UN MANIFESTO CONTRO LA TELEVISIONE
Una patente per fare tv (Karl R. Popper)
Ladra di tempo, serva infedele
(John Condry)
La violenza in tv (Charles S. Clark)
La potenza dei media (Karol Wojtyla)
una patente per fare tv (karl r. popper)
L'articolo di John Condry che qui appare mostra l'immensa
influenza della televisione sui bambini e la grande quantità di tempo che essi
vi passano davanti, due cose che sono ovviamente tra loro collegate. Mi pare
che l'autore di questo saggio sia estremamente bene informato su questi
argomenti e che li tratti con chiarezza e in modo molto oggettivo. Egli giunge
alla conclusione - affermandolo per la prima volta alla fine del suo saggio -
che i bambini non sono da rimproverare per il tempo passato davanti alla tv e
che non è colpa loro se attraverso la televisione ricevono una informazione
distorta. E ne spiega la ragione in un modo che ci lascia senza speranza,
dicendo che «la televisione non scomparirà nel futuro» ma anche che «è
improbabile che cambi al punto da diventare un ambiente ragionevolmente
accettabile per la socializzazione dei bambini».
A questo proposito io vorrei semplicemente fare un rilievo.
Mi sembra che nell'ultimo anno, per esempio in Gran Bretagna, ci sia stato
forse un leggero miglioramento, anche se è così leggero che a stento vale la
pena di parlame. Eppure si può in ogni caso almeno affermare che le cose in
quest'ultimo periodo non sono peggiorate, mentre fino ad anni a noi vicini la
televisione si era degradata in quasi tutti i sensi.
Condry, poi, nel paragrafo
successIvo. comincia dicendo che la televisione non può insegnare al bambini ciò
che debbono sapere via via che crescono e diventano adolescenti e poi adulti.
lo direi diversamente: non può farlo la televisione per come è organizzata
adesso. Io sarei piuttosto dell' opinione che la televisione, potenzialmente
certo, così come è una tremenda forza per Il male potrebbe essere una tremenda
forza per il bene. Potrebbe, ma è assai imp probabile che questo accada. La ragione
è che il compito di diventare una forza culturale per Il bene e terribilmente
difficile. Per dire la cosa nel modo più semplice, non abbiamo gente che possa
realizzare, per più. o meno venti ore al giorno, materia buona, programmi di valore.
E molto più facile trovare gente che produca per venti ore al giorno materia
media e cattiva, più difficile ottenere una buona qualità per una o due ore al
giorno. E' semplicemente un compito di estrema difficoltà, e quante più sono le
stazioni emittenti tanto più diventa difficile trovare professionisti che siano
davvero capaci di produrre cose sia interessanti che di valore. Si può
facilmente produrre materia che si può definire come «non cattiva e noiosa», ma
non. certo materia che sia attraente e di qualità per venti ore al giorno.
C'è dunque una difficoltà fondamentale, interna, che è
stata alla radice del deterioramento della televisione. Il livello è sceso
perché le stazioni televisive, per mantenere la loro audience, dovevano produrre sempre più materia scadente e
sensazionale. Il punto essenziale è che difficilmente la materia sensazionale è
anche buona.
Ora, se qualcuno volesse che io. gli spieghi «che cosa è
bene e che cosa è male», risponderei che non mi piace dare definizioni. Credo
tuttavia che ogni persona realmente responsabile e dotata di intelletto sappia
che cosa intendere per «bene» e «male» in questo campo. Non voglio approfondire
qui questo punto. Basti in ogni caso il rimando al fatto che disponiamo di
molta gente preparata sui problemi dell'educazione, specialmente in America,
dove questi temi sono davvero fortemente presenti nelle università. Non manca
dunque chi sia in grado di distinguere che cosa è bene e che cosa no dal punto
di vista educativo. Ed è perciò possibile applicare questo genere di competenza
per far nascere anche una produzione televisiva migliore, anche se dobbiamo
sapere che non sarà facile e che è un compito per persone di talento quello di
realizzare cose interessanti e buone.
Questo è il problema fondamentale, ma ce n'è un secondo,
altrettanto importante: quello che vi sono troppe stazioni emittenti in
competizione. Per che cosa competono? Ovviamente per accaparrarsi i
telespettatori e non, mi si lasci dire così, per un fine educativo. Non fanno
certamente a gara per produrre programmi di solida qualità morale, per produrre
trasmissioni che insegnino ai bambini qualche genere di etica. Questo aspetto è
importante e difficile, perché l'etica si può insegnare ai bambini soltanto
fornendo loro un ambiente attraente e buono e fornendo loro, soprattutto, buoni
esempi.
Che cosa dobbiamo fare allora?
L'analisi di Condry non ci lascia alcuna speranza ed ha
tuttavia almeno il merito di non propinarci qualche ricetta illusoria e
irrealizzabile. Se riflettiamo sulla storia della televisione, vediamo che, nei
suoi primi anni, essa era abbastanza buona. Non c'erano le cattive cose che
sono arrivate dopo, offriva buoni film e altre cose discrete. La ragione di
questo sta in parte nel fatto che all'inizio non c'era competizione o, per lo
meno, ce n'era molto poca, e anche la domanda non si era ancora estesa. Perciò
la produzione poteva essere più selettiva.
È interessante notare che cosa dicono a questo proposito
coloro che producono tv. In occasione di una lezione che ho tenuto in Germania
non molti anni fa ho incontrato il responsabile di una televisione, che era
venuto ad ascoltarmi, insieme ad alcuni collaboratori. Non ne faccio il nome
per non personalizzare il caso. Ebbi con lui una discussione durante la quale
sostenne alcune orribili tesi, nella cui verità egli naturalmente credeva.
Diceva per esempio: «Dobbiamo offrire alla gente quello che la gente vuole»,
come se si potesse sapere quello che la gente vuole dalle statistiche sugli
ascolti delle trasmissioni. Quello che possiamo ricavare da lì sono soltanto
indicazioni circa le preferenze tra le produzioni che sono state offerte.
Guardando quei numeri noi non possiamo sapere che cosa dovremmo o potremmo
offrire e lui, il capo di quella televisione, non può sapere che cosa la gente
sceglierebbe se ricevesse proposte diverse dalle sue. Il fatto è che egli crede
veramente che la scelta sia possibile soltanto nell'ambito dell'offerta così
com'è e a questo non vede alternative. La discussione che ho avuto con lui è
stata davvero incredibile. Egli credeva che le sue tesi fossero sostenute dalle
«ragioni della democrazia» e si riteneva costretto ad andare nella direzione
che sentiva come l'unica che lui era in grado di comprendere, nella direzione
che sosteneva essere «la più popolare». Ora, non c'è nulla nella democrazia che
giustifichi le tesi di quel capo della tv, secondo il quale il fatto di offrire
trasmissioni a livelli sempre peggiori dal punto di vista educativo
corrispondeva ai principi della democrazia «perché la gente lo vuole». Ma in
questo modo saremo costretti ad andare tutti al diavolo!
Nella democrazia, come ho sostenuto altre volte, non c'è
nient'altro che un principio di difesa dalla dittatura, ma non c'è neppure
nulla che dica, per esempio, che la gente che dispone di più conoscenza non
debba offrirne a chi ne ha di meno. Al contrario la democrazia ha sempre inteso
far crescere il livello dell' educazione; è, questa, una sua vecchia,
tradizionale aspirazione. Le idee di quel signore non corrispondono per niente
all'idea di democrazia, che è stata ed è quella di far crescere l'educazione
generale offrendo a tutti opportunità sempre migliori. Invece i principi che
lui mi ha illustrato hanno come conseguenza che si offrono all' audience
livelli di produzione sempre peggiori e che l'audience li accetta purché ci si
metta sopra del pepe, delle spezie, dei sapori forti, che sono per lo più
rappresentati dalla violenza, dal sesso e dal sensazionalismo. Il fatto è che
più si impiega questo genere di spezie più si educa la gente a richiederne. E
dal momento che questo tipo di intervento è il più facile a capirsi da parte
dei produttori e quello che produce una più facile reazione da parte
dell'audience, si determina una situazione per cui si smette di pensare a
interventi più difficili. Basta prendere la scatola del pepe e metterlo nelle
trasmissioni. Così un responsabile televisivo può pensare che il problema sia
risolto. E questo è quello che è accaduto anno dopo anno da quando la
televisione è partita: spezie più forti sul cibo preparato perché il cibo è cattivo
e con più sale e più pepe si cerca di passar sopra anche a un sapore
disgustoso.
Quando cominciarono le trasmissioni televisive io avevo
intorno ai quarant'anni ed ebbi una discussione piuttosto accesa con la
persona, una docente di psicologia, che era stata incaricata dal governo
britannico di dare una valutazione circa il problema se la televisione fosse o
no pericolosa per i bambini. La professoressa dette il suo responso: no, la tv
non era pericolosa per i piccoli. Credo che fosse giunta a quella conclusione
dopo aver visto alcuni programmi di quella televisione allo stadio iniziale e
che, su quella base, avesse giudicato. Dopodiché il governo britannico fece suo
quel giudizio e la cosa non fu più considerata un problema. Ma da quel momento
in poi il livello dell' offerta televisiva, lentamente ma sicuramente, cominciò
a deteriorarsi fino approssimativamente a un anno fa, quando, almeno in Gran
Bretagna, sono stati così numerosi e ovvi i rilievi circa l'enorme quantità di
violenza e di crimini apparsi nei programmi tv visti anche dai bambini che c'è
stata almeno una sensibile interruzione del deterioramento che era stato fino
ad allora costante.
Otto anni fa, con una lezione, avevo sostenuto la tesi che
stiamo educando i nostri bambini alla violenza e che se non facciamo qualcosa
la situazione necessariamente si deteriorerà perché le cose muovono sempre
nella direzione della minor resistenza. In altre parole si va sempre dalla
parte che risulta più facile, quella in cui uno si aiuta a superare un problema
riducendo le costrizioni del lavoro. Quelle spezie di cui abbiamo parlato sono
il mezzo che i produttori di tv hanno più facilmente a disposizione per
aiutarsi, sono il congegno sperimentato che è sempre in grado di catturare
l'audience. E se l'audience se ne stanca, basta aumentare le dosi. Si tratta di
un meccanismo che probabilmente ripartirebbe anche qualora si spingesse la
situazione indietro. Non conosco la televisione italiana, ma è così in Gran
Bretagna ed anche in America. C'è ormai un discreto numero di casi in cui
responsabili di atti criminali hanno ammesso di aver ricevuto ispirazione per i
loro crimini dalla televisione. Ed è stato clamoroso il caso di due ragazzi, di
dieci anni e mezzo, che a Liverpool hanno rapito e ucciso senza alcun motivo un
bambino di due anni nel febbraio del 1993. Il fatto determinò un grandissimo interesse
e allarme: si trattava di un tipo di depravazione di cui difficilmente si
potevano trovare dei precedenti.
Si è molto discusso collegando quell' episodio anche alla
televisione, ma sono venuti diversi esperti a sostenere che, psicologicamente,
era un errore fare quel collegamento. Per questo io vogioo ora fare una
affermazione molto semplice e molto netta circa la psicologia nella relazione
tra i bambini e la tv.
Tra le altre cose, quando parliamo di pensiero dobbiamo riferirci,
all'«orientamento nel mondo», una capacità che di fatto e, fondamentale perché
possa esserci il pensare. Che cos'è? E la capacità di trovare la nostra strada
nel mondo. Questo argomento mi riporta molto indietro nel tempo. Si tratta di
qualcosa che mi è abbastanza familiare e, anche se non ho scritto molto di
specifico su questo punto, se ne può trovare traccia in varie mie opere sulla
teona della conoscenza. Nel rapporto tra bambini e televisione noi ci troviamo
di fronte a un problema evolutivo: i bambini vengono a questo mondo strutturati
per un compito, quello di adattarsi al loro ambiente. Per quanto ne soiro,
questa formulazione, molto semplice, non era stata finora portata dentro la
discussione sul problema della tv. In altre parole, nel loro intero
equipaggiamento per la vita, i bambini sono attrezzati in modo da potersi
adattare ai diversi ambienti che troveranno intorno a loro. Essi sono perciò
dipendenti, in misura considerevole nella loro evoluzione mentale dal loro
ambiente e ciò che chiamiamo educazione è qualcosa che influenza questo
ambiente in un modo che giudichiamo buono per lo sviluppo di questi bambini. Noi
mandiamo i bambini a scuola perché possano imparare qualcosa. Ma che cosa
significa realmente «imparare»?
E che cosa significa «insegnare»? Significa influenzare Il loro ambiente In
modo che possano prepararsi per i loro futuri compiti: il compito di diventare
cittadini, il compito di guadagnare denaro, il compito di diventare padri e
madri per una nuova generazione e così via. Perciò tutto dipende dall'ambiente,
vale a dire che, come generazione precedente, noi abbiamo la responsabilità di
creare le migliori condizioni ambientali possibili. Ora, il punto è che la
televisione è parte dell' ambiente dei bambini ed una parte per la quale noi
siamo ovviam:nte responsabili, perché si tratta di una parte dell' ambiente
fatta dall'uomo (man-made).
Nel corso della mia vita mi sono a lungo occupato di educazione.
In particolare ho imparato molto nel rapporto con i soggetti più difficili, che
provenivano quasi sempre da case in cui c'era violenza. Per lo più Si trattava
di violenza esercitata sulle madri da parte dei padri di questi piccoli e in
generale questi padri erano alcolizzati che condizionavano con la violenza
l'intera vita familiare. Questo era il modo tipico in cui l'ambiente di bambini
sfortunati poteva venire influenzato dalla violenza. Adesso la violenza in casa
è sostituita ed estesa dalla violenza che appare sullo schermo televisivo. È
attraverso questo mezzo che essa viene messa davanti ai bambini per ore ogni
giorno. La mia esperienza mi porta a considerare questo punto molto importante,
direi decisivo.La televisione produce violenza e la porta in case dove
altrimenti violenza non ci sarebbe.
Veniamo ora al problema di che cosa fare. Chiediamoci: si
può fare qualcosa? In realtà sono in molti a pensare, come Condry, che non si
possa fare nulla, specialmente m un paese democratico, perché, prima obiezione,
la censura non si sposa bene con la democrazia e, seconda obiezione, la censura
non sarebbe efficace con la televisione perché arriverebbe sempre in ritardo e
sarebbe praticamente impossibile da organizzare il lavoro di un censore
preventivo sulle trasmissioni. Si potrebbe forse per questa via agire nei
confronti di responsabili della produzione di cui si conosce la cattiva fama
per il largo uso che fanno della violenza, ma non è un metodo che si possa
estendere all'intero sistema televisivo.
Illustrerò allora brevemente la mia proposta, per la quale
ho adottato il modello fornito dai medici e dalla forma di controllo
generalmente istituita per la loro disciplina. I medici sono controllati dalle
proprie organizzazioni, secondo un metodo che è altamente democratico. I medici
hanno infatti un grande potere, sulla vita e la morte dei loro pazienti, che
deve necessariamente essere sottoposto a un controllo. E in tutti i paesi
civili c'è una organizzazione attraverso la quale i medici controllano se
stessi e c'è anche, naturalmente, una legge dello Stato che definisce le
funzioni di questa organizzazione. lo propongo che una organizzazione simile
sia creata dallo Stato per tutti coloro che sono coinvolti nella produzione di
televisione. Chiunque sia collegato alla produzione televisiva deve avere una
patente, una licenza, un brevetto, che gli possa essere ritirato a vita qualora
agisca in contrasto con certi principi. Questa è la via attraverso la quale io
vorrei che si introducesse finalmente una disciplina in questo campo. Chiunque
faccia televisione deve necessariamente essere organizzato, deve avere una
patente. E chiunque faccia qualcosa che non avrebbe dovuto fare secondo le
regole dell'organizzazione, e sulla base del giudizio dell' organizzazione, può
perdere questa patente. L'organismo che avrà la facoltà di ritirare la patente
sarà una sorta di Corte. Perciò tutti, in un sistema televisivo che operasse
secondo la mia proposta, si sentirebbero sotto la costante supervisione di
questo organismo e dovrebbero sentirsi costantemente nelle condizioni di chi,
se commette un errore, sempre in base alle regole fissate dall'organizzazione,
può perdere la licenza. Questa supervisione costante è qualcosa di molto più
efficace della censura, anche perché la patente, nella mia proposta, deve
essere concessa solo dopo un corso di addestramento al termine del quale ci
sarà un esame.
Uno degli scopi principali del corso sarà quello di
insegnare a colui che si candida a produrre televisione. che di fatto, gli piaccia
o no, sarà coinvolto nella educazione di massa, in un tipo di educazione che è
terribilmente potente e importante. Di questo si dovranno rendere conto,
volenti o nol enti, tutti coloro che sono coinvolti dal fare televisione:
agiscono come educatori perché la televisione porta le sue immagini sia davanti
ai bambini e ai giovani che agli adulti. Chi fa televisione deve sapere di aver
parte nella educazione degli uni e degli altri.
Quando mi è capitato di parlare di questo con lavoratori
della televisione, mi sono reso conto che la cosa appariva loro come una
novità. Non avevano mai pensato a fondo a questo aspetto del loro lavoro, ma
non facevano fatica ad ammettere che le cose stavano così. Ciò che devono
imparare è che l'educazione è necessaria in ogni società civilizzata, che i
cittadini di una società civilizzata, le persone cioè che si comportano
civilmente, non sono il risultato del caso, ma sono il risultato di un processo
educativo. E in che cosa consiste fondamentalmente un modo civilizzato di
comportarsi? Consiste nel ridurre la violenza. È questa la funzione principale della
civilizzazione ed è questo lo scopo dei nostri tentativi di migliorare Il
livello di civiltà delle nostre società. Ritengo che i corsi debbano essere
basati sull'insegnamento della importanza fondamentale della educazione, delle
sue difficoltà e del fatto che il punto centrale nel processo educativo non
consiste soltanto nell'insegnare fatti, ma nell'insegnare quanto sia importante
l'eliminazione della violenza.
Nel corso si dovrà insegnare come i bambini ricevono le
immagini, come assorbono quello che la televisione offre e come cercano di
adattarsi all'ambiente influenzato dalla televisione. Si dovranno insegnare i
meccanismi mentali attraverso i quali sia i bambini che gli adulti non sono
sempre in grado di distinguere quello che è finzione da quello che è realtà.
C'è stato per esempio, qui in Inghilterra, il caso di una signora che ha
cercato di punire un attore dopo che questi aveva recitato la parte di un
criminale. Ed è del resto un obiettivo della fiction in generale e di varie forme di fiction offerte dalla televisione quello di fare apparire le scene
più vive e reali che sia possibile.
I procedimenti mentali che distinguono. o sovrappongono
realtà e finzione devono essere conosciuti dal lavoratori della televisione
perche per molti di loro sono una novità. Molti di loro ignorano le conseguenze
subconscie che il loro lavoro ha sia sui bambini che sugli adulti. È evidente
che questo genere di effetti della televisione dipende dal livello di
intelligenza degli ascoltatori e da altri fattori: tutto questo dovrà essere
oggetto del corso, nel quale si metterà una particolare attenzione al rischio
di mescolare realtà e finzione e agli effetti di confusione che ne possono
derivare sui soggetti più esposti.
Esiste un certo livello di apprendimento e di intelligenza
che è necessario alle vittime della televisione per distinguere tra quello che
viene loro offerto come realtà e quello che viene loro offerto come finzione, si
tratta di un problema molto serio che dovrà essere approfondito nei corsi
perché gli addetti alla televisione si rendano ben conto di quello che stanno
facendo. E la concessione della patente dovrà essere subordinata a un esame con
il quale i candidati dimostrino non soltanto di avere appreso la materia, ma
anche di essere consapevoli della loro responsabilità educativa nei confronti
dell' audience. E dovranno promettere di tener fede a questa responsabilità
agendo di conseguenza. Chi fa televisione dovrà saper bene quali sono le cose
da evitare in modo da impedire che la sua attività abbia conseguenze
antieducative.
L'istituzione della patente non dovrà riguardare soltanto i
produttori di televisione che hanno la più elevata responsabilità nelle
decisioni sui programmi, ma tutti i lavoratori, anche i tecnici, i cameramen,
perché tutti coloro che sono coinvolti nella produzione televisiva ne portano
una responsabilità. E ogni lavoratore potrà dire ai dirigenti della produzione:
«Non lavoro a questo programma perché voglio tener fede alla promessa che ho
fatto e non voglio rischiare che mi ritirino la patente». Questo dovrebbe
creare una situazione in cui il produttore è sottoposto di fatto al controllo
della gente che lavora alle sue dipendenze.
La proposta che io ho qui avanzato non è soltanto molto
urgente, ma dal punto di vista della democrazia è anche assolutamente
necessaria. E spiego perché in poche parole conclusive. La democrazia consiste
nel mettere sotto controllo il potere politico. È questa la sua caratteristica
essenziale. Non ci dovrebbe essere alcun potere politico incontrollato in una
democrazia. Ora, è accaduto che questa televisione sia diventata un potere
politico colossale, potenzialmente si potrebbe dire anche il più importante di
tutti, come se fosse Dio stesso che parla. E così sarà se continueremo a
consentirne l'abuso. Essa è diventata un potere troppo grande per la
democrazia. Nessuna democrazia può sopravvivere se all' abuso di questo potere
non si mette fine. In questo momento se ne abusa sicuramente, per esempio, in
Jugoslavia, ma l'abuso può avvenire dovunque. Se ne fece ovviamente abuso in
Russia. In Germania non c'era la televisione sotto Hitler, anche se la sua
propaganda fu costruita sistematicamente quasi con la potenza di una
televisione. Credo che un nuovo Hitler avrebbe, con la televisione, un potere
infinito.
Una democrazia non può esistere se non si mette sotto
controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a
quando il potere della televisione non sarà stato pienamente scoperto. Dico
così perché anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto
consapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi conto fino
in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle
situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi. Noi dobbiamo saper
vedere ora questa possibilità e controllare la televisione con i mezzi che qui
ho proposto. Naturalmente io credo che essi siano i migliori e forse anche gli
unici. È ovvio che qualcun altro può avanzare proposte migliori, ma finora non
mi pare di averne sentite.
ladra
di tempo, serva infedele (john condry)
La marea dell' evoluzione biologica si muove lentamente,
privilegiando nell' arco di secoli determinate mutazioni rispetto ad altre. Ben
diversa è l'evoluzione sociale, alimentata dalla scoperta e dall'invenzione, e
sovente rapida e imprevedibile. Vi sono invenzioni che provocano cambiamenti
lievi, in genere in meglio, a volte in peggio: pensiamo alla polvere da sparo.
Ma ve ne sono altre che modificano la cultura e la società in maniera profonda
e imprevedibile, una maniera che non si può comprendere se non
retrospettIvamente.
Oggi c'è qualcosa che non va nei bambini americani, nel
modo in cui crescono. La cosa è evidente. Ne vengono fornite molte spiegazioni
diverse, che in genere fanno riferimento alle rapide trasformazioni intervenute
in questi ultimi anni. L'intensificazione del traffico ha modificato il tessuto
urbano, distruggendo vecchi quartieri e lacerandone le infrastrutture sociali.
La famiglia appare completamente stravolta e la scuola funziona male, quando
funziona. I punteggi conseguiti dagli alunni in occasione di alcuni test hanno
mostrato un calo costante negli ultimi vent' anni e non vi sono miglioramenti
in vista. Suicidi e omicidi sono in aumento. Molti bambini danno segni evidenti
di disturbi fisici e di sofferenza mentale. Si può affermare che la televisione
è responsabile in qualche misura di questa situazione?
Per comprendere il ruolo della televisione nella vita del
bambini americani è importante cominciare da un'ampia panoramica delle loro esigenze.
Come fa un bambino a diventare un componente utile della società? In che modo si
lavora sulla sua immaturità per prepararlo alla vita adulta? Come passa il
tempo? Il tempo è un'unità di misura assai utile perché, a differenza delle
ricchezze e delle opportunità, è un bene identico per tutti. Se la giornata è
fatta di 24 ore, e se di queste 24 ore molti ne trascorrono16 svegli, Il totale
delle 112 ore settimanali di veglia costituisce un oggetto di studio
appropriato. Come trascorrono quelle 112 ore i bambini americani di oggi,
specie quelli di età compresa fra 3 e 11 anni?
Fino a circa duecento anni fa, la maggior parte del bambini
trascorreva quel tempo nelle comunità e nei villaggi in cui era nata,
osservando gli adulti nelle loro attività di lavoro e di gioco. I bambini
acquisivano le capacità e le attitudini necessarie ad inserirsi in una società
che conoscevano ed avevano a portata di mano. Capacità e attitudini che
sviluppavano da piccoli e che tornavano loro utili una volta diventati adulti.
Ciò che veniva appreso m Iamiglia durante una generazione veniva messo in
.pratica nella successiva. Il bambino imparava a conoscere Il lavoro e la vita,
acquisiva quelle conoscenze del mondo che esistevano nella famiglia e nella
comunità.
In parte, la situazione ha commciato a cambiare con la
rivoluzione industriale. Le persone si staccavano m numero crescente dalle
comunità in cui avevano vissuto per generazioni e si trasferivano nelle città,
vecchie e nuove, in cerca di altre opportunità economiche e sociali. Nel nuovo
mondo industriale urbano, i bambini osservavano la vita in modi nuovi. Le
scuole sono state inventate proprio per integrare le opportunità di
apprendimento offerte dall' osservazione quotidiana.
La situazione si è modificata in modo ancor più
spettacolare negli ultimi anni. Si sa che nella settimana-tipo i bambini
americani trascorrono all'incirca 40 ore guardando la televisione e giocando
con i video giochi. Se a queste si aggiungono le 40 ore di scuola, compreso il
tempo necessario per andarvi e tornarvi e per fare i compiti a casa, restano
soltanto 32 ore per avere rapporti con i coetanei e i familiari. Se vogliamo
capire che cosa sanno i bambini sul mondo e su se stessi, occorrerà esaminare
con attenzione l'ambiente creato dalla famiglia, dalla scuola, dai coetanei e
in particolare dalla televisione. Il ruolo svolto da quest'ultima nel creare un
ambiente in cui i bambini socializzano merita di essere studiato.
Perché si guarda la tv?
I bambini si accostano alla televisione e la guardano con
motivazioni che differiscono in misura significativa da quelle prevalenti fra
gli adulti. La maggior parte degli adulti, per loro stessa ammissione, guarda
la televisione «per divertimento». La maggior parte dei bambini, pur trovandol.a
divertente, guarda la televisione perché cerca di capire il mondo. Molti adulti
considerano la televisione poco significativa e la guardano con quella che
talora si definisce «sospensione dell'incredulità». Pur di divertirsi,
accettano l'allontanamento dalla raffigurazione realistica e, a seconda delle
premesse del programma, capiscono perfettamente perché un dato personaggio vola
per aria, diventa invisibile, compie azioni sovrumane. Per definizione, uno
spettacolo di fiction non deve per
forza essere possibile, reale o vero.
Invece i bambini, pur apprezzando gli aspetti di
intrattenimento della televisione, hanno più difficoltà - a causa della loro
limitata comprensione del mondo - a discernere i fatti dalla finzione. Sono più
vulnerabili degli adulti. Gli influssi primari che i bambini subiscono - la
famiglia, i coetanei, la scuola e la televisione - operano tutti insieme. I
bambini non sono molto capaci di separare ciò che imparano in questi diversi
contesti. Anzi, l'utilità dell'informazione ottenuta in uno di essi dipende in
parte da ciò che si impara negli altri. Senza il sostegno della famiglia, gran
parte di ciò che succede a scuola perderebbe di importanza. Se la scuola fosse
più efficace, la televisione non sarebbe tanto potente. I coetanei esercitano
il loro influsso e il loro potere nella misura in cui la famiglia e la scuola
non esercitano il proprio.
L'esposizione e i contenuti
L'influenza della televisione dipende da due fattori: l'esposizione
e i contenuti. Quanto maggiore è l'esposiZIOne dello spettatore allo spettacolo
televisivo, tanto maggiore è, in genere, l'influenza esercitata dal mezzo. In
una certa misura, la natura di tale influenza sarà determinata dai contenuti.
Tuttavia, l'esposizione basta da sola ad influenzare lo spettatore,
indipendentemente dai contenuti. Vediamo quindi alcuni dati riguardanti
l'esposizione.
Negli Stati Uniti la televisione è nata negli anni
cinquanta. Nel primo anno di quel decennio, aveva un televisore circa il 10 per
cento delle famiglie americane; nel 1960 la percentuale era salita al 90 per
cento, e quasi tutti coloro che possedevano un apparecchio guardavano
regolarmente la televisione. L'introduzione di quest'ultima ha quindi provocato
un vasto mutamento nel modo in cui gli americani passavano il tempo. Mentre
l'invenzione dell'automobile ha determinato un aumento dei tempi di viaggio
pari a soltanto al 6 per cento (sebbene su distanze maggiori), l'avvento della
televisione ha provocato, secondo alcune stime, un aumento del 58 per cento del
tempo trascorso a contatto con i mezzi di comunicazione.
A partire dal 1950, il tempo durante il quale la famiglia
americana media tiene acceso l'apparecchio televisivo - attualmente, oltre 7
ore al giorno - è costantemente aumentato; l'americano medio guardava la
televisione per circa 4 ore al giorno, un po' di più durante il week-end. Negli
anni ottanta, quando sono divenuti largamente disponibili la tv via cavo e i
videoregistratori, la quota di audience delle tre principali reti americane ha
cominciato a calare, passando dal 90 per cento circa delle famiglie americane
al 60 per cento di oggi. In ogni caso, la quantità di tempo trascorso a
guardare la televisione è rimasta approssimativamente costante, solo che adesso
è suddivisa fra più emittenti. Questi dati statistici sono altrettanto
rilevanti per i bambini quanto per gli adulti. Il bambino americano medio
guarda la televisione per circa 4-5 ore al giorno durante la settimana e per
circa 7-9 durante il wcek-end, per un totale approssimativo di 40 ore a
settimana. Sono compresi i film in videocassetta, i video giochi e la tv via
cavo. Indipendentemente da ciò che vedono, i bambini che guardano molto la
televisione tendono a leggere di meno, a giocare di meno e ad essere obesi.
Questi sono gli «effetti indiretti» del guardare continuamente la tv.
Se l'obesità è un problema nazionale per i giovani
americani, la televisione svolge un ruolo significativo nel provocare questo
disturbo? Anche se non è chiaro quanto sia forte il nesso causale fra le due
cose, vi sono fondati motivi di sospettare che esista. Un'occupazione passiva
sul piano fisico come. guardare la televisione è spesso accompagnata dalI
assunzione di cibo, e gli studi mostrano un calo del tasso metabolico fra i telespettatori,
specie per quanto riguurda i bambini già obesi. È possibile che i cibi
reclamizzati sul piccolo schermo stimolino lo spettatore a mangiare e il cibo e
il prodotto più reclamizzato.
La televisione è una ladra di tempo. Quando i bambini la
guardano ininterrottamente per ore, non fanno molte cose che sul lungo periodo
possono essere assai più importanti dal punto di vista del loro sviluppo. Ma
non c'è solo questo: il contenuto di programmi e di pubblicità della
televisione influenza profondamente atteggiamenti credenze e azioni dei
bambini.
In genere i bambini cominciano a guardare i cartoni animati
attorno ai due anni di età. Via via che crescono, fra i 6 e gli 11, conquistano
sempre più il loro favore le sitcom o situation
comedies, cioè gli sceneggiati comici.
I bambini piccoli guardano i cartoni animati perché sono ben
«marcati», cioè ogni azione è sottolineata da caratteristiche atte ad attirare
l'attenzione. Questa «marcatura» sostituisce l'attenzione e la comprensione.
Dal momento che l'attenzione del bambino è discontinua, gli effetti audio della
televisione contribuiscono a richiamarli davanti all'apparecchio.
Per lo più, l'attenzione del bambino non si fissa perché il
matenale e facilmente comprensibile. I bambini capiscono qualcosa dei contenuto
dei singoli programmi, ma non alla stessa mamera degli adulti, Ad esempio, non
capiscono le sequenze lunghe e hanno una comprensione ridotta delle motivazioni
e delle intenzioni dei singoli personaggi. Non sono capaci di trarre deduzioni
da un azione cui non assistono direttamente, cioè da un'azione sottintesa ma
non esplicitamente mostrata.
Ad esempio, i bambini assistono a scene violente, e a modo
loro possono forse concludere che «il più forte ha ragione». Tuttavia, è
improbabile che comprendano i messaggi più sottili, cioè che certe azioni sono
più significative di altre. Un'idea che senz'altro capiscono è che se uno vuole
una cosa e ha più potere di un altro, la ottiene. Questo messaggio figura in
posizione preminente nei cartoni animati di «azione-avventura» che hanno
sostituito gli spettacoli dal vivo di cui un tempo era fatta la tv per bambini.
È ampiamente documentato che il quantitativo di violenza contenuto negli
spettacoli per bambini è sostanzialmente maggiore rispetto a quello dei
programmi per adulti trasmessi durante la fascia oraria di massimo ascolto. Ad
esempio, un recente studio ha dimostrato che nei programmi per bambini figura
una media di 25 atti di violenza l'ora, contro i 5 l'ora dei programmi di prime time per adulti. I cartoni animati
di «azione-avventura» sono «vicende di potere».
Guardare simili programmi influenza il comportamento dei
bambini? Centinaia di studi, effettuati a partire dai primi anni sessanta -
studi sperimentali su un numero limitato di bambini e vasti studi sul campo
condotti in culture diverse utilizzando una varietà di tecniche - concordano
per lo più sul fatto che i bambini di entrambi i sessi che guardano molto la
televisione sono più aggressivi di quelli che non la guardano spesso. Assistere
a programmi televisivi violenti ne influenza non soltanto il comportamento ma
anche atteggiamenti, credenze e valori. Ad esempio i giovani che vedono molta
televisione in genere hanno più paura delle situazioni violente che possono verificarsi
nel mondo reale. Altri, invece, sono desensibilizzati rispetto alla violenza,
cioè questa li colpisce di meno: la loro risposta alla violenza si riduce.
Il contenuto della televisione destinata ai bambini
presenta personaggi maschili e femminili in ruoli stereotipati; , chi guarda
molto la televisione mostra, nei propri atteggiamenti in fatto di ruoli
sessuali, l'influsso di ciò che ha visto in tv. Nel modo di rappresentare le
persone molto giovani e molto anziane, i medici e la polizia, o i malati
mentali, le convenzioni televisive distorcono gravemente le situazioni della
vita reale.
A mano a mano che il bambino cresce, aumenta la sua
capacità di afferrare il senso di vicende complesse, in parte perché ne sa di
più del mondo, ma anche perché ha maggiore familiarità con le forme e la
struttura della televisione: è diventato television literate, cioè ha contratto
consuetudine con il linguaggio televisivo. A quel punto trova gradevoli le
situation come dies. Al pari dei cartoni animati, queste sono contrassegnate da
risate registrate, piuttosto che da suoni inconsueti; ma gli effetti
sull'attenzione e sulla comprensione sono identici. Nel corso degli anni, le
sitcom sono diventate una delle forme prevalenti e più popolari di
intrattenimento televisivo. Non sono violente. La risata registrata dice al
bambino che è successo qualcosa d'importante, e questo a sua volta serve a
introdurlo ad usanze e a valori specifici per quanto riguarda, in particolare,
le abitudini sessuali.
Via via che i bambini procedono verso la prima adolescenza,
attorno ai 9-10 anni, i loro gusti si differenziano sempre più a seconda del
sesso; cominciano a imitare le preferenze degli adulti. Molte bambine amano le
telenovelas, nella convinzione di imparare qualcosa sulla vita; molti ragazzi
amano le avventure di azione, spesso per lo stesso motivo. I programmi di
action adventure presentano, nel ruolo di protagonista, un maschio che in
genere trionfa su un «cattivo». Sono messaggi che fanno presa soprattutto
sui ragazzi. Gli spettacoli con eroi maschili attirano
anche le bambine, mentre non è vero l'inverso; i maschietti tendono a evitare i
programmi in cui il ruolo di protagonista è svolto da una ragazza o da una
donna. Questo è uno dei motivi per cui vi sono così pochi programmi televisivi
per bambini con protagoniste femminili; semplicemente, non sono altrettanto
redditizi.
L'elogio del presente
I bambini non fanno forse quel che hanno sempre fatto, cioè
osservare la società per capire meglio che posto occupano al suo interno? La
televisione non li informa forse sugli usi e sui costumi esattamente come in
passato i bambini acquisivano tali informazioni osservando le persone che li
circondavano?
La risposta è semplice: sì e no. Sì, i bambini fanno quel
che hanno sempre fatto, con minor aiuto che mai da parte degli adulti; no, la
televisione non li informa sul mondo, anzi spesso li disinforma. La televisione
non è concepita per fornire ai bambini informazioni circa il mondo reale.
Quando viene usata per questo scopo fa un pessimo lavoro. La tv moderna, specie
nel modo in cui viene attualmente utilizzata negli Stati Uniti, ha un unico
obiettivo: vendere merci. La televisione è fondamentalmente uno strumento
commerciale. I suoi valori sono i valori del mercato; la sua struttura e i suoi
contenuti rispecchiano tale obiettivo.
Lo scopo dei responsabili della programmazione televisiva è
catturare l'attenzione del pubblico e trattenerla abbastanza a lungo per
propagandare un prodotto. Considerato il funzionamento della psiche umana, non
è compito facile. Gli esseri umani si annoiano e si desensibilizzano
facilmente. Per conquistare la nostra attenzione, la televisione è costretta a
trasformarsi di continuo. Si interessa esclusivamente al presente immediato;
non ha alcun interesse a soffermarsi su problemi che non ammettono una
soluzione di breve periodo. Ad esempio, le rivolte nei ghetti di Los Angeles,
che hanno dominato per una settimana i notiziari televisivi nella fascIa oraria
di massimo ascolto, vengono dimenticate in un mese, se si accetta che la
televisione sia lo specchio della memona degli spettatori.
La drammatizzazione televisiva non ha alcun motivo di
occuparsi della realtà. Se quel che attrae l'attenzione è distorcere la realtà
vi sarà distorsione. Scopo primario della televisione, anche di quella sua
parte che si definisce «istruttiva», è conquistare l'audience. Anche se la tv istruttiva per lo più non si occupa di
vendere prodotti, essa compete con la tv commerciale per l'attenzione del
pubblico.
La televisione vive nel presente, non ha rispetto per il
passato e ha scarso interesse per il futuro. Guardare la televisione incoraggia
atteggiamenti che per i bambini possono essere disastrosi. Una delle funzioni
primarie dell'istruzione sia a casa che a scuola, è di collegare il passato con
il futuro, di mostrare in che modo il presente discende da ciò che lo ha preceduto,
e in che modo il futuro è legato ad entrambi.
La televisione è governata dall' orologio, Oualsiasi
elemento drammatico e qualsiasi incertezza che vengano introdotti debbono
essere risolti e soddisfatti entro la fme del programma. Ci sono i prodotti da
vendere. È il tempo che detta il passaggio ad un altro programma, ad altri prodotti.
Almeno sotto questo profilo, la televisione rassomiglia alla scuola. Se un allievo
s'interessa ad uno specifico argomento, se una discussione rivelatrice e coinvolgente
inizia appena prima della campanella, non c'è scampo alla tirannide dell'
orologio. La campanella suona: è ora di cambiare argomento. Atteggiamenti del
genere banalizzano l'interesse e ostacolano l'apprendimento; dicono ai bambini
di non lasciarsi coinvolgere troppo da nulla. C'è forse da stupirsi se gli
insegnanti riferiscono che l'attenzione degli alunni è discontinua, che non si
sofferma mai a lungo su nulla, neppure sugli argomenti che hanno scelto loro
stessi? Né la televisione né la scuola promuovono l'interesse verso le materie
di studio al di là di quel che consente l'orologio; questo banalizza la ricerca
del sapere.
La televisione non mostra nessuna curiosità autentica, né
questa è attributo comune fra i bambini assuefatti ai suoi programmi. La tv non
lascia spazio al mistero. La comprensione del vero mistero richiede tempo; esso
presuppone una base di conoscenze di fondo, stimolate da situazioni del mondo
reale.
Un vero mistero può essere accompagnato da uno spezzone
audio di notiziario della durata di 30 secondi, ma i bambini sono scarsamente
interessati ai notiziari; preferiscono guardare altre cose, a volte programmi
televisivi che parlano di misteri. Uno di questi programmi, intitolato Unsolved mysteries [«Gialli irrisolti»],
in genere parla di banalità: una navicella spaziale atterrata in qualche parte
del New Jersey o qualche altro avvenimento fittizio paragonabile. Questa non è
realtà e non è mistero.
Se i bambini di oggi sono crudeli verso i loro simili, come
sostengono alcuni, se mancano di solidarietà, se ridono dci deboli e
disprezzano le persone che mostrano di aver hisogno di aiuto, questi
atteggiamenti sono forse attribuihili a ciò che si vede sul piccolo schermo? I
poveri e i me- 110 fortunati sono rappresentati di rado in televisione, e
quando ciò accade vengono per lo più additati al ridicolo. La ricchezza è la
chiave per passarsela bene in tv; i più ammirati sono ricchi, vivono in dimore
sontuose e vanno in giro a bordo di limousine lunghe come treni.
La cosa davvero assurda è che la tv non mostra mai nessuno
intento a lavorare per guadagnare le ricchezze che ostenta. Non esiste alcun
legame fra il lavoro e la vita. I bambini, che preferiscono la soluzione più
rapida ai problemi, cercano la bella vita cosi come la definisce la
televisione, vale a dire possedere tante cose, ma non sanno come procurarsele.
E come potrebbe essere diversamente? Mostrare gente che lavora per la
televisione è una bestemmia, uno spreco di tempo! Rende la tv noiosa, e ciò
sarebbe inammissibile. In televisione, ogni momento dev'essere emozionante,
ogni avvenimento deve attrarre l'attenzione. A queste condizioni, è impossibile
raffigurare il rapporto causale fra lavoro e ricchezza o altri che non sono
facili da raffigurare o presentabili sul piano visivo.
Che cosa insegna la televisione
Come ha detto una volta Nicholas Johnson, ex capo della
Federai Communications Commission (Fcc), l'ente federale degli Usa per le
comunicazioni, «la tv è tutta istruttiva; ma la domanda è: che cosa insegna?».
Vediamo alcuni casi specifici. Da circa dieci anni il paese è impegnato in
quella che viene eufemisticamente definita «guerra alla droga». Quasi tutti
sono d'accordo sul fatto che un aspetto centrale di questa «guerra» sia la
componente educativa. Nel quadro dell'iniziativa, svariati organismi, fra cui
la Partnership for a Drug-Free America, hanno sponsorizzato brevi annunci
pubblicitari televisivi della durata di 30 secondi che esortano gli spettatori,
in particolare i giovani, ad evitare l'uso di droghe. Per verificare
l'affermazione citata, Cynthia Scheibe, Tim Christensen ed io abbiamo condotto
uno studio sui messaggi televisivi pro e contro la droga. Abbiamo dunque
codificato un campione rappresentativo del contenuto delle trasmissioni
televisive del 1989 (programmi e pubblicità). Sono stati oggetto di
interpretazione tutti i messaggi riguardanti droghe e farmaci che fossero
favorevoli (un personaggio che fa uso di droghe raffigurato sotto una luce
positiva) o contrari (un personaggio che fa uso di droghe presentato sotto una
luce negativa). Abbiamo circoscritto la nostra analisi a messaggi concernenti
bevande alcooliche, fumo di tabacco, o droghe o farmaci assunti per via orale,
inalati o fumati. Abbiamo definito «messaggio pro-droga» ogni situazione in cui
veniva rappresentato un personaggio che beveva o fumava sigarette e se li
godeva senza conseguenze negative. Il messaggio in cui un personaggio faceva le
stesse cose ma subiva qualche genere di danno, lo abbiamo considerato un
«messaggio anti-droga».
Durante le 36 ore di trasmissione prese a campione, su due
giornate-tipo, i messaggi attinenti al tema droga sono stati 149. Di questi, 121
erano pro-droga, cioè 1'81,2 per cento; 22 anti-droga, cioè il 14,8 per cento e
6 erano ambigui. Insomma, per ogni messaggio anti-droga ce n'erano 6
favorevoli. Per certi tipi di droga, il rapporto era ancora più alto; per il
solo alcool, ad esempio, ci sono stati 10 messaggi favorevoli per ciascuno
contrario.
Molti dei messaggi «pro-droga» erano inseriti in annunci
pubblicitari relativi a farmaci, birra o vino, e nelle caratterizzazioni in cui
erano contenuti, i personaggi utilizzavano allegramente droghe legali - alcool
e sigarette - per sentirsi meglio, per festeggiare un successo, per tirarsi su
dopo una sconfitta, per rilassarsi dopo una giornata dura.
Per ogni messaggio televisivo che dice: «Dite no alla
droga», dunque, ve ne sono 6 che dicono: «Se non ti senti bene, prendi una
droga o un farmaco per modificare il tuo stato». Non riesci a dormire? Prendi
qualcosa. Non riesci a stare sveglio? Prendi qualcosa. Vuoi dimagrire? Prendi
qualcosa. Ti senti un po' giù? Prendi qualcosa, oppure beviti una birra o un
bicchiere di vino. Quindi, sebbene le campagne di pubblico interesse siano
efficaci nell'influenzare gli atteggiamenti circa i rischi dell'abuso di droghe
e di alcool, la maggior parte dei messaggi televisivi raffigura un mondo in cui
l'uso dell'alcool e delle droghe è diffuso in misura allarmante. Che cosa
insegna questo ai giovani a proposito dell'uso e dell'abuso di sostanze? Non
dice forse, in fondo, che le droghe sono legittime, fanno parte della cultura
generale, tranne naturalmente per le poche che non rientrano fra quelle
ammesse?
Non molto diversa è la situazione per quanto riguarda il
sesso in tv. Molti pre-adolescenti e adolescenti guardano la televisione e vi
scorgono una fonte d'informazione sul comportamento sessuale. Tale informazione
- che non è facilmente accessibile altrimenti, visto che molti genitori hanno
difficoltà a parlare di sesso con i figli - è di importanza cruciale per molti.
Secondo i risultati di un sondaggio del 1969, le principali fonti
d'informazione sulla sessualità erano i genitori e i coetanei; la televisione
non figurava tra di esse. In un'indagine condotta nel 1987, due terzi degli
adulti interpellati si sono detti convinti che la televisione incoraggiasse
l'attività sessuale fra i teenager e non ritraesse la sessualità in un modo che
si potesse definire realistico.
In un sondaggio del 1986, a 1100 adolescenti di età
compresa fra i 10 e i 14 anni è stato chiesto quali programmi televisivi
preferissero. È seguita un'analisi dei contenuti dei ruoli sessuali così com'erano
presentati in quelle trasmissioni. La maggior parte dei riferimenti alla
sessualità erano verbali e non visivi. Il rapporto sessuale in genere era fra
coppie non sposate. I programmi in cui il sesso era raffigurato più comunemente
erano le telenovelas del pomeriggio. Negli spettacoli serali, il comportamento
sessuale era largamente rappresentato in chiave umoristica, mentre le
raffigurazioni in chiave seria erano circoscritte ai programmi della tarda
serata, come Dallas. L'omosessualità, menzionata di rado, figurava spesso come
tema umoristico. Infine in quei programmi non era comunemente rappresentata la
normale gamma di comportamenti sessuali di tipo amoroso.
Lo spettatore televisivo adolescente veniva dunque esposto in
media a circa 2500 riferimenti al sesso in un anno. Come ha scritto uno dei
ricercatori «il sesso è trattato come preludio alla violenza o contesto di
violenza, oppure visto come un aspetto della vita da affrontare con una risata
nervosa. Nelle sitcom e negli spettacoli di varietà, i personaggi si toccano, si
baciano, si abbracciano e suggeriscono un'intimità sessuale mediante allusioni
e atteggiamenti di flirt e di seduzione; questi messaggi carichi di
suggerimenti in genere sono accompagnati da risate registrate».
C'è forse da stupirsi che oggigiorno i bambini abbiano
problemi con l'intimità? Il comportamento sessuale non si può imparare dalla
televisione, e questo per due motivi: primo, le rappresentazioni sono
generalmente false e distorte; secondo, nulla ci viene detto su quel che
potremmo preferire nella gamma di possibilità che esistono.
La struttura dei valori in tv
Ma non è soltanto la struttura dell'informazione televsiva
che ci deve preoccupare; anche la sua struttura di valori è carente. Ci ha
insegnato molto l'analisi dei valori espressi negli spot pubblicitari nel 1993,
effettuata facendo riferimento ad una scala largamente applicata, che divide i
valori in caratteristiche che costituiscono un mezzo per raggiungere un dato
fine - definiti valori strumentali - e quelli che sono fini in se stessi - i
valori terminali. Una persona può ad esempio attribuire valore al lavoro perché
esso determina la sicurezza economica; in base alla nostra definizione il «duro
lavoro» costituisce una valore strumentale e la «sicurezza economica» un valore
terminale. Quando ci si serve di questa scala i più importanti valori
strumentali citati sono l'essere onesti, l'aiutare gli altri, l'essere
responsabili e di vedute aperte. Fra i valori terminali tipici vi sono invece
l'uguaglianza, la pace e un mondo di bellezza. Attribuendo un codice al valori
espressi in un campione di tutti gli spot televisivi emerge dunque un profilo
di ciò che dovremmo essere secondo quanto ci dice la pubblicità. .
I valori strumentali citati più frequentemente negli spot
pubblicitari sono stati: «essere capaci», «essere d'aiuto agli altri», «essere
furbi»; i meno citati sono stati «essere coraggiosi» e «saper perdonare». Fra i
valori riferiti all'aspetto esteriore della persona, i più citati sono stati
«essere belli» e «essere giovanili». «Essere sexy» è un valore citato
relativamente di rado, cioè nel 6 per cento di tutti gli spot analizzati.
Di contro a questi valori strumentali, un solo valore
terminale domina tutti gli altri: «la felicità». Il valore-felicità viene
sottolineato in quasi il 60 per cento di tutti gli annunci pubblicitari, ed è
menzionato. oltre due volte più spesso di qualsiasi altro. Il secondo del valori
terminali più menzionati è stato il «riconoscimento da parte della societa». I
valori terminali egoistici o auto-orientati (ad esempio la felicità personale,
una vita intensa o il riconoscimento sociale) si registrano con maggiore
frequenza di altri valori più altruistici come «l'uguaglianza» o «l'amicizia».
Il profilo dei valori è apparso diverso per diversi tipi di
trasmissione; nei programmi per bambini, ad esempio, i valori erano diversi da
quelli del resto del campione. Gli spot concepiti appositamente per i bambini
avevano frequenze minori rispetto al resto del campione per quasi tutti i
cosiddetti valori altruistici, mentre tendevano a sottolineare elementi come il
giocare tanto, il divertirsi e l'essere felici. Di rado, invece, gli spot
pubblicitari inseriti nei programmi destinati all'infanzia ponevano l'accento
sull'importanza di essere d'aiuto agli altri o di essere obbedienti; anche il
valore della salute fisica vi figurava raramente. I valori sottolineati dalla
pubblicità che esalta l'egoismo ed auto-riferiti rispetto a quelli altruistici
debbono indurci a riflettere.
Più difficile è
analizzare i valori trasmessi da programmi specifici; i programmi sono più
lunghi, e i valori espressi sono meno evidenti che nelle poche parole
pronunciate in uno spot di 30 secondi, Eppure, vi si osserva la stessa
distorsione dei fatti riguardanti il mondo reale. Ad esempio, la maggior parte
delle persone è convinta che se i criminali la fanno franca con i loro delitti
è perché i tribunali sono troppo indulgenti e infliggono pene detentive troppo
brevi. La realtà dei fatti è esattamente opposta. .
Nella maggioranza delle città americane soltanto il 15-18
per cento di tutti i crimini denunciati sfocia in un arresto. Fra le persone
arrestate la maggioranza viene spedita in galera per lunghi periodi di tempo. Oggi
i detenuti sono tre volte più numerosi che 10 o 12 anni fa e gli Stati Uniti
detengono il primato dell'Occidente industrializzato per lunghezza delle pene
detentive inflitte.
Ma allora da dove ci vengono le nostre idee circa la
cnminalità e la sua repressione, se i fatti sono tanto diversi dall' opinione
diffusa fra la gente? La risposta è forse che questa è proprio la situazione
descritta dagli spettacoli televisivi, in genere come espediente di
drammatizzazione. Alla televisione i criminali in genere vengono acciuffati
dalla polizia, ma spesso si sottraggono al castigo grazie all'indulgenza e al
permissivismo dei giudici. In televisione la polizia non commette errori o ne
commette di rado e sa chi è il colpevole prima ancora di catturarlo. Le
convinzioni in fatto di polizia e di giustizia e anzi per quanto riguarda la
forma stessa della democrazia americana si instillano nella gente a forza di
farle vedere programmi del genere ogni sera, settimana dopo settimana. È
impossibile credere che l'esposizione ripetuta a vicende del genere non svolga
qualche ruolo nelle decisioni politiche dei legislatori e nel voto dell'
elettorato.
La struttura dei valori morali della tv è strettamente
intrecciata con il modo di raffigurare i personaggi. In una ricerca effettuata
su questo argomento è stato chiesto a singole persone intente a guardare uno
spettacolo televisivo di valutare la moralità di varie azioni rispetto ad una
scala graduata che andava dal buono al cattivo. È stato chiesto anche di
esprimere la propria simpatia per ciascun personaggio. Abbiamo così constatato
che la moralità di una specifica azione dipende da chi la compie. La
correttezza o la scorrettezza del comportamento morale, così com'è presentato
dalla televisione, dipende dal fatto che l'azione sia compiuta da un
personaggio simpatico e ammirato oppure da uno antipatico e che ispira
sfiducia. Molti comportamenti che normalmente sarebbero giudicati «immorali» -
il ricatto, l'omicidio, la rapina ecc. - sono accettabili se adottati da
qualcuno che gode del favore del pubblico.
A quanto pare gli spettatori di un programma hanno a
disposizione diverse strutture morali, a seconda della loro familiarità con i
personaggi. I giudizi morali di persone che non hanno familiarità con essi,
pare, vengono dati in base a una scala di moralità ideale, senza tener conto
della simpatia dei personaggi stessi. Ben diversi, invece, i giudizi mor~li di
persone che hanno familiarità con i personaggi, che h «conoscono» o nutrono
sentimenti positivi o negativi nei loro riguardi. Ciò che non è ammissibile per
le persone che ci stanno antipatiche è perfettamente accettabile da parte di
coloro che amiamo.
Questa è dunque la
struttura morale della maggior parte dei programmi analizzati, sia di quelli
per adulti che di quelli per bambini. Dunque il fatto che una cosa sia giusta o
sbagliata dipende - almeno in televisione - da chi la fa, non dalla cosa
stessa. I valori della televisione sono riferiti ai personaggi. Ci sono buoni e
cattivi: i buoni non possono fare nulla di male, i cattivi non possono fare
nulla di b_uono. Q~esta è la concezione morale di un bambino di cinque anni.
Tutti questi
esempi indicano che la televisione non può costituire un'utile fonte di
informazione per i bambini, e che anzi può essere una fonte di informazione pericolosa.
Essa presenta idee false e irreali; non possiede un sistema di valori coerente
se non il consumismo; fornisce scarse informazioni utili circa l'io dello
spettatore. Tutto ciò rend~ la televisione uno strumento di socializzazione
pessimo. SI può prevedere che alcuni genitori riducano il tempo che concedono
ai figli per guardare la televisione usando la stessa spiegazione cui
ricorrerebbero se questi rifiutassero di mangiare altro che fiocchi d'avena, e
cioè: «questo regime alimentare è dannoso per la salute». Il danno che arreca è
personale, sociale, fisico e mentale. Ma non tutti i genitori sono disposti a
dirlo; non tutti ne sono convinti.
Ma quelli che
condividono quest'opinione dovrebbero parlare con i figli degli spettacoli
televisivi che guardano, commentando le parti che trovano particolarmente false
e illusorie. Questo può senz' altro essere utile; ma va detto comunque che la
maggior parte degli studi su genitori e figli che guardano assieme la
televisione dimostra che ciò accade relativamente di rado, tranne alla sera, in
alcune case dove i genitori controllano il contenuto dei programmi. I genitori
più avveduti parlano con i figli delle trasmissioni che questi vedono nel primo
pomeriggio e al sabato e alla domenica mattina, quando non ci sono adulti in
giro. Questo può servire a rendere i bambini più critici rispetto all'uso della
televisione come fonte primaria di informazioni sul mondo.
Se accettiamo che i bambini guardino un po' di televisione,
dobbiamo fare quel che possiamo per migliorare gli spettacoli televisivi a loro
rivolti. È essenziale che vengano adeguatamente finanziati dei buoni programmi
istruttivi, molto più di quanti non ne esistano attualmente. Occorre che venga
prodotto un maggior numero di programmi utili ai bambini. Non vi è ragione per
cui non debbano essere divertenti. Competeranno di necessità con i programmi
prodotti da reti commerciali, e non sarà facile vincere la battaglia. Non è
cosa agevole battersi strenuamente per la salute e la felicità dei bambini.
Occorre che la scuola insegni ai bambini qualcosa sulla
televisione, ,per quanto riguarda sia i programmi che la pubblicità. E
necessario istruire i bambini sull'uso che si può fare della televisione e
sulle cose per le quali la televisione non serve. Se i bambini imparano che
l'acquisizione di beni materiali non è lo scopo supremo della vita e che molti
dei valori che s'insegnano nei programmi e negli spot televisivi contraddicono
ciò che si insegna a scuola, sarà un guadagno netto. Anziché ignorare la
televisione, la scuola dovrebbe incoraggiare i bambini a discutere i programmi
e le idee - buone e cattive - che essa comunica. La scuola dovrebbe elaborare
dei programmi pedagogici per insegnare ai bambini ad essere telespettatori
critici, e questo in età assai precoce. Lasciamo che i bambini usino
apparecchiature video per realizzare loro stessi dei piccoli spettacoli e spot
pubblicitari: che capiscano da soli quant'è facile per una telecamera
distorcere la realtà.
Conclusioni
Oggi molti bambini americani hanno problemi personali e uno
dei motivi è che trascorrono una parte eccessiva del loro tempo a guardare la
televisione. La televisione è una ladra di tempo: deruba i bambini di ore
preziose, essenziali per imparare qualcosa sul mondo e sul posto che ciascuno
vi occupa. E questo sarebbe già abbastanza negativo. Ma la tv non è soltanto
ladra: è anche bugiarda. Guardando la televisione i bambini vi scorgono una
fonte ragionevole di informazioni sul mondo. Questo non è vero, ma loro non
hanno modo di capirlo. Per quel po' di verità che la televisione comunica, c'è
molto di falso e di distorto, sia in materia di valori che di fatti reali.
Il contenuto spettacolare dei programmi televisivi è
straordinariamente violento, se paragonato alla vita quotidiana che pretende di
ritrarre. I cartoni animati di action, visti da milioni di bambini, contengono
alcune delle scene più violente attualmente trasmesse in televisione. I bambini
reagiscono a ciò che vedono comportandosi essi stessi in modo più violento,
mostrandosi insensibili alla violenza, acquisendo credenze e valori che dicono
loro che il mondo è un posto «malvagio e pericoloso» in cui c'è da aspettarsi
atti violenti e in cui questi vengono ammirati.
La televisione influisce sulle azioni, i valori e le
credenze dei suoi spettatori, ma non influenza tutti allo stesso modo. Dipende
da quanto tempo si passa davanti allo schermo e dal contenuto dei programmi che
si guardano. La conoscenza dello spettatore e del suo ambiente sociale, in
particolare del contesto sociale o familiare, sono fattori determinanti per
mediare l'influsso del piccolo schermo. Dal momento che le famiglie che
«mediano» la televisione in misura sufficiente sono tanto poche e che le scuole
se ne disinteressano altrettanto, i bambini sono abbandonati a se stessi nel
tentativo di estrarre un senso da questo mezzo di comunicazione e da ciò che ha
da offrire.
La televisione esercita un potente influsso sui giovani
proprio perché al momento altre istituzioni che toccano i bambini americani
funzionano male. Per molti bambini piccoli la televisione ha sostituito le
fiabe con racconti moderni, omogenei ma meno coerenti. Il tempo trascorso a
guardare la televisione allontana il bambino dalla lettura; la capacità di
leggere è scarsamente sviluppata e il valore della lettura trascurato. I
bambini vengono abbandonati ad una serva infedele che li espone a «vicende
sconnesse raccontate da persone sconnesse».
Per molti aspetti la televisione rispecchia i problemi
della scuola. La curiosità cala e il coinvolgimento non è richiesto: almeno su
questo punto scuole e produttori televisivi concordano. Il termine «educare»
viene sostituito dal termine «addestrare». Chi insegna i valori? La scuola? Le
chiese? La famiglia? Di certo la televisione. Ma i valori della televisione
sono forse gli unici che vorremmo veder adottati dai nostri figli?
La maggior parte di coloro che hanno l'abitudine di
guardare la televisione è influenzata dai suoi contenuti, i quali non sono
distorti soltanto per il modo in cui si esalta la violenza. Di chi è la colpa
per il fatto che i bambini guardano troppo la televisione, e per il fatto che
la televi-
sione è dannosa per il loro sviluppo? Con chi ce la
prendiamo?
Una parte notevole della responsabilità ricade sulla
televisione stessa. In America la tv è un'istituzione che serve gli interessi
delle imprese, le stesse che la sponsorizzano senza curarsi degli interessi del
pubblico. Fin dal suo avvento la televisione ha usato violenze eccessive e
gratuite come strumento per attirare l'attenzione, e ha continuato a farlo
anche davanti alla riprovazione diffusa dell' opinione pubblica. La
commercializzazione di questo mezzo di comunicazione pervade tutto ciò che fa.
Ma pur essendo responsabile dei suoi contenuti la televisione non può essere
incolpata del modo in cui la gente la usa.
Allora è forse colpa dei bambini? È colpa loro se le
informazioni trasmesse dalla televisione sono tanto distorte? O invece è colpa
della scuola, cui spetta il compito di insegnare qualcosa della nostra cultura,
ma che si è dimostrata incapace di insegnare qualcosa sulla televisione?
La televisione non è destinata a scomparire ed è anche
improbabile che cambi al punto da diventare un ambiente ragionevolmente
accettabile per la socializzazione dei bambini. Queste realtà vanno accettate.
Possiamo modificare i contenuti, migliorare la qualità dei programmi a
disposizione dei bambini, ma l'esigenza più importante è scoraggiare i bambini
dall'usare la televisione come fonte di informazioni sul mondo. Però se
insistiamo con i nostri figli affinché guardino meno la televisione, dobbiamo
offrir loro altre idee su come passare il tempo. I bambini hanno bisogno di
conoscere se stessi tanto quanto hanno bisogno di conoscere il mondo; e queste
informazioni si ottengono soltanto agendo nel mondo, cioè tramite l'interazione
reale fra esseri umani. I bambini hanno bisogno di più esperienza e meno
televisione.
La televisione non può insegnare ai bambini ciò che debbono
sapere via via che crescono e diventano adolescenti e poi adulti. La
televisione è un mezzo pubblicitario; in quanto tale ha un posto che le spetta
legittimamente. Può essere divertente; nell'intrattenimento non c'è nulla di
intrinsecamente sbagliato. La televisione può essere informativa, e questo è un
bene. Tuttavia, come strumento di socializzazione, è carente; occorre capire
questo fatto e prenderne spunto per agire. La scuola e la famiglia debbono fare
meglio di quanto facciano attualmente e a tal fine hanno bisogno di tutto
l'aiuto disponibile. Ridurre l'influenza esercitata dalla televisione nella
vita dei bambini è un primo passo. Questo passo va fatto subito.
la
violenza in tv (charles s. clark )
Grazie alla televisione, un bambino americano assiste in
media a 8 mila omicidi e a 100 mila atti di violenza prima di aver terminato le
scuole elementari. L'ipotesi che esista un legame tra la violenza simulata
proposta dal piccolo schermo e le aggressioni reali della vita quotidiana
risale agli albori della tv, negli anni cinquanta, ed è stata sempre respinta
dall'industria televisiva. Tuttavia, non molto tempo fa i tre principali
network degli Stati Uniti hanno firmato la prima dichiarazione congiunta della
loro storia, in cui proponevano misure destinate a ridurre la violenza. E anche
le industrie della tv via cavo, delle videocassette e del cinema stanno dando
segno di voler collaborare. Alcuni membri del Congresso hanno valutato
positivamente l'iniziativa, augurandosi che il cambiamento avvenga in modo
volontario, senza che si renda necessario ricorrere ad una regolamentazione
federale. Ma gli attivisti dei movimenti contro la violenza in tv e gli esperti
di televisione accusano l'industria di non avere alcuna intenzione di
affrontare il problema in maniera concreta.
Una volta, nel pronto soccorso di un ospedale di Boston, la
giovane vittima di un colpo d'arma da fuoco sbalordì i medici dicendosi stupita
perché la ferita gli faceva realmente male. «Ho pensato che fosse una specie di
deficiente: chiunque sa che un proiettile fa male», ricorda la dottoressa
Deborah Prothrow-Stith, vicepreside dell'Istituto di sanità pubblica
dell'università di Harvard e autrice di un libro sulla violenza pubblicato di
recente. «Ma a un tratto mi è venuto in mente che alla televisione, quando
sparano in un braccio al super eroe, lui usa quello stesso braccio per
aggrapparsi ad un camion che prende una curva a 140 all' ora. E già che c'è,
riesce anche a sopraffare l'autista e a sparare ad un paio di centinaia di
persone».
Secondo le stime dell' American Psychological Association
(Apa), i bambini americani restano incollati al televisore per una media di 27
ore alla settimana (con punte di 11 ore al giorno nei quartieri degradati delle
zone centrali delle metropoli). Il risultato è che ciascun bambino avrà
assistito in media ad 8 mila omicidi e 100 mila atti di violenza entro la fine
delle scuole elementari.
Ma nel solo 1991 negli Stati Uniti vi sono stati 25 mila
omicidi. Mentre gli assassinii aumentano sei volte più rapidamente della popolazione,
l'annoso dibattito sulla violenza televisiva -la televisione provoca violenza
reale? - torna di attualità.
«È una situazione senza precedenti», ha dichiarato nel
dicembre 1992 ad una commissione del Congresso George Gerbner, decano emerito
dell' Annenberg School of Communications dell'università della Pennsylvania. I
bambini «cominciano a vedere la tv da piccolissimi. La maggior parte delle
storie che conoscono non l'hanno imparata dai genitori, a scuola, in chiesa o
dai vicini di casa, ma da un pugno di grandi gruppi industriali che devono
vendere i loro prodotti».
Il 25 per cento degli spettacoli trasmessi nell'autunno
1992 durante la prima serata conteneva «materiale estremamente violento», ha
riferito la National Coalition on Television Violence (Nctv), un'associazione
impegnata nel monitoraggio e nella lotta alla violenza in televisione, che ha
sede a Champaign, nell'Illinois.
I palinsesti del 1992 hanno stabilito un record assoluto di
scene brutali nelle trasmissioni per bambini: 32 atti di violenza ogni ora, più
di cinque volte a confronto, secondo i ricercatori dell'università della
Pennsylvania, con i sei atti di violenza presentati nella fascia serale di
massimo ascolto. In base ai dati raccolti dall' American Academy of Pediatrics,
nel corso degli anni ottanta la dose di schizzi di sangue, stupri, incidenti
stradali e vittime urlanti ammannita ogni sera dal piccolo schermo si è
triplicata.
Ciò che distingue la situazione televisiva odierna da
quella degli anni sessanta - l'epoca, per fare un esempio, dalle raffiche di
mitragliatrice che si scambiavano i mafiosi e gli agenti dell'Fbi in Gli
intoccabili - è la proliferazione dei formati - tv via cavo, pay-tv,
videocassette - che portano dentro le case un'ampia scelta di lungometraggi.
«Oggi l'accesso alla violenza è diverso», afferma Edward Donnerstein, docente
di comunicazioni all'università della California di Santa Barbara. «I bambini
vedono molto spesso la televisione senza la supervisione degli adulti e molte
case hanno due apparecchi».
Un altro elemento nuovo sono i film per la tv «ispirati a
fatti realmente accaduti» e i rotocalchi televisivi e le trasmissioni basati su
notizie di cronaca (come Top Cops, Hard Copy, A Current Affair e I Witness
Video), in molti dei quali vanno in onda le ricostruzioni di veri reati e
addirittura le registrazioni dei crimini catturate su nastro da tele operatori
dilettanti. Altre immagini di violenza arrivano inoltre con gli spot di
promozione dei film distribuiti nelle sale, molti dei quali sono sconsigliati
ai minori. Qualche tempo fa uno psicoterapeuta di New York ha scritto sulla
rivista «McCall's» che la sua bambina aveva avuto difficoltà a dormire dopo
aver visto - nel bel mezzo di una trasmissione «per famiglie» - una pubblicità
che mostrava i personaggi sfregiati di Nightmare.
La moderna violenza ipertecnologica - ottenuta facilmente
grazie agli effetti speciali realizzati col computer - è indirizzata ad un
pubblico giovanile smaliziato che si aspetta una velocità d'azione sempre
maggiore. Di conseguenza, una delle maggiori fonti di preoccupazione sono le
continue scene di percosse nei cartoni animati per bambini. Un'indagine
nazionale fra gli insegnanti di scuola elementare ha rilevato che il popolare
Tartarughe Ninja M utanti provoca confusione tra fantasia e realtà. «Molti
bambini pensano sul serio che vada bene essere violenti con i compagni, visto
che [le tartarughe] lo fanno», ha riferito una maestra.
I bambini che vivono nelle zone degradate dei centri
metropolitani sono i più influenzati dalla cultura della violenza televisiva,
afferma Leonard Eron, docente di psicologia all'università del Michigan, che si
occupa da tempo di ricerche sull'argomento. «Un bambino che ha seguito delle
trasmissioni con un contenuto aggressivo ne ricava l'impressione che il mondo
sia una giungla irta di pericoli e che l'unico modo per sopravvivere sia essere
sempre in posizione di attacco» .
Ma l'impatto potenziale sui giovani telespettatori, secondo
Ronald G. Slaby, psicologo dello sviluppo ad Harvard, va al di là del
cosiddetto «effetto-aggressore» (l'aumento di probabilità di avere un
comportamento violento). I giovanissimi sperimentano anche un «effetto-vittima»
(aumento del timore di restare vittima della violenza) ed un
«effetto-spettatore» (1'aumento dell'indifferenza verso la violenza subita
dagli altri).
Sia alcuni membri del Congresso, sia attivisti di ogni
colore politico, che gruppi di cittadini hanno individuato la violenza in tv
come tema di mobilitazione. Faimess and Accuracv in Reporting (Fair), un'associazione
di tendenze liberal di N ew York, nel gennaio 1993 ha promosso una campagna per
obbligare la Nbc a trasmettere un comunicato di pubblico interesse durante le
trasmissioni del Superbowl, citando alcuni degli studi secondo i quali nel
giorno della grande partita si registra un aumento della violenza.
Gran parte dell' opinione pubblica concorda sul fatto che
il problema esiste. Secondo un sondaggio d'opinione diffuso dalla «Times
Mirror» il 23 marzo 1993, il 72 per cento degli americani ritiene che gli
spettacoli televisivi di intrattenimento contengano troppa violenza. Ed un
sondaggio Gallup del 1990 ha registrato un 63 per cento di persone convinte che
i programmi televisivi che mostrano scene di violenza incoraggiano la
criminalità.
I dirigenti televisivi non sono rimasti sordi alle accuse.
Nel dicembre del 1992, Nbc, Cbs e Abc hanno diffuso una dichiarazione congiunta
senza precedenti nella storia delle tre reti, nella quale esponevano i
provvedimenti destinati a ridurre la violenza e a mantenerla entro certi
limiti. Ma i network hanno ribadito il loro ormai decennale rifiuto
indiscriminato nei confronti delle ricerche che collegano la violenza negli
spettacoli televisivi a quella vera ed hanno scaricato la responsabilità sulla
tv via cavo e sulle stazioni televisive indipendenti. «Sui dieci programmi più
seguiti dai bambini e dagli adolescenti, otto sono sitcom, che non hanno alcun
contenuto violento», ha dichiarato il 15 dicembre dello stesso anno Rosalyn
Weinman, vicepresidente del dipartimento Standards and Practices [incaricato
dei regolamenti e dei codici di comportamento interni N.d. T.] della Nbc,
dinnanzi alla sottocommissione giudiziaria della Camera sulla criminalità e la
giustizia penale.
I dirigenti televisivi di maggiore esperienza sostengono
inoltre che il contenuto dei programmi è e rimarrà sempre sotto il controllo
dei telespettatori. «La televisione e il cinema sono condizionati dal mercato»,
afferma Del Reisman, presidente della sezione occidentale della Writers Guild
of America, l'associazione nazionale degli scrittori. «Se la gente non va a
vederli, i film non si fanno».
I movimenti in difesa delle libertà civili si sono
impegnati a fondo per scoraggiare il Congresso da ogni interferenza con i
diritti garantiti nel Primo Emendamento. «I network sono liberi di prendere le
loro decisioni», dice Robert Peck, capo dell'ufficio di Washington dell'
American Civil Liberties U nion. Se l'industria televisiva dovesse ridurre il
quantitativo di violenza «in conseguenza delle pressioni del Congresso, ne
saremmo preoccupati».
Infine, i difensori dei palinsesti attuali fanno osservare che
la violenza svolge da secoli un ruolo centrale nel dramma umano. «C'è sangue
nelle favole, violenza nella mitologia e delitto in Shakespeare», ribatte
Gerbner. «Questo è un mondo violento. Ma la violenza storicizzata, limitata,
elaborata caso per caso, utilizzata selettivamente e spesso tragicamente
simbolica, è stata travolta da una sorta di 'violenza allegra' prodotta
all'ingrosso dalla catena di montaggio dell'industria dello spettacolo ed
immessa nel filone centrale della nostra cultura. La violenza allegra non
provoca dolore e non ha conseguenze tragiche. È la soluzione facile e veloce di
molti problemi, a cui ricorrono tanto i buoni che i cattivi e che conduce
sempre allieto fine».
Se vi saranno davvero cambiamenti profondi nella violenza
televisiva dipenderà in gran parte dalla risposta che troveranno i seguenti
interrogativi.
Verso la metà degli anni ottanta, Juan Valdez, un ragazzo
di 13 anni di Manteca, in California, ha confessato di aver ucciso il padre di
un amico. Gli è stato chiesto come mai, dopo aver preso a calci, pugnalato,
percosso e strangolato l'uomo con una catena per cani, ne avesse cosparso di
sale le ferite. «Oh, non lo so», ha nsposto, «l'ho visto alla tv».
Il presunto legame tra violenza sul piccolo schermo e
violenza reale è forse il problema che e stato studiato pm a fondo dai
sociologi. Negli ultimi quarant'anni vi sono state dedicate ben 3 mila ricerche
in paesi diversi, sebbene solo poche centinaia di esse abbiano fornito nuove
informazioni.
Attraverso un' ampIa gamma di indagini, studi sul campo e
test di laboratorio, gli esperti hanno esaminato le reazioni dei bambini a
scene come quella In cui un uomo viene premiato con una caramella se riesce ad
abbattere con un pugno il pupazzo gonfiabile del «clown Bobo sempre-in-piedi».
Sono stati effettuati dei confronti sul grado di aggressività raggiunto dai
bambini dopo aver assistito a scene di violenza farsesca in cartoni animati
aventi come protagonisti Bugs Bunny, il picchio Woody e Tom e Jerry e dopo aver
visto spettacoli dal contenuto più blando come Lassie. I ricercatori hanno studiato l'aumento del tasso degli
omicidi dopo la trasmissione di incontri di pugilato e la crescita dei suicidi
dopo la programmazione di sceneggiati tv sul suicidio. Sono stati esaminati i
cambiamenti verificatisi all'interno di comunità in cui era stata introdotta di
colpo la televisione, come è .avvenuto nel Sudafrica. dell'apartheid ed in una
cittadina isolata del Canada negli anni settanta.
Il risultato, secondo moltissimi esperti e gruppi impegnatI
sull'argomento, è che un effetto causale esiste con incrementi misurabili tra
il 3 ed il 15 per cento. Come rifensce un rapporto dell' Apa «l'aggregato delle
ricerche dimostra chiaramente che esiste una correlazione tra la visione di
scene violente e il comportamento aggressivo, vale a dire che coloro che
guardano molta televisione sono più aggressivi di chi ne guarda poca».
Questa sintesi è stata ripresa da un nuovo studio sulla violenza
effettuato dal National Research Council, dove si afferma che gli autori di
reati di violenza sono caratterizzati. da un basso quoziente di intelligenza,
prepotenza, iperattività, scarso senso di solidarietà, mancanza di disciplina,
abbandono, carenze affettive e «seguono con eccessiva frequenza spettacoli
violenti in tv».
Lo psichiatra Brandon S. Centerwall, dell'università di
Washington, in un art~colo pubblicato nel giugno 1992 sul «Journal of the
Amencan Medical Association» ha riferito che l'arrivo della televisione in
Sudafrica ha coinciso con un raddoppio del tasso di omicidi. Durante il «periodo
critico» della preadolescenza, ha spiegato lo studioso, l'esposizione alla violenza
televisiva ha un impatto particolarmente profondo. «Mentre i bambini hanno un
desiderio istintivo di imitare i comportamenti osservati, non posseggono un.
istinto per valutare a priori se un comportamento dato sia da emulare o no.
Imitano qualsiasi cosa».
Leonard Eron dell'università del Michigan, che presiede la
commissione dell' Apa su giovani e violenza, ha passato 36 anni. a studiare la violenza
in tv. I suoi studi longitudinali, unici nel loro genere, sono iniziati nel
1960 ed hanno seguito un gruppo di 875 soggetti dei due sessi fra gli 8 anni di
età ed i 30, analizzando le percentuali di criminalità e le caratteristiche
personali. Secondo i risultati del suo studio, chi aveva assistito a più scene
di violenza in tv aveva commesso reati più gravi, era più aggressivo sotto l'influenza
dell'alcool ed era più brutale nel punire i propri figli, i quali a loro volta
mostravano segni di aggressività. «Ciò che si impara dal piccolo schermo sembra
trasmettersi alla generazione successiva» afferma Eron.
Secondo esperti come Eron, Donnerstein e Slaby, «il
dibattito scientifico» sugli effetti della violenza televisiva «è concluso» ed
è giunto il momento di passare ai fatti. A giudizio dei tre studiosi, per colpa
dei sofismi di chi obietta che gli effetti misurati sono troppo ridotti o i
comportamenti antisociali ad essi collegati troppo poco significativi, un
valido insieme di ricerche sulla violenza «per decenni è stato attivamente
ignorato, attaccato e persino presentato scorrettamente al pubblico americano,
perpetuando alcune diffuse leggende rispetto agli effetti della tv».
I cavilli e le obiezioni, afferma Seymour Feschbach,
psicologo dell'Ucla, sono un classico esempio di ostruzionismo. «L'irrealistica
esigenza di ricerche ancor più complete», ha scritto Feschbach, «può essere
usata come strumento per procrastinare il cambiamento di prassi, come avviene
spesso quando i politici scaricano sulle commissioni le questioni scabrose per
rimandare l'intervento».
Robin Crews,
docente dell'università del Colorado che dirige un. gruppo di accademici
politicamente impegnati denominato Peace
Studies Association, dichiara: «Non conosco nessuno che lavori nel settore
degli studi sulla pace che non ritenga che la pubblicità, la televisione e i
film abbiano una profonda influenza sulla violenza contro le donne e la
violenza per bande. L'onere della prova non dovrebbe ricadere su coloro che
cercano di mostrare l' esistenza di un legame, ma su chi continua a promuovere
la violenza utilizzandola come forma di spettacolo».
Dal canto loro, i dirigenti televisivi continuano ad
esprimere dubbi sulla validità delle ricerche sulla violenza. «Il problema è
troppo complesso», dice l'ex presidente della 20th Century Fox Film
Corporation, Barry Diller. «Non è possibile affrontarlo in maniera
superficiale. Non credo che ne sappiamo ancora abbastanza».
I network citano uno studio del 1982 patrocinato dalla Nbc
che non ha rilevato alcuna correlazione tra violenza televisiva e violenza
reale (sebbene alcuni scienziati affermino che i dati sono stati male
interpretati). Le tre grandi reti americane indicano anche il lavoro dello
psicologo Jonathan L. Freedman, dell'università di Toronto, che sostiene che la
mole di ricerca sulla violenza ha prodotto risultati non convincenti. Gli
studiosi, secondo Freedman, sono indecisi se considerare i risentimenti
personali come condizione preliminare del comportamento violento dei
telespettatori; un altro fattore decisivo potrebbe essere la «aspettativa» di
un risultato positivo da parte dello sperimentatore, vale a dire il suo
atteggiamento preconcetto.
Gli spettatori «assistono ad un miscuglio di violenza e
nonviolenza, realtà e fantasia, eccitazione e noia, notiziari e programmi di
fiction», scrive lo psicologo canadese. «Il punto è stabilire come questa
mescolanza di trasmissioni influenzi i bambini o, più specificamente, in che
modo cambierebbero gli effetti di questa miscela se venissero omessi i
programmi violenti».
Altri studiosi sottolineano ironicamente il fatto che
alcune ricerche condotte su trasmissioni tv «per famiglia» come Sesame Street,
accrescerebbero i comportamenti aggressivi tanto quanto gli spettacoli
violenti. Come ha scritto un gruppo di ricercatori, «incoraggiare i bambini a
guardare trasmissioni "sane" non è la soluzione per rimediare ai
problemi di comportamento e anzi, come dimostrano gli indizi disponibili,
sembra sia controproducente».
Il grande pubblico, sebbene sia disposto ad ammettere
l'esistenza di un legame tra violenza in tv e criminalità, non crede che le
scene di brutalità sul piccolo schermo siano la causa principale degli orrori
della società. Nel 1990, un'indagine Gallup ha rilevato solo l'1 per cento di intervistati
convinti che la tv fosse la principale responsabile della criminalità, mentre
il 60 per cento dava la colpa alla droga ed il 6 per cento al degrado dei valori
familiari. Gli psicologi Jerome e Dorothy Singer dell'Università di Yale, che
si occupano da tempo delle trasmissiom per bambni, fanno osservare che sono gli
stessi network a contraddire la tesi che la televisione non influenza i
comportamenti. Un dirigente televisivo, raccontano, una volta ha testimoniato
dinnanzi alla FederaI Communications Commission (Fcc) per elogiare un bambino
che, avendo assistito in tv alla dimostrazione della manovra Heimlich [un
intervento di pronto soccorso in casi di soffocamento da in gestione N.d. T.],
lo aveva poi usato per salvare una persona.
«Se la televisione non ha alcun effetto sugh spettatori»,
ha chiesto il deputato democratico dello Stato di. New York Charles E. Schumer
alle udienze che ha presieduto nel dicembre del 1992, «come si spiegano i
miliardi di dollari spesi ogni anno in pubblicità televisiva?».
la
potenza dei media (karol wojtyla)
1.
La responsabilità!
Il 24 gennaio scorso, memoria di san Francesco di Sales, Patrono
della stampa cattolica, è stato reso pubblico il messaggio per la Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali, in programma il prossimo 19 maggio, che
avrà come tema: «I media: areopago per la promozione della donna nella
società». Gli strumenti della comunicazione sociale offrono possibilità
straordinarie per l'annuncio del Vangelo, come già sottolineava il decreto
Inter mirifica, col quale il Concilio Vaticano II si è appunto occupato di
essi. I Padri conciliari con atteggiamento di fiducia e, insieme, di lucido
realismo hanno riconosciuto innanzitutto gli aspetti positivi di questi mezzi,
ma non si sono nascosti che «gli uomini possono usarli contro il piano di Dio
creatore e volgerli a propria rovina» (1M, 2). E come negare che proprio tale ambivalenza
è venuta in questi decenni sempre più in luce?
Innegabile è il valore dei mass media. Ben usati, essi
possono rendere un servizio inestimabile alla cultura, alla libertà ed alla
solidarietà. Nel messaggio per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni
Sociali mi è piaciuto tratteggiarli come «il moderno areopago», dove si
forgiano comportamenti e dove di fatto va delineandosi una nuova cultura». Ma
quanto diversi e contraddittori sono i messaggi che essi veicolano,
influenzando, in positivo o in negativo, le persone e le famiglie, il costume e
la vita della gente! Può essere che un campo così delicato resti privo di
regole e di equilibrati orientamenti etici e morali?
Appaiono a tal proposito lungimiranti i moniti del decreto
Inter mirifica, specialmente per quanto concerne il diritto all'informazione.
Il Concilio ricorda che «il retto esercizio di questo diritto richiede che la
comunicazione nel suo contenuto sia sempre vera e, salve la giustizia e la
carità, integra» (1M, 5). Ma va curato anche il modo di informare, che deve
essere «onesto e conveniente», ossia rispettoso delle leggi morali, dei
legittimi diritti, della dignità dell'uomo (Ibid.).
È una responsabilità che grava primariamente su quanti
operano, a diverso livello, nel mondo dei «media», oggi diventati
straordinariamente potenti, ma coinvolge l'intera società civile, che non può
essere destinataria passiva di ogni messaggio ed informazione. Un settore tanto
decisivo della società non va, infatti, abbandonato ai giochi del mercato, ma
va opportunamente tutelato, ciò sia per garantire un equilibrato e democratico
confronto delle opinioni, sia per salvaguardare i diritti dei singoli membri
della comunità, specialmente dei più giovani e dei meno dotati di senso
critico.
Ci aiuti la Vergine Santa a trovare, in questo delicato
ambito, l'orientamento che meglio corrisponde alle esigenze della dignità umana
del disegno di Dio. Metta nel cuore degli uomini e delle donne impegnati in
questo tipo di servizio un profondo senso di responsabilità. Aiuti tutti a
capire che la libertà non è fine a se stessa; essa è autentica solo quando
viene posta al servizio della verità, della solidarietà e della pace.
2.
La bambinaia elettronica
Negli ultimi decenni, la televisione ha rivoluzionato le
comunicazioni influenzando profondamente la vita familiare. Oggi, la
televisione è una fonte primaria di notizie, di informazioni e di svago per
innumerevoli famiglie fino a modellare i loro atteggiamenti e le loro opinioni,
i loro prototipi di comportamenti.
La televisione può arricchire la vita familiare: può unire
tra loro più strettamente i membri della famiglia e promuovere la loro
solidarietà verso altre famiglie e verso la più vasta comunità umana; può
accrescere in loro non solo la Parola di Dio, rafforzare la propria identità
religiosa e nutrire la propria vita morale e spirituale.
La televisione può anche danneggiare la vita familiare:
diffondendo valori e modelli di comportamento falsati e degradanti, mandando in
onda pornografia e immagini di brutale violenza; inculcando il relativismo
morale e lo scetticismo religioso; diffondendo resoconti distorti o
informazioni manipolate sui fatti ed i problemi di attualità, trasmettendo
pubblicità profittatrice, affidata ai più bassi istinti; esaltando false
visioni della vita che ostacolano l'attuazione del reciproco rispetto, della
giustizia e della pace.
La televisione può ancora avere effetti negativi sulla
famiglia anche quando i programmi televisivi non sono di per sé moralmente
criticabili: essa può invogliare i membri della famiglia ad isolarsi nei loro
mondi privati, tagliandoli fuori dagli autentici rapporti interpersonali, ed
anche dividere la famiglia, allontanando i genitori dai figli e i figli dai
genitori.
Poiché il rinnovamento morale e spirituale della famiglia
umana nella sua interezza deve radicarsi nell'autentico rinnovamento delle
singole famiglie, il tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali
1994 - «Televisione e famiglia: criteri per sane abitudini nel vedere» - è particolarmente
appropriato, soprattutto in questo Anno Internazionale della Famiglia, durante il
quale la comunità mondiale sta cercando come dare nuovo vigore alla vita
familiare,
In questo messaggio, desidero in particolare sottolineare
le responsabilità dei genitori, degli uomini e delle donne dell'industria
televisiva, le responsabilità delle pubbliche autorità, di coloro che adempiono
ai loro doveri pastorali e educativi all'interno della Chiesa. Nelle loro mani
sta il potere di rendere la televisione un mezzo sempre più efficace per aiutare
le famiglie a svolgere il proprio ruolo che e quello di costituire una forza di
rinnovamento morale e sociale; Dio ha investito i genitori della grave
responsabilità di aiutare i figli a «cercare la verità ed a vivere in
conformità ad essa, a cercare il bene e a promuoverlo» (Messaggio per la giornata
Mondiale della Pace 1991, n. 3), Essi hanno quindi il dovere di portare i loro
figli ad apprezzare «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile,
onorato» (FII 4,8). Quindi, oltre ad essere spettatori in grado di discernere
per se stessi, i genitori dovrebbero attivamente contribuire a formare, nei
propri figli, abitudini nel vedere la televisione che portino a un sano
sviluppo umano, morale e religioso, e inoltre dovrebbero anticipatamente informare
i propri figli sul contenuto dei programmi e fare, di conseguenza, la scelta
consapevole per il bene della famiglia se guardare o non guardare. A questo
proposito possono essere di aiuto sia le recensioni ed i giudizi forniti da
organismi religiosi e da altri gruppi responsabili, sia adeguati programmi
educativi proposti dai mezzi di comunicazione sociale. I genitori dovrebbero
anche discutere della televisione con i propri figli, mettendoli in grado di
regolare la quantità e la qualità dei programmi che guardano e di percepire e
giudicare i valori etici che stanno alla base di determinati programmi, poiché
la famiglia è «il veicolo privilegiato per la trasmissione di quei valori
religiosi e culturali che aiutano la persona ad acquisire la propria identità»
(Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994, n. 2).
Formare le abitudini dei figli, a volte può semplicemente
voler dire spegnere il televisore perché ci sono cose migliori da fare, o
perché la considerazione verso altri membri della famiglia lo richiede o perché
la visione indiscriminata della televisione può essere dannosa. I genitori che
si servono abitualmente ed a lungo della televisione come di una specie di
bambinaia elettronica, abdicano al ruolo di primari educatori dei propri figli.
Tale dipendenza dalla televisione può privare i membri della famiglia
dell'opportunità di interagire l'uno con l'altro attraverso la conversazione,
le attività e la preghiera comuni. I genitori saggi sono inoltre consapevoli
del fatto che anche i buoni programmi debbono essere integrati da altre fonti
di informazione, intrattenimento, educazione e cultura.
Per garantire che l'industria televisiva tuteli i diritti
delle famiglie, i genitori dovrebbero esprimere le loro legittime
preoccupazioni ai produttori e ai responsabili dei mezzi di comunicazione
sociale. A volte, sarà utile unirsi ad altri, formando associazioni che rappresentino
i loro interessi, in relazione ai mezzi di comunicazione, ai finanziatori, agli
«sponsors» e alle autorità pubbliche.
Coloro che lavorano per la televisione - «managers» e
funzionari, produttori e direttori, autori e ricercatori giornalisti, personaggi
dello schermo e tecnici - tutti hanno gravi responsabilità morali verso le
famiglie, che costituiscono la gran parte del loro pubblico. Nella loro vita
professionale e personale, coloro che lavorano nell'ambito televisivo
dovrebbero porre ogni impegno nei confronti della famiglia in quanto
fondamentale comunità sociale di vita, amore e solidarietà. Riconoscendo la
capacità di persuasione della struttura presso la quale lavorano, dovrebbero
farsi promotori di autentici valori spirituali e morali ed evitare «tutto ciò
che può ledere la famiglia nella sua esistenza, nella sua stabilità, nel suo
equilibrio e nella sua felicità ( ... ) che si tratti di erotismo o violenza,
di apologia del divorzio o di atteggiamenti antisociali fra i giovani» (Paolo
VI, Messaggio per Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1969, n. 2).
La televisione si trova spesso a trattare argomenti seri:
la umana debolezza ed il peccato e le loro conseguenze per gli individui e la
società; le debolezze delle istituzioni sociali, inclusi i governi e la
religione; i fondamentali interrogativi circa il significato della vita. Essa
dovrebbe trattare questi temi in maniera responsabile, senza sensazionalismi,
con una sincera sollecitudine verso il bene della società ed uno scrupoloso
rispetto per la verità. «La verità vi farà liberi» (Gv 8, 32), ha detto Gesù; e
tutta la verità ha il suo fondamento in Dio, che è anche la fonte della nostra
libertà e della nostra capacità creativa.
Nell'adempiere alle proprie responsabilità, l'industria
televisiva dovrebbe sviluppare e osservare un codice etico che includa
l'impegno a soddisfare le necessità delle famiglie e a promuovere valori a
sostegno della vita familiare. Anche i Consigli, formati sia da membri
dell'industria televisiva sia da rappresentanti dei fruitori dei mezzi di
comunicazione di massa, sono un modo auspicabile per rendere la televisione più
reattiva ai bisogni e ai valori degli utenti.
I canali della televisione, siano essi gestiti
dall'industria televisiva pubblica o privata, sono uno strumento pubblico al
servizio del bene comune; essi non sono solamente un «terreno» privato per
interessi commerciali o uno strumento di potere o di propaganda per determinati
gruppi sociali, economici o politici; essi esistono per servire il benessere
della società nella sua totalità.
In quanto «cellula» fondamentale della società, la famiglia
merita quindi di essere assistita e difesa con appropriate misure da parte
dello Stato e delle altre istituzioni (cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale
della Pace 1994, n. 5). Ciò sottolinea la responsabilità che incombe sulle
autorità pubbliche nei confronti della televisione.
Riconoscendo l'importanza di un libero scambio di idee e di
informazioni, la Chiesa sostiene la libertà di parola e di stampa (cfr. Gaudium et Spes, n. 59). Allo stesso
tempo, insiste sul fatto che «deve essere rispettato il diritto di ciascuno,
delle famiglie e della società, alla 'privacy', alla pubblica decenza e alla
protezione dei valori fondamentali della vita» (Pontificio Consiglio delle
Comunicazioni Sociali - Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione: una
risposta pastorale, n. 21). Le autorità pubbliche sono invitate a fissare e a
far rispettare ragionevoli modelli etici per la programmazione, che promuovano
i valori umani e religiosi su cui si basa la vita familiare e che scoraggino
tutto ciò che le è dannoso; esse dovrebbero, inoltre promuovere il dialogo fra
l'industria televisiva e il pubblico, fornendo strutture e occasioni perché ciò
possa avvenire.
Gli organismi religiosi, da parte loro, possono rendere un
eccellente servizio alle famiglie istruendo le sui mezzi di comunicazione
sociale e offrendo loro giudizi su films e programmi. Dove le risorse lo
permettono, le organizzazioni ecclesiali di comunicazione sociale possono anche
aiutare le famiglie, producendo e trasmettendo programmi per la famiglia o
promuovendo questo tipo di programmazione. Le Conferenze Episcopali e le
Diocesi dovrebbero con forza inserire nel loro programma pastorale per le
comunicazioni sociali la «dimensione familiare» della televisione (cfr.
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Aetatis novae, 21 e 23).
Poiché lavorano per presentare una visione della vita ad un
ampio pubblico che comprende bambini e adolescenti, i professionisti della
televisione hanno la possibilità di avvalersi del ministero pastorale della
Chiesa, che può aiutarli ad apprezzare quei principi etici e religiosi che
conferiscono pieno significato alla vita umana e familiare: «programmi
pastorali in grado di garantire una formazione permanente, capace di aiutare
questi uomini e queste donne - molti dei quali sono sinceramente desiderosi di
sapere e di praticare ciò che è giusto in campo etico e morale - ad essere
sempre più compenetrati da criteri morali tanto nella loro vita professionale
che in quella privata» (ibid., n. 19).
La famiglia, basata sul matrimonio, è una comunione unica
di persone, costituita da Dio come «nucleo naturale e fondamentale della
società» (Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, art. 16,3). La
televisione e gli altri mezzi di comunicazione sociale hanno un potere immenso
per sostenere e rafforzare tale comunione all'interno della famiglia, così come
la solidarietà verso le altre famiglie e lo spirito di servizio verso la
società.
Grata per il contributo che la televisione, in quanto mezzo
di comunicazione, ha dato e può dare a tale comunione all'interno della
famiglia e tra le famiglie, la Chiesa - essa stessa comunione nella verità e
nell'amore di Gesù Cristo, Parola di Dio - coglie l'occasione della Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali per incoraggiare le famiglie stesse,
coloro che lavorano nell'ambito dei mezzi di comunicazione sociale e le
autorità pubbliche, a realizzare appieno il nobile mandato di sostenere e rafforzare
la prima e più vitale «cellula» della società: la famiglia.
(Dal
Vaticano, 24 gennaio 1994).