito della missione civilizzatrice
dell’Occidente, questa teoria è tramontata con esso e oggi appare solo un
episodio della lunga storia delle incomprensioni che hanno caratterizzato i
rapporti tra le due civiltà.
Per lungo tempo però, gli stessi
musulmani, provocati da simili valutazioni e coscienti della stasi che
interessava la vita intellettuale dei loro paesi, si sono affannati nella
difesa apologetica della loro religione, sforzandosi di dimostrarne la perfetta
aderenza alle parole d’ordine della razionalità, della scienza e del progresso.
E’ nota in proposito la diatriba su questo tema tra lo stesso Renan e il
campione del riformismo musulmano Gamal al-Din al-Afgani.
In questo campo il movimento
modernista ha dato la parte peggiore di sé: con zelo degno di miglior causa
schiere di apologeti si sono sforzati di rintracciare nel Testo sacro la
prefigurazione di moderne scoperte scientifiche o di sistemi politici sorti
successivamente, le biografie del Profeta e la rilettura delle figure dei
grandi personaggi delle origini sono state animate dallo stesso intento e, ad
anni di distanza, questi tentativi mostrano palesemente i loro limiti.
L’atteggiamento apologetico non fu
assente tra i primi sistematori
delpensiero islamico e rappresentò anzi una ragione di fondo della loro opera.
Cosa dunque distingue le due epoche e i due movimenti? Cosa ha permesso ai
primi di riuscire in una mediazione che sembra irrealizzabile per i moderni? Va
ricordato anzitutto che anche allora fu solo col tempo e non senza profondi
conflitti che si poté giungere a una composizione delle varie tendenze e che
alla fine fu comunque l’atteggiamento conservatore a prevalere, a scapito delle
aperture che non poterono svilupparsi al pieno delle loro possibilità. Il
prezzo di questa soluzione fu la decadenza dei secoli successivi e l’assoluta
necessità di introdurre sostanziali cambiamenti avvertita e sostenuta dai
moderni pensatori riformisti.
Tra le quattro scuole giuridiche
sunnite la hanbalita, fondata da Ahmad ibn Hanbal alla fine del IX secolo, fu
la più rigida: limitò infatti la valutazione personale del giurista e rifiutò
il principio analogico, riferendosi esclusivamente al Corano e alla Sunna, in base al principio che Dio è il
solo autentico legislatore. Questa presa di posizione, ben oltre i suoi aspetti
tecnici e nei suoi risvolti teologici, rappresentò una reazione allo
sfaldamento del califfato minacciato dalla disgregazione interna e dai nemici
esterni, dall’endemica conflittualità che opponeva tra loro le differenti
sette, dall’apertura a influssi di pensiero di origine straniera da parte di
alcuni teologi e soprattutto dei filosofi e infine dalgi eccessi di alcune
correnti mistiche. Le analogie tra la situazione di allora e quella odierna
hanno determinato una nuova fortuna dell’hanbalismo presso i movimenti islamici
radicali.
Ricetta islamica tradizionale nelle
sue forme canoniche: a) globalità, cioè stretta connessione tra religioso e
politico,spirituale e temporale, che ha accompagnato l’Islam sin dalle sue
origini; b) Il valore della tradizione come modello imprescindibile in ogni
settore della vita e della cultura; c) L’idea di “riforma” (islah) come
costante aspirazione a ripristinare gli antichi insegnamenti nella loro forma
originale.
Nei movimenti islamici radicali
questi valori diventano tesi ben definite: a) Nelle fonti classiche della
teologia e del diritto (Corano e Sunna) si trovano gli elementi necessari e
sufficienti per affrontare e risolvere qualsiasi problema ed edificare una
società armoniosa, perfettamente coerente con gli idealie le norme della
religione islamica e con la natura umana; b) Tutto quanto si trova codificato
nella tradizione, in particolar modo nella sharia, va applicato integralmente
senza nulla omettere e nulla aggiungere; c) adottare filosofie, ideologie e
modelli estranei alla tradizione islamica non solo è inutile, ma è dannoso
tanto sul piano morale quanto ai fini delprogresso dei paesi musulmani; d) gli
attuali governi delle nazioni islamiche non sono coerenti con gli insegnamenti
della loro freligione e vanno quindi sistematicamente contestati e indotti ad
adottare provvedimenti per una sempre maggiore adesione della società agli
insegnamenti e agli ideali del Corano; da parte di alcuni gruppi la contestazione
assume forme di vera e propria lotta armata.
I Fratelli musulmani sono indicati
come radicali (viene citato in nota un appello di al-Banna all’autosufficienza
Coranica)
Se pure nell’ebraismo e nel
cristianesimo il periodo delle origini è tenuto in grande considerazione, la
differenza con l’Islam appare quando si consideri che il ritorno allo stato di
perfezione primordiale rappresenta un ideale che per i primi supera i confini della storia, mentre per i
musulmani coincide con “l’ideale storico concreto” della prima comunità dei
credenti.
La stessa necessità degli stati
ospitanti di trovare un interlocutore rappresentativo favorisce il riaffermarsi
di quella religiosa come appartenenza prioritaria se non esclusiva.
In virtù del carattere assoluto riconosciuto
alla trascendenza divina che condurrebbe a una desacralizzazione della realtà
umana, grazie al suo apparato dogmatico estremamente ridotto e semplificato,
all’assenza di qualsiasi mediazione tra Dio e l’uomo (ci riferiamo qui
ovviamente alla maggioranza sunnita) e a una morale che non pretende eroici
superamenti della natura umana, l’Islam è stato spesso indicato come una
religione tollerante, a misura d’uomo, vicina alla ragione e favorevole al
progresso della scienza.
Alcuni di questi aspetti hanno però
un’origine antecedente all’Islam e non sono omologabili senza forzature agli
elementi che caratterizzano la società moderna: la democraticità tanto vantata
da modernisti e apologeti deriva ad esempio in larga misura dall’organizzazione
sociale beduina, ove sulla struttura gerarchica prevale il vincolo di una
solidarietà orizzontale, la quale d’altra parte non è certo priva di
manifestazioni di conformismo e di condizionamento dell’individuo.
Non vanno taciuti elementi di
ambiguità o fattori che giocano un ruolo decisamente contrario alla dinamica
della secolarizzazione. Fin dalle origini, dopi i primi dieci anni di
predicazione il Corano nella sua forma finale e definitiva “sacralizza” la
società generata dal proprio messaggio e la rende immutabile… a meno che non si
operi una distinzione nel messaggio stesso. Ogni sforzo per distinguere
spirituale e temporale nel mondo musulmano pone dunque un problema di critica
testuale. Una seconda osservazione riguarda i rapporti tra fede personale e
società islamica. Durante la predicazione alla Mecca il Corano chiama alla fede
in un unico Dio come impegno personale in contrasto con la comunità d’origine
che è politeista. Bisogna riflettere in proprio e non accontentarsi di seguire
ciò che dicevano gli antenati. Occorre rompere i legami sociali e persino
familiari, come fece Abramo lasciando suo padre, se questi costituiscono un
ostacolo per la fede. A Medina invece la
nuova comunità è fondata sul monoteismo e non più sui vincoli di parentela.
Essa costituisce un involucro sociale che protegge la fede e le permette di
informare di sé la vita del credente a tutti i livelli, dai più intimi a quelli
pubblici. Allo stesso tempo però questo involucro protettivo rischia di
imprigionarla: il Corano tollera la sopravvivenza di comunità non-musulmane
(giudei e cristiani) all’interno della
società islamica, ma condanna a morte i musulmani apostati. La fede rischia di
essere ridotta al suo aspetto sociale:
appartenenza a una comunità di fatto musulmana, quale che sia la realtà della
fede personale. Una conseguenza molto importante dell’unità tra spirituale e
temporale, tra religione e Stato sulla psicologia musulmana è la convinzione
che l’Islam debba vincere o scomparire. Il successo temporale, compreso quello
militare, fa parte per il Corano dei “segni” necessari a confermare la
veridicità della Rivelazione. La sconfitta o la situazione di inferiorit dei
musulmani rappresenta una “tentazione” (fitna)
e tutti i mezzi sono leciti per porvi fine, compreso il dare la morte (Corano
II, 191,193,217...)
I musulmani giudicavano intollerabile
per se stessi quello che infliggevano ai dhimmi
: il trattamento dei dhimmi era ispirato al passo del Corano
(II,191,193,217...) in cui Maometto parla della sconfitta o situazione di
inferiorità come “tentazione” e dichiara che tutti i mezzi, compresa la
violenza omicida, sono leciti per porvi fine.
Maometto stesso condanna a morte i
musulmani apostati
Il misticismo popolare delle
confraternite si era reso responsabile
della diffusione di sentimenti di fatalismo e di rassegnazione estranei al
genuino Islam e in contrasto con l’assunzione di responsabilità e di iniziativa
richiesti dal momento storico che la Comunità islamica stava drammaticamente
vivendo.
(parere contro la laicità del ministro
tunisino della cultura) La laicizzazione non può realizzarsi e imporsi che dal momento
in cui viene a far parte della psiche dell’individuo. Suppone che l’uomo si
riconosca cittadino di uno stato territoriale e non come membro di una comunità
transnazionale. Comporta ch’egli ponga la religione a livello dei rapporti
interpersonali e di quelli diretti con Dio senza che interferisca con la vita
della società.Implica che il culto sia un atto di fede e la religione un codice
di condotta morale, non un sistema d’organizzazione sociale, economico e
politico. Consiglia infine la coesistenza pacifica tra concittadini che non hanno alcuna fede o professano altre
credenze. Nulla di tutto ciò è nettamente presente nella psicologia musulmana,
per la quale l’Islam non è solo un credo, ma anche un’identità e un sistema.
Estremamente parca di dogmi e
diffidente verso le speculazioni metafisiche, la religione musulmana ha
piuttosto ristretto, come abbiamo visto, l’ambito della teologia. La legge, al
contrario, si è sviluppata ampiamente tanto da diventare il campo privilegiato
di azione per gli uomini di religione. Come gli altri settori della cultura, il
diritto ha risentito della lunga stagnazione
dei secoli della decadenza.
In tempi e in forme che sono stati
diversi nelle varie aree e per ogni singolo paese, nuovi modelli giuridici
hanno infatti profondamente influito sulla fissazione e codificazione del
diritto statuale (qānūn) in rapporto dialettico con le
norme della legge religiosa (shari’a), della giurisprudenza islamica (fiqh), e delle consuetudini locali
(‘urf).
Non è ammesso il matrimonio se non
con capofamiglia musulmano né il passaggio dei membri della famiglia stessa
dall’Islam ad altra religione.
La legge islamica ha sempre
garantito un’ampia discrezionalità nella scelta della soluzione più adeguata a
ogni singolo caso tra le diverse proposte dalle differenti scuole. Gli stati
che oggi pretendono di mantenere o si propongono di ripristinare il diritto
islamico tradizionale si trovano pertanto a farlo paradossalmente con strumenti
che non ne rispettano lo spirito autentico e l’originale impostazione.
Il settore del diritto di famiglia
rappresenta da sempre una roccaforte delle disposizioni della sharia, ad essa
intimamente collegato nelquadro generale della concezione islamica che no
prevede un diritto del territorio ma dell’appartenenza religiosa.
La dottrina islamica non attribuisce
alla legge dello stato un autentico potere di legiferare, ma piuttosto i poteri
necessari per agire e far agire in modo conforme alla sharia.
La sharia è da considerarsi
unicamente l’insieme delle regole dettate dai giuristi del medioevo o è
pensabile e addirittura inderogabile un rinnovato sforzo esegetico sulle fonti
stesse della dottrina?
I precetti della shari'a sono numerosissimi, pertanto la massa dei fedeli si trova
incapace di conoscere tutti gli obblighi previsti dalla legge, per non parlare
della loro messa in pratica. Essi ritengono che sia inevitabile finire col
trascurarne una parte più o meno grande, per cui vi si conformano solo fino a
un certo punto. ALcuni così finiscono per dedicarsi a pratiche sueprflue,
evitando cose poco gravi ma commettendone altre espressamente vietate. Tutto
ciò dipende dal fatto che trovano i precetti troppo numerosi e non ne
distinguono l’importanza.
Mawdudi rispose a quei critici
“filo-occidentali” che si mostravano inorriditi all’idea che in una
società moderna si dovesse applicare in
pieno per esempio la pena hadd
coranica del taglio delle mani al ladro. Mawdudi sostiene che pene del
genere si potranno applicare non
singolarmente e in una società come
quella attuale, nella quale tutte le altre ingiunzioni spirituali e sociali
della sharia (che creerebbero una “società giusta”, in cui il furto sarebbe
l’eccezione e non la regola come oggi) sono ignorate, ma solo globalmente in
una società del tutto permeata dallo spirito della sharia.
La sharia non fu mai integralmente
applicata e vi sono anzi larghe zone del mondo islamico, come l’area berbera,
quella africana e l’indonesiana, dove gli usi locali hanno su di essa una
decisa prevalenza.
Si è oggi ad un’impasse del
riformismo liberale iniziato tra la prima guerra mondiale e gli anni ’50,
dovuta ad un mancato approccio critico alla sharia, distinguendo ciò che è
derivato da precetti divini e quanto invece è semplicemente frutto di
elaborazioni umane basate sulla consuetudine, sul buon senso e sulle necessità
del momento.
La lega islamica, le università di
al-Azhar e della Zaitūna godono di grande prestigio nel mondo
islamico, ma nell’islam mancano vere e proprie autorità religiose.
La necessità di una propria
identificazione culturale porta i numerosissimi emigranti provenienti dal
nordafrica e dal medio oriente presenti in europa ad avanzare richieste
legate alla loro appartenenza islamica.
Quella dell’Islam radicale sembra la
risposta più generalizzata ed è certamente quella che si fa più sentire.
Nessuno più si oppone al progresso,
né gli sarebbe facile farlo, ma, soprattutto sul piano spirituale, dell’etica e
quindi della società si continua a concepirlo in termini di involuzione
piuttosto che di evoluzione.
Le istituzioni educative e la
mentalità più diffusa persistono nel mantenere
tutto il patrimonio del passato (religioso, giuridico, letterario…) in
un alone di reverenza e di intangibilità che è tanto più forte e indiscussa
quanto più è netta
Difficile è prevedere il ruolo che
potranno avere in un prossimo futuro i musulmani della diaspora in Occidente:
un’osmosi culturale è senz’altro auspicabile e necessaria, ma non può trattarsi
che di un processo lento e graduale, le cui tracce sono per ora quasi
completamente assenti nella gran parte delle pubblicazioni dei centri islamici
europei. Essi infatti si limitano a prendere dalla realtà in cui sono inseriti
solo spunti polemici e motivi apologetici senza lasciarsi interrogare sui
motivi di fondo e sulle modalità di espressione della loro appartenenza
religiosa e ponendosi piuttosto come argini ad una compenetrazione di mentalità
che potrebbe invece essere uno degli apporti più originali del nostro tempo non
solo alle relazioni tra le differenti civiltà, ma anche all’approfondimento o
alla ripresa delle dinamiche più profonde e genuine di ogni esperienza
religiosa.
I musulmani non hanno naturale il
concetto di nazione, essendo legati all’Ummah.
(al-Gabarti)
L’incredibile ignoranza che traspare dalla cronaca di un egiziano circa le
novità portate dai francesi (ehi, c’erano le biblioteche, con grandi sale
accanto a quelle dei libri, dove si mettevano sedie e la gente si sedeva a
leggere dalle dieci del mattino!)
Un musulmano deve negare la fiorente civiltà
europea, perché vorrebbe dire che in assenza di Rivelazione i kafir hanno prodotto una civiltà
superiore all’Islam. I cristiani vanno tenuti in stato di umiliazione e ignoranza per dimostrare che senza la
Rivelazione non c’è successo. Da questo discendono tutte le norme che vietano
loro di avere case più alte di quelle dei credenti. Ancora peggio è la
conseguenza che ne aveva tratto un giovane egiziano mandato a studiare in
Francia: la ragione per cui l’Europa aveva potuto realizzare una civiltà tanto
fiorente era l’esistenza di leggi naturali che la ragione può conoscere e
rettamente interpretare da se stessa. Questa relativa indipendenza delle
facoltà umane portava come conseguenza l’idea dell’efficacia e quindi della
responsabilità dell’agire umano, cosa che era ancora più invisa agli ulema.
(al-Tahtawi)
(reporter egiziano a Parigi nel 1826) Tra i fattori che favoriscono i francesi
e progredire nelle scienze e nelle arti, vanno menzionate la semplicità e la
perfezione della loro lingua. Impararla non richiede molta fatica: un uomo di
intelligenza media, una volta che l’abbia appresa, sarà in grado di leggere
qualsiasi libro, poiché questa lingua è completamente priva di ambiguità ed esclude ogni equivoco.
QUando un professore volesse spiegare un libro, non dovrà prima chiarire i
termini che esso contiene, poiché questi sono già perfettamente intellegibili
di per se stessi. Non occorre insomma ricorrere all’ausilio di una disciplina
particolare solo per poter leggere un libro di qualsivoglia argomento.
Esattamente il contrario di quanto avviene in arabo, dove, per leggere un libro
di una data materia, si deve prima studiarne il linguaggio verificando
minuziosamente il significato delle parole e completarne le frasi dando ad esse
un senso che non è esattamente quello che risulta dall’espressione. Niente di
tutto questo avvieneper i libri francesi, che non comportano commentari né glosse,
salvo nei rari casi in cui sia aggiunta un’annotazione destinata a completare
la frase delimitandone il senso o precisandola in altro modo. Il solo testo a
una prima lettura basta a far comprendere quanto si vuol comunicare.
(al-Tahtawi)(reporter
egiziano a Parigi nel 1826) Se in Francia si dice che qualcuno è un grande
sapiente non si intende affatto che lo sia in materia di religione, ma in
qualche altra dottrina… La fiorente moschea di al-Azhar al Cairo, quelle degli
Omayyadi in Siria e di al-Zaytuna a TUnisi, quella di al-Qarawiyyin a Fès e le
scuola di Bukhara si distinguono nelle scienze tradizionali, ma per quanto
riguarda le materie scientifiche si limitano a quelle inerenti alla lingua
araba, alla logica e ad altre discipline ausiliarie agli studi religiosi. A
Parigi invece le scienze progrediscono continuamente.
(hair al-Din)
Gli ulema sono investiti della doppia missione di salvaguardare gli interessi
spirituali e materiali della nostra legge religiosa e di adoprarsi per la loro
realizzazione con un’interpretazione intelligente e conforme ai bisogni
dell’epoca (giovane ufficiale tunisino inviato a Parigi a metà dell’Ottocento)
Accogliere qualcosa dagli infedeli
significherebbe riconoscere la loro superiorità, che il Corano non consente.
▸ Le cause del ritardo islamico secondo Sakib Arslan (1869-1946)
Il danno fatto dai musulmani colpiti
dall’inerzia non è minore di quello provocato dai rinnegati, anche se i primi
non hanno la malizia e la cattiva coscienza dei secondi e si comportano così
solo per ignoranza o per fanatismo.
Sono stati loro a spianare la strada ai nemici
della civiltà islamica i quali hanno trovato comodo giustificare la propria
aggressione col pretesto dell’arretratezza del mondo musulmano che essi
imputano agli insegnamenti stessi dell’Islam. Sono stati loro a determinare lo
stato di miseria in cui si trovano i musulmani poiché hanno fatto dell’Islam
una religione che si occupa solo dell’aldilà, mentre esso è contemporaneamente
la religione di questo e dell’altro mondo ed è anzi questa la caratteristica
che lo contraddistingue.
Esso non si limita ad acquisire meriti utili
alla vita futura come fanno le religioni dell’India e della Cina né chiede la
rinuncia ai beni di questo mondo, al possesso e alla gloria come insegna il Vangelo,
ma non si interessa neppure solo delle cose della vita terrena, come fa la
civiltà europea contemporanea.
Sono stati quei musulmani a dichiarare guerra
alle scienze naturali, alla matematica, alla filosofia, alle arti e alla
tecnica perché provengono dagli infedeli.
L’Islam avrebbe proibito il frutto di quelle
scienze provocando la miseria di cui soffrono e che ha tarpato loro le ali:
eppure le scienze naturali sono quelle che studiano la terra, la quale dona i
suoi tesori solo a chi li cerca.
Se per tutta la vita non faremo altro che
occuparci del premio dell’aldilà la terra ci dirà: andateci subito, da me non
otterrete nulla.
Per aver limitato i nostri sforzi alle scienze
religiose e alle discussioni sulla vita futura ci siamo messi in una posizione
di svantaggio rispetto alle altre nazioni che invece si interessano di questo
mondo e diventano sempre più forti mentre noi ci facciamo sempre più deboli,
tanto che esse sono diventate padrone assolute della situazione e, dopo aver
preso il controllo della nostra esistenza terrena, si sono messe a dire falsità
contro la nostra religione.
Ma chi non controlla più la propria vita nel
mondo non ha neppure una religione. Dice infatti il Corano a questo riguardo:
“Iddio hapromesso a quelli fra voi che credono e operano il bene di farvi
succedere agli empi sulla terra” (XXIV,55) e “Egli è Colui che ha creato per
voi tutto quanto v’è sulla Terra” (II,29) e “Dì: ‘Chi ha proibito gli ornamenti
di Dio, ch’egli ha preparato per i suoi servi e le buone cose della sua
provvidenza?’. Dì: ‘Tutto questo è destinato a quelli che credono, qui nella
vita terrena, e nel mondo più puro della Resurrezione’” (VII,32), come ha anche
affermato “Non dimenticare il tuo dovere nel mondo” (XXVIII,77) e noi lo
invochiamo come Egli ci ha insegnato: “Dacci in questo mondo una cosa buona, e
nell’altro una cosa buona” (II, 201)
I musulmani che si lasciano andare all’inerzia
non capiscono che questo loro atteggiamento porta alla rovina della loro
nazione, al suo svilimento rispetto alle altre e non si accorgono delmale che
fanno a se stessi, trascurando le scienze fino a ridursi allo stato dimiseria
in cui si trovano e a dipendere dai loro nemici che li trattano senza alcun
riguardo.
Quando constatano questa situazione la
giustificano parlando del destino e del decreto divino, come fanno tutti gli
indolenti di questo mondo.
E’ questo atteggiamento che ha reso molti
musulmani propensi alla pigrizia e ha prodotto la congrega dei dervisci
senz’arte né parte che sono un arto infermo del corpo della società islamica.
E’ questo atteggiamento che ha indotto gli
occidentali a definire l’Islam fatalista e rinunciatario: quello che è e non si
può farci niente
Ripetiamo che sono stati i musulmani di questo
tipo ad aver spianato la via ai nemici dell’Islam, fornendo loro anche il
pretesto che la loro religione non si addice al progresso e ostacola la civiltà
In realtà sono le idee di quei musulmani a non
adattarsi alla civiltà e ad opporsi al progresso, l’Islam non è responsabile
della loro rigidezza. Esso ha anzi rappresentato una rivolta contro un passato
iniquo e un taglio netto con ogni bassezza e menzogna, come potrebbe essere la
religione dell’inerzia?
Coloro che comprendono rettamente l’Islam
accolgono anzi di buon grado ogni innovazione che non si opponga alla verità
della fede e non provochi guasti. D’altra parte non riesco a immaginare che
nulla di quanto può essere utile alla società posa trovarsi in contrasto con
una religione che ha per fine la felicità dei suoi fedeli.
Gli stessi dotti del Nagd, che sono i musulmani
più lontani dall’Occidente, dall’occidentalizzazione e dai centri che producono
le moderne invenzioni, quando il re ‘Abd al-‘Aziz li ha consultati circa la
radio, il telefono e le macchine elettriche hanno risposto che si tratta di novità
utili e che non c’è nessuna disposizione esplicita o implicita del Corano o
della Sunna che le proibisca
L’opposizione alla novità non è un’esclusiva dei
musulmani conservatori, nel cristianesimo la Chiesa si è opposta a quasi tutte
le idee e le pratiche innovative, per tornare in seguito sull’argomento e
dichiararle lecite. Quando Galileo parlò della rotazione della terra essa lo
smentì e ancora oggi vi sono preti cristiani che rifiutano tutto ciò che
contrasta con quanto la Bibbia dice sull’origine dell’universo e solo due anni
fa negli Stati Uniti un insegnante è stato destituito per aver parlato della
teoria di Darwin. Tutto questo però non impedirà il cammino della scienza. Vi
sono conservatori tra i cristiani come tra di noi.
Il musulmano conservatore si oppone a ogni
scienza che non sia quella religiosa tradizionale cui è abituato e a chiunque
non faccia esclusivo riferimento al Corano e alla Sunna, dimenticando che le
scienze naturali, la matematica, la geometria, la fisica, l’astronomia, la medicina,
la chimica, la geologia e tutte le scienze utili al genere umano, anche se non
sono di per sé religiose, lo sono nei loro risultati. Esse venivano insegnate
ad al-Azhar, alla Zaytuna, ad al-Qarawiyyin, a Cordoba, a Baghdad e a
Samarcanda, quando l’Islam era un impero di grandi uomini, molti dei quali si
sono interessati insieme di filosofia e di legge, di tradizioni religiose e di
matematica. Il filosofo arabo più famoso d’Europa è Averroè, che fu anche
giudice e grande giurista.
▸ Filippica sul tema “ci siamo allontanati dalla retta via e i
popoli che si allontanano da Dio sono da lui puniti e decadono”
(Al-Afgani)
“Iddio non cambia il favore di cui ha favorito un popolo fin quando essi non
cambiano quel che hanno in cuore” (VIII, 53)
(Al-Afgani)
“se un bene gli giunge, se ne resta sicuro e tranquillo, e se lo colpisce una
prova se ne torna indietro e perde così i beni del mondo terreno e dell’altro”
(XXII,11)
(Al-Afgani)
Apparteniamo a un’unica comunità e adoprarci per difenderla dai suoi nemici,
quando essa viene attaccata, è il primo fra i doveri religiosi: lo attesta il
Libro sacro e il consenso dei credenti di ogni generazione. Come possiamo
continuare a vedere gli stranieri assalire ripetutamente i paesi islamici e
impadronirsi di essi, uno dopo l’altro, senza che nessuno tra quanti si dicono
credenti, in nessun luogo, si dia la minima pena o mostri il minimo entusiasmo
nel prenderne le difese?
(Al-Afgani)
Se gli ulema fedeli si metteranno all’opera, facendo quanto loro indicato da
Dio e dal Profeta e se ravviveranno lo spirito del Corano richiamando i
credenti ai suoi nobili principi e riconducendoli all’inviolabile patto divino,
si vedrà allora la verità imporsi e svanire il falso, la luce tornerà a
splendere nelle menti e si tradurrà in pratica. Il fermento che va coinvolgendo
gli animi dei musulmani di tutti i paesi in questi tempi testimonia che Iddio
li ha preparati a lanciare un grido che li raccoglierà, ristabilendo l’unità di
quanti credono nella sua unicità. Noi ci auguriamo che ciò avvenga presto, e
quando essi metteranno in pratica concordemente ciò che Iddio ha loro
comandato, il loropeccato sarà emendato e Dio, “che ha grand grazia per chi
crede” (III,152) li perdonerà.
▸ (Al-Afgani) La religione cristiana è fondata sulla
pace e la benevolenza, ha portato all’abolizione della legge del taglione, alla
rinuncia al potere e alle vanità del mondo, ha insegnato ai suoi seguaci a
sottomettersi all’autorità costituita, a lasciare ai governanti ciò che spetta
loro, a tenersi fuori dai conflitti personali, razziali e persino religiosi.
Tra le esortazioni evangeliche c’è quella che dice “Se qualcuno ti percuote
sulla guancia destra, tu porgigli la sinistra” ed è sempre il Vangelo che
afferma: “I re hanno potere sul corpo, ma si tratta di un potere effimero,
l’autentica e vera potestà sulle anime appartiene a Dio solo”
La religione islamica ha posto invece tra i suoi
fondamenti la ricerca del successo, lo slancio di conquista e il predominio, il
rifiuto di qualsiasi legge che contrasti con la sua e di ogni potere che non ne
applichi le norme. Chi esamini le origini di queta religione e legga il suo
Testo sacro si convincerà che i suoi fedeli non dovrebbero essere militarmente
secondi a nessuno, dovrebbero superare tutti nell’inventare macchine da guerra,
nel perfezionare le scienze belliche acquisendo le più ampie conoscenze delle
discipline ad esse inerenti, quali la fisica, la chimica, la meccanica, la
geometria ecc.
Chi mediti il versetto che dice “Allestite
contro di loro forza quanto potete” (VIII,60) si convincerà che chi appartiene
a questa religione non solo dovrebbe evitare accuratamente di cadere sotto il
dominio altrui, ma dovrebbe essere addirittura animato dalla passione per il
dominio e cercare di conquistarlo con ogni mezzo e tutte le proprie forze.
Per quale favore della sorte i cristiani sono
arrivati a ciò che non era contemplato dalla loro fede? Quale colpo di sfortuna
ha invece colto i musulmani facendoli restare indietro nell’acquisizione
proprio dei mezzi prioritari per l’adempimento della loro vocazione?
Quanto ai musulmani, dopo i traguardi raggiunti
al tempo delle origini della loro religione, ebbero pieno successo in ogni
impresa militare, coprendosi di gloria e superando in questo campo qualsiasi
altro. Tra essi però apparvero in seguito uomini che, ammantandosi degli abiti
della religione, introdussero delle novità estranee al genuino Islam. Si
diffusero così la dottrina della predestinazione, che fu tanto ripetuta da
insinuarsi infine nei cuori distogliendoli dall’azione, si propagarono le
eresie del terzo e quarto secolo e le dottrine dei sofisti negatori della
realtà, considerata una sorta di illusione priva diogni fondamento di certezza,
furono infine coniati falsi detti attribuiti al Profeta, che vennero inseriti
nei libri canonici per il gusto della novità ed ebbero l’effetto di un veleno
mortale. Il risultato fu un indebolimento delle volontà per cui da allora gli
sforzi di quanti si applicano a distinguere il falso dal vero non hanno alcun
effetto sulle masse, soprattutto dopo che erano stati alterati e banalizzati
gli insegnamenti del Profeta. Lo studio corretto della religione restò
ristretto a gruppi privati di gente poco influente. E’ probabilmente questa la
causa della decadenza dei musulmani e quello che li ha fatti arretrare in uno
stato dal quale imploriamo Iddio di liberarli.
▸ L’orientamento alla guerra dell’impero ottomano discende
direttamente dal Corano
(Al-Afgani)
La religione islamica ha posto invece tra i suoi fondamenti la ricerca del
successo, lo slancio di conquista e il predominio, il rifiuto di qualsiasi
legge che contrasti con la sua e di ogni potere che non ne applichi le norme.
Chi esamini le origini di queta religione e legga il suo Testo sacro si
convincer che i suoi fedeli non dovrebbero essere militarmente secondi a
nessuno, dovrebbero superare tutti nell’inventare macchine da guerra, nel
perfezionare le scienze belliche acquisendo le più ampie conoscenze delle
discipline ad esse inerenti, quali la fisica, la chimica, lameccanica, la
geometria ecc.
Dimostrare che l’Islam è nei suoi
fondamenti essenzialmente favorevole alla scienza e al progresso non avrebbe
avuto alcun effetto se contemporaneamente non lo si fosse liberato dallo
spirito di imitazione (taqlīd) che ne aveva bloccato lo sviluppo,
ponendo tra i fedeli e i testi originari della fede la mediazione di infiniti
compendi e commentari di sempre più scarsa qualità e più oscura comprensione.
Rasid Rida inizia la scuola salafita,
eliminando gli aspetti più dirompenti del pensiero di Muhammad Abduh, che
voleva dimostrare che l’Islam non è incompatibile alla scienza e al progresso,
e lasciando il posto alla graduale affermazione del riformismo (islah) quale
nuova dottrina ufficiale. Lo sguardo si volgeva alla gloria dei secoli passati
e soprattutto al periodo delle origini. Il tema del ritorno alle origini (Salaf
si riferisce appunto alle prime generazioni di credenti) e dell’eliminazione
delle influenze esterne che hanno alterato la primitiva purezza dell’Islam fu
determinato da una volontà di affermazione della propria originalità e
indipendenza culturale come forma di resistenza all’aggressione occidentale.
▸ L’Islam, secondo Rashid Rida (fondatore del salafismo) ha
eliminato il potere religioso, tipico ad esempio del cristianesimo
sostituendolo con una comunità di eguali (ma Branca nota che è un retaggio
beduino)
(Rashid Rida)
Uno dei più grandi e nobili principi che abbia proclamato l’Islam è stata
l’abolizione del potere religioso, la sua assoluta soppressione. La missione
del Profeta fu quella di trasmettere la rivelaizone e di annunciarla – in
nessun modo di essere un dominatore e un tiranno. Dio ha detto infatti:
“Ammonisci, che un Ammonitore tu sei – non sei stato nominato loro sovrano!”
(LXXXVIII,21-22). Dio non ha donato il potere supremo ad alcuna creatura su
questa terra o nel cielo. La fede affranca il credente nei suoi rapporti con
Dio, da ogni controllo che non sia quello di Dio stesso; essa lo eleva al
disopra di ogni schiavitù che non sia l’obbedienza dovuta a Lui. Nessun
nusulmano, qualunque dignità egli possa ricoprire nell’Islam, ha su un altro
nusulmano, per quanto bassa sia la sua condizione, altri diritti se non quelli
di consigliarlo e di guidarlo. Dio ha descritto gli eletti in questi termini:
“Quelli che credono si invitano a gara alla pazienza e si invitano a gara alla
pietà” (XC,17); “Si formi da voi una nazione d’uomini che invitano al bene e
impediscono l’ingiustizia. Questi saranno i fortunati” (III,100).
I musulmani si scambiano dunque buoni consigli e
formano una comunità che esorta al bene. Essi stessi sono incaricati di
sorvegliarla e di dirigerla sul retto cammino, qualora le accadesse di
allontanarsene. Questa comunità non ha altra missione che l’apostolato,
l’ammonimento, il richiamo e l’esortazione; ad essa solamente spetta il diritto
di cercare le manchevolezze nascoste nel prossimo.
Ogni musulmano ha il diritto di comprendere il
Libro di Dio e la parola del suo Profeta direttamente dal Testo sacro e dalla
Sunna, senza il ricorso ad alcun intermediario, antico o moderno. Tuttavia egli
è prima tenuto ad assicurarsi i mezzi che lo porranno nelle condizioni di comprendere: la conoscenza della lingua
araba, della sua letteratura, del suo stile, la storia degli arabi, in
particolare all’epoca del profeta, gli avvenimenti che si sono svolti al
momento della Rivelazione, alcuni elementi della scienza dell’abrogante e
dell’abrogato. Se il suo stato non gli consente di comprendere la verità
direttamente da libro e dalla sunna, può allora ricorrere a delle persone
competenti; può – anzi deve – chiedere a questi ultimi la prova che legittima
l’obbligo che lgi si impone – domanda che può vertere su una questione
dogmatica o sull’adempimento diuna qualunque azione. Non esiste, nell’Islam,
quella che alcuni chiamano autorità spirituale.
Ciononostante, pur essendo la legge chiara, un
uomo, dominato dalle passioni, potrebbe non applicarla. La saggezza cheha
presieduto all’instaurazione delle leggi non sarebbe completa senza un potere
di coercizione che le faccia osservre, che possa, in tutta equità, fare
eseguire le disposizioni giudiziarie e rispettare l’ordine. Questa autorità non
può essere lasciata all’anarchia della massa: deve essere affidata a un solo
uomo, e questi è il sultano o il califfo.
Agli occhi dei musulmani il califfo non è una
guida infallibile, non è il depositario della Rivelazione; egli non può
arrogarsi il diritto esclusivo di commentare il Libro e la sunna; senza dubbio
una delle condizioni che gli sono imposte è quella di essere un mugtahid, in
altri termini egli deve conoscere la lingua araba e tutte le scienze che
abbiamo enumerato, in modo da potere facilmente individuare nel Libro e nella
Sunna le leggi che gli servono, essere in grado di distinguere da solo la
verità dall’errore, e di fare rispettare quella giustizia che la religione e la
comunità esigono.
Tale è il suo stato. La religione non gli
riconosce una capacità speciale nella comprensione del Libro e delle leggi;
egli non gode di alcun privilegio. E’ paragonabile a tutti coloro che cercano
la verità e che non si distinguono l’uno dall’altro che per la limpidezza della
ragione e la rettitudine del giudizio. E’ ubbidito finché rimane sul retto
cammino, finche sethe la via del Libro e della Suna;i musulmani lo sorvegliano
strettamente, se si allontana dalla retta via ve lo riconducono, se vi fa
ritorno lo aiutano con i loro consigli e le loro esortazioni. Siccome non è
dovuta alucna obbedienza a una creatura che sir ibella a Dio, se il califfo
nella sua condotta si allontana dal Libro e dalla Sunna, bisogna sostituirlo
con un altro, a meno che la sostituzione non risulti più nociva che utile. E’
la Comunità o il suo rappresentante, a conferirgli l’investitura, essa ha
pertanto la suprema sutorità su di lui e lo destituisce qualora ritenga che vi
sia interesse a farlo. Il califfo è dunque da tutti i punti di vista un sovrano
temporale.
Se si è obiettivi, non si può confondere il
califfo dei musulmani con quello che gli europei designano con ilnome di papa.
Presso i cristiani è infatti solo il papa che riceve la legge di Dio e solo lui
ha il diritto di promulgare le leggi, di esigere lobbedienza ti tutti in nome
dell’unica fede, senza mubāya’a (omaggio o dichiarazione di fedeltà mediante la
quale i maggioranti riconoscevano l’autorità del nuovo califfo, la cui carica
in pratica ereditaria, formalmente è sempre stata elettiva) come esigerebbero
la giustizia e la salvaguardia dei diritti individuali. Nessun credente ha
diritto di opporsi al papa, anche qualora questi ritenesse che è un nemico di
Dio e constatasse con i propri occhi che va contro le più consolidate leggi
divine. Ogni azine e parola di questosovrano spirituale, in qulaunque modo si
manifestino fanno parte della religione e della legge. Questo era il potere
della chiesa nel medioevo e la chiesa non cessa a tutt’oggi di rivendicarlo
nelle forme che abbiamo descritto.
Una delle conseguenze della civiltà moderna è
stata la separazione del potere spirituale da quello temporale. La Chiesa ha
conservato l’autorità suprema sulle convinzioni e le azioni degli uomini nei
loro rapporti con Dio e permane onnipotente per tale materia in cui stabilisce
e abolisce, controlla e sorveglia, rifiuta o concede, lasciando invece al
potere temporale la piena autorità quando si tratta di sottomettere i rapporti sociali a una
norma di diritto e di assicurare il mantenimento dell’ordine materiale di
questo mondo. I cristiani affermano che questa distinzione è stata per loro una
fonte di inestimabili benefici.
Nelle critiche che gli indirizzano, i cristiani
sembrano credere che l’islam esiga che il potere spirituale e quello temporale
siano riuniti nello stesso titolare che agli occhi dei musulmani la missione
del sultano sia di elaborare la religione, di promulgarne le leggi e di farle
applicare e che egli possa usare la fede a suo piacimento per sottomettere il
cuore o convincere la ragione: la mente e la coscienza dei suoi soggetti non
sarebbero così che dei semplici strumenti nelle sue mani. Ne deducono che la
religione assoggetta il musulmano al proprio sultano. Ora, poiché hanno potuto
constatare che il loro capo spirituale è il nemico della scienza e l’apostolo
dell’ignoranza, e poiché d’altra parte ammettono che l’islam pone come obbligo
religioso l’obbedire al sultano, giungono alla conclusine che l’islam è
irrimediabilmente ostile a qualsiasi spirito di tolleranza e a ogni tipo di
ricerca scientifica. Come vedete si tratta di grossolani errori, lontani da una
corretta comprensione di uno dei principi fondamentali dell’Islam. Non vi è
nell’Islam alcun altro potere spirituale che quello che conferisce il dovere
all’esortazione e all’apostolato. Questo potere Dio l’ha dato al più umile dei
musulmani, per permettergli di avvicinare il maggiore tra essil, così come l’ha
affidato al più potente perché lo applicasse al più umile dei suoi
correligionari
Si obietterà: “Questa autorità spirituale, se il
califfo non ha davvero il diritto di disporne, non appartiene allora al cadi,
al mufti e allo saih al-Islam?” Ecco la mia risposta: “L’islam non ha mai
riconosciuto loro il minimo potere né in materia di dogma né in materia di
legge. La loro non è che un’autorità temporale che è stata instaurata dalla
legge stessa. Nessuo di loro è qualificato a interrogare qualcuno sulle sue
convinzioni personali, sul culto che consacra Dio, o a contestare la concezione
che se ne fa”
▸ L’islam non lascia al fedele altra scelta che la retta
condotta o la morte (per apostasia). Il musulmano non deve rendere conto solo
alla propria coscienza, ma in ogni momento ai suoi correligionari e al suo
califfo.
(Rasid Rida)
Nelle critiche che gli indirizzano, i cristiani sembrano credere che l’islam
esiga che il potere spirituale e quello temporale siano riuniti nello stesso
titolare che agli occhi dei musulmani la missione del sultano sia di elaborare
la religione, di promulgarne le leggi e di farle applicare e che egli possa
usare la fede a suo piacimento per sottomettere il cuore o convincere la
ragione: la mente e la coscienza dei suoi soggetti non sarebbero così che dei
semplici strumenti nelle sue mani. Ne deducono che la religione assoggetta il
musulmano al proprio sultano. Ora, poiché hanno potuto constatare che il loro
capo spirituale è il nemico della scienza e l’apostolo dell’ignoranza, e poiché
d’altra parte ammettono che l’islam pone come obbligo religioso l’obbedire al
sultano, giungono alla conclusine che l’islam è irrimediabilmente ostile a
qualsiasi spirito di tolleranza e a ogni tipo di ricerca scientifica. Come
vedete si tratta di grossolani errori, lontani da una corretta comprensione di
uno dei principi fondamentali dell’Islam. Non vi è nell’Islam alcun altro
potere spirituale che quello che conferisce il dovere all’esortazione e
all’apostolato. Questo potere Dio l’ha dato al più umile dei musulmani, per
permettergli di avvicinare il maggiore tra essil, così come l’ha affidato al più
potente perché lo applicasse al più umile dei suoi correligionari
▸ Dal fatto che l’Islam
è una comunità senza preti, dove tutti sono incaricati di promuovere la retta
condotta deriva un controllo oppressivo di tutti nei confronti di tutti.
Inoltre il Corano non ammette che lo Stato lasci peccare i credenti, ma lo
obbliga a intervenire per far rispettare i precetti dettati da Dio al Profeta.
(Rasid Rida)
Uno dei più grandi e nobili principi che abbia proclamato l’Islam è stata
l’abolizione del potere religioso, la sua assoluta soppressione. La missione
del Profeta fu quella di trasmettere la rivelaizone e di annunciarla – in
nessun modo di essere un dominatore e un tiranno. Dio ha detto infatti:
“Ammonisci, che un Ammonitore tu sei – non sei stato nominato loro sovrano!”
(LXXXVIII,21-22). Dio non ha donato il potere supremo ad alcuna creatura su
questa terra o nel cielo. La fede affranca il credente nei suoi rapporti con
Dio, da ogni controllo che non sia quello di Dio stesso; essa lo eleva al
disopra di ogni schiavitù che non sia l’obbedienza dovuta a Lui. Nessun nusulmano,
qualunque dignità egli possa ricoprire nell’Islam, ha su un altro nusulmano,
per quanto bassa sia la sua condizione, altri diritti se non quelli di
consigliarlo e di guidarlo. Dio ha descritto gli eletti in questi termini:
“Quelli che credono si invitano a gara alla pazienza e si invitano a gara alla
pietà” (XC,17); “Si formi da voi una nazione d’uomini che invitano al bene e
impediscono l’ingiustizia. Questi saranno i fortunati” (III,100).
(Rasid Rida)
I musulmani si scambiano dunque buoni consigli e formano una comunità che
esorta al bene. Essi stessi sono incaricati di sorvegliarla e di dirigerla sul
retto cammino, qualora le accadesse di allontanarsene. Questa comunità non ha
altra missione che l’apostolato, l’ammonimento, il richiamo e l’esortazione; ad
essa solamente spetta il diritto di cercare le manchevolezze nascoste nel
prossimo.
▸ Sulla condizione della donna nelle società
islamiche
(Qūasim
Amīn) La possibiltà che la
donna riceva un’istruzione e che sia libera dalla segregazione in cui è tenuta
in gran parte delle società orientali rappresenta una necessità non solo per la
sua maturazione personale, ma anche in vista del ruolo ch’ella sarà chiamata a
giocare nella vita della famiglia e della nazione.
(Qūasim
Amīn) Il velo è un enorme
ostacolo per la crescita della donna… La nazione (Egitto) si trova privata
dell’apporto fattivo delle donne e un bambino non può venire ben allevato se
neppure sua madre avrà ricevuto una buona formazione.
(Qūasim
Amīn) L’età in cui alla donna
è imposto il velo è tra i dodici e i quattordici anni. Non si capisce bene, ma
pare che per Amin il velo si accompagna al confinamento tra le pareti
domestiche, e questo le farebbe scordare tutto quanto le si fosse insegnato,
perché le impedisce la vita in comune, l’esperienza e la conoscenza dei
comportamenti.
(Uda) Inoltre
il Corano esige che si governi con giustizia, conformemente a quanto
l’Altissimo stesso ha rivelato: “Iddio vi comanda di restituire i depositi
fiduciari agli aventi diritto e, quando giudicate fra gli uomini, digiudicare
secondo giustizia” (IV, 58); “Giudica dunque fra il popolo secondo quanto Iddio
ha rivelato” (V,49) e “Coloro che non giudicano con la Rivelazione di Dio, son
quelli i negatori” (V,44). E’ fuor di dubbio che stabilire la giustizia sia una
delle funzioni più importanti dello Stato e il Corano prescrive che lo Stato
eserciti l’autorità in conformità alla rivelazione islamica. In più esso impone
ai credenti di invitare gli altri a compiere il bene e di distoglierli dal male
quando dice “Si formi da voi una nazione d’uomini che invitano al bene, che
promuovono la giustizia e impediscono l’ingiustizia” (III,104)
Nei testi di Uda è chiarissimo come lo Stato non
può lasciar peccare i credenti, ma è obbligato a intervenire per far rispettare
i precetti dettati da Dio al Profeta.
Una volta entrati nell’Islam, non è possibile
uscire e non è possibile tenere un comportamento meno che virtuoso. Per legge.
Il Pakistan sorgerà nel 1947 come
partizione dell’India, a seguito dell’attività degli attivisti islamici come
quelli dell’All India Muslim League.
▸ (Celebi) L’Islam si preoccupa della società, mentre
il cristianesimo è nato individualista. Iqbal argomenta che le regole sociali
presenti nel Corano marcano la differenza positiva rispetto ad un cristianesimo
individualistico.
(Iqbal) La
prima fonte del diritto nell’Islam è il Corano. Eppure quest’ultimo non è un
codice legale. Il fine principale che si propone è infatti quello di dare
all’uomo una concezione più alta del suo rapporto con Dio e con l’universo. Non
v’è dubbio che il Corano fornisca anche qualche norma e qualche principio
generale di natura giuridica, particolarmente per quanto attiene alla famiglia,
struttura base della vita sociale. Perché mai queste regole fanno parte di una
rivelazione, il cui fine ultimo è l’elevazione della vita umana? La risposta la
fornisce la storia del cristianesimo, nato come drastica reazione allo spirito
legalista del giudaismo. Ponendo il suo ideale nell’aldilà esso riuscì a
spiritualizzare la vita, ma il suo individualismo
non seppe trovare valori nella complessità delle relazioni sociali. “Il
cristianesimo primitivo – dice Naumann nel suo Briefe über Religion – non dava alcun
valore alla conservazione dello Stato, della legge, dell’organizzazione e della
produzione. Non si occupava per nulla delle condizioni della società umana”. E
conclude: “Così, o abbiamo il coraggio di restare virtualmente senza stato,
gettandoci deliberatamente tra le braccia dell’anarchia, oppure scegliamo di
avere, accanto alla nostra fede religiosa, anche una fede politica”. Per questo
il Corano considera necessario unire religione e Stato etica e politica in
un’unica rivelazione, in modo simile a quanto fa Platone nella sua Repubblica.
(Iqbal) Lungi
dall’impedire lo sviluppo della riflessione e dell’attività legislativa,
l’ampiezza e la forza di tali principi fungono da stimolo delpensiero umano. I
nostri primi dottori della legge,l basandosi essenzialmente su questiprincipi,
hanno creato un gran numero di sistemi giuridici e chi studia la storia
dell’Islam sa bene che metà dei suoi successi sul piano sociale e olitico sono
dovuti alla perspicacia giuridica di quei sapienti. “Accanto ai romani – dice
Von Kremer – soltanto gli arabi possono vantare un sistema giuridico
altrettanto ben congegnato”.
(Iqbal)
Nonostante la loro ampiezza questi sistemi non sono infine che delle
interpretazioni personali che quindi non possono pretendere in alcun modo di essere definitive. SO bene
che gli ulema riconoscono alle scuole di diritto musulmano un carattere di
semi-infallibilità, ma essi non hanno mai potuto negare in teoria la
possibilità di un completo igtihad… Non vedo motivo di mantenere ancora un
simile atteggiamento. I fondatori delle nostre scuole non hanno mai rivendicato
un carattere definitivo per le loro argomentazioni e le loro interpretazioni.
(Ahmad Amin)
L’occidente, anche se invasore, portò l’amore per la libertà e la coscienza dei
diritti umani.
(Ahmad Amin)
Non si può portare d’un colpo l’Oriente a livello dell’Occidente, quando
l’Occidente stesso ha impiegato secoli a svilupparsi
(Ahmad Amin)
Utile sintesi storica del contatto con l’Occidente e del riformismo arabo tra
Ottocento e Novecento
▸ (al-Raziq) Va introdotta una netta distinzione tra
religione e politica poiché a suo parere, la confusione tra i due campi è stata
voluta dai detentori del potere in funzione dei loro propri interessi e non per
realizzare una presunta forma di governo islamico che la contemplasse. Nella
rivelazione e nell’esperienza del Profeta non vi sarebbero elementi sufficienti
per sostenere che l’Islam porti necessariamente con sé una determinata
organizzazione della società con una specifica forma di potere. Il Califfato si
sarebbe arrogato indebitamente il carattere di governo islamico per eccellenza
e lo studio degli avvenimenti storici dimostrerebbe al contrario quanto gli
effetti negativi derivati da tale istituzione abbiano influito sul destino
della comunità dei credenti. (al-Raziq, per la natura rivoluzionaria delle sue
tesi fu sospeso temporaneamente dagli uffici pubblici)
Se i giuristi intendono per imamato e
istituzione califfale ciò che gli studiosi di politica intendono per “governo”
è giusto quanto dicono: che la pratica del culto e il bene del popolo poggiano
sull’istituzione califfale, presa nel senso di governo, quale che ne sia la
forma e la natura: assoluta o no, monarchica o repubblicana, dittatoriale,
costituzionale o consultiva, democratica, socialista o bolscevica. La loro
argomentazione non può andare oltre. Se per “istituzione califfale” intendono
invece quel tipo speciale di governo che essi definiscono, allora la loro
argomentazione non è atta a sostenere le loro tesi e le loro prove non hanno consistenza.
Il hadith riferisce che quando, per tramite di
Israfil, fu offerto al Profeta di scegliere fra profeta-re e profeta-servo,
egli guardò Gabriele come per chiederne consiglio: allora l’arcangelo guardò a
terra, indicando così che bisognava preferire l’umiltà. Un’altra versione dice:
“Allora Gabriele mi fece segno: ‘Umiliati!’. Ed io risposi: ‘Voglio essere un
profeta-servitore’”. E’ dunque chiaro che il Profeta non fu re e non ricercava,
non ambiva, il potere sovrano. Cerchi il lettore nel Corano un indizio
esplicito o implicito di quel carattere politico della religione islamica, che
costoro vorrebbero erigere a dogma. SI sforzi quanto è possibile di trovare
tali indizi tra i hadith del Profeta.
Allah vuole un mondo unificato da una sola fede,
ma non da una sola struttura politica. Quanto all’unione di tutto il mondo in
un solo governo e una sola politica, è quasi al di fuori della natura umana e
non è in relazione col divino volere. “Se il tuo Signore lo avesso voluto, Egli
avrebbe fatto di tutti gli uomini un’unica nazione; però non cesseranno di
essere distinti fra loro, eccetto quelli che furono oggetto della sua
misericordia. Egli li ha creati per ciò” (XI,120)
(al-Raziq)
Allah vuole l’unità religiosa di tutta la Terra sotto la sua legge. E’ logico
che tutto il mondo abbia una sola fede e che tutta l’umanità sia retta da
un’unità religiosa.
Quanto al califfato, al-Sanhuri rifiuta come semplicistiche le tesi di
al-Raziq, che pretendeva di eliminare con un colpo di spugna il valore di
tredici secoli di storia, ma non ne vagheggia neppure la sopravvivenza. Propone
l’evoluzione del califfato in una società delle nazioni orientali
al-Sanhuri presenta il pan-islamismo e i suoi problemi (es. quale
forma prenderà la creazione di una solidarietà politica islamica: califfato?
confederazione islamica?
(Ahmad Han)
Qualcuno ha osservato sarcasticamente: “Quando la sapienza, l’astronomia e la
filosofia greche – considerate allora aderenti alla realtà dei fatti – si
diffusero tra i musulmani, i dottori dell’Islam confermarono sulla base di esse
le parti del Corano che vi si accordavano, cercando nello stesso tempo di
convalidare quelle che sembravano contrastarle. Oggi, che sappiamo
dell’infondatezza dei presupposti di quelle conoscenze, degli errori di quella
concezione astronomica e che abbiamo scienze naturali più progredite, voi
rigettate l’interpretazione fondata dai vostri dottori sulla base del sapere
greco e ne adottate un’altra, conforme alla scienza moderna. Non ci sarà da
stupirsi dunque se in furuto si faranno altri progressi e le cose che oggi
paiono pienamente assodate saranno smentite. Sorgerà allora la necessità di
dare un’altra interpretazione al Corano che apparirà allora come un giocattolo
nelle mani degli uomini”. Questa critica non ci turba, infatti siamo persuasi
che il Corano (che è parola di Dio) non può che essere in accordo con la realtà
(che è opera di Dio). La sua miracolosità è appunto la facoltà che ha di
fornirci costantemente una guida e un orientamento specifici, proporzionati al
livello raggiunto dalle nostro conoscenze. Man mano che le scienze
progrediranon, scopriremo che esso è conforme alla realtà e che
l’interpretazione che ne abbiamo dato in precedenza, e che oggi giudichiamo
sbagliata, dipende da un errore da parte nostra e non da parte del Corano. Se
in futuro le scienze avanzeranno al punto di confutare quanto oggi sembra
certo, non dovremo fare altro che tornare al Corano e lo troveremo senz’altro
in accordo con la realtà dei fatti e ci accorgeremo che l’interpretazione precedentemente datga si basava slle mancanze del nostro
sapere e non su imperfezioni del Corano. Supponiamo ad esempio di aver dedotto
dal Corano che il sole gira attorno alla terra, determinando l’alba e il tramonto.
Ora, si sa che è la Terra a girare attorno al Sole. Se rileggiamo il Corano
vediamo che la rivoluzione del sole non vi è dichiarata come una realtà
effettiva, ma nei termini di quanto è dato di osservare all’uomo. Considerata
in questo modo, l’affermazione è vera. Quindi, quando l’abbiamo interpretata
come riferita alla realtà dei fatti, è stato un errore nostro, non imputabile
al Corano. Cin ciò vogliamo dire che, quando lasciamo un’interpretazione
precedente per un’altra conforme al progresso della scienza, dimostriamo solo
le carenze del nostro sapere, mentre la perfezione del Corano ne risulta
confermata e non c’è alcuna ragione per ironizzare su di noi.
(Halaf Allah)
Questo discorso si riferisce soltanto a quanto è connesso alla scienza e alla
fisica. Le questioni relative all’insegnamento spirituale sono vere e valide in
ogni tempo e in ogni circostanza. Non sono mai state soggette a mutamenti né
mai bisognerà che lo siano, come dice con perfetta evidenza il Corano: “Oggi
v’ho reso perfetta la vostra religione, e ho compiuto su voi i Miei favori, e
M’è piaciuto darvi per religione l’Islam” (V,3)
Il Corano, essendo stato definito parola di dio verbatim, è molto più rigido e
non-adattabile degli altri testi sacri.
(al-Sanhuri)
Esistono il panislamismo, il nazionalismo, il panarabismo, il panturanismo
(Halaf Allah)
Nel Corano si possono riconoscere senza difficoltà che alcuni particolari dei
racconti sono in constrasto con i dati storici o che, tra le differenti
versioni che dello stesso fatto il Corano fornisce in diversi passi, sussistono
discrepanze o aperte contraddizioni.
(Halaf Allah)
Affermare che la comunicazione tra Maometto e uditori è stata influenzata dalle relazioni che sussistevano tra il
Profeta e i suoi contemporanei vuol dire, secondo i tradizionalisti, attentare
alla trascenda e alla libertà di Dio, che si sarebbe trovato in un certo senso
limitato o condizionato dai destinatari el suo messaggio.
(Halaf Allah)
La fede in Dio, nel giorno del giudizio,
negli angeli, nei libri rivelati e nei diversi inviati sono verità
misteriose che l’uomo accoglie e a cui crede senza avere la minima autorità di
cambiarle.
(Halaf Allah)
Ma se lasciamo da parte la fede (‘aquīda) e
prendiamo in considerazione la legge (sharia) troviamo due parti principali:
gli atti di culto (‘ibadat) e le
transazioni umane (mu’āmalāt),
Nei primi non c’è posto per delle innovazioni poiché si tratta di un diritto di
Dio nei confronti degli uomini: è lui che ne ha fissato i ritmi e le forme ed
esse sono immutabili. Le seconde, al contrario, poiché sono frutto dell’iǧtihād possono essere rinnovate senza alcuna eccezione.
Tutto ciò che nella tradizione è frutto dell’igtihad può essere rinnovato né
potrebbe essere diversamente.
(Halaf Allah)
Veniamo allora a ciò che è prescritto cioè a ciò che ha le sue origini nel
Corano o nella Sunna. Tutto ciò che deriva dalla Sunna non si trova allo stesso
livello di ciò che procede dal Corano. Se si tratta di una spiegazione o di una
splicitazione di testi coranici, allora bisogna riconoscerle l’autorità stessa
del Corano, ma se si tratta dell’igtihad del Profeta, esso ha la stessa
autorità di qualsiasi altro igtihad, poiché egli non fu affatto un uomo
infallibile, eccetto che nella trasmissione della rivelazione.
(Halaf Allah)
Di conseguenza, tutto ciò che si trova nella Sunna e non ha origine nel Corano
o non è né spiegazione né esplicitazione del Testo sacro, e semplicemente
frutto dell’igtihad del Profeta e come tale pu essere cambiato perché può
essere giusto o sbagliato. Tutto ciò che si riconosce chiaramente e si rivela
scientificamente falso nell’igtihad del Profeta abbiamo il diritto di
cambiarlo.
(Halaf Allah)
C’è infine il Corano. Se il testo del Corano è esplicito, chiaro e manifesto e
fornisce indicazioni precise e categoriche, bisogna attenersi ad esso. Se, al
contrarioi, è un testo oscuro del quale si possono avere diverse
interpretazioni, ciascuno ha la facoltà di attenersi al proprio punto di vista.
E’ su questa base che il capo dello
Stato riunisce i dottori della Legge (ulama) e gli specialisti del diritto, i
quali scelgono l’interpretazione che meglio corrisponde al bene della nazione
in quel momento.
(Halaf Allah)
Ma come riconoscere il senso autantico di un testo e quali testi forniscono
indicazioni categoriche? Su questo punto già i primi musulmani furono di opinioni
divergenti. Conclusero allora che le transazioni umane (mu’amalat) sono
organizzate per il bene delgi uomini e
che questi ultimi hanno il diritto di scegliere come realizzarlo nelle diverse
situazioni. Nel momento in cui è provato
scientificamente e chiaramente
che un determinato testo non è più applicabile, è lecito introdurvi delle
innovazioni.
Facciamo un esempio a questo proposito. Nel
Corano c’è tutta una regolamentazione relativa alla guerra che considera la questione del bottinoe della sua distribuzione.
Questa è dunque stabilita dal Corano stesso in conformità alle regole della
guerra di quei tempi: il dovere di provvedere all’equipaggiamento ricadeva
allora individualmente su ogni musulmano e non come oggi sullo Stato, per
questa ragione a ciascuno spettava una parte del bottino. Oggi la situazione è
cambiata ed è lo Stato a fornire ai soldati l’equipaggiamento perché questi non
potrebberomai acquistare individualmente missili, carri armati ed aerei! Poiché
il sistema è cambiato, le disposizioni coraniche relative alla regolamentazione
della guerra non sono più applicabili; spetta ormai allo Stato diimmagazzinare
le prede di guerra. DI conseguenza l’antica regolamentazione per la
distribuzione del nottino oggi non ha più alcun senso e sarebbe addirittura
ingiusta dato che, se spetta allo Stato di fare tutti gli acquisti per fornire
ai soldati il loro equipaggiamento, è giusto anche che si appropri del bottino
di guerra.
(Halaf Allah)
E’ su questa base che si fonda la posizione di coloro che affermanoche le
disposizioni relative alle mu’amalat cambiano con il cambiare dei tempi e dei
luoghi in base al mutare delle esigenze del bene comune (maşlaha)
(Halaf Allah)
C’è differenza tra racconto e testo legislativo. Quest’ultimo a differenza del
primo ha un carattere giuridico, di conseguenza il suo contenuto riguarda la
realtà della vita sociale, mentre il racconto non deve necessariamente basarsi
sulla realtà storica. Gli basta basarsisu tutto ciò in cui crede colui al quale
è destinato. Quando io dunque narro un racconto a qualcuno, mi baso su quello
che egli pensa e a partire da ciò posso costruire quanto voglio. Nelmio libro
sullo stile narrativo nel Corano ho fatto notare come delle leggende sono state
utilizzate per sostenere l’idea della resurrezione e descrivere come l’uomo
possa ritornare alla vita dopo essere
morto. Il contenuto non è la leggenda, ma essa viene utilizzata così come
veniva raccontata alla gente nella sua
forma popolare ed è presa come base di un racconto letterario che intende suggerire
la verità all’uomo e non di fornirgliene una dimostrazione scientifica e
sicura.
(Halaf Allah)
I racconti sono costruiti sulle conoscenze storiche di cui dispongono gli
ascoltatori. Al narratore non è chiesto di modificare ciò che i suoi ascoltatori
sanno ma di utilizzarlo ai propri fini.
(Halaf Allah)
Per ciò che concerne le disposizioni legislative sappiamo che i musulmani parlano di una
“gradazione” nelle disposizioni della legge e riconoscono che, nel Corano,
esiste anchel’abrogazione di qualche testo sacro. Gradazione e abrogazione
significano che c’è sostituzione di un testolegislativo con un altro Una volta
confermata l’idea di gradazione nelle disposizioni legislative quando queste si
riferiscono agli “atti di culto” (in quanto “diritti” propri di Dio), è
possibile dire altrettanto per quelle relative all’uomo: questi ha dunque il
diritto di farle evolvere e di cambiarle quando si tratta del “bene comune”
(al-Azm)
Secondo quanto comunemente si pensa le divergenze tra il sapere scientifico e
le credenze religiose costituirebbero qualcosa di superficiale… Lo spirito
dell’Islam in quanto tale non può essere in contrasto con la scienza e se c’è
conflitto esso è solo tra quest’ultima e l’involucro esteriore che si è andato
formando attorno allo spirito autentico della religione e che lo ha offuscato.
(al-Azm)
Vorrei esporre una posizione esattamente opposta, secondo la quale la religione
così come penetra l’intimo della nostra esistenza e influenza la nostra
formazione mentale e spirituale è in netto contrasto con la scienza e le sue
acquisizioni tanto nella forma quanto nella sostanza, nella lettera come nello
spirito.
(al-Azm) Non
dobbiamo dimenticare che in Europa sono passati più di due secoli e mezzo prima
chela scienza giungesse a prevalere nettamente nella sua lunga guerra contro la mentalità religiosa che imperava in
quel continente, radicandosi definitivamente nel patrimonio civile di quelle
terre.
(al-Azm) Un
simile confronto si sta ancora svolgendo nella maggiorparte dei paesi in via di
sviluppo, compreso il mondo arabo, ma si tratta diun conflitto sotterraneo i
cui segni si manifestano solo di quando in quando.
(al-Azm)
Fanno parte della religione islamica idee e credenze circa la nascita e la
costituzione dell’universo, sulla storia
dell’uomo, la sua origine e la sua esistenza. Non c’è bisogno di insistere sul
fatto che tali pareri e credenze si oppongono apertamente e clamorosamente alle
nostre conoscenze scientifiche su questi stessi punti.
Ma il contrasto è molto più profondo, e riguarda
il metodo attraverso il quale giungere per arrivare alla certezza circa la
verità o falsità di un convincimento. Per la religione islamica, come per le
altre, il metodo corretto sta nel rifarsi a dterminati testi considerati santi
e rivelati o a scritti di saggi ed esperti che quei testi hanno studiato e
spiegato. La giustificazione di simile modo di procedere riposa interamente
sulla fede e la cieca fiducia riposta nelle scritture e nella loro
infallibilità. Il metodo scientifico per acquisire conoscenze e formarsi dei
convincimenti sulla natura dell’essere, la sua struttura, sull’uomo e la sua
storia, è del tutto incompatibile con lo spirito d’imitazione che domina la
religione, poiché il metodo scientifico si basa sull’osservazione e la
dimostrazione e l’unica prova dell’esattezza dei risultati ai quali esso
perviene è la loro coerenza logica e la loro applicabilità alla realtà.
(al-Azm)
Secondo la religione islamica tutte le verità fondamentali che concernono
l’essenza della vita dell’uomo e tutte le conoscenze inerenti al suo destino in
questo e nell’altro mondo sono state svelate in una sola volta e in un preciso
momento della storia: la rivelazione del Corano, e, forse, dei Libri santi
precedenti ad esso. Gli sguardi dei credenti pertanto sono costantemente volti
all’indietro. Ne consegue che il compito del credente, del sapiente, del
filosofo, dello scienziato non è quello di scoprire nuove verità essenziali né
di acquisire importanti conoscenze prima ignote, ma piuttosto quello di
applicarsi a capire in profondità e a comprendere più compiutamente i testi
rivelati, collegandone le varie parti e facendo altrettanto coi loro
commentari, coi commentari dei commentari fino a ricavarne i reconditi
significati e a pervenire alle verità e alle conoscenze nascoste in essi
dall’eternità. Questo lavoro indispensabile ed essenziale si basa sul versetto
coranico: “Noi non abbiamo trascurato nulla nel Libro” (VI, 38)
(Al-Azm) La
religione, a motivo dei suoi dogmi ben definiti, è statica e soddisfatta di sé,
delle sue verità eterne e per trarre ispiraizone dalla propria origine, è volta
verso il passato. Perciò essa ha sempre costituito la giustificazione
metafisica e la santificazione dello status
quo sociale, economico e politico ed è sempre stata un efficace bastione
contro coloro che si sforzavano di produrre un cambiamento rivoluzionario. La
religione in Europa è stata l’alleato del sistema feudale e lo è ancor oggi in
vari paesi, compresi quelli arabi.
(Al-Azm) La
religione è stata anche la fonte principale di legittimazione dei sistemi
monarchici, pretendendo che il diritto regale fosse di origine celeste e non
terrena.
(Al-Azm) La
religione è per sua natura predisposta a giocare un simile ruolo e lo ha fatto
in tutte le epoche con grande successo grazie alle sue fantastiche visioni
dell’Aldilà dove si realizzeranno i sogni di felicità.
▸ (al-Banna) Manifesto dei
fratelli musulmani
Noi Fratelli Musulmani riteniamo che i precetti
e gli insegnamenti universali dell’Islam contemplano tutto quanto concerne
l’uomo in questomondo e nell’altro, e che quanti ritengono che tali
insegnamenti riguardino solamente l’aspetto delculto o quello spirituale
escludendo gli altri, sono in errore. L’islam è infatti fede e culto, patria e
nazionalità, religione e stato, spiritualitàe azione, libro e spada.
I Fratelli Musulmani credono che la base s il
sostegno degli insegnamenti islamici sianoil libro di Dio e la tradizione dle
profeta. Se una nazione li prende come regole di vita non potrà smarrire la
retta via. Molte teorie e scienze legate all’islam e che ne sono state
influenzate portano il segno dei tempi che le hanno viste nascere e dei popoli
che furono loro contemporanei. E’ per questo che bisogna attingere le leggi
islamiche cui fare riferimento alla prima pura scaturigine. E’ importante
comprendere l’Islam come l’hanno compreso i compagni del profeta e le ie
generazioni che li seguirono. Dobbiamo attenerci a questi precetti divini e
profetici per non scegliere una linea dicondotta diversa da quella fissata da
Dio e non rendere la nostra epoca difforme da quella prospettiva essendo
l’islam la religione di tutto il genere umano.
Parallelamente i fratelli musulmani credono
chel’islam, in quanto religione universale, integrante tutti gli aspetti della
vita di tutte le popolazioni e le nazioni, di tutte le epoche e di tutti i
tempi, è troppo completo ed eccelso per essere esposto alla disperzione di
questa vita, frutto delle banali contingenze terrene. L’Islam fornisce
piuttosto i principi universali cui tali contingenze sono soggette e mostra
agli uomini il modo pratico di applicarli, di camminare in linea con essi e di
sorvegliare che ciò avvenga in modo corretto o almeno che a questo si tenda.
La dottrina dei fratelli musulmani ingloba tutte
le concezioni riformiste. E’ perché i fratelli musulmani concepiscono l’islam
come universale e totalizzante che la loro dottrina copre tutti gli aspetti
delriformismo presenti nella nazione e in essa si ritrovano tutti gli elementi
del pensiero riformista; ogniriformista sincero e fervente vi trova l’oggetto
delle sue aspirazioni. Visi incontrano tutte le speranze di coloro cheamano il
riformismo, che hanno conosciuto questa dottrina dei Fratelli Musulmani e che
ne hanno compreso la portata.
(Sayyid Qutb)
Dio voleva porre contemporamente le fondamente di una comunità, di un movimento
e di una fede. Questo spiega come abbia impiegato 13 anni per completare la
rivelazione: doveva formare gradualmente una comunità capace di incarnare tale
fede.
(Sayyid Qutb)
L’Islam è giunto a cambiare non solo le convinzioni e quindi il sistema di vita
delgi uomini, ma anche il metodo di apportare tali cambiamenti al credo e, in
forza di esso, alla vita pratica. Venuta per costruire una fede, ha edificato
una comunità sviluppando in seguito un proprio sistema di pensiero commisurato
al grado di evoluzione morale e materiale raggiunto.
(Sayyid Qutb)
Vi sono alcuni, vittime di una mentalità disfattista, che scrivendo a proposito
del tema della jihad e per difendere l’Islam dalle accuse che gli sono state
rivolte, fanno confusione: è vero che queta religione vieta l’imposizione della
fede con la forza ma è altrettanto vero che essa è tesa a distruggere quelle
forze politiche e materiali che si frappongono tra essa e gli uomini,che
sottomettono l’uomo all’uomo e che ostacolano l’adorazione di Dio. Si tratta di
due principi indipendenti che non è possibile confondere. Eppure, in forza di
tal modo di vedere e sentire, costoro tentano di ridurre il jihad a quella che
oggi vien definita una “guerra difensiva” mentre si tratta di tutt’altra cosa
rispetto ai conflitti cui siamo abituati, sia per quanto riguarda le sue cause
sia per quel che si riferisce alla sua modalità. I motivi del jihad vanno
ricercati nella natura stessa dell’Islam e nel suo ruolo nel mondo,nelle sue alte
finalità stabilite da Dio e per la realizzazione delle quali Egli mandò il suo
inviato e lo rese suggello dei profeti, essendo questi il portatore del
messaggio definitivo. Questa religione è davvero un annuncio universale di
liberazione dalla schiavitù imposta da altri uomini e dalle proprie passioni,
la proclamazione che solo a Dio appartiene la sovranità e la signoria sul
mondo. E’ questa una dichiarazione di guerra totale contro ogni potere umano,
in qualsiasi forma si presenti e qualunque ordinamento adotti, un conflitto
senza quartiere aperto ovunque siano degli uomini ad arrogarsi il potere, in
una forma o nell’altra e dove quindi si pratichi in qualche modo l’idolatria.
Ogni sistema in cui le decisioni finali sono demandate a esseri umani e nel quale
le fonti di ogni autorità sono umane è infatti una forma di idolatria poiché
essa designa alcuni come signori di altri al posto di Dio. L’Islam proclama che
l’autorità usurpata a Dio deve essere
restituita a Lui e gli usurpatori – cioè coloro
che governano i base a leggi che stabiliscono essi stessi facendosi
signori degli altri e riducendoli in schiavitù – devono essere scacciati. In
breve significa distruggere il regno dell’uomo per edificare il regno di Dio
sulla terra, secondo quanto afferma il Corano stesso: “Egli è Colui che è Dio
in Cielo e Dio è ancor sulla terra” (XLIII,84); “Il giudizio non spetta che a
Dio, che comanda che nessuno adoriate, ma Lui. Questa è la religione retta”
(XII,40); “Dì: ‘O gente del lirbo! Venite a un accordo equo tra noi e voi,
decidiamo cioè di non adorare che Dio e di non associare a Lui cosa alcuna, di
non sceglierci fra di noi padrone alcuno che non sia Dio’. Se poi non accettano
dite a loro: ‘Testimoniate almeno che noi ci siam dati tutti a Dio!’ “ (II, 64)
(Sayyd Qutb)
L’instaurazione del regno di Dio sulla terra,l’abolizione del dominio
dell’uomo, la sottrazione della sovranità agli usurpatori per restituirla a
Dio, l’applicazione della legge divina e l’abolizione delle leggi umane non
possono essere ottenuti solo attraverso la predicazione. Coloro che hanno
usurpato l’autorità di Dio e opprimono le sue creature non crderano il loro
potere semplicemente per effetto della predicazione; se così fosse, sarebbe
stato molto semplice per gli inviati di Dio stabilire la fede sulla terra. La
loro storia e le vicende si questa religione attraverso i secoli dimostrano
piuttosto il contrario
(Sayyd Qutb)
Chi dunque capisca la vera natura di questa religione che abbiamo qui esposto
si renderà conto dell’assoluta necessità che il movimento islamico comprenda
anche la lotta armata oltre all’imoegno della predicazione, e che questa non è
da intendersi come azione difensiva, nel senso specifico di “guerra di difesa”,
come vorrebbero i disfattisti che
parlano sotto la spinta dei condizionamenti del presente o degli attacchi di
qualche scaltro orientalista. Si tratta invece di un impeto e di uno slancio
per la liberaizne dell’uomo su questa tertra, ricorrendo a tutti i mezzi
adeguati e agli ultimiritrovati in ciascuna epoca. Se proprio vogliamo definire
il jihad un movimento difensivo dobbiamo allora cambiare il significato di
questa espressione e intenderla come “difesa dell’uomo” contro tutti quegli
elementi che ne limitano la libertà e ne ostacolano la liberazione. Questi
elementi assumono la forma tanto di convinzioni e concetti, quanto di sistemi
politici basati su distinzioni economiche, razziali o di classe vienti al
momento della comparsa dell’Islam e che in diverse forme ancora sussistono
nell’attuale paganesimo (Gahiliyya). Dando alla parola “difesa” questo senso
allargato possiamo avvicinarci ai veri moventi della diffusione dell’Islam
attraverso il jihad e all’autentica natura di questa religione
Nel cervello islamico sarà sempre connesso il
trionfo dell’Islam con il periodo della violenza, in cui si pensava alla guerra
(questo ricorre esplicitamente sia in Sayyd Qutb che in al-Afgani); guardare,
rifarsi al passato per loro sarà sempre inestricabilmente connesso ad un metodo
che comprende la violenza, e alla realizzazioni di un periodo che nessuno di
loro si sogna di condannare. Quanto ci vuole a capire che è nella struttura
della religione giustificare e perdonare a posteriori tutti gli atti di
violenza che hanno fatto progredire la religione?
(Uda) Alcuni
intellettuali di formazione europea pretendono che l’islam sia solo una
religione intesa come rapproto tra l’uomo e Dio, e che non abbia nulla a che
fare con la forma di governo e con lo Stato. Tuttavia se si chiede loro dove si
trovi espressa quest’idea nel Corano e nella Sunna rimangono confusi e non
sanno cosa rispondere.
(Uda) I due
principi più chiari dell’Islam sono: a) che l’islam unisce religione e
politica; b) che la Sunna è vincolante per ogni musulmano uomo o donna, quanto
il Corano
(Uda) Nel
Corano vi sono passi che stabiliscono quale punizione deve essere inflitta
all’assassino, al ribelle, al ladro, all’adultero e al diffamatore in base ai
seguenti versetti: “O voi che credete! In materia di omicidio vi è prescritta
la legge del taglione” (II,178); “Non è ammissibile che un credente uccida un
credente, altro che per errore; e chi uccide un credente per errore, espierà
liberando uno schiavo credente e consegnando il prezzo del sangue alla famiglia
dell’ucciso” (IV,92); “In verità la ricompensa di coloro che combattono Iddio e
il Suo Messaggero e si danno a corrompere la terra è che essi saranno
massacrati, o crocifissi, o amputati delle mani e dei piedi dai lati opposti, o
banditi dalla terra” (V,33); “Quanto al ladro e alla ladra, tagliate loro le
mani” (V,41); “L’adultero e l’adultera siano puniti con cento colpi di frusta
ciascuno” (XXIV,2); “E quelli che accusano donne oneste, e poi non
possonportare a conferma quattro testimoni, ricevano ottanta colpi di frusta”
(XXIV,4). Vi sono numerosi altri versetti che proibiscono un’ampia varietà di
crimini e che stabiliscono le pene ad essi relative nel dettaglio, come nel
caso dell’apostasia; in altri casi sono genericamente previste delle punizioni,
come per la diffamazione e la frode. Si tratta quindi di reati proibiti dal
Corano e di pene da esso sancite, funzioni queste proprie di un governo e non
di una religione intesa alla maniera occidentale.
Chi dice che Maometto esorta alla
liberazione degli schiavi trascura di dire che c’erano schiavi credenti (che
Maometto in IV,92 invita a liberare) e che non di rado la liberazione era data
a condizione della conversione all’Islam.
(Uda) Se
l’Islam considerasse religione e stato come cose separate non avrebbe rivelato
e applicato simili testi, rendendo così doveroso dar vita a un governo e a uno
Stato che miri a dar loro adempimento e consideri questo come uno dei suoi
compiti. Inoltre il Corano esige che gli affari delgoverno siano soggetti a
consultazione. Dio infatti descrive i fedeli come coloro che: “delle loro
faccende consultansi fra loro” (XLII, 38). Un sistema consultivo implica che ci
siano un governo islamico e uno statoislamico: se l’Islam separasse la
religione dallo Stato non si occuperebbe delle varie forme di governo.
(Uda) Inoltre
il Corano esige che si governi con giustizia, conformemente a quanto
l’Altissimo stesso ha rivelato: “Iddio vi comanda di restituire i depositi
fiduciari agli aventi diritto e, quando giudicate fra gli uomini, digiudicare
secondo giustizia” (IV, 58); “Giudica dunque fra il popolo secondo quanto Iddio
ha rivelato” (V,49) e “Coloro che non giudicano con la Rivelazione di Dio, son
quelli i negatori” (V,44). E’ fuor di dubbio che stabilire la giustizia sia una
delle funzioni più importanti dello Stato e il Corano prescrive che lo Stato
eserciti l’autorità in conformità alla rivelazione islamica. In più esso impone
ai credenti di invitare gli altri a compiere il bene e di distoglierli dal male
quando dice “Si formi da voi una nazione d’uomini che invitano al bene, che
promuovono la giustizia e impediscono l’ingiustizia” (III,104)… Se dunque vi è
l’obbligo che tra i musulmani vi siano individui o gruppi di persone che si
incaricano di richiamare all’applicazione di quanto l’Islam ha prescritto, è
necessario che lo Stato sia islamico, in caso contrario infatti quanto dice il
Corano sarebbe vano, poiché esso unisce religione e Stato.
(Uda) Non fa
distinzione tra i due né nei singoli brani né nel suo testo considerato
complessivamente, questo infatti si occupa insieme di culto, di morale e di
questioni temporali come dimostra il seguente versetto: “Dì: ‘Venite e vi
reciterò io quello che il vostro signore vi ha proibito: cioè di non dargli
alcun compagno, d’esser buoni con i vostri genitori, di non uccidere i vostri
figli per paura della miseria (Noi provvederemo a voi e a loro!), di non
accostarvi alle turpitudini sia esteriori che interiori, di non uccidere il
vostro prossimo che Dio ha reso sacro, se non per giusta causa. Questo Egli vi
ha prescritto, nella speranza che voi ragioniate’ ” (VI,151). In questo singolo
verso si proibiscono il politeismo, la
disobbedienza ai genitori, l’omicidio, gli atti osceni in pubblico e in
privato… come si può di fronte a questo sostenere una distinzione di campi? Il
Corano esige che lo Stato fondi tutto ciò che riguarda sia la religione sia la
vita terrena sulla base dei suoi insegnamenti.
Versetto contro l’aborto: “Dì: ‘Venite e vi
reciterò io quello che il vostro signore vi ha proibito: cioè di non dargli
alcun compagno, d’esser buoni con i vostri genitori, di non uccidere i vostri
figli per paura della miseria (Noi provvederemo a voi e a loro!), di non
accostarvi alle turpitudini sia esteriori che interiori, di non uccidere il
vostro prossimo che Dio ha reso sacro, se non per giusta causa. Questo Egli vi
ha prescritto, nella speranza che voi ragioniate’ ” (VI,151)
(Uda) “Quando
noi li abbiamo stabiliti nel paese, osservano la Preghiera e pagano la Decima e
invitano al Bene e sconsigliano il Male” (XXII,41): questa citazione prova al
di là di ogni dubbio che lo Statoideale è quello che si occupa dell’adempimento
della preghiera canonica, del versamento dell’elemosina, che esegue quanto Dio
ordina e proibisce ciò che egli vieta. Esso prescrive chelo stato sia religioso
e islamico e che nelle questioni di governo e in quelle politiche si basi
sull’Islam.
(Uda) Nel
Corano vi sono numerose prescrizioni che si occupano di ribellioni interne,
contrasti internazionali, pace e guerra, trattati e transazioni, statuto
personale ecc.
(Uda) Il
Corano prescrive che sia imposto un tributo al ricco a beneficio del povero e
istituisce un fondo pubblico per gli orfani, gli indigenti e i viandanti. Non
lascia nulla di indeciso né negli affari temporali né in quelli relativi al
credo e al culto, fondando i primi sulla base della religine e della morale e
ricorrendo a queste ultime per dar solido fondamento agli affari dello stato e guidare i
governanti e i governati. Come si fa allora a sostenere che religione e stato
non sono correlati nell’islam se in pratica una cosa sfocia nell’altra?
(Uda) Quei
giovani giuristi ignorano che il Corano stabilisce che i detti e le azioni del
Profeta costituiscono una regola vincolante per i musulmani e che quindi sono
il fondamento di una legislazione alla quale si deve obbedienza e a cui occorre
uniformarsi anche in mancanza di un brano coranico d’appoggio, poiché il
Profeta non parlava di propria iniziativa e non diceva che quanto gli veniva
dall’alto: “Di suo impulso non parla. No, ch’è rivelazione rivelata”
(LIII,3,4). Vi sono infatti molti versetti che ingiungono di obbedire
all’Inviato di Dio: “O voi che credete! Obbedite a Dio e al suo messaggero”
(IV,59); “Chi obbedisce al Messaggero obbedisce a Dio” (IV,80); “Se veramente
amate Dio, seguite me e Dio v’amerà” (III,31);
“Quel che vi darà il Messaggero, prendetelo, e quel che vi vieterà,
astenetevene” (LIX,7); “Ma no! Per il tuo Signore! Essi non crederanno finché
non ti avranno costituito giudice delle
loro discordie e allora non troveranno alcun imbarazzo ad accettare la tua
decisione e a sottomettervisidi sottomissione piena” (IV,65) e “Voi avete, nel
Messaggero di Dio, un esempio buono, per chiunque speri in Dio e nell’Ultimo
Giorno e molto menzioni Iddio!” (XXXIII,21)
▸ La sharia è invasiva, quasi totalitaria
Vedi l’elenco
di Uda sulla onnipervasività dei precetti coranici
▸ In teoria Halaf Allah può dire che i fatti e detti di
Maometto sono quelli di un essere umano fallibile e che prenderli come legge
accanto ai precetti coranici sarebbe idolatria; in pratica nessuno lo farebbe, perché vuol dire ammettere che Maometto non era
guidato da Dio, non era l’uomo perfetto.
Gli stessi Vangeli sono costituiti da
detti e fatti di un Profeta
▸ Occorre capire l’implicazione di chiamare l’Occidente il
Grande Satana: molti musilmani cercheranno di eliminare la civiltà occidentale
in cui vivono, perché rappresenta un pericolo per l’anima del credente
▸ Dal fatto che la legge islamica deve essere imposta (Uda)
deriva un totale svilimento della libertà umana e dell’uomo
(Mawdudi) I
musulmani che vogliono vivere veramente
come tali debbono obbedire a Dio in ogni aspetto della propria vita, piccolo o
grande che sia, e rispettare la sua legge si aa livello individuale sia a
livello sociale, perché l’Islam non può ammettere che si proclami a parole che
Dio è il signore dell’universo per poi regolarsi in base a una legge che no né
quella divina, essendo questa una contraddizione inaccettabile ed essendo scopo
dell’Islam proprio quello di eliminare simili contraddizioni.
(Mawdudi) La
richiesta di un governo islamico e di una costituzione islamica nasce dalla
convinzione che se un musulmano non segue la legge divina, la sua adesione alla
fede è vana e senza senso. Il Corano ne dà ampia conferma:
▸ Mawdudi afferma che
Iddio è colui che detiene il potere ed è quindi a lui che spetta per natura
esercitarlo, così come sostiene che obbedire agli ordini di qualcun altroo
accettare che altri esercitino come lui il potere sulla terra e sul creato è
illegittimo ed empio. Chi governa infatti deve farlo in base alla legge divina
e giudicando sulla scorta di essa, essendo egli solo un vicario e un
rappresentante di Dio sulla Terra.
“O mio Dio! Padrone del Regno! Tu dai il regno a
chi vuoi, esalti chi Tu vuoi, e strappi il regno a chi vuoi, esalti chi tu vuoi
umilii chi tu vuoi” (III,26)
“Non si prese compagno del regno” (XVII,111)
“Il giudizio spetta a dio alto grande” (XL,12)
“Non è a lui che appartengono la creaione e
l’ordine” (VII,54)
“L’impresa, ogni impresa è di Dio” (III,154)
▸ In base a ciò l’uomo è
privato deldiritto di legiferare, poiché egli è solo una creatura un suddito,
un servitore il cui compito è essenzialmente quello di seguire quanto ha
stabilito l’unico signore. L’Islam ha naturalmente concesso all’uomo di
esercitare la deduzione, lo sforzo interpretativo e quanto ne consegue sul
piano del diritto, a condizione che ciò avvenga nei limiti di quanto stailito
da Dio. Inoltre ha riconosciuto ai credenti il dirittodi legiferare laddove non
vi sia una norma esplicita da parte di Dio e del suo inviato, a patto che ciò
sia fatto seguendo lo spirito della sharia e delmodello islamico, poiché se il
legislatore ha taciuto su alcune questioni, significa che ha concesso ai
credenti di decidere inproposito.
Chi si allontana dalla legge di Dio è idolatra,
tiranno, usurpatore. “E non dite, parlando di certe cose, menzogne come:
‘Questo è lecito e questo è illecito’ “ (XVI,116); “Seguite quel che vi è stato
rivelato dal vostro Signore e non seguite patroni diversi da lui” (VII,3);
“Coloro che non giudicano con la rivelazione di dio sono quelli i negatori”
(V,44); “Non hai visto coloro chepretendono di credere in quelche a te è stato
rivelato e in ciò che è stato rivelatoprima di te, e che vogliono rimettersi al
giudizio del Tagut (divinità preislamiche) mentre è stato loro ordinato di
rinnegarli?” (IV,60)
▸ Il governo giusto ed
equo è quello che si basa sulla legge che Dio ha rivelato per mezzo dei suoi
profeti e il suo nome è califfato
“Non mandammo alcun messaggero se non perché
fosse, col pemesso di Dio, obbedito” (IV,64); “In verità noi ti abbiamo rivelato
il libro apportatore di verità perché tu giudichi fra gli uomini secondo quanto
iddio t’ha mostrato” (IV,105); “Giudica dunque fra il popolo secondo quanto
iddio ha rivelato e non seguire i loro desideri, e bada che essi no ti aeducano
e ti stornino da parte di ciò che dio t’ha rivelato!” (V,49); “Un giudizio
pagano ecco quel ch’essi vogliono” (V,50); “O David! Noi t’abbiam costituito
Vicario sulla terra, giudica dunque fra gli uomini secondo verità e non seguir
la passione che ti travierebbe dalla via di dio” (XXXVIII,26)
▸ Ogni atto compiuto da
qualsiasi governo in base a una legislazione che non sia quella rivelata per
mezzo deiprofeti delsignore e dio dell’universoè nullo e privo di valore.
Indipendentemente dalle differenze formali che possono sussistere tra tali
governi il loro potere è illegittimo: come potrebbe infatti essere diversamente
se non è stato loro affidato dall’unico depositario dell’autorità? Il Corano
considera invalido ciò che fanno simili governi, anche se i fedeli possono
accettarli come un dato di fatto, indipendentemente dalla loro volontà e fuori
dal loro controllo, ma non li riconoscono come un potere legittimo capace di
risolvere i loro problemi. Essi infatti non hanno possibilità di obbedire ad
altri che al loro vero signore: iddio né di ammettere sulla propria vita il
dominio di nessun altro. Chi lo facesse si metterebbe al di fuori della
comunità dei credenti, anche se continuasse a proclamarsi musulmano.
“Volete che vi diciamo chi son quei che più
tristamente han perso l’opere suo? Son quelli il cui sforzo nella vita trrena
fu traviato mentre essi pensavano di far lavoro perfetto – Son dessi coloro che
irfiutarono i Segni del signore, negarono che l’avrebber mai incontrato, sé che
l’opere loro son vanificate e non avremo bilancia a pesarli il dì del giudizio”
(XVIII,103-105); “Son quelli gli ‘Ad (antico popolo menzionato dal Corano che
avrebbe rifiutato la rivelazione portata dai messaggeri divini) che avevano
repugnato ai segni del loro signore, s’eran ribellati ai suoi messaggeri, proni
invece agli ordini di ogni tiranno protervo” (XI,59); “E mandammo ancora mosè,
coi nostri segni e con potenza limpida – a Faraone e al suo conessso. Ma
costoro seguirono gli ordini di Faraone, e gi ordini di Faraone non erano
giusti” (XI,96-97); “Non obbedire a colui che abbiam reso pigro nel menzionarci
e che segue il suo piacere e che agisce da insolente” (XVIII,28); “In verità il
mio signore ha proibito le turpitudini, e quelle visibili e quelle intime e
invisibili e il peccato e il desiderio ingiusto e di associare a Dio esseri che Dio
non v’ha autorizzato ad associargli” (VII,33); “Quei che voi adorate in suo
luogo non sono che nomi che voi e i padri vostri aveva inventato e dio non v’ha
dato potere di farlo. Ma il giudizio non spetta che a Dio, che comanda che
nessuno adoriate, ma lui” (XIII,40); “E chi si stacca dal messaggero di Dio,
dopo che è apparsa limida al suo sguardo la retta via, e segue un sentiero
diverso da quello dei credenti, noi gli volgeremo le spalle come egli le ha volte
a noi e lo faremo bruciar nell’inferno: qual tristo andare!” (IV,115); “Dio non
darà modo agli infedeli di prevalere sui credenti” (IV,141)
(Kohmeini) Né
il profeta né Ali,principe dei credenti né gli altri imam avevano il potere
assoluto di imporre il proprio modo di vedere. I detentori del potere sono
vincolati dall’insieme delle condizioni
e delle leggi esposte nel Corano e nella Sunna e che si riassumono nel dovere
di rispettare l’ordinamento islamico e di dare applicazoined ai suoi statuti e
alle sue leggi.
(Khomeini)
Tutto quanto si trova nel libro e nella sunna è vincolante per ogni musulmano.
(Khomeini) Il
nobile profeta su scelto da dio come suo vicario sulla terra perché governasse
equamente gli uomini ed essi non seguissero le loro passioni… In Islam
governare significa seguire la legge e farla applicare.
(Khomeini)
Dio ha ordinato di obbedire al profeta e a quanti altri detengono l’autorità:
“Obbedite a Dio, al suo messaggero e a quelli di voi che detengono l’autorità”
(IV,59). Nel regime islamico non c’è spazio per le opinioni e le passioni
personali: il profeta, gli imam e tutti gli altri non fanno che seguire la
volontà di Dio e la sua legge.
Il fatto che l’Occidente produce e
inventa per tutti potrebbe avere un effetto negativo: esime i musulmani dal
progredire ed emanciparsi culturalmente e scientificamente.
(al-Husri) La
negazione dell’esistenza di una civiltà e di una vita intellettuale presso gli
arabi prima dell’islam non è conforme a verità
(al-Husri)
Finché esisterà il corano, tutti gli arabi saranno costretti a imparare la
lingua araba, la lingua araba non si perderà e non si perderanno i legami tra
gli arabi, malgrado durante il periodo di decadenza la lingua popolare e i
dialetti locali hanno rischiato di far scomparire la lingua araba.
(al-Fasi)
L’Islam ha indirizzato i suoi fedeli al sistema consultivo che li porta a
considerare il proprio destino futuro in base alle varie esperienze fatte
dall’umanità, a liberarsi dalle passioni, ad aderire alla verità, alla
giustizia e a quanto la religione indica come il bene: “Accordatevi tra voi con
gentilezza” (LXV,6)
(al-Fasi)
“Iddio manderà all’inizio di ogni secolo qualcuno a rinnovare la religione di
questa comunità” (“Parole del Profeta”)
(al-Fasi)
(Islam uber alles) Il pensiero islamico vieta ai musulmani di ripiegarsi su se
stessi, accettando lo stato di decadenza in cui si trovano, ma al contrario li
spinge a usare ogni facoltà intellettiva e ad esplorare ogni conoscenza , ad
accogliere la saggezza da qualsiasi parte venga e ad interessarsi di qualsiasi
novità possa migliorare la loro condizione, togliendoli dall’isolamento nel
quale si trovano e aiutandoli a confermare la loro missione immortale.
(Halid) Nel
1950 ritenevo che la religione è solo un insieme di indicazioni che ci guidano
verso Dio e non una forza politica atta a governare i popoli costringendoli a
seguire la retta via. Ritenevo che solo la forza della persuasione le convenise
e che esa non avesse il diritto di condurre alla rettitudine e al premio
celeste con alcun tipo di costrizione. Quando la religione si trasforma in
teocrazia – dicevo – diventa un insopportabile fardello… Ma è errato e folle
parlare di teocrazia per definire il sistema islamico, poiché questo termine ha
storicamente indicato quelle entità clericali che la religione cristiana ha a
lungo contribuito a consolidare e a imporre ai popoli… L’Islam non ha visto
nulla del genere, neppure durante il “buio” medioevo.
(Halid)
(parlando degli atti di violenza commessi dai fratelli musulmani in egitto) Mi
chiedevo: se si comportano così mentre sono esclusi dal potere, cosa faranno
quando l’avranno ottenuto?
(Halid) Oggi
sono convinto che l’Islam sia insieme din
(religione) e dawla (Stato). Pur
non avendo avuto gli arabi precedenti in fatto di governo l’Islam aveva
caratteristiche tali da consentire a loro di affrontare questo compito con
successo. L’inviato di Dio comprese che la fondazione di uno stato islamico
permanente faceva parte della sua missione profetica. Probabilmente lo riteneva
inerente alla missione anche degli altri profeti e inviati, infatti gli era
stato rivelato il versetto nel quale iddio, parlando a davide dice: “O david! Noi ti abbiamo
costituito vicario sulla terra, giudica dunque fra gli uomini secondo verità e
non seguir la passione che ti travierebbe dalla via di Dio” (XXXVIII,26). Se
dunque Iddio designò Davide come proprio vicario sulla terra affinché
governasse e giudicasse secondo verità, non avrebbe dovuto essere anche
maometto nello stesso tempo profeta e capo della comunità? L’Islam, in quanto
sigillo delle religioni ed espressione massima dlele leggi rivelate non può
realizzarsi se non gettando le basi di uno stato che ne porti a compimento le
finalità.
(Halid) I
musulmani sono concordi nel considerare necessario che lo stato islamico si
fondi su quanto stabilito dalla rivelazione coranica, sugli orientamenti della
sunna e sulla pratica dei primi califfi “ben diretti”. Anche se l’Islam
attribuisce direttamente a Dio l’autorità, nella sua applicazione rappresenta
un “patto sociale” che implica la fondazione di un potere che di tale patto
mantenga gli impegni e vegli sulla sua esecuzione. Gli orientamenti, gli
ordinamenti, le leggi e i costumi che occorrono all’esistenza sono presenti
senza eccezione nell’Islam e si trovano nel santo Corano.
L’islam è nato come comunità e il Corano non può
che contenere numerosissime norme per la comunità. Pertanto l’Islam ha avuto
sempre una inclinazione teocratica superiore a quella del Cristianesimo.
(Lahbabi) Uno
dei principali esponenti della cultura marocchina odierna nega ogni valore al
rinascimento europeo: “un passo avanti e due indietro” (secondo lui era stato
un disastroso ritorno tradizionalista all’antichità romana)
(Lahbabi) Il
salafismo, a differenza del rinascimento, non rinnega il medioevo, non rigetta
nulla delle acquisizioni culturali valide, islamiche e non: un ritorno al
Corano e alla Sunna per purificare dogmi e leggi dalla superstizione, dal
sufismo e dai loro derivati, quali la tendenza all’imitazione (taqlid) e lo
spirito di parte. La salafiyya ricerca lo slancio originale e puro dell’islam,
è un ritorno innovatore.
(Lahbabi) Il
medioevo fu per i musulmani un’epoca di rinnovamento, una nuova giovinezza
della civiltà. La salafiyya tende a tornare a quel medioevo, cioè a quello
spirito diiniziativa di critica alla curiosità intellettuale e allo sforzo di
ricerca che hanno caratterizzato la vita medievale musulmana. La salafiyya è
sinonimo del ricorso all’igtihad, cioè all’opinione personale, alla libertà
d’interpretazione e di speculazione in tutti i campi.
(Lahbabi)
Anche la Salafiyya può essere vista soto due differenti aspetti. Innanzitutto è
un movimento di purificazione,di ritorno alle origini per salvarsi dalla
casuistica, dalle superstizioni e dal misticismo che l’Islam aveva raccolto nel
corso della sua evoluzione attraverso i secoli; contemporaneamente si tratta di
una lotta per la riapertura della porta dell’igtihad, lavoro attraverso il
quale la salafiyya moderna si è messa a reinterpretare l’islam, attualizzandolo
e adattandolo alle nuove situazioni createsi mdiane l’incontro con l’Occidente.
(Lahbabi) La
Salafiyya ha conosciuto alcune manchevolezze sin dal suo sorgere. Ha pensato ai
problemi religiosi senza tener conto del nuovo contesto in cui essi erano
inseriti: l’industrializzazione, con gli inediti problemi psicologici e sociali
che porta con sé lo sviluppo di nuove strutture nei centri operai… Non avendo
precisato i rapporti tra riforma religiosa da una parte ed eviluzione
socio-economica dall’altra, essi hanno ritenuto che il mondoislamico procedesse
verso una certa stabilizzazione mentre si trovava in piena crisi, a causa dello
shock prodotto dal confornto con il colonialismo e con l’industria.
(Lahbabi)
Rasid Rida ha dato ai musulmani un’immagine dell’Islam di cui possono andare
orgogliosi, ma dietro l’apologia non c’è
nessun valido apporto sul piano politico-sociale. In politica Rasid Rida si
limita a evocare i vantaggi apportati dal califfato e a proporne la
riorganizzazione. Così i sostenitori della salafiyya non hanno intaccato le
strutture né ripensato i fondamenti dell’Islam nel contesto contemporaneo, né
formulato sistematicamente la prolematica ad esso inerente.
(Shariati)
Attualmente si può constatare che la maggioranza della nostra popolazione
(iraniana) si raccolga intorno al vessillo che sta a guardia della tradizione –
si chiami essa religione o nazione, morale o spiritualità, rapporti e opinioni
diverse – nel momento in cui gli intellettuali dimostrano di aver accettato la
vernice intellettualistica importata dall’Europa.
(Hasan Hanafi)
L’islam rivoluzionario della rivoluzione di Khomeini è l’unica forma valida di
Islam, come tale destinata al successo a differenza di altri tipi di Islam: a)
conservatorismo religioso (non di rado sostiene i pasha grandi proprietari
terrieri e poi “la sua visione del mondo è teocentrica ed è letteralista”
(boh)); b) Il progressismo secolarista, come il marxismo (c’è una frattura con la
tradizione popolare); c) il liberalismo nazionalista (deriva dal liberalismo
occidentale e si fonda su una base
nazionale ove si combinano un moderato conservatorismo religioso e un limitato
progressismo secolarista; per l’autore è troppo legato a ingerenze occidentali
e capitalistiche; inoltre è una religione culturale d’elite); d) Le rivoluzioni
militari (i militari eliminavano i partiti e poi avevano difficoltà a trovare
contatto col popolo; erano in realtà movimenti capitalistici medio-borghesi)
(Hasan Hanafi)
L’islam è la religione rivoluzionaria per eccellenza. Il tawhid un processo di
unificazione futura in forza di un fatto avvenuto nel passato. Significa
libertà di coscienza, rigetto della paura, fine dell’ipocrisia e della
doppiezza. “Dio è grande” significa la distruzione del dispotismo (Hasan Hanafi
accusa il conservatorismo religioso, il liberalismo nazionalista e le
rivoluzioni militari di non aver abolito le distinzioni di classe e la
mentalità capitalista). Tutti gli esseri umani e le nazioni sono uguali davanti
al medesimo principio. Non ci sono discriminazioni di classe né di razza. La
vocazione dell’uomo è quella di trasformare la parola di Dio, la rivelazione,
in una struttura ideale del mondo. Il sublime e l’eterno sono davanti a noi,
non sopra di noi: “avanti” e “indietro”, non “sopra” e “sotto” sono le
dimensioni della vita. L’uomo rivoluzionario vive in una dimensione
orizzontale, non verticale.
(Hasan Hanafi)
L’Islam come agente della trasformazione del mondo non può che essere
rivoluzionario. Il conservatorismo religioso sarà superato, malgrado
costituisca una forza controrivoluzionaria nei regimi politici attuali. L’Islam
non può essere solamente “oppio del popolo”, una forma di reazione, un agente
di ritardo, senza essere anche il grido degli oppressi e lo spirito della
rivolta. Il progressismo secolarista, cioè il marxismo tradizionale, ignora la
propria tradizione classica e moderna. La religione può diventare una
rivoluzione com’è l’Islam in Algeria o presso i neri d’America, com’è il
buddhismo in Vietnam, il confucianesimo in Cina, il cattolicesimo in America
latina, come lo è stato il protestantesimo
in Germania nelle guerre dei contadini nel XVI secolo, il culto cargo e
i profeti bantu in Africa. L’islam non può restare la religione culturale
dell’elite come fu nel liberalismo nazionalista, poiché è la religione del popolo.
Né può restare una semplice giustificazione di regimi politici opposti, poiché
rappresenta un’ideologia autonoma e un
tipo di regime politico indipendente. Così l’Islam rivoluzionario che trionfa
in Iran e che sta nascendo nella sinistra islamica rappresenta una speranza per
l’avvenire. C’è attesa per una teologia della rivoluzione che rappresenti il
passaggio dalla teologia tradizionale a un’ideologia rivoluzionaria. E’ la
sfida che attende teologi e rivoluzionari insieme.
(Muhammad ‘Ammara)
Parla di specificità culturale rispetto alla civiltà contemporanea
sostanzialmente materialista e originariamente europea, rappresentata
indifferentemente sia dai paesi socialisti sia da quelli capitalisti, compresi
quelli dell’Asia, come il Giappone.
(Muhammad ‘Ammara)
Non c’è netta contrapposizione tra panislamismo e nazionalismo. L’islam è una
religione conforme alla natura umana e se ognuno di noi interroga se stesso trova nel suo intimo un
legame con il villaggio in cui è nato più forte di quello che lo unisce al
paese di cui è cittadino. Il legame con il nostro paese, a sua volta, è più
forte di quello che abbiamo con la nazione araba e col mondo islamico nel suo
complesso. Quest’ultimo infine è più forte di quello che ci lega a tutto il
genere umano. Siamo dunque di fronte a cerchi concentrici di cui uno rimanda
all’altro e tra cui non c’è contraddizione, a patto che ci si liberi da una
concezione ristretta, faziosa e settaria, determinata da fattori etnici e
particolaristici, estranei tanto all’islam quanto a una corretta
interpretazione del nazionalismo. In questo senso io mi sento di patria
egiziana, appartenente alla nazione araba, quindi musulmano e infine uomo. La
mia devozione all’egitto e la mia lotta per la sua rinascita è la stessa che mi
impegna per l’unità e il risorgomenti degli arabi. L’unità e la rinascita arabe
sono la via che conduce alla realizzazione di una comunità islamica che stringa
tutti i musulmani con vincoli di solidarietà e di cooperazione, come le parti
di un unico corpo.
(Muhammad ‘Ammara)
Il ritorno alle origini (Salafiyya) non è sempre un fenomeno sano. Occorre
stabilire chi siano gli antichi a cui rifarsi: non tutti infatti sono validi.
Il periodo mamelucco-ottomano è stato un’epoca di ristagno e decadenza. Per
alcuni quello è il punto di riferimento, ma tornarvi sarebbe un’autentica
catastrofe. Coloro che pensano di poter tornare alle origini nelle faccende
temporali, incontinuo cambiamento ed evoluzione, sono degli illusi che sprecano
le proprie energie e quelle della nazione, frenando il progresso e il corso
della storia. Io penso invece che per quanto attiene ai valori permanenti della
religione è necessario anzi indispenzabile riandare alle origini, cioè a prima
che le aggiunte e i tagli operati su di esse deturpassero il nostro patrimonio
religioso.
(Muhammad ‘Ammara)
Il vessillo del “laicismo” è statoinnalzato in Europa con l’estromissione del
potere della Chiesa dalle questioni politiche, poiché l’esperienza antica e
recente di quel continente testimoniava quanto il potere religioso comprimesse
le potenzialità della società, mentre da noi le cose stanno diversamente e si
può affermare all’opposto che l’Islam non fornisce le basi di alcun potere
religioso ma anzi – come dice Mohammed Abduh – lo nega e invita a rigettarlo e
a distruggerlo alle radici. Se dunque il laicismo è stato in Europa una
posizione antireligiosa, come l’ha definita la chiesa, da noi esso è l’espressione autentica della
posizione islamica circa questa questione. Mentre il cristianesimo ha pertanto
combattuto il “laicismo” poiché gli era contrario, l’Islam è laico di per se
stesso, negando ogni potere religioso che attribuisca agli uomini l’autorità
che spetta invece a Dio e ai suoi invaiti. L’invito a separare religione e
Stato è nato quindi in un ambiente avvezzo a una stretta uità fra i due. Ma
questa non è mai stata la nostra condizione. Pertanto i termine “laicismo” non
indica una realtà contraria alla nostra religione né una menomazione
dell’Islam. Al contrario rappresenta il ritorno alla fede genuina, all’originale
distinzione che essa opera in questo campo. D’altra parte la “separazione” tra
religione e stato non può essere la posizione di chi comprende rettamente
l’Islam. Essa va rigettata tanto quanto quella che propugna l’unità dei due
termini. L’Islam considera quella del potere politico una questione civile e ne
afferma l’origine umana, fondandola sui principi della consultazione,
dell’elettività, del patto e dell’investitura, stabilendo il principio della
delega al governante da parte della nazione di fronte alla quale questi è
responsabile. Esso non concepisce però neppure la separazione tra religione e
Stato poiché – come tutti riconoscono – stabilisce un gran numero di norme e fa
cenno a molte questioni terrene rispetto alle quali prende posizione e chiede
che individui e collettività agiscano nell’ambito di un certo numero di regole
generali di vita sociale e di esortazioni divine che corrispondono agli ideali definiti da Dio per il cammino
degli uomini. Inoltre la separazione di religione e stato di per sé è
difficilmente concepibile e in pratica
irrealizzabile, poiché la religione è istituzione divina che si realizza nel
pensiero e nel comportamento umano, così come avviene – mutatis mutandis – per
altri sistemi di pensiero nel campo dell’arte, della letteratura, della
politica e della filosofia. Pertanto la formulazione che preferiamo e riteniamo
la più adatta ad esprimere la posizione islamica riguardo a questa questione è
la seguente: l’Islam nega che il potere politico sia di natura religiosa, cioè
rifiuta l’unità di potere spirituale e temporale, ma non li separa, operando
piuttosto una distinzione. Negare alla religione il ruolo di fattore influente
sulla società, oltre che irrealizzabile, è concettualmente sbagliato. Nello
stesso tempo il tentativo di dare un carattere religioso alla politica e al
potere è qualcosa di estraneo allo spirito dell’Islam ad imitazione di altri i
quali, quando hanno unito potere politico e religioso, hanno vissuto i periodi
più oscuri della loro storia.
(Sadek Sellam)
L’Islam, nel momento in cui ha preso coscienza del proprio ritardo, ha
privilegiato le professioni tecniche. Occorre recuperare le scienze morali e le
connesse (nell’Islam) scienze politiche, iniziando una seria riflessione sulla
democrazia, su una diversa ripartizione della ricchezza, del sapere e del
potere.
(Mahmud Muhammad
Taha) Le opinioni di Mahmud Muhammad Taha sono state condannate da
al-Azhar, dalla Lega islamica mondiale e dalle autorità religiose
sudanesi. Secondo lui l’Islam non ha compiuto in modo completo la sua
“prima missione”, ma è tutora una realtà dinamica tesa a una più piena e matura
realizzazione. Gli ideali di portata universale che devono guidare questa
evoluzione ancora in corso sono da rintracciare nello spirito e nei contenuti
della prima predicaizone di Maometto alla Mecca: principi e indicazioni che
sono stati successivamente messi tra parentesi per la necessità di dare ai
primi fedeli una legislazione alla loro portata: essa ha quindi costituito un
primo passo tutt’altro che definitivo verso la realizzazione dell’ideale
islamico.
(Mahmud Muhammad
Taha) Mentre il principio dell’unicità di Dio è in sé immutabile, benché
il senso sia gradatamente variato con i differenti inviati, le disposizioni
legali dei diversi profeti variano in base al livello delle loro rispettive
comunità. Basterà ricordare l’evoluzione del diritto matrimoniale da Adamo a
Maometto. Il matrimonio tra fratelli e sorelle era ammesso nella sharia
islamica di Adamo, ma con muhammad quanto era permesso da quella fu proibito e
l’interdizione fu estesa ad altri parenti meno prossimi. Se tale enorme
differenza tra le due sharia è da attribuire al diverso livello raggiunto dalle
comunità alle quali furono dettate, quale errore abominevole sarebbe pensare
che la sharia islamica del VII secolo possa essere applicata utilmente fin nei
dettagli nel XX secolo, vista l’immensa diversità che sussiste tra le due
società… I musulmani sostengono che la sharia è una legislazione perfetta, e
hanno ragione. Ma la sua perfezione risiede proprio nella sua capacità di
evolversi e di integrare le forze vive degli individui e delle collettività
orientando la loro esistenza sulla via di un progresso permanente in funzione dellivello da essi raggiunto.
Quando ci sentono fare questo discorso reagiscono dicendo: “La sharia è
perfetta e non ha quindi bisogno di evolversi, poiché sono solo le cose
mancanti che devono svilupparsi”. E’ invece esattamente il contrario: solo ciò
che è perfetto sa evolversi. Sono i perfetti che hanno per ideale di modellarsi
su Dio, il quale dice di sé: “Ogni giorno Ei lavora ad opera nuova” (LV,29).
Così la perfezione della sharia sta nel fatto che essa è un organismo vivente
che progredisce e si evolve così come fa la vita dirigendo il suo cammino,
passo dopo passo, verso Dio.
(Fazlur Rahman)
I temi prediletti del fondamentalismo islamico postmodernista e antioccidentale
sono la condanna del prestito a interesse, della pianificazione familiare,
dell’emancipazione femminile, il ripristino della zakat (elemosina legale) e
così via. Tutte cose atte a distinguere meglio i musulmani dall’Occidente… Il
suo modo di rifarsi al Corano non è stato altro che scegliere determinati
problemi per mezzo dei quali riuscire a “distinguere” i musulmani dal resto del
mondo e in particolare dall’Occidente. Esso ha spesso sostenuto che la cultura
dei tradizionali ulema conservatori, invece di spingere i musulmani verso il
corano li ha allontanati da esso. Tuttavia sono sciocchi e superficiali, non
radicati nel Corano e nella cultura tradizionale, di cui non sanno nulla. Dato
che non posseggono un serio spessore intellettuale si vantano del fatto che
l’Islam è “molto semplice” e “chiaro”.
(Fazlur Rahman)
Secondo questo autore le formulazioni storiche dell’islam – giuridica,
teologica spirituale – non possono essere né ignorate né tralasciate, e questo
in due sensi: a) se a questo punto della storia considerassimo il corano come
se fosse stato appena rivelato non saremmo capaci neppure di capirlo, perché
occorre che si dia alle sue enunciazioni di portata legale e sociale una
collocazione storica; b) Occorre uno studio minuzioso della evoluzione delle
discipline islamiche.
(Fazlur Rahman)
Le nostre sensibilito alle varie parti del passato dell’Islam ovviamente
differiscono sebbene esso sia generalment edivenuto per noi sacro quasi per
intero. La più grande considerazione è attribuita ai hadith sebbene sia
generalmente accettato che fatta eccezione per il Corano, tutto il resto è
suscettibile all’azione corruttrice della storia. In verità una critica dei
hadith non dovrebbe solorimuovere un grande blocco mentale, ma promuovere
contemporaneamente unmodo nuovo di pensare all’Islam. Se un certo hadith è
dimostrato come storicamente errato, non deve però necessariamente esere
scartato, per il fatto che può contenere un buon principio, e un buon
principio, indipendentemente da dove giunge, dovrebbe essere adottato.
(Husain Ahmad Amin)
Benché anch’io mi auguri che la sharia torni a essere applicata, non penso che
ciò sia facile quanto sembrano credere quanti lo reclamano. Non si tratta infatti semplicemente di
rimettereinvigore raccolte o codici di disposizioni legislative islamiche
definitive, dettagliate e precise da parte di governi che le avrebbero a lungo
ignorate. Opere di questo genere infatti non ne esistono. Tutto ciò che
abbiamo, oltre al corano e alla sunna, non è che un ammasso di libri di fiqh
(giurisprudenza islamica) composti dagli esperti delle quattro scuole
giuridiche, di quelli della tendenza zahirita (scuola che riconosce valido solo
il senso letterale (zahir) del Corano e
della Sunna) e degli sciiti. Molte delle disposizioni raccolte in queste opere sono contraddittorie
e inconciliabili, e non sono mai state fatte oggetto di un’opera di
armonizzazione né di una selezione che desse loro una forma definitiva, alla
quale si sia convenuto di attenersi. Suppongo che la sharia non dovrebbe essere
passibile di modificarsi sulla scorta delle trasformazioni sociali, politiche
ed economiche. Direi anzi che essa è l’insieme dei precetti che Iddio stesso ha
stabilito per giudare ogni musulmano nel suo comportamento e nei rapporti col
proprio creatore e con gli altri uomii per quanto concerne il culto, la
famiglia, l’azione sociale e politica. Ⓓ Eppure mi trovo davanti a enormi opere di fiqh riguardanti
precetti della sharia talmente esaustivi da stabilire quali strumenti musicali
siano leciti e quali no, il modo di accoppiarsi; come svolgere gare di corsa o
altre competizioni; la raffigurazione di esseri viventi, la maniera di vetirsi
e di acconciarsi; il risarcimento da versre per l’uccisione di un cane;
l’allattamento di un adulto; il ripudio dovuto a cattiva conoscenza della
lingua araba; la responsabilità di chi abbia aceso un fuoco per cucinare e
addormentatosi abbia provocato unincendio di cose appartenenti ad altri; di chi abbia spezzato un osso a un
morto; di chi calunni un altro sostenendo
che è figlio di suo zio o del secondo marito della madre o di uno
straniero; il furto di vino o di un maiale di proprietà di un musulmano o di altri,
eccetera. Questi e altri simili precetti fanno veramente parte della sharia?
Sono vincolanti? E se sì, qual è il loro fondamento divino? Il numero delle
disposizioni legali prescritte esplicitamente nel Corano e nei hadith
universalmente ritenuti validi è estremamente scarso se paragonato a quelle
contenute nei libri di fiqh. Nel Corano infatti non ci sono che un’ottantina di
versetti d’argomento giuridico, come quelli relativi alle pene previsteper il
furto e l’adulterio o concernenti il testamento e l’eredità. La maggior parte
di questi versetti, inoltre, si limita a enunciare principi generali
checonsentono interpretazioni e applicazioni differenti, passibili di essere
adattati alle esigenze delle varie epoche e alle diverse circostanze. La Sunna
autentica a sua volta siè limitata, sulla base dell’esempio e degli ordini del
Profeta, a stabilire alcune norme relative alla guerra, alla politica e al
culto (come il modo di compiere la preghiera) e ad introdurre delle rettifiche
su base religiosa alle consuetudini relative allo statuto personale in vigore
prima dell’Islam, conformemente alle mutate circostanze. Non è quindi corretto
pretendere che il Corano e la Sunna abbiano stabilito norme dettagliate e
precise su tutti gli aspetti della vita dei musulmani: è anzi più esatto dire
che, durante la vita del Profeta, in molti campi si continuò ad attenersi al
diritto consuetudinario dell’epoca preislamica. Le relazioni tra la sharia e il
diritto consuetudinario non solo si perpetuarono, ma si svilupparono per
influsso delle ampie conquiste, infatti i popoli dei territori conquistati
influenzarono la sharia con i costumi invalsi presso le loropiù complesse
civiltà. adducendo la motivazione che le semplici norme e i principi generali
portati dagli arabi non erano sufficienti per organizzare i loro affari o che
era difficile applicarli in condizioni differenti. L’innesto della sharia sulle
consuetudini di questi popoli facilitò l’accettazione dell’Islam da parte loro,
ma ne derivò pure una diersificazione deiprecetti della sharia da paese a
paese, tanto che si può parlare di un Islam iracheno, di uno higiazeno, di uno
siriano o egiziano, specie dopo che Abu hanifa (m. 767, fondatore della prima
delle quattro grandi scuole di
diritto sunnite la quale attribuisce
valore anche alla valutazione personale (ra’y) del giurista) in Iraq e Malim (m. 795, compilatore della
più antica raccolta di detti el profeta è l secondo caposcuola deldiritto
sunnita e si attiene alla consuetudine di Medina e al principio della pubblica
utilità (maslaha)) a Medina avevano dichiarato lecito che il giurista,
nell’attività legislativa, ricorresse al suo parere personale e che tenesse
conto delle condizioni ambientali ogni qual volta mancasse un chiaro precetto
coranico a cui attenersi o a cui rifarsi per analogia. Al-Safi (m. 820
sistematizzò il fiqh, definendone le quattro fonti: corano, sunna, consenso
(jgma) e principio di analogia (quiyas)) rimise in questione questo stato di
cose ritenendo che avrebbe condotto alla dissoluzione dell’Islam e alla
disparità delle norme tra le diverse generazioni e le differenti località. Ad
Abu Hanifa rimproverava l’accanimento nel ragionamento e il suo rifarsi
allavalutazione personale e alla convenienza, mentre di Malik contestava il
principio secondo cui i musulmani
avrebbero avuto il diritto di discostarsi da una norma stabilita dal Profeta
quando alcune ocnsiderazioni giuridiche li spingessero a farlo o in presenza di
un testo coranico che disponesse altrimenti. Al-Safi pose le norme dettate
dalla sunna sullo stesso piano di quelle sancite dal Corano giungendo ad
affermare che la Sunna come il Corano stesso, è di origine divina. Sarebbe essa
quella che il Corano definisce “la Saggezza” nel versetto che dice: “E iddio ha
rivelato a te il Libro e la Saggeza e t’ha insegnato quel che non sapevi”
(IV,113). Ogni parola e ogni azione del Profeta, dopo che Idio l’aveva
designato come tale e fino alla sua morte, sarebbe avvenuta sotto la guida di
Dio stesso, sebbene il profeta non abbia preteso mai di essere infallibile,
salvo quando dettava o recitava il
Corano, e nonostante il Corano stesso lo avesse richiamato su errori su cui era
incorso. Al-Safi ritenne necessario pertanto che si raccogliessero i detti del
Profeta e gli aneddoti su quanto egli aveva fatto per farne una seconda fonte
della sharia e si spinse ancora più lontano accogliendo l’opinione di
al-Saybani (m. 804, discepolo di Hanifa) secondo il quale è lecito che i
precetti della Sunna prevalgano su
quelli del Corano. Tale posizione di al-Safi e dopo di lui di Ahmad ibn Hanbal
(m. 855, capo dell’ultima e più rigida delle scuole giuridiche islamiche) si
può sostenere adducendo il fatto che il Profeta era l’uomo che più di ogni
altro comprendeva la volontà di Dio e quello in grado più di chiunque altro di stabilire delle regole ad essa conformi.
Senonché le conseguenze pratiche di
questo principio furono negative per la comunità islamica. Tenendoconto della
molteplicità dei territori e dei popoli conquistati, delle differenze tra le
loro culture e delle loro necessità quotidiane, come del peso di circostanze
storiche in continuo mutamento, i musulmani presero coscienza che questo nuovo
principio giuridico, specie dopo che esso era riuscito a imporsi alle altre
scuole, compresa quella hanafita, avrebbe comportatounirrigidimento della
sharia, un accrescimento delle norme
imperative, un restringimento dell’applicazione della valutazione personale e
la privazione dei popoli della libertà di legiferare secondo le loro necessità,
quella libertà che Abu Hanifa e Malik avevano accordato col solo limite di
alcuni principi coranici. I popoli però trovano spesso mezzi efficaci per
aggirare gli ostacolie le rigide disposizioni che governanti e giuristi pongonon sul loro cammino. I musulmani, per
aggirare l’ostacolo di questa seconda fonte del diritto, inventarono hadith nei
quali inserirono quanto essi ritenevano adatto al progresso, attribuendoli poi
al Profeta mediante una catena di trasmettitori creata a bella posta,
redigendoli in uno stile vicino a quello del suo tempo e considerandoli poi
validi e vincolanti per ogni epoca e per
ogni luogo. Quando appariva un’altra generazione, con nuove esigenze, produceva
altri hadith nei quali tali esigenze, contrastanti con quelle delle generazioni
precedenti, trovavano espressione e anche questi venivano attribuiti al Profeta
e ritenuti validi e vincolanti universalmente. Senonché nel terzo secolo
dell’egira, uomini superiori come al-Buhari, Muslim, Abu Da’ud, al-Tirmidi,
al-Nasa’i e ibn Maga si dedicarono a selezionare i hadith ma lo fecero
purtroppo sulla base dell’autenticità ella catena dei garanti e non sulla
plausibilità del testo e ciò avvenne non senza provocare uno stato di
confusione generalizzata in questo campo, un decadimento morale dei giuristi e
delpopolo e pericolose trasformazioni che rischiarono di occultare gli
insegnamenti autentici dell’Islam. Un altro mezzo efficace a cui si ricorse fu quello delconsenso: cioè
l’insieme delle dottrine e delle norme sulle quali in una determinata epoca vi
era l’accordo tra gli esperti. I sostenitori di questo principio si basano sul
hadith incui il profeta dice: “La mia Comunità non concorderà mai su un errore”. Molti non ritengono autentico
questo hadith, tanto più che la storia
ha ben dimostratoche lacomunità musulmana non riesce mai a mettersi d’accordo
su niente, si tratti o no di un errore.
(Husain Ahmad Amin)
Visto che stiamo parlando della campagna
finalizzata all’applicazione della sharia nella società contemporanea,
devo far notare che, attenendosi al principio dle consenso, è avvenuto che
quanto era considerato un’innovazione riprovevole inuna certa epoca è diventato
un obbligo vincolante per i musulmani del periodo successivo, nonostante la
precedente condanna. Così chi invita a reintrodurre la consuetudine dei primi
credenti, tornando allo stato in cui erano le cose al tempo del Profeta, dei
suoi compagni e seguaci finisce per essere un eretico! Un esempio è la festa
della nascita del Profeta. Fino all’ottavo secolo dell’egira (14° dell’era
cristiana) gliulema hanno sostenuto che essa era contraria alla sunna e la
maggior parte di loro la proibì considerandola un’innovazione riprovevole.
Eppure da quel tempo divenne una consuetudine profondamente radicata nella vita
dei credenti e se oggi qualcuno vi si opponesse sarebbe preso di mira dagli
uomini di religione che lo considererebbero un miscredente. Così pure in
passato le preghiere rivolte ai santi o l’affermazione dell’impeccabilità del
Profeta, rifiutate un tempo, tramite il
consenso sono oggi state accettate e hanno sostituito le consuetudini dei primi
credenti. Se teniamo conto che la maggior parte delle norme della sharia
ricevono il loro carattere imperativo dal principio del consenso, e che vi sono
parti estremamente importanti della sharia – come quella sul califfato – che
non hanno altro fondamento che il consenso, come possiamo pretendere
un’obbedienza totale a norme che variano
nel tempo, stabilite da uomini dotati della nostra stessa capacità di riflettere,
norme cheuna generazione ha considerato valide, che la generazione seguente ha
rifiutato ritenendole eretiche e che una terza generazione è tornata a
rispettare? Come possiamo dire che esse sono valide per ogni tempo e luogo e
che i governi vi si devono attenere pena l’accusa di miscredenza e la minaccia
di rovesciamento?
(Husain Ahmad Amin)
Il fatto di trascurare le considerazioni storiche e il principio di evoluzione,
l’incapacità di comprenderli e di farne uso è stato uno dei difetti del
pensiero islamico e dell’immagine che i musulmani si son fatti della loro
religione. E’ per questo motivo che i
musulmani restarono a lungo inconsapevoli del vero valore di ibn Haldun,l’unico
pensatore islamico ad aver adottatoil principio di evoluzione. L’immagine che
essi hanno delProfeta ad esempio non prevede che la sua personalità e il suo
modo di pensare si siano evoluti dalla sua giovinezza alla sua morte e così
pure la maggior parte di essi crede chele disposizoini della sharia quali si
trovano nei libri di fiqh siano tali e quali a quanto sancito dal corano e
dalla sunna, identiche a come le lasciò il Profeta alla sua morte. Chi invece
studia la storia dell’Islam comprende che la sharia è un palazzo elevato, i cui
piani sono stati costruiti uno dopo l’altro nel corso di lunghi secoli, da
uomini simili a noi, in funzione dell’evoluzione della soceità e delle sue
esigenze.
(Husain Ahmad Amin)
Se i musulmani desiderano veramente
affrontare le sfide del tempo presente penso che sia ora che abbandonino
questa concezione statica e semplicistica delle cose e che comprendano la
realtà delle fasi attraverso le quali la sharia è stata edificata. Se non lo
faranno, con tutta probabilità passeranno ancora lungo tempo a occuparsi di
come portare la galabiyya (abito tipico dell’egitto simile a un lungo camicione),
se sopra o sotto le caviglie, della necessità di mangiare e bere usando la mano
destra, della liceità dell’acquisto di fotografie o chiedendosi se bere stando
in piedi sia contrario alla sunna, se
convenga portare il bastone come espressione del proprio attaccamento
all’Islam, di quali problemi comporti pregare vicino a una donna o le
conseguenze in diritto di famiglia derivanti dal matrimonio con un ginn in
forma umana o se infine mangiare seduti attorno a una tavola sia dimostrazione
di scarso attaccamento alla Sunna e al Profeta. E tutto ciò mentre le altre
nazioni si occupano di cose ben differenti e preferiscono agire che discutere.
Si ha l'impressione che gran parte
della vita intellettuale dell’Islam viene spesa nella elaborazione di queste
norme
(Muhammad Sa’id al-‘Asmawi) Il Corano non contiene
un solo versetto che riguardi il potere politico o che ne definisca
l’organizzazione, né esistono dettidel Profeta a questo proposito. Se ci
fossero stati testi di questo genere, infatti, dopo la morte del Profeta o
durante il governo dei primi quattro califfi ben diretti, i suoi compagni vi
avrebbero fatto ricorso. Iddio invece, conoscendo i suoi fedeli e in forza
della sua grande saggewwa, ha voluto lasciare che l’organizzazione del potere
nell’Islam fosse una questione “civile” (derivante cioè dalla volontà popolare)
e non religiosa.
(Muhammad Sa’id al-‘Asmawi) Di tutto quanto gli
uomini compiono sarò loro chiesto conto,
benché il volere divino sia dietro a ogni cosa (“Ma se non vuole Iddio, non lo
vorrete”: LXXVIII,30). Pensarla diveramente significa riconoscere alle azioni
degli uomini un carattere di ingallibilità che l’Islam ha invece inteso abolire
totalmente o privarli delle loro responsabilità, il che è decisamente contrario al Corano (“E chi ha fatto un grano
di bene lo vedrà – e chi ha fatto un grano di male lo vedrà”: XCIX,7-8).
(Muhammad Sa’id al-‘Asmawi) (citato da Lewis) La
funzione principale del governo è quella di permettere all’individuo musulmano
di condurre una buona vita musulmana. Questo, in ultima analisi, l’obiettivo
dello Stato, il solo per cui fu stabilito da Dio, il solo in base al quale gli
uomini di Stato sono rivestiti di autorità nei confronti degli altri.
(Muhammad Sa’id al-‘Asmawi) I responsi della
giurisprudenza islamica – che sono confusi dalla maggior parte dei musulmani
con la sharia stessa – sono pareri umani senza alcun carattere di sacro.
Confonderli con la sharia significa
mischiare quanto è stato rivelato da Dio con quanto pensano gli uomini e considerare i pareri ei giuristi
e degli esegeti come disposizioni di origine divina o quasi rappresenta in
danno per l’Islam.
(Muhammad Sa’id al-‘Asmawi) E’ un grave errore
pretendere che il governo determini la
moralità pubblica, che imponga i buoni costumi e costringa a un determinato
comportamento. Agli eccessi si deve conrapporre piuttosto il buon esempio, il
richiamo e il comportamento esemplare offerto da ciascuno.
(‘Abd al-Magid
Charfi) L’Islam condivide con ebraismo e cristianesimo la fede in un Dio
unico, creatore del mondo e trascendente. Questa religione si oppone nettamente
alle religioni cosmologiche del Medio Oriente antico e di altre parti delmondo.
Tra l’altro implica una cesura netta tra mondo empirico, umano e mondo
ultrasensibile delgi deie delle forze sacre che popolano l’universo e gli
impediscono di ricadere nel caos. Il Dio dell’ebraismo è infatti trascendente e
non potrebbe essere identificato conalcun fenomeno della natura, non ha moglie
né figli e non c’è alcun pantheon intorno a lui… Questo dio trascendente è però
innanzitutto il Dio di Israele, popolo di sua adozione. La sua univeralità è
come attenuata con l’elezione di israele
e l’alleanza stretta con esso escludendo ogni altro popolo.
(‘Abd al-Magid
Charfi) Anche il dio del cristianesimo è trascendente. E’ il dio della
bibbia, di abramo, diisaco e di Giacobbe. Ma l’idea dell’incarnazione e il suo
sviluppo teorico nella dottrina trinitaria rappresenta delle modificazioni
significative rispetto alla radicalità della concezione ebraica della trascendenza.
Nel cattolicesimo la glorificazione di Maria come mediatrice e dei santi che
popolano l’universo della religione è un’ulteriore modificazione che non
ritroviamo invece più nel protestantesimo. L’Islam, professando l’unicità di un
Dio trascendente e universale, ha eliminato la maggior parte dei canali di
mediazione col sacro. Spogliato degli accessori più potenti del sacro che sono
i misteri, i miracoli e la magia, esso haper la prima volta nella storia
rinviato l’uomo alla sua stessa responsabilità. La continuità tra visibile e
invisibile, tra terra e cielo non è assicurata, per così dire, che dal tramite
della parola di Dio di cui il Corano è la versione privilegiata, rivelata in
linguaggio umano al profeta Muhammad.
▹I Fratelli Musulmani
(Halid) I fratelli musulmani durante
gli anni quaranta, avevano raggiunto l’apice delle adesioni e della forza. SI
stavano affermando specie tra i giovani, in modo sorprendente e dall’associazione, giunta al
massimo del successo, non sappiamo in che modo se dall’interno o dall’esterno
derivò un’organizzazione segreta. Questo apparato si macchiò di crimini
efferati e ricorse persino all’omicidio nella sua azione di propaganda religiosa, quella propaganda
che con la persuasione e il ragioamento aveva raggiunto risultati altrimenti
insperabili permettendo al loro compianto leader Hasan al-Banna grazie
all’affabilità e alla rettitudine che lo caratterizzavano, di parlare alle
menti e ai cuori e di essere seguito docilmente da schiere di uomini semplici e
di intellettuali. Quegli omicidi colpirono e spaventarono l’opinione pubblica.
Io fui tra color che ne rimasero turbati fino a perdere il sonno. Mi chiedevo
infatti: se si comportano così mentre sono esclusi dal potere, cosa faranno
quando l’avranno ottenuto?
▸ Hasan al-Banna (1906-1949) Egiziano, di modeste
origini, ricevette un’educazione essenzialemnte incentrata sulla tradizione
islamica e fin da ragazzo venne affiliato a una confraternita mistica. Preferì
agli studi giuridici la carriera di insegnante, alla quale abbinò l’attività di
animatore in associazioni di beneficenza e di predicatore del ritorno ai valori
della religione che considerava minacciati dalle mode culturali importate
dall’Occidente. Nel 1928 fondò il movimento dei fratelli musulmani, che divenne
un’associazione a diffuzione nazinale e sviluppò ramificazioni anche in altri
paesi islamici. Il movimento sostenne la causa della Palestina araba nel ’36 e
durante la seconda guerra mondiale contestò la presenza britannica in egitto.
Dopo la guerra il movimento appoggiò moti di piazza antigovernativi e fu
sciolto nel 1948. Il provvedimento portò alla rottura totale tra le autorità e
gli attivisti delmovimento uno dei quali attentò alla vita del primo ministro
al-Nuqrasi uccidendolo. Nonostante i tentativi di ricomposizione dle conflitto
la situazione non migliorò e l’anno successivo Hasan al-Banna morì durante uno
scontro con le forze di polizia.
▸ Sayyid Qutb (1906-1966) Massimo ideologo
delmovimento dei fratelli musulmani in una delle fasi più critiche della sua
storia. Egiziano, insegnante e studente di pedagogia negli USA, dove si accorse
dell’inconciliabilità delle due culture e dell’inapplicabilità dei metodi
scolastici americani. Nel 1952 con la rivoluzione di Nasser sembrò che i
Fratelli potessero giocarvi un ruolo importante. Ma nel 1954, dopo il fallito
attentato a Nasser, finì in carcere a vita. Liberato per controbilanciare i
comunisti, nel 1965 fu nuovamente arrestato e giustiziato nel 1966. Il
movimento dei fratelli ha in seguito intrapreso un percorso di riavvicinamento
alle istituzioni.
▸ ‘Abd al-Qadir ‘Uda (m. 1954) Attentatore di
Nasser. Accanto ai grandi nomi dei leader il movimento dei fratelli musulmani
conta una folta schiera di pubblicisti e di divulgatori delle sue tesi che
hanno contribuito al formarsi di una sterminata letteratura nella quale si
trovano opere di diverso valore. Alcune di queste hanno incontrato un
particolare favore da parte del pubblco e sono state ampiamente diffuse anche il lingue straniere
grazie allo zelo delle numerose associazioni di studentimusulmani presenti in
diversi paesi del mondo.
Fu vice di Hasan al-Hudaybi,primo
successore di al-Banna alla guida dei Fratelli
I Fratelli musulmani sono indicati
come radicali (viene citato in nota un appello di al-Banna all’autosufficienza
Coranica)
▸ (al-Banna) Manifesto dei fratelli musulmani
Noi Fratelli Musulmani riteniamo che i precetti
e gli insegnamenti universali dell’Islam contemplano tutto quanto concerne
l’uomo in questomondo e nell’altro, e che quanti ritengono che tali
insegnamenti riguardino solamente l’aspetto delculto o quello spirituale
escludendo gli altri, sono in errore. L’islam è infatti fede e culto, patria e
nazionalità, religione e stato, spiritualitàe azione, libro e spada.
I Fratelli Musulmani credono che la base s il
sostegno degli insegnamenti islamici sianoil libro di Dio e la tradizione dle
profeta. Se una nazione li prende come regole di vita non potrà smarrire la
retta via. Molte teorie e scienze legate all’islam e che ne sono state
influenzate portano il segno dei tempi che le hanno viste nascere e dei popoli
che furono loro contemporanei. E’ per questo che bisogna attingere le leggi
islamiche cui fare riferimento alla prima pura scaturigine. E’ importante
comprendere l’Islam come l’hanno compreso i compagni del profeta e le ie
generazioni che li seguirono. Dobbiamo attenerci a questi precetti divini e
profetici per non scegliere una linea dicondotta diversa da quella fissata da
Dio e non rendere la nostra epoca difforme da quella prospettiva essendo
l’islam la religione di tutto il genere umano.
Parallelamente i fratelli musulmani credono
chel’islam, in quanto religione universale, integrante tutti gli aspetti della
vita di tutte le popolazioni e le nazioni, di tutte le epoche e di tutti i
tempi, è troppo completo ed eccelso per essere esposto alla disperzione di
questa vita, frutto delle banali contingenze terrene. L’Islam fornisce
piuttosto i principi universali cui tali contingenze sono soggette e mostra
agli uomini il modo pratico di applicarli, di camminare in linea con essi e di
sorvegliare che ciò avvenga in modo corretto o almeno che a questo si tenda.
La dottrina dei fratelli musulmani ingloba tutte
le concezioni riformiste. E’ perché i fratelli musulmani concepiscono l’islam
come universale e totalizzante che la loro dottrina copre tutti gli aspetti
delriformismo presenti nella nazione e in essa si ritrovano tutti gli elementi
del pensiero riformista; ogniriformista sincero e fervente vi trova l’oggetto
delle sue aspirazioni. Visi incontrano tutte le speranze di coloro cheamano il
riformismo, che hanno conosciuto questa dottrina dei Fratelli Musulmani e che
ne hanno compreso la portata.
(Sayyid Qutb)
Dio voleva porre contemporamente le fondamente di una comunità, di un movimento
e di una fede. Questo spiega come abbia impiegato 13 anni per completare la
rivelazione: doveva formare gradualmente una comunità capace di incarnare tale
fede.
(Sayyid Qutb)
L’Islam è giunto a cambiare non solo le convinzioni e quindi il sistema di vita
delgi uomini, ma anche il metodo di apportare tali cambiamenti al credo e, in
forza di esso, alla vita pratica. Venuta per costruire una fede, ha edificato
una comunità sviluppando in seguito un proprio sistema di pensiero commisurato
al grado di evoluzione morale e materiale raggiunto.
(Sayyid Qutb)
Vi sono alcuni, vittime di una mentalità disfattista, che scrivendo a proposito
del tema della jihad e per difendere l’Islam dalle accuse che gli sono state
rivolte, fanno confusione: è vero che queta religione vieta l’imposizione della
fede con la forza ma è altrettanto vero che essa è tesa a distruggere quelle
forze politiche e materiali che si frappongono tra essa e gli uomini,che
sottomettono l’uomo all’uomo e che ostacolano l’adorazione di Dio. Si tratta di
due principi indipendenti che non è possibile confondere. Eppure, in forza di
tal modo di vedere e sentire, costoro tentano di ridurre il jihad a quella che
oggi vien definita una “guerra difensiva” mentre si tratta di tutt’altra cosa
rispetto ai conflitti cui siamo abituati, sia per quanto riguarda le sue cause
sia per quel che si riferisce alla sua modalità. I motivi del jihad vanno
ricercati nella natura stessa dell’Islam e nel suo ruolo nel mondo,nelle sue
alte finalità stabilite da Dio e per la realizzazione delle quali Egli mandò il
suo inviato e lo rese suggello dei profeti, essendo questi il portatore del
messaggio definitivo. Questa religione è davvero un annuncio universale di
liberazione dalla schiavitù imposta da altri uomini e dalle proprie passioni,
la proclamazione che solo a Dio appartiene la sovranità e la signoria sul
mondo. E’ questa una dichiarazione di guerra totale contro ogni potere umano,
in qualsiasi forma si presenti e qualunque ordinamento adotti, un conflitto
senza quartiere aperto ovunque siano degli uomini ad arrogarsi il potere, in
una forma o nell’altra e dove quindi si pratichi in qualche modo l’idolatria.
Ogni sistema in cui le decisioni finali sono demandate a esseri umani e nel
quale le fonti di ogni autorità sono umane è infatti una forma di idolatria
poiché essa designa alcuni come signori di altri al posto di Dio. L’Islam
proclama che l’autorità usurpata a Dio
deve essere restituita a Lui e gli usurpatori – cioè coloro che governano i base a leggi che stabiliscono
essi stessi facendosi signori degli altri e riducendoli in schiavitù – devono
essere scacciati. In breve significa distruggere il regno dell’uomo per
edificare il regno di Dio sulla terra, secondo quanto afferma il Corano stesso:
“Egli è Colui che è Dio in Cielo e Dio è ancor sulla terra” (XLIII,84); “Il
giudizio non spetta che a Dio, che comanda che nessuno adoriate, ma Lui. Questa
è la religione retta” (XII,40); “Dì: ‘O gente del lirbo! Venite a un accordo
equo tra noi e voi, decidiamo cioè di non adorare che Dio e di non associare a
Lui cosa alcuna, di non sceglierci fra di noi padrone alcuno che non sia Dio’.
Se poi non accettano dite a loro: ‘Testimoniate almeno che noi ci siam dati
tutti a Dio!’ “ (II, 64)
(Sayyd Qutb) L’instaurazione del regno di Dio
sulla terra,l’abolizione del dominio dell’uomo, la sottrazione della sovranità
agli usurpatori per restituirla a Dio, l’applicazione della legge divina e
l’abolizione delle leggi umane non possono essere ottenuti solo attraverso la
predicazione. Coloro che hanno usurpato l’autorità di Dio e opprimono le sue
creature non crderano il loro potere semplicemente per effetto della
predicazione; se così fosse, sarebbe stato molto semplice per gli inviati di
Dio stabilire la fede sulla terra. La loro storia e le vicende si questa
religione attraverso i secoli dimostrano piuttosto il contrario
(Sayyd Qutb)
Chi dunque capisca la vera natura di questa religione che abbiamo qui esposto
si renderà conto dell’assoluta necessità che il movimento islamico comprenda
anche la lotta armata oltre all’impegno della predicazione, e che questa non è
da intendersi come azione difensiva, nel senso specifico di “guerra di difesa”,
come vorrebbero i disfattisti che
parlano sotto la spinta dei condizionamenti del presente o degli attacchi di
qualche scaltro orientalista. Si tratta invece di un impeto e di uno slancio
per la liberaizne dell’uomo su questa tertra, ricorrendo a tutti i mezzi
adeguati e agli ultimiritrovati in ciascuna epoca. Se proprio vogliamo definire
il jihad un movimento difensivo dobbiamo allora cambiare il significato di
questa espressione e intenderla come “difesa dell’uomo” contro tutti quegli
elementi che ne limitano la libertà e ne ostacolano la liberazione. Questi
elementi assumono la forma tanto di convinzioni e concetti, quanto di sistemi
politici basati su distinzioni economiche, razziali o di classe vienti al
momento della comparsa dell’Islam e che in diverse forme ancora sussistono
nell’attuale paganesimo (Gahiliyya). Dando alla parola “difesa” questo senso
allargato possiamo avvicinarci ai veri moventi della diffusione dell’Islam
attraverso il jihad e all’autentica natura di questa religione
I Fratelli Musulmani acquistano una
maggiore influenza sul governo sudanese a partire dal 1977. Il regime del
generale Nimeiri promulga nel 1983 un nuovo codice penale conforme alla sharia. Muhammad Taha, che
inizialmente aveva le simpatie del regime, ne diviene il principale critico e
viene giustiziato nel 1985. Le lotte che dividono il paese hanno sicuramente
trovatoin lui un capro espiatorio, ma è chiaro che questo tragico epilogo viene
da lontano, se si pensa alle condanne del suo pensiero da parte di
al-Azhar nel 1972 , della lega islamica
mondiale nel 1974 e delle autorità religiose sudanesi nel 1977.
▹Il Salafismo
Rasid Rida
(1849-1905) è il fondatore del Salafismo
La scuola Salafiyya dal maestro Rasid
Rida (1865-1935) orientata essenzialmente verso la difesa apologatica
dell’Islam contro i suoi detrattori, la purificazione della religione da quelle
pratiche e credenze di origine spuria che ne avevano alterato l’originalità e
svilito la vitalità e volta alla ricerca di soluzioni islamiche ai grandi
problemi che emergevano sul piano politico e sociale.
Il pensiero salafita, che si
proponeva la riforma dei centri tradizionali del sapere religioso in vista di
una riproposizione del messaggio islamico in termini rinnovati e più consoni
alla nuova realtà, dapprima osteggiato, fu in seguito gradualmente accolto,
divenendo la nuova dottrina ufficiale che privilegiava gli aspetti meno
dirompenti della corrente riformista, quelli cioè rivolti alla restaurazione
della tradizione, ritenuta inquinata e corrotta piuttosto che inadeguata e
passibile di un radicale rinnovamento.
Rasid Rida inizia la scuola salafita,
eliminando gli aspetti più dirompenti del pensiero di Muhammad Abduh, che
voleva dimostrare che l’Islam non è incompatibile alla scienza e al progresso,
e lasciando il posto alla graduale affermazione del riformismo (islah) quale
nuova dottrina ufficiale. Lo sguardo si volgeva alla gloria dei secoli passati
e soprattutto al periodo delle origini. Il tema del ritorno alle origini (Salaf
si riferisce appunto alle prime generazioni di credenti) e dell’eliminazione
delle influenze esterne che hanno alterato la primitiva purezza dell’Islam fu
determinato da una volontà di affermazione della propria originalità e
indipendenza culturale come forma di resistenza all’aggressione occidentale.
L’Islam, secondo Rashid Rida
(fondatore del salafismo) ha eliminato il potere religioso, tipico ad esempio
del cristianesimo sostituendolo con una comunità di eguali (ma Branca nota che
è un retaggio beduino)
(Rasid Rida) Uno
dei più grandi e nobili principi che abbia proclamato l’Islam è stata
l’abolizione del potere religioso, la sua assoluta soppressione. La missione
del Profeta fu quella di trasmettere la rivelaizone e di annunciarla – in
nessun modo di essere un dominatore e un tiranno. Dio ha detto infatti:
“Ammonisci, che un Ammonitore tu sei – non sei stato nominato loro sovrano!”
(LXXXVIII,21-22). Dio non ha donato il potere supremo ad alcuna creatura su
questa terra o nel cielo. La fede affranca il credente nei suoi rapporti con
Dio, da ogni controllo che non sia quello di Dio stesso; essa lo eleva al
disopra di ogni schiavitù che non sia l’obbedienza dovuta a Lui. Nessun
nusulmano, qualunque dignità egli possa ricoprire nell’Islam, ha su un altro
nusulmano, per quanto bassa sia la sua condizione, altri diritti se non quelli
di consigliarlo e di guidarlo. Dio ha descritto gli eletti in questi termini:
“Quelli che credono si invitano a gara alla pazienza e si invitano a gara alla
pietà” (XC,17); “Si formi da voi una nazione d’uomini che invitano al bene e
impediscono l’ingiustizia. Questi saranno i fortunati” (III,100).
(Rasid Rida) I
musulmani si scambiano dunque buoni consigli e formano una comunità che esorta
al bene. Essi stessi sono incaricati di sorvegliarla e di dirigerla sul retto
cammino, qualora le accadesse di allontanarsene. Questa comunità non ha altra
missione che l’apostolato, l’ammonimento, il richiamo e l’esortazione; ad essa
solamente spetta il diritto di cercare le manchevolezze nascoste nel prossimo.
(Rasid Rida) Ogni
musulmano ha il diritto di comprendere il Libro di Dio e la parola del suo
Profeta direttamente dal Testo sacro e dalla Sunna, senza il ricorso ad alcun
intermediario, antico o moderno. Tuttavia egli è prima tenuto ad assicurarsi i
mezzi che lo porranno nelle condizioni
di comprendere: la conoscenza della lingua araba, della sua letteratura,
del suo stile, la storia degli arabi, in particolare all’epoca del profeta, gli
avvenimenti che si sono svolti al momento della Rivelazione, alcuni elementi
della scienza dell’abrogante e dell’abrogato. Se il suo stato non gli consente
di comprendere la verità direttamente da libro e dalla sunna, può allora
ricorrere a delle persone competenti; può – anzi deve – chiedere a questi
ultimi la prova che legittima l’obbligo che lgi si impone – domanda che può
vertere su una questione dogmatica o sull’adempimento diuna qualunque azione.
Non esiste, nell’Islam, quella che alcuni chiamano autorità spirituale.
(Rasid Rida) Ciononostante,
pur essendo la legge chiara, un uomo, dominato dalle passioni, potrebbe non
applicarla. La saggezza cheha presieduto all’instaurazione delle leggi non
sarebbe completa senza un potere di coercizione che le faccia osservre, che
possa, in tutta equità, fare eseguire le disposizioni giudiziarie e rispettare
l’ordine. Questa autorità non può essere lasciata all’anarchia della massa:
deve essere affidata a un solo uomo, e questi è il sultano o il califfo.
(Rasid Rida) Agli
occhi dei musulmani il califfo non è una guida infallibile, non è il
depositario della Rivelazione; egli non può arrogarsi il diritto esclusivo di
commentare il Libro e la sunna; senza dubbio una delle condizioni che gli sono
imposte è quella di essere un mugtahid, in altri termini egli deve conoscere la
lingua araba e tutte le scienze che abbiamo enumerato, in modo da potere
facilmente individuare nel Libro e nella Sunna le leggi che gli servono, essere
in grado di distinguere da solo la verità dall’errore, e di fare rispettare
quella giustizia che la religione e la comunità esigono.
(Rasid Rida) Tale
è il suo stato. La religione non gli riconosce una capacità speciale nella comprensione
del Libro e delle leggi; egli non gode di alcun privilegio. E’ paragonabile a
tutti coloro che cercano la verità e che non si distinguono l’uno dall’altro
che per la limpidezza della ragione e la rettitudine del giudizio. E’ ubbidito
finché rimane sul retto cammino, finche sethe la via del Libro e della Suna;i
musulmani lo sorvegliano strettamente, se si allontana dalla retta via ve lo
riconducono, se vi fa ritorno lo aiutano con i loro consigli e le loro
esortazioni. Siccome non è dovuta alucna obbedienza a una creatura che sir
ibella a Dio, se il califfo nella sua condotta si allontana dal Libro e dalla
Sunna, bisogna sostituirlo con un altro, a meno che la sostituzione non risulti
più nociva che utile. E’ la Comunità o il suo rappresentante, a conferirgli
l’investitura, essa ha pertanto la suprema sutorità su di lui e lo destituisce
qualora ritenga che vi sia interesse a farlo. Il califfo è dunque da tutti i
punti di vista un sovrano temporale.
(Rasid Rida) Se
si è obiettivi, non si può confondere il califfo dei musulmani con quello che
gli europei designano con ilnome di papa. Presso i cristiani è infatti solo il
papa che riceve la legge di Dio e solo lui ha il diritto di promulgare le
leggi, di esigere lobbedienza ti tutti in nome dell’unica fede, senza mubāya’a
(omaggio o dichiarazione di fedeltà mediante la quale i maggioranti
riconoscevano l’autorità del nuovo califfo, la cui carica in pratica
ereditaria, formalmente è sempre stata elettiva) come esigerebbero la giustizia
e la salvaguardia dei diritti individuali. Nessun credente ha diritto di
opporsi al papa, anche qualora questi ritenesse che è un nemico di Dio e
constatasse con i propri occhi che va contro le più consolidate leggi divine.
Ogni azine e parola di questosovrano spirituale, in qulaunque modo si
manifestino fanno parte della religione e della legge. Questo era il potere
della chiesa nel medioevo e la chiesa non cessa a tutt’oggi di rivendicarlo
nelle forme che abbiamo descritto.
(Rasid Rida) Una
delle conseguenze della civiltà moderna è stata la separazione del potere
spirituale da quello temporale. La Chiesa ha conservato l’autorità suprema
sulle convinzioni e le azioni degli uomini nei loro rapporti con Dio e permane
onnipotente per tale materia in cui stabilisce e abolisce, controlla e
sorveglia, rifiuta o concede, lasciando invece al potere temporale la piena
autorità quando si tratta di
sottomettere i rapporti sociali a una norma di diritto e di assicurare il
mantenimento dell’ordine materiale di questo mondo. I cristiani affermano che
questa distinzione è stata per loro una fonte di inestimabili benefici.
(Rasid Rida) Nelle
critiche che gli indirizzano, i cristiani sembrano credere che l’islam esiga
che il potere spirituale e quello temporale siano riuniti nello stesso titolare
che agli occhi dei musulmani la missione del sultano sia di elaborare la
religione, di promulgarne le leggi e di farle applicare e che egli possa usare
la fede a suo piacimento per sottomettere il cuore o convincere la ragione: la
mente e la coscienza dei suoi soggetti non sarebbero così che dei semplici
strumenti nelle sue mani. Ne deducono che la religione assoggetta il musulmano
al proprio sultano. Ora, poiché hanno potuto constatare che il loro capo
spirituale è il nemico della scienza e l’apostolo dell’ignoranza, e poiché
d’altra parte ammettono che l’islam pone come obbligo religioso l’obbedire al
sultano, giungono alla conclusine che l’islam è irrimediabilmente ostile a
qualsiasi spirito di tolleranza e a ogni tipo di ricerca scientifica. Come vedete
si tratta di grossolani errori, lontani da una corretta comprensione di uno dei
principi fondamentali dell’Islam. Non vi è nell’Islam alcun altro potere
spirituale che quello che conferisce il dovere all’esortazione e
all’apostolato. Questo potere Dio l’ha dato al più umile dei musulmani, per
permettergli di avvicinare il maggiore tra essil, così come l’ha affidato al
più potente perché lo applicasse al più umile dei suoi correligionari
(Rasid Rida) Si
obietterà: “Questa autorità spirituale, se il califfo non ha davvero il diritto
di disporne, non appartiene allora al cadi, al mufti e allo saih al-Islam?”
Ecco la mia risposta: “L’islam non ha mai riconosciuto loro il minimo potere né
in materia di dogma né in materia di legge. La loro non è che un’autorità
temporale che è stata instaurata dalla legge stessa. Nessuo di loro è
qualificato a interrogare qualcuno sulle sue convinzioni personali, sul culto
che consacra Dio, o a contestare la concezione che se ne fa”
Lahbabi, uno dei principali esponenti
della cultura marocchina odierna nega ogni valore al rinascimento europeo: “un
passo avanti e due indietro” (secondo lui era stato un disastroso ritorno
tradizionalista all’antichità romana)
(Lahbabi) Il
salafismo, a differenza del rinascimento, non rinnega il medioevo, non rigetta
nulla delle acquisizioni culturali valide, islamiche e non: un ritorno al
Corano e alla Sunna per purificare dogmi e leggi dalla superstizione, dal
sufismo e dai loro derivati, quali la tendenza all’imitazione (taqlid) e lo
spirito di parte. La salafiyya ricerca lo slancio originale e puro dell’islam,
è un ritorno innovatore.
(Lahbabi) Il
medioevo fu per i musulmani un’epoca di rinnovamento, una nuova giovinezza
della civiltà. La salafiyya tende a tornare a quel medioevo, cioè a quello
spirito diiniziativa di critica alla curiosità intellettuale e allo sforzo di
ricerca che hanno caratterizzato la vita medievale musulmana. La salafiyya è
sinonimo del ricorso all’igtihad, cioè all’opinione personale, alla libertà
d’interpretazione e di speculazione in tutti i campi.
(Lahbabi)
Anche la Salafiyya può essere vista soto due differenti aspetti. Innanzitutto è
un movimento di purificazione,di ritorno alle origini per salvarsi dalla
casuistica, dalle superstizioni e dal misticismo che l’Islam aveva raccolto nel
corso della sua evoluzione attraverso i secoli; contemporaneamente si tratta di
una lotta per la riapertura della porta dell’igtihad, lavoro attraverso il
quale la salafiyya moderna si è messa a reinterpretare l’islam, attualizzandolo
e adattandolo alle nuove situazioni createsi mdiane l’incontro con l’Occidente.
(Lahbabi) La
Salafiyya ha conosciuto alcune manchevolezze sin dal suo sorgere. Ha pensato ai
problemi religiosi senza tener conto del nuovo contesto in cui essi erano
inseriti: l’industrializzazione, con gli inediti problemi psicologici e sociali
che porta con sé lo sviluppo di nuove strutture nei centri operai… Non avendo
precisato i rapporti tra riforma religiosa da una parte ed eviluzione
socio-economica dall’altra, essi hanno ritenuto che il mondoislamico procedesse
verso una certa stabilizzazione mentre si trovava in piena crisi, a causa dello
shock prodotto dal confornto con il colonialismo e con l’industria.
(Lahbabi)
Rasid Rida ha dato ai musulmani un’immagine dell’Islam di cui possono andare
orgogliosi, ma dietro l’apologia non c’è
nessun valido apporto sul piano politico-sociale. In politica Rasid Rida si
limita a evocare i vantaggi apportati dal califfato e a proporne la
riorganizzazione. Così i sostenitori della salafiyya non hanno intaccato le
strutture né ripensato i fondamenti dell’Islam nel contesto contemporaneo, né
formulato sistematicamente la problematica ad esso inerente.