TILOPA LO SCORBUTICO

     

 

 

        Tilopa lo scorbutico è un maestro buddhista tibetano di cui non sappiamo granché. Pare che sia vissuto tra il 988 e il 1069 e abbia avuto pochissimi discepoli, perché completamente privo di compassione e cattivissimo.

        Uno di questi sfortunati discepoli fu Naropa. Naropa aveva abbandonato un monastero perché, stanco di libri e di teorie, voleva trovare qualcuno che possedesse la vera tradizione.

        Non si sa come trovò Tilopa. Quando gli si avvicinò e gli fece vedere i libri che aveva portato Tilopa gettò i libri in un burrone gli disse di darsi da fare a elemosinare per procurargli il pasto e soprattutto di fare silenzio per non infastidirlo.

        Per dodici anni Naropa elemosinò in silenzio per Tilopa, che lo trattava male e non gli rivolgeva parola se non raramente per fargli vaghe promesse.

        Infine Tilopa disse che, dopo un anno, avrebbe insegnato qualcosa a Naropa. Ciò fatto, si sedette in meditazione e non si mosse più, lasciando Naropa completamente solo e senza guida per un anno, con l’ingrato incarico di spalare via gli escrementi da sotto il maestro.

        Dopo un anno, avendo tentato in ogni modo di svegliarlo dalla meditazione, Naropa fece il gesto appropriato: girò intorno a Tilopa con le mani giunte e pregò. Tilopa aprì un occhio, seccato. Naropa gli chiese umilmente istruzione. Tilopa, sbuffando, gli disse di seguirlo. Giunse ad una grande pagoda e si arrampicò agilmente sul tetto, senza girarsi a guardare se il discepolo lo seguisse. Quando Naropa, ancora affaticato, giunse anch’egli in cima gli disse: “Se avessi avuto un discepolo, egli sarebbe certamente saltato giù di qui”.

        Naropa saltò e, naturalmente, si ruppe tutte le ossa. Mentre giaceva come un cadavere, preda di un dolore terribile, Tilopa, per nulla impietosito, gli gridò amabilmente dall’alto del tetto: “Naropa, cosa c’è che non va in te?”. “E’ questo corpo informe, modellato dai miei samskaras che s’è infranto come un giunco e soffro” rispose Naropa.

        Tilopa allora scese, lo guarì toccandolo e gli diede il primo insegnamento, consistente nel capire che noi non siamo il nostro corpo e che questo deve essere solo uno strumento.

        Dopo un anno, Tilopa era di nuovo seduto immobile dinanzi ad un fuoco e Naropa rinnovò la richiesta di insegnamenti. Per toglierselo di torno, Tilopa gli disse che se avesse avuto un vero discepolo questi si sarebbe gettato nel fuoco.  Naropa si gettò nel fuoco, ustionandosi terribilmente. Tilopa, alla vista di come il discepolo si era ridotto, sghignazzò senza ritegno e gli chiese cosa non andava in lui. La risposta dovette soddisfarlo, perché guarì il discepolo e gli insegnò come dominare il proprio interno per togliere le distinzioni tra io e tu.

        Dopo un altro anno, francamente scocciato dalla richiesta di un nuovo insegnamento, Tilopa gli disse di prendere un bastone e un otre d’acqua e di andare ad elemosinare: se gli fosse stato negato del cibo egli doveva versare acqua sul cibo di chi gli aveva opposto il rifiuto; se gli fosse stato dato del cibo egli doveva orinarvi sopra. Se inseguito, invece di cercare di fuggire, avrebbe dovuto brandire il bastone e picchiare chi lo inseguiva. Naturalmente Naropa finì pestato quasi a morte e gettato in un letamaio. Tilopa, che passava di lì, lo sbeffeggiò e gli chiese cosa ci fosse che non andava in lui. La risposta dovette soddisfarlo, perché, dopo averlo guarito, gli insegnò a non fidarsi della propria ignoranza quando si tratta di cose di magia.

        Dopo un altro anno a Tilopa venne l’idea di far costruire a Naropa, tanto per toglierselo di torno per un po’, un ponte su uno stagno pieno di sanguisughe, zanzare, serpi e scorpioni velenosi che pungevano senza pietà. Ad opera finita, Tilopa rimproverò aspramente il discepolo ridotto ad un’unica piaga di aver fatto un pessimo lavoro, e gli ordinò di distruggere il ponte, che offendeva la sua vista; placata la sua irritazione per il ponte malfatto, gli dette l’insegnamento per trovare il calore mistico dei chakras, quello stesso calore che gli servirà per vivere sui monti tibetani vestiti di semplice cotone. Gli insegnò a togliersi dai desideri della carne e a distinguere la realtà dai miraggi.

        L’anno dopo, mentre passa il primo ministro, Tilopa ordina a Naropa a tirarlo giù da cavallo e bastonarlo. Anche stavolta Naropa viene lasciato in fin di vita dalle guardie del ministro e Tilopa, dopo aver sghignazzato e avergli chiesto cosa c’è che non va in lui, sentita la risposta e soddisfatto di essa, gli insegna come togliersi le luci apparenti.

        L’anno successivo Naropa, su ordine di Tilopa, tenta di far cadere da cavallo la regina, con le solite conseguenze. Tilopa gli chiede cosa c’è che non va in lui e, sentita la risposta e soddisfatto di essa, gli insegna come ogni cosa inferiore è sempre segno di una cosa superiore. Segue la spiegazione sull’esistenza del figlio di Dio, con la dottrina che questa figliolanza ci deve invitare a crescere fino all’altezza di Dio. Infine Tilopa, che si sente decisamente loquace, perché ha bevuto un otre di birra per festeggiare il pestaggio di Naropa, lo istruisce sulla risurrezione, che porta all’identificazione con lo stato di perfezione, capace di far entrare, rimanere e dissolvere tutte le vibrazioni del sentiero centrale per essere, a imitazione di Dio, infinito e assoluto.

        L’anno dopo Tilopa fa sposare a Naropa una donna terribile, una megera che non lo capisce e lo maltratta.

        L’anno dopo gli fa cedere la moglie gratis ad un mercante di asini che se ne è invaghito, insegnandogli a lasciare tutto per possedere tutto.

        L’anno dopo Tilopa è seduto di nuovo in meditazione e come al solito fa orecchie da mercante alle richieste di Naropa di nuovi insegnamenti. Alla fine, infastidito, gli dà un coltello e gli dice di tracciare un mandala (cerchio sacro) col proprio sangue. Naropa si taglia le vene; spargendo il sangue arriva fino alla fine del cerchio e cade a terra in fin di vita. Tilopa gli chiede cosa c’è che non va in lui e, udita la risposta, gli insegna che la vita è proprio lo stadio discriminante tra vita e morte. E’ in mano nostra vivere realisticamente o morire. Sta in noi capire attraverso tutte le prove perché siamo in vita e cosa dobbiamo fare di essa. Le prove della vita sono mezzi messi a nostra disposizione dalle forze superiori per farci capire a che cosa questa vita deve servire. Sarebbe terribile che un essere umano intelligente non sappia cosa sanno le foglie e gli animali. Le foglie sanno che dalla mattina alla sera devono respirare per assorbire le impurità e restituire aria pura; un mollusco del mare sa assorbire acqua putrida ed emettere acqua pulita. Solo l’uomo può essere così stolto da giungere ad età avanzata chiedendosi ancora qual è lo scopo della sua vita.

        Detto questo la cronaca di Tilopa cessa. Probabilmente il maestro disparve nel suo solito modo brusco e inatteso. Naropa capì allora che era tempo di indossare le vesti del maestro. Ben presto divenne famosissimo, uno dei più grandi maestri tibetani di buddhismo tantrico.

        Tilopa, dovunque sia, sta probabilmente ancora sghignazzando e scuotendo la testa di fronte a tanta presunzione.