Un caso di possessione diabolica a Piacenza nel 1920

raccontato da Padre Gabriele Amorth, sulla scorta dei documenti originali conservati nell'Archivio Arcivescovile

 

 

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È una sera di inizio maggio del 1920. Il convento di Santa Maria di Campagna, a Piacenza, si trova appe­na fuori città. Vi abitano dei frati minori, conosciuti da tutti e da tutti stimati. Il convento è un luogo che aggrega diversi fedeli, un luogo di Dio che attira ani­me e conversioni. Un luogo benedetto dal cielo. E per questo odiato da Satana.

Un frate, padre Pier Paolo Veronesi, sta riordinan­do la sagrestia e gli arredi sacri, quando una signora si presenta per chiedere di essere benedetta. Desidera che la benedizione le venga impartita davanti all' alta­re della Madonna. Ottenuta la benedizione la donna chiede di parlare col frate. Gli confida cose tenebro­se che la riguardano. Padre Pier Paolo l'ascolta senza metterle fretta. Il racconto è sbalorditivo. Dice che in certe ore del giorno una forza misteriosa, più forte di lei, s'impossessa del suo corpo, della sua anima e che, in quelle circostanze, sebbene riluttante, balla al ritmo del tango per ore, fino a cadere a terra esausta. Dice che canta, con voce splendida, stornelli, romanze, brani d'opera che non ha mai udito prima. Dice che tiene lunghissimi discorsi in lingue straniere davanti a un pubblico immaginario. Che canticchiando parla in versi della sua fine imminente e della fine di tutte le sue sorelle. Racconta che spesso con i denti lace­ra tutto ciò che le capita. Che ha così rovinato tutta la sua biancheria. Spiega che in casa striscia come un serpente sotto i letti, i mobili. Poi ruggisce come un leone. Ulula come un lupo. Miagola come un gatto. Insieme racconta di avere dentro di sé doni nuovi. Vede il futuro. Prevede ciò che accade. Sa riportare conversazioni alle quali non è stata presente e avve­nute a centinaia di chilometri di distanza. Riesce a fare salti da acrobata, da un mobile all' altro. Sostiene di essere diversa. A volte di desiderare cose terribili, come la morte. Come il suicidio.

«Creda, padre,» dice la donna al frate «la mia vita è diventata un vero inferno. Anche se sono madre di due bambini, penso alla morte come a una fuga, a una liberazione.»

Padre Pier Paolo è abituato a certi tipi di testimonianze, anche alle più bizzarre. E' cappellano del ma­nicomio di Piacenza da tempo. Ne ha viste di cotte e di crude. Subito pensa a una malattia psicologica. Così chiede alla donna se si sia fatta visitare da qual­che medico. La donna gli spiega che è andata da tutti i medici di sua conoscenza e che le hanno detto tut­ti d'essere «un tipico caso d'isterismo». Un caso che «dura da sette anni». Ma, dice la donna, «io non ci credo. Non sono per nulla convinta che sia così. Io, padre, non sono isterica e nemmeno pazza».

«E allora?»

«Allora, poiché non posso più sperare di ricevere alcun aiuto dagli uomini, ho sentito il bisogno di rivolgermi a Dio, di raccomandarmi a lui. Sono andata, no­nostante provassi molta ripugnanza, in tutte le chiese della città per pregare, per farmi benedire, e confesso che, soprattutto la benedizione, mi fa stare meglio, al­meno per qualche giorno. Ma ormai sono andata tante volte, che quasi non ho più il coraggio di ripresentar­mi, temo che i sacerdoti mi credano pazza.»

Padre Pier Paolo comincia a interessarsi molto al racconto.

«Mi fu detto che sulle colline piacentine c'era un parroco famoso per le sue benedizioni. Smaniosa di farmi benedire da lui, una domenica dopo pranzo mi feci prestare un calesse per il viaggio. In compagnia di mio marito e dei miei genitori mi misi in viaggio. Il ca­vallo, ottimo trottatore, per un bel po' divorò la stra­da, ma quando, a un certo punto, cominciai a sentirmi male, anche il cavallo si fermò di colpo. Lo frustarono a sangue. La povera bestia, tra calci e impennate, pun­tò le gambe, allungò il collo, ma non si mosse. Allora, quasi fuori di me, saltai giù dal calesse, mi liberai dalla stretta dei miei familiari e, volando circa mezzo metro da terra, attraverso i campi, salii la collina in direzio­ne della chiesa presso la quale dovevamo andare. La gente che in quel momento usciva dalla benedizione pomeridiana vedendomi salire a quel modo urlando, gesticolando, coi veli e coi capelli all'aria cominciò a far rumore. Le donne gridavano, qualche cane abba­iava, le galline volavano spaventate dai campi verso casa. Finalmente arrivai sul piazzale. Tutti mi fecero largo e io, sempre in volo, infilai la porta semiaperta della chiesa e andai a cadere lunga distesa proprio davanti all'altare maggiore, sul quale era esposta un'im­magine di san Espedito. li parroco, seguito dalla folla, accorse e, intuita la cosa, mi benedisse, io rinvenni e per diversi giorni stetti benissimo.»

Padre Pier Paolo ascolta la donna senza battere ciglio. La donna gli domanda cosa ne pensa. Questi, sempre convinto di trovarsi di fronte a un caso patologico, risponde vagamente: «Certamente sono fenome­ni strani, molto strani». E aggiunge: «Senta, se la be­nedizione le fa bene, venga pure quando crede senza timore; se non ci sarò io, ci sarà pur sempre qualche mio confratello».

Alcuni giorni dopo la donna si presenta di nuovo. Mentre padre Pier Paolo è intento a benedirla davan­ti all'altare della Madonna, lei, seduta vicino a una colonna del presbiterio (aveva infatti domandato di sedersi), sommessamente, a bocca chiusa, comincia a ululare come un cane che si lamenta nel sonno; poi, reclinata la testa alla colonna, a occhi chiusi, con le mani in grembo, si abbandona improvvisamente al canto, un canto ricchissimo, passionale, splendido. Dopo aver cantato, stando sempre nella medesima posizione, in un linguaggio sconosciuto, prende a in­veire contro qualche cosa d'invisibile, con una violen­za tale da sembrare una pazza nel colmo del furore. In quel momento esce dal coro e si accinge ad attraver­sare la chiesa un altro frate, padre Apollinare Focac­cia. Questi sente il canto e le successive indecifrabili imprecazioni. E a sera, conversando con padre Pier Paolo, chiede: «Ha osservato quella signora?».

«Sì, perché?»

«Non è rimasto impressionato?»

«A dirle il vero, no. Come cappellano del manicomio, ormai sono abituato a certe scene.»

E, infatti, la donna non gli ha fatto nessuna impressione; è vero, inveiva, ma non si muoveva.

«Ma guardi» continua il confratello «che quella signora è indemoniata.»

«Non esageriamo» ribatte padre Pier Paolo. «Non dobbiamo tanto facilmente accedere a quelle così fa­cili suggestioni popolari che vogliono vedere l'inter­vento del diavolo in tutto ciò che non appare facil­mente spiegabile. Tant'è vero che la scienza umana non è in grado di spiegare tutto, ma non dobbiamo disprezzare le nostre forze di raziocinio. Quello che la scienza non è riuscita a spiegare oggi, riuscirà a spie­garlo domani.»

Padre Apollinare non è persuaso: «Siamo sinceri. Non voglio apparirle un credulone. Ma le confesso che non riesco a spiegare in puri termini umani la capaci­tà di una donna di assumere atteggiamenti così fuori dall'ordinario. Come può una persona parlare una lin­gua sconosciuta? Non si può neppure tentare di avan­zare una spiegazione che si appoggi al subcosciente o a qualche eccezionale struttura psicologica. La mente umana non può esprimere in termini di logica ciò che essa non ha appreso. Non si tratta di una intuizione inespressa; non si tratta di una suggestione inaffer­rabile: è un nuovo mondo logico, misterioso perché non consueto sia a noi che alla signora. Appunto, è un mondo nuovo che si sostituisce all'attuale».

«Padre Apollinare, venga con me una volta in manicomio. Potrò mostrarle tanti casi interessantissimi, di cui la scienza non è ancora venuta a capo.»

«Verrò e cercherò di osservare come mi sarà pos­sibile. Mi dica, è mai riuscito a notare un caso che anche lontanamente assomigli a questo?»

«Francamente no.»

«Si potrebbe ammettere, almeno in via d'ipotesi, senza recare offesa alla scienza, la possibilità di un intervento diabolico. La signora è persona normalissima, solo che, talvolta, perde coscienza di sé e assume una personalità differente dalla sua, una personalità nuova che s'impossessa del suo corpo e se ne giova come di uno strumento docilissimo. Ha sentito come cantava? Neanche il più celebre soprano del nostro secolo è in grado di cantare come ha fatto lei. E poi quelle ingiurie strane dette in una lingua così bizzarra. No, padre, è un fatto che deve fare riflettere. Per me, quella signora è posseduta. E un caso eccezionale. San Pietro dice che i diavoli furono legati "con le cate­ne dell'inferno per essere tormentati e serbati per il giorno del giudizio". Quindi il luogo loro è senz'altro l'inferno. Tuttavia san Paolo, nella Lettera agli Efe­sini, dice che essi stanno nell' aria. Gesù stesso dice una volta, secondo il resoconto di Matteo, che il loro soggiorno è nell'inferno e un' altra volta dice, secondo il resoconto di Luca, che è nel deserto. Tutto ci au­torizza qui a credere alla possibilità di una presenza diabolica. Del resto, la possessione è fenomeno largamente conosciuto e noi non avremmo da far altro, per assicurarcene, che leggere il Vangelo. Inoltre, dai primi tempi del cristianesimo si usò contro la possessione l'esorcismo. Gli esorcisti costituivano un ordine particolare della Chiesa. L'azione diabolica era molto vivace nel mondo pagano (e i nostri missionari dico­no altrettanto per il mondo pagano d'oggi), perciò l'esorcismo aveva luogo innanzitutto in occasione del battesimo. Ma anche i già battezzati venivano esorcizzati se sospettati di possessione diabolica. D'accordo, non bisogna esagerare, e san Tommaso ce ne avverte chiaramente. Ma è anche vero che noi troppo facilmente dimentichiamo che Satana è il principe di que­sto mondo, che Satana ha tentato Gesù e che proprio quando è cacciato dal nuovo regno della grazia, allora tenta con i maggiori sforzi possibili di mantenere il suo dominio. Come tutto ciò possa concretamente avvenire, è un mistero. Non è certamente possibi­le negarlo. Ma ci è anche assolutamente impossibile negare certa possibilità d'impero che il demonio ha sulla natura, sia essa fisica che umana. E qui tutti gli evangelisti, compreso san Paolo, ce ne avvertono con tutta chiarezza.»

Padre Pier Paolo è attento alle parole del suo confratello. E risponde: «Tutto verissimo, caro padre, ma io non discuto il principio, discuto solamente il fatto, mettendo in dubbio che realmente quella signora sia posseduta dal demonio».

Padre Apollinare non si dà per vinto. Insiste, tan­to che il mattino dopo padre Pier Paolo, morso dai dubbi, si presenta dal vescovo della diocesi. Vuole far tacere lo scrupolo di coscienza che le parole del confratello gli hanno suscitato. Monsignor Giovanni Ma­ria Pellizzari è persona profondamente amorevole e dolce, ma anche quanto mai risoluta. Dopo essersi fat­to raccontare il caso in modo dettagliato, e dopo una seria riflessione, dice senza preamboli: «Caro padre, faccia un esorcismo su questa persona. È un ordine».

Padre Pier Paolo non si aspetta una tale risposta.

Sussulta come se l'avesse investito un' auto in corsa. Chiede: «Eccellenza, è proprio necessario?».

«Sì.»

«E davvero lo dovrei fare io?» «Sì.»

«Non potrebbe incaricarne un altro?»

«o lei o monsignor Mosconi, ma sarebbe meglio lei, che già conosce la persona.»

«Perdoni, eccellenza. Se ben ricordo ho udito dire che il demonio, negli esorcismi, inveisce contro il sa­cerdote, inventando sul suo conto storie tutt' altro che piacevoli. E se la donna è davvero indemoniata ... »

«Ma chi vuole che creda alle parole del demonio?

Non sa che il demonio è il padre della menzogna?» «Lo so in teoria. Ma in pratica coloro che mi do­vranno assistere, crederanno davvero che il demonio dice soltanto delle bugie?»

«Faccia l'esorcismo» ripete il vescovo col tono del­la voce che non ammette repliche. E si alza per congedarsi.

Padre Pier Paolo esce dall' episcopio in condizioni di spirito abbastanza difficili. Pensa: "E se il demonio davvero si palesasse? Cosa succederà? Confesserà davanti a tutti i presenti i miei peccati? E se ne inventa di altri?".

Padre Pier Paolo ha paura. Paura di parlare con il demonio, di vederlo all' opera. Di trovarselo di fronte. Non vuole credere nell'esistenza del demonio perché del demonio ha paura. È un bravo frate. Crede di es­sere un grande peccatore. E ciò lo rende sempre tremebondo. Pensa: "E se la donna fosse semplicemente un'isterica? Se dopo averla tormentata con degli esor­cismi, diventasse ancora più isterica, più matta di pri­ma? Quali le conseguenze?".

Sta già per tornare indietro dal vescovo per con­fidargli tutti i suoi dubbi quando qualcosa dentro di lui gli dice di non farlo. Una voce gli parla e gli dice:

"Non temere. Fa' ciò che ti è stato chiesto. Non avere paura".

Così padre Pier Paolo si decide. Convoca alcune persone di fiducia e chiede loro di assistere all'esorcismo. Tra queste il dottor Lupi, il direttore del ma­nicomio che tutta Piacenza conosce e stima. Lo trova nel suo studio.

«Dottore, mi capita un bel caso.»

In pochi minuti lo mette al corrente della cosa. Dice il dottore: «È davvero un bel caso. Assisterò volentie­ri alle sedute. Ma a una condizione: che a esorcismo compiuto lei tenga le sue opinioni e io le mie. A meno che i fatti non siano così evidenti da condurci tutti e due alla medesima conclusione».

Padre Pier Paolo non si limita a invitare alcune persone. Fa di più. Chiede a un confratello, padre Giustino, che conosce bene la stenografia, di fissare su carta lo svolgersi dei dialoghi. È la prima volta che un esorcismo viene registrato. Un fatto unico e incredibile almeno per quei tempi. Ma il fatto risulterà essere unico anche per come 1'esorcismo si svolgerà. Un esorcismo di una violenza inaudita, in un certo senso unica.

Alle ore 14 del 21 maggio 1920 avviene il primo esorcismo. La donna, pallida, elegante, giunge accompagnata dal marito, dalla madre, da un amico di fami­glia e da due ragazze. Vengono ricevuti da padre Pier Paolo, da padre Giustino e dal dottor Lupi. La sala adibita all' esorcismo è al primo piano del santuario. È una bella, spaziosa sala, dagli ampi finestroni a lungo battuti dal sole. In fondo alla sala, un piccolo altare portatile, sul quale è stata esposta, fra due candele, la teca del santo legno della croce. Davanti all' altare ven­gono poste due sedie, che devono servire da inginoc­chiatoio all' esorcista e al suo assistente, per le preghie­re preparatorie. Un poco più indietro, una poltroncina di vimini per la signora e, ai lati, in semicerchio, altre sedie per gli assistenti e i testimoni. A destra dell' alta­re, la poltrona per il medico, a sinistra, il banco del­lo stenografo e un piccolo tavolo con sopra la stola, la cotta, il rituale romano, 1'aspersorio e il secchiello dell' acqua santa.

La signora viene fatta sedere. Ai suoi lati si dispongono, in piedi, gli assistenti, pronti per qualsiasi eve­nienza; le signore occupano le sedie in semicerchio. I due padri, in ginocchio davanti al piccolo altare, incominciano a recitare le litanie dei santi; poi, come prescrive il rituale, si volgono verso la donna e inizia­no a recitare le preghiere preparatorie.

«Exorcizo te, immundissime spiritus, omne phanta­sma, omnis legio» dice padre Pier Paolo. E subito la donna, che fino ad allora è rimasta seduta, sbadigliando e stirandosi le braccia come fosse una belva che sta per svegliarsi, improvvisamente, unite le mani alla punta dei piedi, si lancia con mirabile eleganza in aria e piom­ba poi, snodandosi come una biscia, in mezzo alla sala, rlmanendovi sdraiata. Il corpo della donna è totalmen­te trasformato. Il suo volto è orribile. Immediatamente cerca di scagliarsi contro l'esorcista, gridandogli con maschia voce tonante: «Ma chi sei tu, che osi venire a combattere con me? Non sai ch'io sono Isabò, che ho le ali lunghe e i pugni robusti?». E scarica all'indirizzo del sacerdote un cumulo d'ingiurie.

L'esorcista, vinto dall'emozione, sulle prime si sen­te come annientato, ma poi una forza nuova l'invade, e si sente forte di uno spirito combattivo che egli non sa umanamente spiegarsi. Impone alla donna di ta­cere.

«Io, sacerdote di Cristo, impongo a te, chiunque tu sia, e te lo impongo per i misteri dell'incarnazio­ne, della passione e della resurrezione di Gesù Cristo, per la sua salita al cielo, per la sua venuta al giudizio universale, di star fermo, di non far male né a questa creatura di Dio né ai circostanti, né alle cose loro, e di ubbidire in tutto a ciò che ti comando.»

È adesso che inizia un dialogo durissimo tra il de­monio e l'esorcista. Un dialogo che lascia senza fiato. «In nome di Dio, dimmi, chi sei?»

«Isabò» urla la donna, rossa in faccia e con gli oc­chi sbarrati.

«Che cosa significa Isabò?»

«Tu hai dei nemici che ... »

«Che cosa significa Isabò?»

La donna prova a deviare il discorso ma la doman­da dell'esorcista è perentoria.

«Che cosa significa Isabò?»

La donna si morde le braccia e le mani. Cerca di afferrare l'abito dell' esorcista. Grida: «Significa essere fatturato così bene da non potersene più distaccare». Il termine "fatturazione" vuol significare riferimento ad arte di stregoneria.

«Che potere hai?»

«Il potere che mi danno.»

«Che potere ti danno?»

«Tante forze.»

«Da chi ricevi queste forze?»

«Dalla persona in cui sa scongiurarmi.»

«Ma che italiano è questo?»

La donna ha un fremito di sdegno.

«Non sono italiano io» urla sarcasticamente. Ed esce in una tempesta d'ingiurie che si sarebbe rinnovata mol­te volte successivamente.

Il sacerdote continua imperterrito. «Da dove vieni?»

«Ma tu mi comandi come se io fossi il tuo servo.»

«Dimmi da dove vieni. Nel nome di Dio, di quel Dio che tu ben conosci, dimmi da dove vieni.»

La donna, udito il nome di Dio, gira la faccia e ri­mane immobile per parecchi secondi.

«In nome di Dio, per il suo sangue, per la sua mor­te, dimmi da dove vieni.»

«Dai deserti lontani.»

«Sei solo o hai dei compagni?»

«Ho dei compagni.»

«Quanti?»

«Sette.»

«Perché sei entrato in questo corpo?»

«Per un forte amore non corrisposto.»

«Non corrisposto da chi?»

«Sei un imbecille.»

«Rispondi! Chi non ha corrisposto questo amore?»

«Questo corpo» urla la donna, dandosi un forte pugno sul petto.

«E perché non ti ha corrisposto?»

Fiera, sdegnosa, alta suona la risposta della donna. «Perché ciò non è giusto.»

«Dunque questo corpo è una tua vittima.»

Le parole del padre vengono sottolineate da una risata orribile. La donna ride, ma questa volta a bocca chiusa, e assumendo un muso da maiale la cui vista gela tutti in un brivido di spavento.

«Quando sei entrato in questo corpo?»

Costretta dall' esorcismo, tra violentissimi sobbalzi che mettono a dura prova i muscoli degli assistenti che in qualche modo cercano di tenerla ferma, la don­na risponde.

«Nel 1913, il 23 aprile, alle ore 5 del pomeriggio.» Secondo la dichiarazione della donna, uno spirito estraneo è entrato nel suo corpo in seguito al maleficio di uno stregone, per mezzo di un bicchiere di vino, di un poco di carne di salame e di qualche goccia di sangue.

«Hai invaso solo questo corpo o anche i membri della famiglia?»

«Anche i membri della famiglia.»

«Dammene una prova.»

«Quando questo corpo sta male, anche la famiglia è indisposta.»

«Quanto tempo hai impiegato per entrare in questo corpo?»

«Sette giorni.»

«In che luogo è successo?»

«In una casa di qui.»

«Quale?»

«Non chiedere,» grida allarmata la donna «non si può.»

«Allora vattene!»

«No, mai.»

Padre Pier Paolo rinnova l'esorcismo. «T'impongo di uscire.»

«Non esco. Sono Isabò.»

E in un impeto di ribellione si sbarazza degli assistenti, si lancia contro il sacerdote, gli afferra l'abito e gli strappa la stola, gridando: «Hanno impiegato sette giorni per farmi entrare, e tu vuoi farmi uscire da questo corpo con un solo esorcismo?».

Il momento è critico. Tutti cercano di tenere fer­ma la donna. Solo il dottore sta fermo, impassibile. Il sacerdote benedice la donna con l'acqua santa e lei, come fosse scottata da fuoco vivo, si getta a terra contorcendosi.

«Quando uscirai?»

Un'espressione di profonda tristezza muta il volto della donna. «Come debbo fare, se, mentre tu lavori perché io me ne vada, altri stanno lavorando perché resti?»

«Rispondi, in nome di Dio, quando te ne andrai?»

«Uscirò quando avrò rigettato la palla che tengo nel ventre.»

Di cosa si tratta? Della palla di salame con il quale era stato compiuto il maleficio. Viene preparato un catino.

«Rigetta! »

La donna, con un balzo formidabile, è sul catino e rigetta qualcosa. .

«Dimmi, immondo spirito, le parole che ti fanno soffrire di più.»

Il sacerdote vuole costringere la donna a rigettare tutta la roba malefiziata. L'ossessa si volge verso l'esor­cista con terrore e non risponde. Ma quando le viene ripetuta la domanda, con uno scatto inesprimibile di spavento e di ribellione, urla: «No!».

È decisa a combattere e lo fa duramente, finché, dopo un momento d'incertezza e di paura profonda, non ha finalmente a scandire, nel silenzio della sala: «Sanctus! Sanctus! Sanctus!».

L'esorcismo dura ormai da troppe ore. La donna è sfinita. Dopo aver imposto allo spirito di non fare del male ad alcuno, il sacerdote pone fine all' esor­cismo. È notte.

Padre Pier Paolo non ha più alcun motivo di dub­bio. Del resto il suo aspetto stesso lo manifesta chia­ramente. È sconvolto. Rilassato in tutti i muscoli del corpo, ma contratto nei muscoli del volto. Ha poca voglia di parlare. Tuttavia dice: «È inimmaginabile come lo spirito del male possa resistere alle armi della salvezza e ai comandi del sacerdote».

Padre Pier Paolo, a testa bassa, se ne va in cella, per cercare di riposare. Padre Giustino appare un poco più fresco. Ed è comprensibile, la fatica mag­giore dell'esorcismo è toccata al suo confratello. Dà un sommario resoconto dell' accaduto agli altri frati. Poi dice: «Se volete una illustrazione del nostro caso, andatevi a rileggere sant'Agostino. Agostino dice che, dopo il peccato originale, la prima pena conseguitane è stata la morte. Morte morale alla vita della grazia e morte fisica. Ebbene, la morte conferisce al demonio una specie di proprietà su di noi. Egli ne ha pieno diritto, e l'abbandono dell'umanità decaduta ai suoi immondi poteri è avvenuto per pieno esercizio di giustizia. A causa del peccato Dio è stato cacciato dal cuore umano? Ebbene, egli se ne è ritirato, ed è subentrato il demonio. Il demonio può fare della natura decaduta, nei limiti consentitegli dall' ordine divino, ciò che gli piace. E ciò spiega l'enorme nume­ro di posseduti e di ossessi che c'è tuttora nel mondo pagano. Gesù stesso ha incontrato sul suo cammino una quantità notevolissima di posseduti. Gesù è ap­punto venuto per combattere ed estirpare dal mondo il regno del demonio. Dio si è fatto uomo per com­battere Satana. Un esito di questo primo e decisivo combattimento è stato quello che nel pomeriggio di oggi padre Pier Paolo ha dovuto combattere contro lo spirito dell'ossessa. Per un nuovo mistero d'iniqui­tà e perché il Signore l'ha concesso, un sortilegio ha permesso al maligno di impossessarsi di quella povera donna. I disegni di Dio noi non possiamo giudicarli e non possiamo neppure tentare di sapere perché Dio ha permesso questo caso di possessione. Sta di fatto che il diavolo pare si sia impossessato con gioia, con voluttà, di quel corpo, quasi per rivendicare un suo an­tico diritto, strappandolo dalle mani di Cristo e della Chiesa. È una forza enorme, spaventosa, che è riuscita a ghermire un corpo consacrato dal battesimo e dai sacramenti. Dio sa quel che fa e quel che permette. Tutto è a servizio dei fini della divina provvidenza. Egli permette il male per ricavarne il bene. E ciò deve essere ripetuto specialmente nei riguardi del nostro caso. Ma Satana non è una forza passiva, massiccia ma inerte. È invece una forza spaventosamente attiva. Padre Pier Paolo vincerà, e ne nascerà un gran bene, se non altro per l'immenso significato di avvertimento che l'episodio avrà agli occhi della gente: ma avrà da combattere molto. Ha combattuto Gesù, per primo, contro le tentazioni e il potere del demonio: combat­terà anche padre Pier Paolo. E, come ha vinto Gesù, così vincerà anche padre Pier Paolo. Ma ne vedremo delle belle.»

Davvero padre Pier Paolo vincerà? Dipende da co­sa s'intende per vittoria.

Il secondo esorcismo ha luogo nel pomeriggio del 23 maggio successivo. Vi intervengono tutti coloro che già assistettero al primo esorcismo, esclusa la ma­dre della signora, che era rimasta terrificata da ciò che aveva veduto, e che non se 1'era sentita di tornare ad assistere a quello strazio. Dopo le rituali preghiere preparatorie, riprendono gli scongiuri. Ma lo spiri­to, sempre altezzoso, si rifiuta di uscire, perché, dice, altri stanno lavorando per farlo restare. Questi tali sono gli stregoni che 1'avevano fatto entrare nel cor­po della signora.

Altri esorcismi seguono nei giorni successivi, violenti e tremendi. Al quarto, il pomeriggio del primo giugno, l'esorcista vuole chiarire l'affare delle piante. Dice: «L'altro giorno mi parlasti di tre piante. Dove si troverebbero?».

«Non sono io che ti debbo insegnare queste cose.»

«In nome di Dio dimmi dove si trovano.»

La donna sta un po' in forse, come di fronte a un forte scrupolo di coscienza; poi dice risolutamente: «Una nell'orto di..., una in fondo al Po, la terza in un orto presso la casa di ...».

«Con che cosa sono legate?»

«Con un filo di lana bianca.»

«Chi le ha legate?»

«La prima colui che ha chiesto il maleficio. La seconda uno stregone. La terza, quella in fondo al Po, queste braccia.»

«Quando si slegheranno?»

«Due sono già slegate.»

«Quando si slegherà la terza?»

«Fintanto che ci sarà il deposito (cioè la palla mai digerita dalla posseduta), la pianta non si slegherà.»

«E quando uscirà il deposito?»

«Quando lo vorrai tu.»

«Lo voglio subito. Alzati e rigetta.»

Dopo qualche insistenza, la posseduta ubbidisce e rigetta qualcosa tra spasmi atroci. Poi l'esorcismo vie­ne sospeso per un po'. Approfittando del breve inter­vallo padre Pier Paolo chiede alla posseduta se in vita sua avesse mai legato delle piante.

«Sì, ne ho legata una.»

«Dove?»

«In fondo al Po.»

«Con che cosa l'ha legata?»

«Con un filo di lana bianca.»

«E il motivo?»

«Perché mi avevano assicurato che, con quel filo, avrei legato il mio male alla pianta.»

«Ed è stato così?»

«Tutt'altro. Appena legata la pianta, non potevo staccarmi. In seguito sono andata sempre peggiorando. Ma perché tutte queste domande?»

«Perché durante l'esorcismo ha parlato di questa pianta.»

«Ho fatto male a legarla?»

«Certamente, è sempre una superstizione. Sapeva che, mentre lei legava una pianta in fondo al Po, altri, altrove, ne legavano altre due?»

«No.»

All'ottavo esorcismo padre Pier Paolo chiede al diavolo: «Esistono veramente gli stregoni?».

«Sì.»

«Che cosa fanno?»

«Sono persone capaci di fare del male ad altri.»

«Hanno potere su di te?»

«Sì.»

«Hanno comunicazione diretta con te?»

«Sì.»

«Chi ha dato a questa creatura la roba maleficata?»

«N.N. (il mandante, N.d.R.)»

«Dove gliel'ha data?»

«A casa sua, a Piacenza.»

«Chi portò la roba?»

«Una donna.»

Si trattava di una vecchietta, che il demonio descris­se alla perfezione. Si presentò con il vestito e lo scialle nero.

«Prima che ti cacciassero in questo corpo, dov'eri?»

«In un borsellino.»

Risposta stravagante, seppure esiste una tradizione vivissima nel Medioevo detta del «diavolo nel borsellino».

«Dov'eri prima di entrare nel borsellino?»

«In un deserto.»

«Cosa facevi là?»

«Andavamo dietro ai cavalli.»

«Dietro ai cavalli?»

«Sì, nel deserto presso l'omnibus quarto.»

La cosa è sempre più incomprensibile. È ben vero infatti che gli astanti non sono obbligati a credere a tutto quello che dice lo spirito, ma è anche vero che questa complicata storia del borsellino, del deserto e dei cavalli desta una vivissima curiosità in tutti seppure sia difficile da comprendere. Perciò padre Pier Paolo vuole, per quanto possibile, appurare la realtà delle cose. Sospende l'interrogatorio e nel breve intervallo, appena la posseduta ritorna alla piena coscienza di sé, le chiede: «Ha mai portato al collo un borsellino?».

La signora ha un attimo di esitazione, poi risponde:

«Sì, una volta».

«Da chi lo ricevette?»

«Da N.N. (il primo stregone, N.d.R.)»

«Ma lei conosce N.N.?»

«Sì, sono stata con lui molte volte.»

«Scusi, per far cosa?»

La signora arrossì non poco. «Per farmi curare.»

«N.N. è un medico?»

«Dicono che sia un santo, ha guarito molti ammalati.»

«E ha guarito anche lei?»

«No. Ma mi aveva assicurato che tenendo al collo il borsellino, sarei guarita in breve tempo. Invece sono andata sempre peggiorando.»

«Per quanto tempo tenne al collo il borsellino?»

«Per poco tempo. Dal paese di N.N. fino a casa mia perché dove toccava produceva un bruciore for­tissimo e mi paralizzava la parte toccata. Mio marito voleva assolutamente che lo tenessi, che cercassi di resistere, ma io a un certo punto, non potendone più, l'ho preso e l'ho gettato via.»

«Prima di gettarlo via, guardò che cosa c'era dentro?»

«Sì, non c'era niente. Credevo di trovarci qualche immagine sacra, qualche reliquia di santo, invece non c'era, mi pare, che un poco di carta.»

Alla ripresa dell' esorcismo, la posseduta rimane relativamente calma, ma quando le preghiere giungono al Sanctus, balza in aria in modo indescrivibile, minacciando l'esorcista con urla formidabili.

Padre Giustino abbandona il compito di stenogra­fo per cercare di legare le mani alla donna, ma non vi riesce. Dagli occhi della posseduta esce una luce d'odio terrificante.

All'esorcismo successivo del 3 giugno lo spirito si dimostra animoso e offensivo come la volta precedente. Più perde terreno e più si vendica ingiuriando il sacerdote.

«Rigetta» gli impone questi.

«Non posso» risponde lo spirito.

«In nome di Dio.»

«Non posso, imbecille.»

«In nome di Dio» insiste l'esorcista . Allora il demonio ubbidisce.

«Cos'hai rigettato?»

«La bava con tanti fili.» E, sollevando gli occhi verso il sacerdote, la posseduta si mostra molto triste. «Fra poco rigetterò tutto.»

«Rigetta!»

La posseduta è ancora sul catino. «Cos'hai rigettato?»

«Mi hai fatto rigettare quasi tutto il deposito.»

«Allora non l'hai rigettato per intero, perché?»

«Perché non posso.»

«È questa la verità?»

«Sì.»

«Impostore! Perché l'altro giorno mi hai detto che l'avevi rigettato tutto? Sei un impostore che dà a intendere una cosa per un' altra.»

A questo insulto la donna fa per spiccare un salto contro il sacerdote, ma gli assistenti, ormai avvezzi a questi scatti, le sono subito addosso. Inizia una lotta furibonda. Padre Giustino accorre ad aiutare gli assistenti. Passando vicino all' esorcista, gli consiglia di dire qualcosa. Allora la donna scatta violentemente, pur essendo letteralmente premuta dal peso degli assi­stenti, e urla: «Lasciatemi andare, voglio dare un calcio a quello lì».

È divenuta spaventosamente furibonda. Ha la bava alla bocca. Padre Giustino e gli assistenti stentano a trattenerla e quasi sfugge loro di mano. Allora anche le donne accorrono in aiuto. Un cumulo di corpi è addosso all'ossessa, ma questa ancora riesce a lottare e a divincolarsi. A questo punto padre Pier Paolo inter­rompe l'esorcismo, per non sfibrare completamente la povera donna.

Le cose vanno per le lunghe anche perché, a detta del diavolo, gli altri sette demoni lottano per non dover abbandonare il corpo. Anzi precisa che uno degli stregoni ha sepolto quattro uova per terra, e vi ha posto sopra una pietra con delle parole misteriose che significano: «Non sarete libera finché non verrete a me».

Passano i giorni. Nuovi esorcismi vengono compiuti. La donna non si libera ma comincia a stare visibilmente meglio. L'esorcista capisce che oltre a Isabò sono due i diavoli più duri da sconfiggere presenti nel corpo della posseduta, Maristafa ed Erzelaide. Ma va­rie altre forze ancora sono in gioco, alcune già partite e altre ancora solidarizzanti con Isabò. La lotta deve essere ancora lunga. Molto lunga. Nei sette anni in cui è stata posseduta la donna ha assunto, nelle sue varie trasformazioni, una voce virile ma affettuosa, tremo­lante e cordiale. Una voce che afferma di provenire dall' anima santa del nonno, e dà ottimi consigli che, messi in pratica, calmano subito, almeno sul momen­to, le furie della povera ammalata. L'intera famiglia ha una venerazione grandissima del nonno e la sua voce, nonostante la stranezza del caso, è simbolo di prote­zione e di serenità.

«L'ha detto il nonno!» Questo bastava perché tutti credessero e si tranquillizzassero. Guai, ebbe a dire una volta a padre Pier Paolo la madre della donna, «se in mezzo a tante diavolerie e tanti diavoli non ci fosse stata l'anima santa del nonno a consigliare sempre per il meglio».

Padre Pier Paolo vuole risolvere questo affare. Durante un esorcismo dice allo spirito: «Hai detto di non essere solo, di avere vari compagni. Ebbene, tra i tuoi compagni deve esserci un' anima bella, un' anima san­ta, l'anima del nonno di questa signora. Fa coraggio alla signora, l'esorta a sopportare con pazienza i suoi mali, a confidare in Dio, a raccomandarsi a Lui.

La donna sta in ascolto, sorniona. «Conosci tu quest' anima?»

L'ossessa continua a rimanere muta. Padre Pier Pao­lo perde la pazienza: «Impostore. Sei tu il nonno, spi­rito immondo ingannatore, tu, camuffato, truccato».

La donna guarda meravigliata il sacerdote, lo fissa negli occhi, quasi per un attimo di titubanza; poi prorompe in una risata sonora, sgangherata, da avvinazzato, che fa rabbrividire tutti. Padre Pier Paolo capi­sce che questa è l'ultima risposta che la "santa anima del nonno" darà. La voce del nonno non è altro che la voce del diavolo.

Gli esorcismi si susseguono uno dopo l'altro. Lo spirito è sempre altezzoso, ma non così sicuro di sé come le prime volte. Nei momenti più critici l'esorcista brandisce la teca del santo legno della croce. Quan­do il duello tra sacerdote e demonio tocca momenti di particolare intensità, accadono scene spaventose. Quando il furore dello spirito è particolarmente inten­so, il corpo della signora si affloscia su se stesso, come fosse un sacco vuoto, poi, improvvisamente, pare che un corpo vivo vi balzi dentro e vi salti senza tregua, disperatamente. Ma l'odio dello spirito cozza sempre contro barriere insuperabili.

«Che dobbiamo fare per farti uscire più presto?» chiede padre Pier Paolo al demonio.

Nel silenzio profondo della sala, lo spirito, con cal­ma, con solennità, risponde: «Pregare».

Durante il nono esorcismo il sacerdote chiede: «Do­ve sono i tuoi compagni?». Allude agli altri spiriti che Isabò aveva confessato essersi allontanati dal corpo della donna in seguito agli scongiuri dell' esorcista.

«Non lo so.»

«In questa stanza ce ne sono?»

«Sì, due.»

«Ebbene, li caccio.»

«Ebbene, cacciali. Che importa a me di questo?»

«Li caccio nel deserto. Hai capito?»

«E cacciali nel deserto.»

Evidentemente nutre una discreta dose di indiffe­renza, se non addirittura di disprezzo per i suoi com­pagni.

Un'altra volta padre Pier Paolo ripete l'intimazio­ne: «Vattene».

«Tu credi di potermi trattare come un cane, ma ti sbagli.»

Il demonio è pieno di orgoglio. Spesso riesce a imporsi. Dice: «Se hai paura, va' a letto». Insiste molto sulla paura e, naturalmente, ha buon gioco.

Durante il decimo esorcismo Isabò esclama, trionfante: «Sai? Mi sono impossessato di Y». «Non ti credo, dammene una prova.»

«Io te la do, ma non come intendi tu.»

«Da' un segno visibile a me e ai circostanti.»

«Niente circostanti: darò un segno solo a te.»

«Quale?»

«Di notte vedrai un'ombra vicino al letto. Vedrai la mia forma.»

«Va' all'inferno. Non voglio questo segno.» Lo spirito ride ironicamente.

«Allora, che cosa vuoi?»

«Dammi un segno.»

«Non posso dare un segno senza far dolore.»

«Dammi un segno.»

A quest'ultima imposizione, il corpo dell' ossessa si gonfia lentamente, il suo viso si accende di un colo­re rosso cuoio, poi, con uno sforzo enorme, la bocca si apre ed emette un suono forte, insistente, simile a quello di una sirena.

«È questo il segno?» chiede il frate.

«Sì.»

«Che segno è?»

«Il fischio di una sirena.»

«Non mi basta. Voglio un segno più manifesto.»

«Ti farò sentire una voce.»

«Che voce?»

«Una voce.» E si mette a cantare con una voce talmente stridula che lacera le orecchie.

«Lascia stare e dammi un segno più evidente.»

«Allora ti comparirò di notte vicino al letto.»

«Taci!» urla l'esorcista e, dietro suggerimento di padre Giustino, si rivolge alle donne e dice: «Impongo allo spirito di comparire qui. Avete coraggio?».

«Sì», rispondono le donne.

Allora il padre si rivolge alla posseduta e riprende: «Tu vuoi comparirmi di notte e io t'impongo di comparirmi qui, alla presenza di tutti. Avanti!».

Nella tensione nervosa dell'attesa si è irrigidito sull'attenti e tiene forte nel pugno il manico dell'aspersorio.

Con l'acqua santa vuole tracciare un'insuperabile linea di difesa contro le eventuali velleità del demo­nio. È un momento drammatico.

«Compari qui» ripete il sacerdote nel silenzio altissimo della sala.

«Compari qui» dice una terza volta.

Finalmente lo spirito, umiliato e con voce opaca, risponde: «Non mi è concesso».

E un evidente fremito smaschera il suo orgoglio infranto.

Altre volte il demonio deve scontrarsi con imposi­zioni più forti della sua volontà. Come quando il padre gli chiede: «Che cosa si deve fare per evitare i malefì­zi?». Il demonio si ribella con forza a più riprese, ma poi è costretto a rispondere: «Tenere sul petto una cro­ce benedetta».

Gli esorcismi indeboliscono sempre di più la for­za del demonio. Talvolta pare che lo spirito stenti a trovare le parole per la risposta e nello sforzo espres­sivo sembra balbuziente. Allora dalla bocca contratta e anche dalle narici dilatate escono come degli scoppi secchi, simili al rumore che fanno i sassi quando una ruota d'automobile li preme di sbieco e li fa saltare lontano. Ma cerca sempre di nascondere la debolezza con un tono di burbanza.

«Se vuoi che esca» dice al decimo esorcismo «va' a chiamare quel tuo compagno che non crede.»

«Non crede a che cosa? Alla tua esistenza?»

«No, non crede che io sia in questo corpo.»

E aveva ragione. Un confratello di padre Pier Paolo aveva espresso forti dubbi sulla realtà della possessio­ne diabolica.

«Fin qui non c'è nulla di male» dice il padre. «Dov'è?»

«In convento.»

«Dove?»

«In camera.»

«In quale?»

«Allora» esclama sprezzante lo spirito con un'alza­ta di spalla «sarebbe come dirti il nome.»

Fuori dalla porta si sentono dei passi. È il dottor Lupi che si avvicina. Egli non è stato puntuale all'appuntamento, l'hanno atteso a lungo ma poi hanno dovuto incominciare l'esorcismo senza di lui. Si distin­gue il suo passo un poco trascinato, mentre sale su per l'ampia scala di legno e i colpi del suo bastoncino che battono su per ogni gradino.

Per un normale atto di deferenza viene sospeso l'esorcismo e si aspetta che entri il dottore. Arrivato alla doppia porta che separa la sala dal pianerottolo della scala, il dottore apre la prima porta e afferra la maniglia della seconda, quindi fa per entrare.

«Avanti, avanti signor dottore!» invitano i due frati.

Il dottore apre e chiude la porta ma non si decide a entrare, non si fa vedere.

«Che voglia scherzare?» chiede uno.

Allora padre Giustino si alza dal suo banco, corre all'uscio, lo spalanca.

«Non c'è nessuno» dice. Tutti si alzano in fretta e scendono le scale. A pian terreno la grossa porta di quercia, tutta ferrata, è chiusa a chiave come al solito. Non l'aprono. Al di là della porta sta fisso di guar­dia frate Antonio, per tutta la durata degli esorcismi. Non si vuole che qualcuno possa entrare di nascosto nel convento. Frate Antonio, guardiano coscienzioso, è al suo posto.

«È venuto il dottor Lupi?» gli chiedono.

«No.»

«È venuto qualcun altro?»

«No.»

«Sei sempre stato al tuo posto?»

«Naturalmente! Perché?»

Ma nessuno ha il coraggio di rispondere. Sono stati beffati da qualche invisibile burlone. Eslénder forse? Risaliti in sala, viene ripreso l'esorcismo.

È l'esorcismo del Sanctus. Lo spirito si agita freneticamente, deformando in modo pauroso il volto della donna.

«La forza di ballare, cantare, è ancora in te, sì o no?»

«No.»

«E allora non può essere tuo merito il farla canta­re, ballare, smaniare durante i giorni che separano un esorcismo dall' altro.»

«Lo so anch'io» risponde lo spirito con aria misteriosa.

«Rigetta! »

«Non posso.»

«In nome di Dio, in nome della Madonna.»

«Lasciami stare» chiede con voce accorata lo spirito.

«No, ti voglio tormentare come hai tormentato durante sette anni questa creatura.»

«Lasciami stare. Non è colpa mia se l'ho tormentata. Mi hanno cacciato qui.»

«Per il sangue di Cristo, per la morte di Cristo rigetta!»

La posseduta finalmente ubbidisce . «Che cosa abbiamo ottenuto?»

«Hai fatto uscire una quantità di palla.»

Si tratta del bolo malefiziato. «Quanta ancora ne resta?»

«Più di un terzo.»

«Perché in questi giorni hai fatto soffrire questa creatura?»

In quei giorni, infatti, la donna ha particolarmente sofferto.

Data l'ora tarda il padre crede bene di chiudere l'esorcismo. Lo spirito sembra essersi chiuso in un mutismo cocciuto.

«A te, immondo spirito, comando per i giorni seguenti.»

Una sghignazzata lo interrompe.

« ... di star fermo. Di non ... Di non mostrarmi a te» e ride.

Durante un altro esorcismo lo spirito si ribella, come al solito, al sacerdote. «Non esco!»

«Perché?»

«Per farti arrabbiare.»

«Ma io sono più potente di te e oggi ti voglio cacciare.»

«Oggi non esco.»

«Quale sarebbe il motivo?»

«Oggi hai ottenuto anche troppo.»

«Eppure l'altro giorno volevi andare via, in una pianta e due gambe, cioè in un uomo.»

«Ti ripeto che per oggi hai ottenuto anche troppo.»

«In nome di Dio, in nome di quell' ostia santa che questa mattina è passata alta e solenne in mezzo a noi (era infatti il giorno della festa del Corpus Domini, N.d.R.), che è scesa nell'anima di questa creatura, esci da questo corpo!»

«Non vado!» gli grida il diavolo vibrante di collera. «Ma Cristo, il nostro Dio, non deve cedere di fronte a te, spirito immondo. Esci da questo corpo.» Ma lo spirito continua a gridare.

«Devi andare via oggi, festa del Corpus Domini.»

«Oggi non vado.»

«Con quale diritto stai in questo corpo? Questa creatura fu fatta un giorno da Dio a sua immagine e somiglianza. Per lei Egli si è incarnato, per lei ha pati­to ed è morto in croce. Quindi essa è sua.»

L'esorcista s'interrompe, attendendo invano una risposta.

«Questa creatura è vero tempio dello Spirito Santo, è vera casa di Dio, e nella casa di Dio non ci deve stare altri che Dio. Fuori, spirito immondo.»

Ma il silenzio fascia le parole del sacerdote. Lo spi­rito non risponde.

«Si avvicina l'ora della benedizione, ascolta. Le campane suonano, l'organo accompagna il canto del Tan­tum ergo, il popolo è inginocchiato davanti al Santissi­mo esposto. In quest'ora tutte le fronti si inchinano. Tu pure devi inchinarti e uscire.»

Anche questa volta nessuna risposta.

«Dimmi, dimmi, in nome di Dio, di Gesù Cristo, non ti dà fastidio questo giorno, il giorno del Corpus Domini?»

Finalmente suona una risposta. «Sì.»

«Ebbene, vattene.»

«Ero nei deserti lontani, mi hanno chiamato, mi hanno scongiurato. Sono venuto, adesso non posso andarmene.»

La sua voce pare un gemito.

«Ma Iddio, il nostro Dio, è grande, è onnipotente. Davanti a questo Dio, il Faraone capitola, Paolo cade a terra, e tu pure devi cedere e darti per vinto.»

Lo spirito gli rivolge un' occhiata piena di angoscia inesprimibile, e non gli risponde. Allora si sente il suono delle campane e la benedizione.

«Satana, ecco il momento della benedizione. Ora Cristo, sotto forma di pane, viene innalzato perché voglia benedire tutto il suo popolo. In questo momento, con tutte le autorità, con tutto l'impero che mi viene da Dio, ripeto a te le parole del Salvatore Divino: "Exi ab ea, exi ab ea!". Satana, rendi onore a Dio Padre, da' luogo a Gesù Cristo, da' luogo allo Spirito Santo per mezzo dell'apostolo Pietro. Exi ab ea!»

Il comando cade in un silenzio di tomba che sinistramente contrasta con il gioioso suono delle cam­pane. Lo spirito tace, affranto, ma pare incatenato a quel corpo.

Ancora altri esorcismi.

«In nome di Dio, t'impongo di ubbidirmi in tutto ciò che ti comando.»

La donna non risponde. «Hai capito?»

Silenzio.

«Te lo impongo in nome di Dio, della Madonna.»

Silenzio.

«Se hai capito, alza un braccio, altrimenti due.»

Lentamente, con gran fatica alza un braccio. «Oggi dovrebbe essere il gran giorno della tua an­data. Andrai veramente? Se andrai, alza due braccia; se non andrai, uno.»

La donna, dopo un momento di esitazione, alza le braccia.

«E andrai proprio alle cinque precise? Se andrai alle cinque precise, alza due braccia; se andrai più tar­di, uno.»

Alza due braccia.

«Quando sarai uscito, starà veramente bene questa creatura? Se starà bene, alza due braccia; altrimenti uno.»

Alza due braccia.

«E staranno bene anche tutti gli altri della famiglia?

Se staranno bene, alza due braccia; diversamente uno.» Alza due braccia.

«Alzati e rigetta.»

La donna si alza. Si inginocchia presso il catino. «Rigetta!»

Si china e tenta di obbedire. «Rigetta!»

Non riesce.

Non si rialza ma si china ancora di più sopra il ca­tino. Sono le quattro e trentacinque.

«Con tutta l'autorità che mi viene da Dio, ti coman­do, Spirito immondo, di uscire immediatamente da questo corpo. Se esci subito, ti confino nel deserto, nel centro del Sahara; se non esci subito, ti mando all'in­ferno.»

«Vaaado ... » e, in un lampo, rigetta parecchia roba .

«Va', va'. Va' nel deserto; e prima di tornare in mez­zo a noi aspetta che te lo venga a dire io.»

Un istante dopo queste parole escono dalla voce della donna: «Sono guarita».

«E la palla?»

«La palla sarà nel catino» dice il dottore; e si alza in fretta, corre al catino, solleva con il suo bastoncino la roba rigettata e in fondo al catino, completamen­te asciutta, ecco la palla famosa. Una palla di salame grande come una piccola noce, con sette cornetti.

Così sono andate le cose. Dopo estenuanti esorci­smi, dopo aspre battaglie, il 23 giugno 1920 la donna d'improvviso si sente libera. È libera. È, dunque, tut­to finito?

No. Purtroppo no. Il demonio che era dentro di lei continuerà ad agire, a seminare morte e distruzione. Ed è questa morte e questa distruzione che fanno sì che questo caso sia un unicum da studiare e ristudiare.

Tutti gli esorcisti debbono sapere che, una volta espulso, il diavolo può ancora attaccare. Tutti gli esorcisti devono sapere che loro per primi, loro più di altri, possono subire pesanti attacchi dal diavolo che hanno contribuito a cacciare dal corpo di un indemoniato.

Giorni dopo la liberazione il signor Cassani, uno degli assistenti che continuamente è stato al fianco della posseduta durante gli esorcismi, si presenta a padre Pier Paolo. È agitato.

«Padre, ho bisogno di lei.» «Dica in tutta libertà.»

«In questi sette anni, come amico e vicino di casa, ho sempre assistito, in compagnia di mia figlia, la povera signora nelle sue crisi. Lo spirito mi ha detto più volte che dovrò morire. Lo spirito non minaccia mai invano.»

Il signor Cassani appare terrorizzato. Il sacerdote vuole rinfrancarlo: «C'era proprio bisogno che lo di­cesse lo spirito perché si sapesse che si deve morire?».

«Padre, mi scusi, non m'ha lasciato finire. Lo spiri­to ha detto che dovrò morire fra tre mesi, vittima della sua vendetta.»

«Lei ci crede?»

«E come no!»

«Non sa che lo spirito è il padre della menzogna? E non lo dico io: lo dice la Chiesa.»

«Padre, a parole vince lei. Vedremo, intanto mi dia la benedizione davanti all' altare della Madonna.»

Pochi mesi dopo questo colloquio, in un freddo pomeriggio di novembre, padre Pier Paolo viene chiamato proprio dall'ex posseduta, allora perfettamente guarita: «Padre, accorra subito, se vuole fare in tempo a vedere il signor Cassani, a confessarlo».

«Che cos'ha?»

«Sta per morire.»

Il padre accorre. Il signor Cassani è in effetti in gravissimo stato e con voce ormai già spezzata dal ranto­lo, dice: «Si ricorda, padre, della benedizione davanti all' altare della Madonna? Si ricorda i miei presenti­menti? Muoio della sua vendetta». Alludeva allo spi­rito demoniaco. Il giorno dopo il signor Cassani, fino ad allora sano e robusto, muore.

Poco dopo un altro episodio. Un signore, cono­sciuto dalla famiglia della posseduta e da padre Pier Paolo, ha assunto in modo palese un atteggiamento apertamente incredulo. Fin qui niente di male. Il peggio è che all'incredulità aggiunge un fare apertamente beffardo. Un giorno per sfidare l'incredulità altrui, al­ludendo al caso dell' ossessione, si esprime con queste parole: «Se era uno spirito, perché ora non entra in me?». Pochi anni dopo costui si ammala di tisi. Chia­ma l'esorcista e gli dice: «Di qualunque malattia devo morire, non di questa». E scoppia in pianto. Anche qui il terrore non ha perdonato.

Pier Paolo vivrà sempre, in seguito, nell'incubo dei suoi ricordi. Un giorno si sentirà dare una grossa bastonata in testa. Si guarderà intorno ma non troverà nessuno. La sua testa non si sosterrà più ed egli andrà in giro con il mento puntellato contro il petto. Dirà: «Si tratta della vendetta del demonio. Ed è solo poco, mi aspettavo di più. Il Signore è misericordioso». Ma il terrore non lo abbandonerà più. Come non abbandonerà più il vescovo di Piacenza. Colui che aveva or­dinato a padre Pier Paolo di fare l'esorcismo. Isabò durante gli esorcismi aveva preannunziato anche la sua morte. Che puntualmente arrivò. Di notte. Il dia­volo, come leone ruggente, trovò chi divorare.