SOCIALISMO &
MARXISMO |
❍ Fourier
❍ Owens
IL PENSIERO ECONOMICO MARXISTA. LA DOTTRINA DEL
VALORE-LAVORO PRESSO GLI ECONOMISTI CLASSICI.
❍ Il
profitto normale e l'extraprofitto
❍ La
teoria del valore di Adam Smith
❍ La
teoria del valore di Ricardo
❍ La
teoria di Marx del plusvalore
❍ La
caduta del saggio di profitto
❍ La
crisi del capitalismo secondo Marx
MARX: IL
PENSIERO FILOSOFICO DI KARL MARX
❍ I rovesciamenti di pensiero marxisti rispetto al pensiero borghese
❍ L'essenza umana è storicamente e socialmente determinata (carattere
sociale dell'uomo)
❍ L'uomo e il lavoro. I rapporti di produzione
❍ La
sovrastruttura. Gli ideologi attivi
❍ I capisaldi dell'antropologia marxista
❍ Il
progresso storico. La storia
❍ L'alienazione dell'uomo: l’alienazione dell’uomo in dio
❍ L’alienazione
dell’uomo: alienazione del lavoro
❍ L’alienazione dell’uomo: alienazione del capitalista
❍ L’alienazione dell’uomo: alienazione del genere umano
❍ L’alienazione dell’uomo; l'uomo è un essere materiale
IL SOCIALISMO
UTOPISTICO
La critica all'economia capitalista si espresse, nella
prima metà dell'Ottocento ad opera di un gruppo di pensatori dalle idee molto
differenti, chiamati "socialisti utopisti" per distinguerli dai
cosiddetti "socialisti scientifici" seguaci di Marx.
Tratto comune ai suoi principali esponenti, che
definiamo anche "socialisti associazionisti", è la considerazione del
capitalismo come un sistema economico (sociale e politico) profondamente
ingiusto, caratterizzato dalla povertà diffusa e dalla disuguaglianza. Negli
scritti degli associazionisti è sempre avvertibile un senso di ribellione alle
iniquità manifeste della loro epoca, che peraltro non riesce a proporre
soluzioni pratiche convincenti (da qui il nome di "utopisti").
Claude-Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon
(1760-1825) ha una particolare visione del socialismo da attuarsi non
attraverso la demolizione del sistema capitalistico, ma, al contrario,
perfezionando sempre più l'organizzazione sorta dalla rivoluzione industriale.
Gli "industriali", cioè tutti i ceti
produttivi (lavoratori dipendenti, tecnici, imprenditori, scienziati) avrebbero
dovuto operare in sinergia e concordia per l'edificazione di una società più
sviluppata ma anche più giusta.
Questa società doveva basarsi su una nuova morale e su
una nuova religione, simile a quella cristiana, che predicasse e mantenesse la
solidarietà tra le classi, di cui Saint-Simon scrisse il catechismo.
❍ FOURIER.
Charles Fourier (1772-1837), filosofo, ritiene che
l'uomo sia fondamentalmente buono, ma venga contaminato e corrotto dalla
società "artificiale". La società esistente, innaturale e dominata
dal disordine, deve pertanto essere modificata. Fourier creò delle
"comuni" di diverse centinaia di persone chiamate
"Falansteri" che riunivano molte famiglie che allevavano i figli in
comune e producendo tutto quanto era necessario alla propria sussistenza.
Questi esperimenti ebbero però vita breve ed esito insoddisfacente.
❍ OWENS.
Robert Owens (1771-1858) era un abile imprenditore che
cercò di dare alle sue fabbriche la veste di cooperativa tra operai, prima
nella cittadina scozzese di New Lanark e poi negli Stati Uniti. Egli, a
differenza degli altri imprenditori, interessati solo al profitto, non permise
mei l'impiego di bambini al disotto dei dieci anni, limitò l'orario di lavoro a
dieci ore e mezzo, aprì scuole serali per ragazzi-lavoratori, istituì asili
d'infanzia e così via. L'esperimento tuttavia non ebbe fortuna, e
Owens fu costretto a chiudere le fabbriche.
IL PENSIERO
ECONOMICO MARXISTA. LA DOTTRINA DEL VALORE-LAVORO PRESSO GLI ECONOMISTI
CLASSICI.
Plusvalore = Ricavi-Costi-Profitto normale =
Extraprofitto
L'insieme dei salari più il profitto normale
rappresenta solo una parte del valore delle merci. La differenza viene chiamata
plusvalore, che spetterebbe ai lavoratori, ma di cui si appropriano gli
imprenditori come "extraprofitto". E' giusto che l'imprenditore si
appropri del profitto normale
❍ IL PROFITTO NORMALE E L'EXTRAPROFITTO.
Cos'è il "profitto normale"?
E' il compenso che spetta all'imprenditore per i
fattori produttivi di sua proprietà che egli impiega nell'impresa: infatti,
impiegandoli nell'impresa egli subisce una perdita pari a quanto avrebbe potuto
guadagnare cedendone l'uso ad altre imprese.
L'imprenditore ha perciò diritto:
● Alla
retribuzione del proprio lavoro (che potrebbe prestare alla dipendenza di
altri, percependo un compenso)
● Ad
un interesse per i beni di sua proprietà e i suoi capitali investiti
nell'impresa pari a quello che avrebbe se li desse a prestito ad altri
● Una
somma pari al canone di affitto che otterrebbe affittando l'edificio o il
terreno utilizzati nell'impresa, se questi sono di sua proprietà
● Nel
profitto normale è compreso anche un compenso per il rischio: nessuno
accetterebbe di rischiare i propri fattori produttivi (lavoro, capitali propri
ecc.) in una attività produttiva se potesse ricavare esattamente LO STESSO
guadagno cedendoli senza rischi ad altri (impiegandosi come dirigente presso
imprese altrui, dando in affitto i propri capitali ecc.).
Il profitto normale deve quindi essere lievemente
maggiore di quanto si guadagnerebbe cedendo ad altri i propri fattori, per
compensare i maggiori rischi dell'attività produttiva svolta in proprio.
Il profitto normale è un segnale molto importante per
l'imprenditore: se egli si rende conto che il suo profitto è inferiore al
profitto normale egli chiude l'impresa: gli conviene infatti dare in affitto i
fattori che impiegava nell'impresa e cedere il suo lavoro alle altre imprese,
perché guadagnerebbe di più
Tutto il guadagno dell'imprenditore oltre il profitto
normale costituisce l'"extraprofitto" o "surplus" (come lo
chiama Marx).
In sintesi abbiamo il seguente schema:
Ricavi delle vendite - Salari - Rendite - Interessi =
Profitto normale + Extraprofitto.
❍ LA TEORIA DEL VALORE DI ADAM SMITH.
Gli economisti classici (compreso Marx) si occuparono
per primi del "problema del valore": che cosa determina il valore di
ogni bene? Chi o che cosa stabilisce quale debba essere il prezzo di un
prodotto? In che rapporto ciascun bene si scambia con ciascun altro e che
relazione esiste fra esso e il valore che vi assegna ogni altro individuo?
Adam Smith (1723-1790) distingue tre concetti: a)
valore d'uso; b) valore di scambio; c) valore-lavoro contenuto; d)
valore-lavoro comandato.
Il valore d'uso dipende dall'utilità del bene: tanto
più alta è l'utilità, tanto più alto il valore d'uso che un soggetto
attribuisce ad un bene.
Il valore di scambio di un bene è determinato invece
dalla quantità di altri beni che si scambia con il bene considerato.
In sostanza, il valore di scambio è quel che gli
economisti chiamano "prezzo relativo". Col termine "prezzo
relativo" si indica il prezzo di un bene in termini di un altro bene,
mentre con il termine "prezzo assoluto" si intende il prezzo in
moneta di un bene. Così, se il pane costa ha un prezzo assoluto di £ 2000 al kg
e la frutta ha un prezzo assoluto di £ 4000 al kg, diremo che il prezzo
relativo della frutta rispetto al pane è 2, mentre il prezzo relativo del pane
rispetto alla frutta è 1/2.
Il valore di scambio, a differenza del valore d'uso,
non è determinato dall'utilità del bene, ma dal mercato su cui il bene si vende
e nel quale si forma il prezzo del bene: tanto più alto è il prezzo del bene in
rapporto al prezzo degli altri beni, tanto più grande è il valore di scambio.
Valore d'uso e valore di scambio possono non
coincidere. Esempi molto chiari sono quelli dell'acqua e dei diamanti.
L'acqua ha un altissimo valore d'uso, in quanto è
indispensabile alla vita, ma ha un bassissimo valore di scambio, in quanto
viene ceduta ad un prezzo irrisorio.
I diamanti hanno un bassissimo valore d'uso (essendo
un bene voluttuario, a a cui si può facilmente rinunciare), ma un altissimo
valore di scambio, in quanto il loro prezzo è estremamente elevato.
Ogni bene incorpora un valore-lavoro corrispondente al
numero di ore lavoro che sono state necessarie per produrlo. Tale valore-lavoro
viene chiamato "valore-lavoro contenuto".
Ad esempio, un paio di scarpe incorpora: a) la
quantità di lavoro che è stata necessaria all'allevatore per allevare
l'animale, macellarlo e conciarne la pelle; b) la quantità di lavoro che è
stata necessaria per fabbricare il martello e gli attrezzi del calzolaio; c) la
quantità di lavoro che è stata necessaria al calzolaio per produrre le scarpe.
Come si vede, anche i beni strumentali durevoli
(attrezzi) e non durevoli (cuoio) utilizzati hanno un valore lavoro: una parte
del loro valore lavoro (corrispondente al logorio che subiscono nel produrre il
bene) è incorporata nel bene insieme al lavoro di colui che lo produce.
Il "valore-lavoro comandato" è invece il
valore-lavoro della quantità di beni che si può scambiare col bene considerato.
Ad esempio, un paio di scarpe si scambia con dieci panni di lana, il cui
valore-lavoro contenuto è di 20 ore: il valore-lavoro comandato delle scarpe è
di 20 ore.
Non necessariamente valore-lavoro contenuto e
valore-lavoro comandato coincidono. E' possibile che per produrre un paio di
scarpe necessitino 10 ore lavoro e che le si possa scambiare con panni di lana
del valore di 20 ore lavoro.
E' ovvio che il valore di scambio di un bene dipende
direttamente dal valore-lavoro comandato e non dal valore-lavoro contenuto.
Tuttavia, Smith pensa che valore-lavoro contenuto e
valore-lavoro comandato tendano a coincidere. Quindi, in ultima analisi, il
valore di scambio di un bene dipende dal valore-lavoro contenuto.
Perché il valore-lavoro contenuto e il valore-lavoro
comandato tendono a coincidere?
Consideriamo ancora l'esempio delle scarpe
(valore-lavoro contenuto = 10) che si scambia con la lana (valore-lavoro
contenuto = 20): ben presto i produttori di lana si accorgeranno che invece di
impiegare 20 ore per produrre lana, possono impiegare 10 ore per produrre
scarpe e poi scambiarle con 20 ore di lana. Si avrà così uno spostamento di
fattori produttivi dalla produzione della lana alla produzione delle scarpe. La
produzione di lana aumenterà, mentre quella di scarpe diminuirà. L'offerta di scarpe
diverrà abbondante e il loro prezzo scenderà, mentre l'offerta di lana
diventerà scarsa, e il suo prezzo salirà. Questo farà sì che un paio di scarpe
si scambi con meno lana, e il processo proseguirà fino a quando un paio di
scarpe si scambierà esattamente con un numero di ore equivalenti in termini di
lana.
Ma, secondo Smith, la teoria secondo cui valore-lavoro
contenuto e valore-lavoro comandato coincidono non è più vera in una economia
capitalistica.
Infatti, in una economia capitalistica,
❍ LA TEORIA DEL VALORE DI RICARDO.
Possiamo usare i prezzi per determinare il
valore-lavoro o dobbiamo usare i salari?
Se il bene A costa £ 1000 mentre il bene B costa £
2000, ma i salari pagati per la produzione di A sono di £ 800, mentre i salari
pagati per la produzione del bene B sono di £ 400, diremo che il valore-lavoro
di A è doppio di quello di B
(guardando i salari) o che il valore-lavoro di B è
doppio di quello di A (guardando i prezzi)?
Che rapporto c'è in una economia capitalistica tra
prezzi, valore-lavoro dei beni e salario pagato ai lavoratori?
Ricardo, pur accettando la teoria di Smith, chiarì il
rapporto tra prezzo, valore-lavoro e salari, che Smith non era riuscito a
spiegare del tutto.
Ricardo chiarì un punto molto importante: che il
salario del lavoratore non è una misura del valore-lavoro contenuto, e quindi
del valore di scambio del bene: la misura più esatta del valore-lavoro di un
bene è data dal suo prezzo in rapporto ai prezzi degli altri beni.
Se per produrre una unità di bene A paghiamo ai
lavoratori £ 1.000 (pari ad un'ora di lavoro), mentre per produrre una unità
del bene B paghiamo ai lavoratori £ 2.000 (pari a due ore di lavoro), non
possiamo concludere che il valore-lavoro del bene
B sia doppio di quello del bene A.
Può capitare ad esempio che il bene A sia prodotto
usando semilavorati (beni strumentali non durevoli) in quantità tripla di
quella necessaria per produrre il bene B.
Supponiamo che i prezzi dei beni strumentali
rispecchino la quantità di ore lavoro contenute in tali beni. Se il prezzo dei
semilavorati usati per produrre il bene A è di £ 3000, mentre il prezzo dei
semilavorati usati per produrre il bene B è di £
1000 avremo che:
Valore-lavoro bene A = 1000/1000 + 3000/1000 = 4
ore-lavoro
Valore-lavoro bene B = 2000/1000 + 1000/1000 = 3
ore-lavoro
Come si vede, il prezzo di A (£ 4.000) rispetto a B (£
3.000) rispecchia il valore-lavoro dei beni, mentre il salario pagato per
produrre A (£ 1.000) rispetto al salario pagato per produrre B (£ 2.000) non
rispecchia il valore-lavoro dei beni.
Perciò Ricardo concluse che mentre i prezzi (relativi)
di mercato rispecchiano la proporzione di valore-lavoro contenuta nei vari
beni, i salari pagati non rispecchiano tale proporzione.
Ma c'è anche un'altra ragione per cui il salario dei
lavoratori non rispecchia il valore-lavoro dei beni.
In realtà, i lavoratori debbono cedere una parte del
valore-lavoro che essi hanno contribuito ad incorporare nel bene agli
imprenditori.
Questa parte di valore-lavoro viene poi spartita tra
gli imprenditori (come "profitto") e i proprietari delle risorse
naturali (ad es. i proprietari dei terreni o delle miniere o dei capannoni
industriali utilizzati dagli imprenditori) (come “rendita").
Riprendiamo l'esempio precedente modificandone i dati:
● Bene
A
Prezzo del bene A: £ 4.000
Prezzo dei semilavorati: £ 3.000
Salario dei lavoratori: £ 600
Profitto dell'imprenditore: £ 200
Rendita del proprietario di risorse naturali: £ 200
Ore lavoro incorporate nei semilavorati impiegati: 3
Ore lavoro impiegate per produrre il bene: 1
● Bene
B
Prezzo del bene B: £ 3.000
Prezzo dei semilavorati: £ 1.000
Salario dei lavoratori: £ 1.800
Profitto dell'imprenditore: £ 100
Rendita del proprietario di risorse naturali: £ 100
Ore lavoro incorporate nei semilavorati impiegati: 1
Ore lavoro impiegate per produrre il bene: 2
In questo caso, il rapporto tra i salari pagati per il
bene A (£ 600) e i salari pagati per il bene B (£ 1800) suggerisce addirittura
che il valore-lavoro del bene A sia un terzo di quello del bene B (rapporto 3 a
1), mentre invece sappiamo, guardando i prezzi, che il rapporto tra
valori-lavoro è di 4 a 3.
Concludendo, è molto importante tenere a mente che per
Ricardo i prezzi tendono a rispecchiare il valore-lavoro dei beni.
Consideriamo il seguente esempio:
● Bene
C
Ore-lavoro incorporate nei semilavorati: 1
Ore-lavoro dei lavoratori: 1
Ore-lavoro complessive incorporate dal bene C: 2
Prezzo: £ 1.000
● Bene
D
Ore-lavoro incorporate nei semilavorati: 2
Ore-lavoro dei lavoratori: 2
Ore-lavoro complessive incorporate dal bene D: 4
Prezzo: £ 1.000
In questa situazione, gli imprenditori sono
probabilmente invogliati ad abbandonare la produzione di D in favore della
produzione di C.
Infatti, producendo C riuscirebbero a trattenere per
sé una quota maggiore di profitto, in quanto debbono pagare solo 1 ora lavoro e
1 ora di semilavorati.
Questo provocherebbe un aumento della produzione di C
e una diminuzione della produzione di D.
Il bene C diverrebbe più abbondante e il suo prezzo
diminuirebbe. Il bene D diverrebbe più scarso e il suo prezzo aumenterebbe.
❍ LA TEORIA DI MARX DEL PLUSVALORE .
Secondo Marx l'extraprofitto degli imprenditori è un
furto a danno dei lavoratori, perché non è giustificato dal lavoro svolto
dall'imprenditore o dal rischio che egli corre: infatti, questi sono già
compensati dal profitto normale, mentre l'extraprofitto o surplus spetterebbe
ai lavoratori.
Sulla base delle idee di Marx, si possono fare due
ragionamenti distinti per mostrare che i lavoratori vengono privati di una
parte di quanto loro dovuto a vantaggio degli imprenditori.
Primo ragionamento per dimostrare l'ingiustizia della
appropriazione del plusvalore da parte degli imprenditori.
Se consideriamo il valore di un prodotto, possiamo
considerarlo composto dei seguenti elementi:
● Il
capitale costante
E' rappresentato dalle spese per i fattori diversi dal
lavoro: dai macchinari alle materie prime, alle spese di impianto,
amministrative e così via.
● Il
capitale variabile
E' rappresentato dai salari pagati ai lavoratori
● Il
plusvalore
Rappresenta un furto ai danni dei lavoratori, col
pretesto che gli imprenditori hanno diritto ad un profitto.
Ma Marx nota che il profitto degli imprenditori è già
compreso nel capitale costante.
Pertanto il plusvalore spetterebbe ai lavoratori.
Secondo ragionamento per dimostrare l'ingiustizia
dell'appropriazione del plusvalore ad opera degli imprenditori.
In un processo produttivo, secondo Marx, vanno
compensati in modo eguale tutti i fattori produttivi che vi hanno partecipato.
Dovranno pertanto essere pagati:
● Una
rendita ai proprietari dei fattori naturali
● Un
interesse ai proprietari dei capitali
● Un
salario ai lavoratori
● Un
profitto agli imprenditori
Normalmente i proprietari dei fattori naturali e dei
capitali riescono a farsi compensare adeguatamente. Anzi, secondo Marx e gli
economisti classici, come abbiamo visto, i proprietari dei fattori naturali
riescono spesso ad ottenere più del dovuto.
Questi compensi aggiuntivi che essi si procurano
approfittando della scarsità dei loro fattori sono chiamati "rendite di
posizione" (Marx li chiama "rendite parassitarie").
Gli imprenditori non possono pertanto arricchirsi a
danno dei capitalisti o dei proprietari delle risorse naturali.
Gli unici soggetti sfruttabili dagli imprenditori sono
i lavoratori, che non si vedono riconosciuto un adeguato compenso per la
partecipazione alla attività produttiva.
Un lavoratore può essere retribuito in base a due
criteri molto diversi l'uno dall'altro:
● In
base al valore dei beni che ha prodotto
● In
base al prezzo che il mercato assegna alle sue ore-lavoro
In base al primo criterio (che secondo Marx è l'unico
giusto) l'imprenditore non dovrebbe trattenere che il compenso per i propri
fattori (profitto normale) e lasciare l'extraprofitto o surplus ai lavoratori.
In base al secondo criterio il lavoratore non viene
trattato come un soggetto che ha gli stessi diritti degli altri proprietari di
fattori, ma come una merce molto abbondante e perciò poco pagata, e
l'imprenditore si appropria di quella parte del valore dei beni prodotti che
spetterebbe ai lavoratori oltre al salario di pura sussistenza.
La prova di questo, secondo Marx, è la seguente: se
sommiamo il valore di tutti i beni prodotti in un sistema e lo confrontiamo con
il complesso dei salari pagati ai lavoratori (il cosiddetto
"monte-salari"), scopriamo che con il monte-salari i lavoratori non
sono in grado di acquistare tutti i beni che hanno prodotto.
Per fare un esempio in cifre, Marx scoprì che, in un
sistema che produce beni per un valore complessivo di £ 100, i compensi dei
lavoratori ammontano normalmente a 50.
Come fa Marx a sostenere che tutto il valore dei beni
deve andare ai lavoratori? Si potrebbe obiettare che i lavoratori non possono
ricevere 100 perché una parte del valore del prodotto deve compensare i capitalisti
e i proprietari di risorse naturali.
Ma secondo Marx, i proprietari di risorse naturali non
svolgono materialmente alcun lavoro, e perciò non hanno diritto ad alcun
compenso: le risorse naturali dovrebbero appartenere alla collettività, e in
tal modo sparirebbe la rendita.
Per quanto riguarda i capitalisti, secondo Marx i loro
capitali provengono in gran parte dallo sfruttamento dei lavoratori, oppure
sono stati EREDITATI. Marx ritiene che non esiste una ragione logica per cui i
parenti del capitalista abbiano diritto ai suoi capitali piuttosto che
qualsiasi altro lavoratore. Anche tali risorse dovrebbero quindi essere
considerate guadagnate da tutta la collettività, e in tal modo sparirebbe
l'interesse.
Si potrebbe obiettare che ogni imprenditore deve
pagare i beni strumentali durevoli e non durevoli necessari per la produzione.
Ma se guardiamo il sistema economico nel suo complesso, QUALSIASI bene risulta
prodotto da lavoratori, quindi, se guardiamo al valore di TUTTA la produzione
di un paese, questo deve coincidere con i salari, mentre in realtà ciò non
avviene.
E il profitto normale dell'imprenditore? Privato di
capitali e di fattori naturali, l'imprenditore parteciperebbe al processo
produttivo unicamente col proprio lavoro, e quindi viene considerato da Marx
come un comune lavoratore, che ha diritto ad un
SALARIO in tutto simile a quello degli altri
lavoratori.
❍ LA CADUTA DEL SAGGIO DI PROFITTO.
Nel valore del bene è contenuto: a) il lavoro che è
servito per fabbricare i macchinari impiegati; b) il lavoro che viene pagato ai
lavoratori; c) il plusvalore
L'imprenditore sostituisce continuamente il lavoro
umano con le macchine.
Giungerà alla fine ad una situazione in cui governerà
una fabbrica composta di sole macchine.
Ma non si può sfruttare una fabbrica di pure macchine.
In quel momento l'imprenditore guadagnerà solo il profitto normale, senza
extraprofitto, e quindi non avrà più interesse ad investire in nuove attività
produttive, preferendo impiegarsi presso altri imprenditori (avrebbe infatti
uno stipendio sicuro e meno rischi).
Ma in tal modo Marx dimostra che l'avidità degli
imprenditori condurrà il sistema economico all'arresto dello sviluppo. Se
invece le fabbriche fossero date in gestione e in proprietà ai lavoratori o
allo Stato, l'impulso a creare nuove imprese non si arresterebbe, e il sistema
economico si svilupperebbe senza interruzioni.
Esponiamo il ragionamento con l'aiuto dei numeri e di
semplici concetti economici.
Come abbiamo visto, si ha:
Valore della merce = Capitale costante (C) + Capitale
variabile (V) + Plusvalore (S) in simboli scriveremo:
Valore della merce = C + V + S
Definiamo "saggio di profitto" SP il
rapporto:
Il saggio di profitto è un importante incentivo per
l'imprenditore: più è alto il saggio di profitto, maggiore è la percentuale di
ciò che egli incassa come valore della merce che va nelle sue tasche.
Il saggio di profitto equivale matematicamente a:
Il valore è detto da Marx "saggio del plusvalore"
e rappresenta la
percentuale dei salari che gli imprenditori riescono a
"rubare" ai lavoratori.
Il valore è detto da Marx "composizione organica
del capitale"
ed è tanto più alto quanto maggiori sono i compensi
che l'imprenditore deve pagare per risorse naturali, macchinari e altri fattori
diversi dal lavoro.
Osservando la frazione che esprime il valore del
saggio di profitto, Marx si accorse che, con l'aumento dell'impiego dei
macchinari, sarebbe aumentato il rapporto C/V e ciò avrebbe fatto diminuire il
saggio di profitto SP:
Mano a mano che il saggio di profitto diviene più
basso, gli imprenditori sono sempre meno invogliati a intraprendere nuove
iniziative, e alla fine la produzione finirà per ristagnare, e il sistema
capitalistico si bloccherà.
❍ LA CRISI DEL CAPITALISMO SECONDO MARX.
Abbiamo già visto che, a causa della caduta del saggio
di profitto, la produzione del sistema economico prima o poi smetterà di
crescere e in tal modo non potrà più far fronte all'aumento della popolazione,
che diverrà sempre più povera.
La differenza tra la ricchezza dei capitalisti, che si
accresce ad ogni ripetersi del processo produttivo, grazie alla sottrazione del
plusvalore a danno dei lavoratori, diverrà alla fine talmente intollerabile da
scatenare la rivoluzione.
Si verificherà un impoverimento della stessa classe
capitalistica. A poco a poco le imprese più forti e gli eventi imprevedibili
del mercato capitalistico (dove basta un mutamento dei gusti dei consumatori
per mandare in rovina interi settori produttivi) elimineranno le imprese
concorrenti.
La maggior parte dell'attuale ceto imprenditoriale
sarà perciò ridotta alla miseria, e si avrà quindi un piccolissimo numero di
soggetti ricchi a fronte della quasi totalità che vive nella povertà. Non si
potrà più illudere i lavoratori mostrando loro che è possibile per tutti fare
fortuna intraprendendo una attività imprenditoriale. Questo innescherà la
rivoluzione.
MARX: BIOGRAFIA
DI KARL MARX
Figlio di un avvocato ebreo, Marx nacque nel 1818 a
Treviri, nella ricca regione della Renania.
Fu in gioventù un hegeliano entusiasta. Studiò Hegel
all'Università di Berlino e di Bonn e Feuerbach con entusiasmo. Suo grande
amico e fondatore con lui del partito comunista era Engels, che spesso lo aiutò
finanziariamente.
Divenuto giornalista, il giovane Marx collaborò alla
"Gazzetta Renana" assumendo successivamente l'incarico di redattore
capo. Nel frattempo in Germania le persecuzioni politiche ad opera del Governo
prussiano costringevano numerosi intellettuali liberali e radicali a seguire la
via dell'emigrazione.
Nel 1843, proprio in conseguenza di un'ennesima ondata
repressiva, la "Gazzetta Renana" fu costretta al silenzio, colpevole
di aver attaccato lo Zar di Russia, che aveva stretto patto di alleanza con la
Prussia. Marx lasciò allora la Germania per stabilirsi a Parigi.
Ma ormai Marx era troppo noto per essere lasciato
libero di diffondere le proprie idee. I suoi scritti dell'epoca
("Manoscritti economico-filosofici", "Critica alla filosofia
hegeliana del diritto" ecc.) destarono interesse e sollevarono
preoccupazioni al Governo francese, il quale, su invito di quello prussiano,
nel 1845 espulse il filosofo tedesco dalla Francia. Egli dovette allora
ripiegare su Bruxelles, dove fu costretto ad assumere l'impegno di non
pubblicare scritti politici.
Nel 1848, anno di grandi sommovimenti politici in
tutta Europa, rientrando a Parigi Marx stese con l'amico Engels il
"Manifesto del partito comunista", atto di fondazione del comunismo.
Nel 1849, espulso dalla Francia, egli ripiegò in
Inghilterra, da dove non tornerà più.
Nel 1867 Marx dette alle stampe il primo volume della
sua opera più matura e impegnativa: "Il Capitale" (i successivi due
volumi, che completano il trattato, furono pubblicati da Engels, dopo la morte
dell'autore, rispettivamente nel 1885 e nel 1894).
Morì a Londra nel 1883 in estrema povertà e
solitudine.
MARX: IL PENSIERO
FILOSOFICO DI KARL MARX
❍ I ROVESCIAMENTI DI PENSIERO MARXISTI RISPETTO AL PENSIERO
BORGHESE.
● Marx,
seguendo Hegel, giunge spesso a criticare e capovolgere le idee borghesi della
sua epoca:
Sono i rapporti materiali a influenzare le idee e non
viceversa.
I borghesi affermavano l'importanza della filosofia e
delle produzioni dello spirito come capaci di modellare e plasmare la società,
mentre Marx, seguendo Hegel, individuerà nei rapporti materiali, nei rapporti
di produzione l'elemento più importante di una civiltà, che a sua volta
influenza la filosofia e la cultura.
● Il
lavoro come aspetto inseparabile dell'uomo e non come merce.
Gli economisti dell'epoca ritenevano che il lavoro
potesse essere separato dall'uomo e trattato come "merce". Marx lo
ritiene invece un aspetto essenziale della personalità umana. Egli si rifà alla
idea di Hegel che noi siamo ciò che facciamo.
● La
storicizzazione e relativizzazione del sapere.
Il pensiero borghese ritiene di aver realizzato, in
politica, in filosofia, nell'ambito scientifico la verità definitiva.
Marx storicizza e relativizza ogni sapere. Egli tiene
presente la lezione di Hegel che ogni stadio di sviluppo supera il precedente e
non può essere anticipato col puro pensiero.
E' questa la ragione per cui, quando parla della
società perfetta (comunista) egli è vago e generico, ed assume toni mistici.
Non è infatti possibile dire con PRECISIONE come sarà l'uomo di tale società.
❍ L'ESSENZA UMANA E' STORICAMENTE E SOCIALMENTE DETERMINATA
(CARATTERE SOCIALE DELL'UOMO).
● Un
uomo non ha una natura determinata una volta per tutte, immutabile che
corrisponderebbe al modello suggerito dalla cultura entro cui vive (un'anima
immortale; un essere fondamentalmente buono, inclinato alla famiglia, che
rispetta i propri simili, dotato di pudore sessuale, monogamo ecc.), ma è di
volta in volta come i rapporti di produzione hanno plasmato il suo modo di
essere.
Non esiste una essenza o natura umana in generale.
L'essere dell'uomo è sempre storicamente condizionato dai rapporti in cui
l'uomo entra con gli altri uomini o con la natura per le esigenze del lavoro
produttivo. Questi rapporti condizionano l'individuo, cioè la persona umana
esistente; ma gli individui a loro volta lo condizionano promuovendone la
trasformazione o lo sviluppo.
● I
rapporti produttivi, che sono rapporti degli uomini tra loro e con la natura,
condizionano la possibilità dell'uomo di realizzarsi: nessuno potrebbe oggi ad
esempio realizzarsi come "cavaliere errante": Don Chisciotte, che
prova ad andare contro la propria società diviene una figura isolata e
bizzarra. Oggi un uomo si può realizzare come medico, avvocato, imprenditore,
professore universitario... cioè secondo una dei modelli proposti dalla società
in cui vive e dai rapporti di produzione esistenti.
❍ L'UOMO E IL LAVORO. I RAPPORTI DI PRODUZIONE.
● I
rapporti produttivi sono rapporti degli uomini fra loro e con la natura. Lo
sviluppo delle forze produttive accade in modo diverso presso popoli o gruppi
umani diversi; e solo lentamente e in modo altrettanto disuguale determina lo
svliuppo delle forme istituzionali corrispondenti..
● L'uomo
è condizionato dai rapporti di produzione, ma non del tutto: quando la forma
assunta dai rapporti di produzione appare come un ostacolo per tale
manifestazione, essa viene sostituita da un'altra forma che si presta meglio a
condizionare queste manifestazioni e che a sua volta può diventare un intralcio
ed essere sostituita. Forme superate possono continuare a sopravvivere accanto
a forme più evolute, presso diversi popoli o nello stesso popolo.
In ogni periodo storico, ciò che realmente conta sono
i "rapporti di produzione" o "rapporti materiali": rapporti
tra uomo e uomo e tra uomo e natura riguardanti la produzione operai-padroni,
Feudatario-servo della gleba, uomo-animali domestici, uomo-agricoltura
❍ LA SOVRASTRUTTURA. GLI IDEOLOGI ATTIVI.
● Le
idee filosofiche, morali, religiose, politiche di una data società non sono che
il riflesso della struttura dei rapporti di produzione.
Mentre le filosofie del passato hanno cercato di
descrivere il mondo, l'uomo, la società così come essi sono, convinti che le
cose, la società e soprattutto la natura umana siano immutabili, marx ritiene
in realtà che la natura umana, la struttura dei rapporti sociali, le stesse
concezioni politiche o religiose, non sono fissati una volta per tutte, ma
dipendono dai rapporti di produzione. Modificando questi vi può essere una modifica,
una evoluzione dello spirito e della organizzazione umana. A questo deve
tendere il filosofo, perché anche la filosofia, come ogni altra attività umana,
è in realtà una attività produttiva e trasformatrice della realtà, che non si
limita a contemplare o interpretare il mondo, ma lo modifica.
Nella letteratura marxista si trovano molti tentativi
di mostrare questa dipendenza delle idee dai rapporti materiali di una
determinata epoca:
● L'idea
di un Dio signore che è possibile influenzare con le preghiere non poté nascere
fino a quando i prapporti economici non creano una classe di proprietari e una
classe di schiavi.
● Le
religioni monoteistiche non poterono nascere prima che si formassero degli
imperi con un unico capo. Gli ebrei dei primi libri della Bibbia, erano
politeisti, perché ogni tribù aveva il suo dio
● L'idea
di un Dio che crea non poteva nascere prima della scoperta degli utensili e del
fuoco.
● L'idea
di un'anima immortale separata dal corpo non nasce subito. Gli uomini
preistorici seppellivano i morti per consentirgli di continuare a vivere
fisicamente, addormentati in uno strano sonno.
● Le
tribù di cacciatori sono necessariamente con i beni in comune, i figli in
comune, non posseggono il concetto di risparmio o accumulazione. I loro Dei non
sono Dei del cielo o della terra fertile e della pioggia, ma Dei-totem:
costituiti da antenati-animali che sono i padri, i parenti della tribù e che
mandano la carne sulla terra affinché essa si possa saziare.
● E'
il modo in cui è organizzata la produzione che fa emergere una classe dominante
e una classe dominata.
Le idee politiche, religiose ecc. non nascono solo
automaticamente ma anche da una consapevole mistificazione operata dalla classe
uscita dominante dai rapporti di produzione e dai suoi ideologi attivi.
Ad esempio, l'avvento al potere della borghesia
produsse il sistema della rappresentanza politica che attribuiva il voto solo
ai possidenti e il principio dell'uguaglianza formale che rendeva tutti eguali
dinanzi alla legge ma lasciava le diseguaglianze economiche sfruttando le quali
il più forte poteva sottomettere il più debole.
Ad esempio, i sacerdoti egizi dominavano il popolo
sfruttando l'idea della divinità.
Ad esempio, l'economia, per Marx, è strettamente
collegata alle idee suggerite dalla classe dominante o dalla organizzazione del
lavoro. Essa non è una scienza, ma un'opinione che riflette le idee delle
classi dominanti.
❍ LA
"FILOSOFIA DELLA PRASSI".
● L'organizzazione
politica, religiosa, familiare, le idee sul mondo, i costumi, le idee
religiose, filosofiche, sono "sovrastruttura" e dipendono in realtà
dalla "struttura".
Quindi, cambiando la struttura si cambia la
sovrastruttura: quest'ultima idea è chiamata "filosofia della
prassi".
Per cambiare l'uomo basta cambiare, con una
rivoluzione, i rapporti di produzione.
● Marx
ha scarsa fiducia nei sistemi di convinzione basati sul dibattito e sulla
dimostrazione.
Secondo la sua concezione, è solo cambiando la società
con una rivoluzione che si può sperare di cambiare il modo di pensare degli
individui.
● Stalin
andò più in là e concluse che gli individui nati in epoca prerivoluzionaria e
formatisi in una società diversa da quella comunista erano ormai impossibili da
cambiare e quindi andavano eliminati fisicamente.
❍ I CAPISALDI DELL'ANTROPOLOGIA MARXISTA.
Possiamo ora ricapitolare nel modo seguente i
capisaldi dell'antropologia (cioè della visione dell'uomo) di Marx:
● Non
esiste una essenza o natura umana in generale
● L'essere
dell'uomo è sempre storicamente condizionato dai rapporti in cui l'uomo entra
con glialtri uomini o con la natura per le esisgenze del lavoro produttivo
● Questi
rapporti condizionano l'individuo, cioè la persona umana esistente; ma gli
individui a loro volta lo condizionano promuovendone la trasformazione o lo
sviluppo
● L'individuo
umano è un ente sociale.
❍ IL PROGRESSO STORICO. LA STORIA.
● Marx
eredita da Hegel la fede incrollabile e mistica nel fatto che la storia umana
procede verso un mondo sempre migliore, e che questo progresso non continuerà
all'infinito, ma arriverà presto al suo termine perfetto.
● I
principali tipi di società che si sono succedute nella storia sono, secondo
Marx:
● Società
antica caratterizzata dal conflitto tra patrizi e plebei
● Società
feudale caratterizzata dal conflitto tra signore armato e servi della gleba che
fuggivano nelle città per avere la libertà
● Società
capitalista caratterizzata dal conflitto tra borghesia e proletariato destinata
ad essere soppiantata dalla società comunista, una società senza classi in cui
saranno quindi assenti i conflitti sociali.
● Marx
pensa che le trasformazioni dela storia siano necessarie perché a ogni
passaggio successivo della storia si compie una rivoluzione economica e
sociale, e dunque il nuovo assetto si pone ad un livello più elevato rispetto
al precedente.
Si verrà a creare una classe di imprenditori sempre
più ristretta, perché i grossi imprenditori elimineranno i piccoli, e una
classe proletaria sempre più sfruttata, povera, affamata. Alla fine (caduta del
saggio di profitto) anche la produzione ristagnerà e non sarà in grado di
nutrire i lavoratori. Ci saranno carestia, miseria, rivoluzione.
Lo stato diventerà, con la rivoluzione proletaria, uno
strumento di lotta contro i nemici del comunismo (fase chiamata "dittatura
del proletariato"); un una fase successiva, eliminate le classi e i nemici
del socialismo, lo stato sparirà e si avrà la vera società comunista senza
classi, nella prima fase sarà inevitabile la retribuzione in base al lavoro
prestato. Successivamente però si applicherà il principio: "Da ognuno secondo
le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni".
❍ L'ALIENAZIONE DELL'UOMO: L’ALIENAZIONE DELL’UOMO IN DIO
Marx distingue diverse forme di alienazione. Egli
parla anzitutto dell’alienazione dell’uomo:
Mentre nelle religioni dell'antichità, in Grecia e a
Roma gli dei erano vicini agli uomini e quasi loro compagni, partecipavano alle
loro battaglie e ai loro amori, nelle religioni ebraica e cristiana Dio è visto
come un essere perfetto, lontanissimo, mentre l'uomo è vito come assolutamente
imperfetto e peccatore.
Feuerbach e Marx pensano invece che simili religioni
(per la verità un po' tutte le religioni) allontanino l'uomo dalla idea di
impegnarsi e costruire la propria grandezza e la propria felicità sulla terra,
incitandolo alla rassegnazione e alla sopportazione delle ingiustizie sociali e
politiche col miraggio del Regno dei Cieli.
In realtà l'essere perfetto a cui bisogna avvicinarsi
è l'ideale dell'uomo stesso, libero da condizionamenti negativi, padrone della
natura ed eterno come specie umana. Creando l'idea di Dio l'uomo
"aliena", cioè pone fuori di sé le proprie aspirazioni e i propri
ideali. Col cristianesimo inoltre, "aliena" la propria parte
materiale, i propri bisogni fisici, sessuali ecc. considerati come peccati
ispirati dal Diavolo (lussuria, gola ecc.) e finisce col considerare il proprio
corpo come qualcosa di estraneo, fonte di peccato e di vergogna.
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO: ALIENAZIONE DEL LAVORO.
Marx è d'accordo con gli autori socialisti
dell'Ottocento che la "mercificazione del lavoro" è alla base delle
sofferenze e del disagio dei lavoratori dell'epoca. Cosa si intende con questa
espressione?
Essa vuol dire in sostanza retribuire il lavoratore
non secondo giustizia (considerandolo un essere umano con bisogni che vanno
soddisfatti in modo da garantirgli una vita dignitosa e accettabile), ma
secondo la legge della domanda e dell'offerta, come una merce che va pagata
poco perché è abbondante.
Il lavoratore, con la divisione del lavoro e con la
completa soggezione alla direzione del capitalista, perde la possibilità di
stabilire da solo il modo di impiegare le proprie energie: il suo lavoro è una
attività svolta per altri, di cui spesso egli non conosce neanche il significato
(con la divisione del lavoro gli può capitare di dover muovere per ore una leva
o premere un bottone), e il cui prodotto in gran parte gli viene tolto dal
capitalista, che si appropria di ciò che gli spetterebbe
(plusvalore).
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO: ALIENAZIONE DEL CAPITALISTA.
Il capitalista è schiavo del capitale. Egli sacrifica
i suoi bisogni umani per divenire il servo della propria ricchezza: suo unico
scopo è di aumentare e difendere la sua ricchezza; non gli interessa godere del
prodotto che egli fabbrica: egli cerca di venderlo per ritrasformarlo quanto
prima in denaro. La vita del capitalista non è meno alienata di quella del
lavoratore.
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO: ALIENAZIONE DEL GENERE UMANO.
Nella società capitalista si erige una barriera d'odio
tra capitalisti e lavoratori salariati. Anziché riconoscere la propria comune
umanità e la necessità di aiutarsi e collaborare, queste due classi sociali
lottano aspramente fra loro. In una società ingiusta l'uomo è speso un esser
abbandonato, umiliato, spregevole verso i propri simili. Esso viene quindi
privato del sentimento della propria dignità e della solidarietà reciproca:
anche in questo caso viene "alienato", cioè costretto ad essere
qualcosa di estraneo a se stesso, cioè alla sua umanità più vera. Ad esempio,
di fronte ad azioni particolarmente malvagie noi diciamo spesso che "l'uomo
non si riconosce più".
❍ L’ALIENAZIONE DELL’UOMO:L'UOMO E' UN ESSERE MATERIALE.
Seguendo Feuerbach Marx rivaluta i bisogni, la
sensibilità, la materialità dell'uomo.
Il lavoro umano è un importante mezzo di realizzazione.
La vita sociale e produttiva costituisce tutto l'uomo:
non esiste un'anima o una realizzazione nell'aldilà.
L'uomo si deve realizzare nell'aldiquà, nella vita
sociale e produttiva.