Il giudizio epistemologico di K. R.
Popper sulla psicologia
Il giudizio di K. R. Popper su Adler
Nella primavera del 1919 fummo convertiti
dalla loro [dei comunisti] propaganda. Per due o tre mesi mi considerai un
comunista... Il comunismo è un credo che promette l'avvento di un mondo
migliore. Dice di basarsi sulla conoscenza: conoscenza delle leggi
dell'evoluzione storica... Fui scosso dal fatto di dovere ammettere di fronte a
me stesso che non solo avevo accettato alquanto acriticamente una teoria
complessa, ma che effettivamente avevo notato anche parecchio di quel che vi
era di sbagliato, sia nella teoria che nella prasssi del comunismo. Ma questo
lo avevo represso - in parte per lealtà verso i miei amici, in parte per lealtà
alla "causa" e in parte perché c'è un meccanismo per cui uno viene
sempre più profondamente coinvolto: una volta che si è sacrificata la proria
coscienza intellettuale in un punto di minore importanza, non si cambia rotta
troppo facilmente; si vuol giustificare l'autosacrificio convincendo se stessi
della fondamentale bontà della causa... Si giunge così a essere disposti a
consolidare con nuovi investimenti i propri investimenti morali o intellettuali
nella causa. E' come se si volesse investire il denaro buono a sostegno di
quello falso... Avevo accettato dogmaticamente, acriticamente, un credo
pericoloso... A diciassette anni ero diventato anti-marxista. Mi ero reso conto
del carattere dogmatico del credo e della sua incredibile arroganza
intellettuale. Era una cosa terribile arrogarsi un tipo di conoscenza secondo
cui sarebbe un dovere porre a rischio la vita di altre persone per un dogma
accettato acriticamente o per un sogno che sarebbe potuto risultare irrealizzabile.
Per diversi anni rimasi socialista, anche
dopo il mio ripudio del marxismo; e se ci fosse stato qualcosa come n
socialismo sombinato con la libertà individuale sarei ancor oggi un
socialista... L'incontro col marxismo fu uno dei principali eventi del mio
sviluppo intellettuale... Mi insegnò la sapienza del detto socratico "Io
so di non sapere". Mi rese fallibilista e impresse in me il valore della
modestia intellettuale. E mi fece sommamente consapevole delle differenze
esistenti tra pensiero dogmatico e pensiero critico. Paragonato a questo
incontro, il tipo alquanto simile dei miei incontri con la "psicologia
individuale" di Alfred Adler e con la psicoanalisi freudiana - che
avvennero più o meno contemporaneamente (tutto ciò accadde nel 1919) - fu di
minore importanza.
Nel medesimo anno studiai Einstein. Qui
[nelle teorie di Einstein] c'era un atteggiamento completamente differente
dall'atteggiamento dogmatico di Marx, Freud, Adler, equello ancora più
dogmatico dei loro seguaci.. Einstein era alla ricerca di esperimenti cruciali,
il cui accordo con le sue predizioni avrebbe senz'altro corroborato la sua
teoria; mentre un disaccordo, come fu egli stesso a ribadire, avrebbe
dimostrato che la sua teoria era insostenibile. Sentivo che era questo il vero atteggiamento
scientifico. ERa completamente differente dall'atteggiamente dogmatico, che
continuamente affermava di trovare “verificazioni" delle sue teorie
preferite. Giunsi così, sul finire del 1919, alla conclusione che
l'atteggiamento scientifico era l'atteggiamento critico, che non andava in
cerca di verificazioni, ma bensì di controlli cruciali; controlli che avrebbero
potuto CONFUTARE la teoria messa alla prova, pur non potendola mai confermare
definitivamente.
Durante l'inverno 1919-1920 lasciai casa. Per
un certo tempo lavorai gratuitamente presso la clinica di orientamento per
bambini si Alfred Adler, e nello stesso tempo facevo anche lavori occasionali
per i quali generalmente non venivo pagato.
Conseguii il mio "matura" nel
1922. Due anni più tardi superai un secondo "Matura" in un istituto
di formazione per insegnanti. Una volta concluso il mio apprendistato come
ebanista divenni, come ho già ricordato, assistente sociale per i bambini
abbandonati. Proprio all'inizio di questo periodo sviluppai ulteriormente le
mie idee a proposito della demarcazoine tra le teorie scientifiche (come quella
di Einstein) e le teorie pseudoscientifiche (come quelle di Marx, Freud e
Adler). Mi divenne chiaro che ciò che rende scientifica una teoria, o una
proposizione è i suo potere di negare, o di escludere, l'occorrenza di certi
eventi possibili - di proibire o di vietare, l'occorrenza di questi eventi.
Pertanto, più una teoria proibisce, e più ci dice... Ciò che in particolar modo
mi interessava era l'idea che il pensero dogmatico, che io consideravo
prescientifico, fose una fase necessaria perché divenisse possibile il pensiero
critico. Il pensiero critico deve avere dinanzi a sé qualcosa da criticare, e
ciò deve essere, pensavo, il risultato del pensiero dogmatico.
Dirò qui due parole sul problema della
demarcazione e sulla mia soluzione:
1. Così come lo affrontai all'inizio, il
problema della demarcazione non era il problema di demarcar la scienza dalla
metafisica, ma piuttosto il problema di demarcare la scienza dalla
pseudoscienza. In quel tempo non mi interessava affatto la metafisica. Fu solo
più tardi che estesi alla metafisica il mio “criterio di demarcazione".
2. Era questa, nel 1919, la mia idea
principale. Se uno propone una teoria scientifica, deve essere in grado di
rispondere, come fece Einstein, alla domanda: "Sotto quali condizioni
dovrei ammettere che la mia teoria è insostenibile? In altre parole, quali
fatti concepibili accetterei come confutazioni, o falsificazioni, della mia
teoria?
3. Ero stato colpito dal fatto che i
marxisti (la cui pretesa centrale era quella di essere scienziati sociali) e
gli psicoanalisti di tutte le scuole potevano interpretare qualsiasi evento
immaginabile come una verificazione delle loro teorie. Ciò mi portò, nitamente
al mio criterio di demarcazione, all'idea che dovevano contare come
"verificazioni" solo quei tentativi di confutazione che non fossero
risultati QUA confutazioni
4. Sono ancora dello stesso parere per
quanto concerne (2). Ma allorquando, un po' più tardi, introdussi a titolo di
prova l'idea della falsificabilità (o controllabilità o confutabilità) di
unateoria come criterio di demarcazione, ben presto mi accorsi che qualsiasi
teoria può essere "immunizzata" contro la critica. Se ammettiamo
questa immunizzazione, ogni teoria diventa allora infalsificabile. Pertanto
dobbiamo escludere almeno qualche immunizzazione.
D'altro canto, mi resi anche conto che noi
non dobbiamo escludere tutte le immunizzazioni, e nemmeno tutte quelle che
introducono ipotesi ausiliarie, ad hoc. L'osservazione del movimento di Urano,
ad esempio, avrebbe potuto essere considerata come una falsificazione della
teoria di Newton. Fu perciò introdotta ad hoc l'ipotesi ausiliaria di un
pianeta pià lontano, immunizzando in tal modo la teoria. Questa si rivelò una
ipotesi felice, che l'ipotesi ausiliaria era controllabile, anche se difficile
a controllarsi, e superò i controlli con successo.
Tutto ciò dimostra non solo che un certo
grado di dogmatismo è fecondo, anche nella scienza, ma che inoltre, logicamente
parlando, la falsificabilità, o controllabilità, non può essere considerata
come un criterio troppo rigido. Come riepilogo, potrà essere utile mostrare,
con l'aiuto di esempi, quanto siano vari i tipi di sistemi teorici sonnessi
alla controllabilità (o falsificabilità) e alle procedure di immunizzazione:
(a) Ci sono teorie metafisiche di natura
puramente esistenziale
(b) Ci sono teorie come le teorie
psicoanalitiche di Freud, Adler e Jung, o come le credenze astrologiche
(abbastanza vaghe)
(c) ci sono quelle che si potrebbero
chiamare teorie "non sofisticate", come “Tutti i cigni sono
bianchi" o la teoria geocentrica "Tutti gli astri ad eccezione dei
pianeti hanno un moto circolare... Queste teorie sono falsificabili, benché le
falsificazioni possano ovviamente essere eluse: l'immunizzazione è SEMPRE
possibile. Ma l'eluderle sarebbe generalmente disonesto: consisterebbe cioè nel
negare che un cigno nero sia un cigno, o che sia nero
(d) E' interessante il caso del marxismo.
Come ho sottolineato nella mia Open Society, la teoria di Marx può considerarsi
confutata dal corso degli eventi accaduti durante la Rivoluzione Russa. Per
Marx i cambiamenti rivoluzonari cominciano alla base; vale a dire: i mezzi di
produzione cambiano per primi, poi cambiano le condizioni sociali della
produzione, quindi il potere politico, e infine le credenze ideologiche che
sono le ultime a cambiare. Ma nella rivoluzione russa il primo a cambiare fu il
poere politico, e quindi l'ideologia (dittatura più elettrificazione) cominciò
cambiare le condizioni sociali e i mezzi di produzione dall'alto. Per eludere
queta falsificazione, la reinterpretaizon della teoria marxiana della
rivoluzione immunizzò questa stessa teoria contro ulteriori attacchi
trasformandola nella toeria volgar-marxista (o socioanalitica), che ci dice che
il "motivo economico" e la lotta di classe pervade la vita sociale.
(e) Ci sono teorie più astratte, come le
teorie della gravitazione di Newton o di Einstein. Queste sono falsificabili -
se non si rilevano ad es. le perturbazioni predette, o forse da un esito
negativo degli esami coi radar. a nel loro caso una falsificazione prima facia
PUO' essere elusa, non solo con immunizzazioni priva di interesse ma anche come
nel tipo del caso Urano-Nettuno con l'introduzione di ipotesi ausiliarie
controllabili, sì che il contenuto empirico del sistema - che consta della
teoria originaria più le ipotesi ausiliarie - sia maggiore rispetto a quello
del sistema originario. Ciò lo possiamo considerare come un aumento del
contenuto informativo - come un caso di CRESCITA della nostra conoscenza.
Naturalmente ci sono anche ipotesi ausiliarie che sono semplicemente delle
mosse di immunizzazione elusive. Esse riducono il contenuto. Tutto ciò
suggerisce la REGOLA METODOLOGICA di non tollerare alcuna manovra che riduca il
contenuto.
Riscontrai che i miei amici ammiratori di
Marx, Freud e Adler, erano colpiti da alcuni elementi comuni a queste teorie e
soprattutto dal loro apparente POTERE ESPLICATIVO. Esse sembravano in grado di
spiegare praticamente tutto ciò che accadeva nei campi cui si riferivano. Lo
studio di una qulaunque di esse sembrava avere l'effetto di una conversione o
rivelazione intellettuale, che consentiva di levare gli occhi su una nuova
verità, preclusa ai non iniziati. na volta dischiusi in questo modo gli occhi,
si scorgevano ovunque dell conferme: il mondo pullulava di VERIFICHE della
teoria. Qualunque cosa accadesse, la confermava sempre. La sua verità appariva
perciò manifesta; e, quanto agli increduli, si trattava chiaramente di persone
che non volevano vedere la verità manifesta, che si rifiutavano di vederla, o
perché era contraria ai loro interessi si classe, o a causa delle loro
repressioni tuttora "non-analizzate" e reclamenti ad alta voce un
trattamento clinico.
L'elemento più caratteristico di questa
situazione mi parve il flusso incessante delle conferme, delle osservazioni ,
che "verificavano" le teorie in questione; e proprio questo punto
veniva costantemente sottolineato dai loro seguaci. Un marxista non poteva
aprire un giornale senza trovarvi in ogni pagina una testimonianza in grado di
confermare la sua interpretazione della storia; non soltanto per le notizie, ma
anche per la loro presentazione - rilevante i pregiudizi classisti del giornale
- e soprattutto, naturalmente, per quello che NON diceva. Gli analisti
freudiani sottlineavano che le loro teorie erano costantemente verificate dalle
loro “osservazioni cliniche". Quanto ad Adler, restai molto colpito da
un'esperienza personale. Una volta, nel 1919, gli riferii un caso che non mi
sembrava particolarmente adleriano, ma che egli non trovò difficoltà ad
analizzare nei termini della sua teoria dei sentimenti di inferiorità, pur non
avendo nemmeno visto il bambino. Un po' sconcertato, gli chiesi come poteva
essere così sicuro. "A causa della mia esperienza in mille casi
simili" egli rispose; al che non potei trattenermi dal commentare: "E
con quest'ultimo, suppongo, la sua esperienza vanta milleuno casi".
Mi riferivo al fatto che le sue precedenti
osservazioni potevano essere state non molto più valide di quest'ultima; che
ciascuna era stata a sua volta interpretata alla luce della “esperienza
precedente", essendo contemporaneamente considerata come ulteriore
conferma. Conferma di cosa, mi domandavo? Non certo più che del fatto che un
caso poteva essere interpretato alla luce della teoria. Ma questo significava
molto poco, riflettevo, dal momento che ogni caso concepibile poteva essere
interpretato alla luce della teoria di Adler, o parimenti di quella di Freud.
Posso illustrare questa circostanza per
mezzo di due esempi assai differenti di comportamento umano: quello di un uomo
che spinge un bambino nell'acqua con l'intenzione di affogarlo; e quello di un
uomo che sacrifica la propria vita nel tentativo di salvare il bambino.
Ciascuno di questi casi può essere spiegato con la stessa facilità in termini
freudiani e adleriani. Per Freud, il primo uomo soffriva di una repressione,
per esempio di una qualche componente del suo complesso di Edipo, mentre il
secondo uomo aveva raggiunto la sublimazione. Per Adler, il primo soffriva di
sentimenti di inferiorità determinanti forse il bisogno di provare a se stesso
che egli osava compiere un simile delitto, e lo stesso accadeva al secondo
uomo, che aveva il bisogno di provare a se stesso di avere il coraggio di
salvare il bambino. Non riuscivo a concepire alcun comportamento umano che non
potesse interpretarsi in termini dell'una o dell'altra teoria. Era precisamente
questo fatto -il fatto che dette teorie erano sempre adeguate e risultavano
sempre confermate - ciò che agli occhi dei sostenitori costituiva l'argomento
più valido a loro favore.
Cominciai a intravedere che questa loro
apparente forza era in realtà il loro elemento di debolezza.
Nel caso della teoria di Einstein, la
situazione era notevolmente diffrente. Si prenda un esempio tipico - la
previsione einsteiniana, confermata proprio allora dai risultati della
spedizione di Eddington. La teoria einsteiniana della gravitazoine aveva
portato alla conclusione che la luce doveva essere attratta dai corpi pesanti
come il sole, nello stesso modo in cui erano attratti i corpi materiali. Di
conseguenza, si poteva calcolare che la luce proveniente da una lontana stella
fissa, la cui posizione apparente fosse prossima al sole, avrebbe raggiunto la
terra da una direzione tale da fare apparire la stella leggermente allontanata
dal sole; o, in altre parole, si poteva calcolare che le stelle vicine al sole
sarebbero apparse come se fossero un poco scostate dal sole e anche fra di
loro. Si tratta di un fatto che non può normalmente essere ossevato, poiché
quelle stelle sono rese invisibili durante il giorno dall'eccessivosplendore
del sole: nel corso di un'eclissi è tuttavia possibile fotografarle. Se si
fotografa la stessa costellazione di notte è possibile misurare le distanze
sulle due fotografie, e controllare così l'effetto previsto.
Ora, la cosa che impressiona in un caso
come questo è il RISCHIO implicito in una previsione del genere. Se
l'osservazione mostra che l'effetto previsto è del tutto assente, allora la
teoria risulta semplicemente confutata. Essa è INCOMPATIBILE CON CERTI POSSIBILI
RISULTATI DELL'OSSERVAZIONE - di fatto con i risultati che tutti si sarebbero
aspettati prima di Einstein. Si tratta di una situazione completamente
differente da quella descritta, in cui emergeva che le teorie in questione
erano compatibili con i più disparati comportamenti umani, cosicché era
praticamente impossibile descrivere un qualsiasi comportamento che non potesse
essere assunto quale verifica di tali teorie.
Queste considerazioni mi condussero,
nell'inverno 1919-20, alle conclusioni che posso ora riformulare nel modo
seguente.
1) E' facile ottenere delle conferme, o
verifiche, per quasi ogni teoria - se quel che cerchiamo sono appunto delle
conferme
2) Le conferme dovrebbero valere solo se
sono il risultato di previsioni rischiose; vale a dire, nel caso che, non
essendo illuninati dalla teoria in questione, ci saremmo dovuti aspettare un
evento incompatibile con essa - un evento che avrebbe confutato la teoria.
3) Ogni teoria scientifica
"valida" è una proibizione: essa preclude l'accadimento di certe
cose. Quante più cose preclude, tanto migliore essa risulta
4) Una teoria che non può essere confutata
da alcun evento concepibile non è scientifica. L'inconfutabilità di una teoria
non è (come spesso si crede) un pregio, bensì un difetto.
5) Ogni CONTROLLO genuino di una teoria è
un tentativo di falsificarla, o di confutarla. La controllabiltà coincide con
la falsificabilità; vi sono tuttavia dei gradi di controllabilità: alcune
teorie sono controllabili, o esposte alla ocnfutazione, più di altre; esse, per
così dire, corrono rischi maggiori.
6) I dati di conferma non dovrebbero
contare SE NON QUANDO SIANO IL RISULTATO DI UN CONTROLLO GENUINO DELLA TEORIA;
e ciò significa che quest'ultimo può essere presentato come un tentativo serio,
benché fallito, di falsificare la teoria. In simili casi parla ora di
"dati corroboranti".
7) Alcune teorie genuinamente
controllabili, dopo che si sono rivelate false, continuano ad essere sostenute
dai loro fautori - per esempio con l'introduzione ad hoc, di qualche assunzione
ausiliare, o con la reinterpretazione ad hoc della teoria, in modo da sottrarla
alla confutazione.
Una procedura del genere è sempre
possibile, ma essa può salvare la teoria dalla confutazione solo al prezzo di
distruggere, o almeno pregiudicare, il suo stato scientifico. Ho descritto in
seguito una tale operazione di salvataggio come una "MOSSA" o
"STRATAGEMMA CONVENZIONALISTICO". Si può riassumere tutto questo
dicendo che IL CRITERIO DELLO STATO SCIENTIFICO DI UNA TEORIA E' LA SUA FALSIFICABILITA',
CONFUTABILITA' O CONTROLLABILITA'.
Posso esemplificare ciò che ho detto
ricorrendo alle diverse teorie fin qui ricordate. La teoria einsteiniana della
gravitazione soddisfaceva chiaramene il criterio della falsificabilità. Anche
se gli strumenti di misura dell'epoca non consentivano di pronunciarsi con
assolutacertezza sui risultati dei controlli, susisteva tuttavia, chiaramente,
la possibilità di confutare la teoria.
L'astrologia, invece, non superava il
controllo. Gli astrologi erano ta,mente colpiti, e fuorviati, da quelli che
ritenevano dati corroboranti, che restavano del tutto indifferenti di fronte a
qualsiasi prova contraria. Inoltre, rendendo le loro interpretazioni e profezie
abbastanza vaghe, erano in grado di eliminare tutto ciò che avrebbe potuto
costituire una confutazione della teoria, se quest'ultima e le profezie fossero
state più precise. Per evitare la falsificazione delle loro teorie, essi ne
distrussero la controllabilità. E' un tipico trucco degli indovini predire gli
eventi in modo così vago che difficilmente le predizioni possono risultare
false, ed esse diventano per ciò inconfutabili.
La teoria marxista della storia, nonostante
i seri tentativi di alcuni dei suoi fondatori e seguaci, finì per adottare
queta tecnica divinatoria. In alcune delle sue prime formulazioni, per esempio
nell'analisi marxiana della "incombente rivoluzioine sociale", le previsioni
erano controllabili, e di fatto furono falsificate. Tuttavia, invece di
prendere atto delle confutazioni, i seguaci di Marx reinterpretarono sia la
teoria che i dati per farli concordare. In questo modo essi salvarono la teoria
dalla confutazione; ma poterono farlo al prezzo di adottare un espediente che
la rendeva inconfutabile. In tal modo essi imposero una "mossa
convenzionalistica" alla teoria e con questo stratagemma eliminarono la
sua conclamata pretesa di possedere uno stato scientifico.
Le due teorie psicanalitiche appartenevano
a un genere diveso. Esse semplicemente non erano controllabili, erano
inconfutabili. Non c'era alcun comportamento umano immaginabile che potesse
contraddirle. Ciò non significa che Freud e Adler non vedessero correttamente certe
cose: personalmente, non ho dubbi che molto di quanto essi affarmano ha una
considerevole importanza, e potrà svolgere un suo ruolo, un giorno, in una
scienza psicologica controllabile. Ma questo non significa che le
"osservazioni cliniche", che gli analisti ingenuamente considerano
come conferme delle loro teorie, di fatto confermino queste ultime più di
quanto facessero le conferme quotidiane riscontrate dagli asrologi nella loro
pratica.
Le "osservazioni cliniche" al
pari di tutte le altre, sono INTERPRETAZIONI ALLA LUCE DI TEORIE; e soltanto
per questo si prestano ad apparire favorevoli alle teorie nella cui prospettiva
furono interpretate. Ma un effettivo rinforzo delle teorie può ottenersi
soltanto da ossevazioni intraprese come ocntrolli mediante "tentativi di
confutazione"; e a tale scopo devono introdursi prima di ogni altra cosa
dei CRITERI DI CONFUTAZIONE: si deve convenire quali situazioni osservabili, se
effettivamente riscontrate, indicano che la teoria è confutata. Ma di fronte
alla sicurezza soddisfatta di sé dell'analista, quale responso clinico potrà
confutare, non solo una diagnosi analitica particolare, ma la psicanalisi
stessa? E dei criteri siffatti sono mai stati discssi o concordati dagli
analisti? Non vi è forse, al contrario, un'intera classe di concetti analitici,
quali la “ambivalenza" (non voglio dire con ciò che non esista una cosa
del genere), capace di rendere difficile, se non impossibile, un accordo su
tali criteri?
Inoltre, quali progressi si sono compiuti
nell'accertamento dell'influenza esercitata sulle "risposte cliniche"
del paziente , dalle aspettative (consapevoli o meno) e dalle teorie con cui
opera l'analista? Per non dire dei conssapevolitentativi di influenzare il
paziente proponendogli delle interpretazioni, ecc. Anni or sono introdussi
l'espressione "effetto di Edipo" per descrivere l'influena che una
teoria, un'aspettazione, o una previsione, esercitano sull'EVENTO PREVISTO o
descritto; si ricorderà che la concatenazione causale culminante nel parricidio
di Edipo aveva preso avvio dalla predizione di tale evento fatta dall'oracolo.
E' questo n tema caratteristico e ricorrente di tali miti, che pare tuttavia
sia sfuggito all'interesse degli analisti, forse per ragioni non accidentali.
Il problema dei sogni probanti suggeriti dagli analisti è discusso da Freud,
per esempio in GESAMMELTE SCHRIFTEN, Wien, Internationaliter
Psychoanalystischer Verlag, 1925, vol. III, p. 314, ove egli scrive: "se
qualcuno sserisce che la maggior parte dei sogni utilizzabili in un'analisi...
deve la propria origine alla suggestione [dell'analista], non si può sollevare
alcuna obiezione dal punto di vistadella teoria analitica.
Eppure-aggiunge Freud sorprendentemente -
non vi è nula di questa circostanza che sminuisca l'attendibilità dei nostri
risultati".
Quanto all'epica freudiana dell'Io, del Super-Io
e dell'Es, non si può avanzare nessuna pretesa ad un suo stato scientifico, più
fondatamente di quanto lo si posa fare per l'insieme delle favole omeriche
dell'Olimpo. Queste teorie descrivono alcuni fatti, ma alla maniera dei miti.
Esse contengono delle suggestioni psicologiche assai interessanti, ma in una
forma non suscettibili di controllo.
Nel medesimo tempo mi resi conto che questi
miti potevano essere sviluppati e diventare controllabili; che, da un punto di
vista storico, tutte - o quasi tutte - le teorie scientifiche derivano dai
miti, e che un mito può contenere importanti anticipazioni delle teorie
scientifiche. Esempi al riguardo sono la teoria dell'evoluzione per prova ed
errore di Empedocle, o il mito parmenideo dell'universo statico e immutabile in
cui non accade mai nulla e che, se vi aggiungiamo un'altra dimensione, diventa
l'universo statico di Einstein, in cui pure non accade mai nulla, in quanto
ogni cosa è, dal punto di vista quadridimensionale, determinatae stabilita fin
dal principio. Compresi così che se si riscontra che una teoria non è
scientifica, o che è "metafisica", come potremmo dire, non si
stabilisce con ciò che essa è priv d importanza , o insignificante, o "priva
di significato", o "insensata".
Vale ad illustrare questo punto il caso
dell'astrologia, che è oggi una tipica pseudoscienza. Essa fu attaccata dagli
aristotelici e da altri razionalisti, fino ai tempi di Newton, per una ragione
sbagliata; in quanto asseriva, cosa oggi accettata, che i pianeti esercitano
una "nfluensa" sugli eventi terrestri (sublunari"). Di fatto, la
teoria gravitazionale di Newton, e specialmente la teoria che le maree sono
determinate dalla luna, dal punto divista storico, fu una filiazione della
tradizione astrologica. Newton pare fosse estremamente riulttante ad adottare
una teoria che derivava dallo stesso repertorio in cui si trovava, per esempio,
la tesi secondo cui le epidemie di "influenza" dipendono da un
"influsso" degli astri. E Galileo, senza dubbio proprio per la stessa
ragione, respinse la teoria lunare delle maree; e le sue perplessivà circa
l'opera di Keplero possono facilmente ricondursi alla diffidenza che egli
ntriva per l'astrologia.
Essa [l'astrologia] non può tuttavia
pretendere di essere sostenuta da prove empiriche nel senso scientifico - anche
se può certo essere, in una qualche accezione generica, il "risultato di
osservazioni".
Ci sono state una gran quantità di altre
teorie di questo tipo prescientifico o pseudoscientifico, alcune delle quali,
purtroppo, influenti quanto l'interpretazione marxista della storia; per
esempio, l'interpretazione razzistica della storia - che è un'altra di quelle
teorie suggestive e che spiegano tutto, capaci di agire come una rivelazione
sulle menti facilmente influenzabili. Pertanto, il problema che cercai di
risolvere proponendo il criterio di falsificabilità non era né una questione di
presenza di significato, o di sensatezza, né riguardava la verità o
l'accettabilità. Il problema era quello di tracciare una linea, pre quanto
possibile, tra le asserzioni, o i sistemi di asserzioni, delle scienze
empiriche, e tutte le altre asserzioni - sia di rio religioso o metafisico,
che, semplicemente, di tipo pseudoscientifico. Alcuni anni dopo - deve essere
stato nel 1928 o nel 1929 - denominai questo mio promo problema il PROBLEMA DELLA
DEMARCAZIONE. Il criterio di falsificabilità costituisce una soluzione a questo
problema della demarcazione, poiché esso afferma che le asserzioni o i sistemi
di asserzioni, per essere ritenuti scientifici, devono poter risultare in
conflitto con osservazioni possibili o concepibili.
E' forse opportuno che io accenni qui a un
punto in cui concordo con la psicanalisi. Gli psicanalisti asseriscono che i
nevrotici, e anche altri, interpretano il mondo conformemente a uno schema
personale che non viene abbandonato facilmente, e che può spesso essere fatto
risalire alla prima infanzia. Un modello, o schema, acquisito assai presto
nella vita viene preservato, e ogni nuova esperienza è interpretata nei termini
di questo schema; come se lo verificasse, per così dire, rafforzandone la
rigidità. E' questa una descrizione di quello che ho denominato atteggiamento
dogmatico, distinto dall'atteggiamento critico, che condivide col primo la
pronta adozine di uno schema di aspettazioni - un mito, magari, o una
congettura o ipotesi - ma che è pronto altresì a modificarlo, a correggerlo, e
anche a disfarsene. Sono incline a supporre che la maggior parte delle nevrosi
possono ricondursi a un arresto parziale nello sviluppo dell'atteggiamento
critico; a un dogmatismo fissato, piuttosto che naturale; alla resistenza
opposta alle esigenze di modificazione e correzioni di certe interpretazioni e
risposte schematiche. Tale resistenza, può forse spiegarsi a sua volta, in
alcuni casi, come conseguenza di una lesione o di uno shock che determinano
paura e un maggior bisogno di sicurezza o certezza, come aviene nel caso di una
ferita a un arto, che ci rende timorosi di muoverlo, tanto che si irrigidisce.
Si potrebbe anche asserire che il caso
dell'arto, non soltanto è analogo alla risposta dogmatica, ma ne costituisce un
esempio. La spiegazone di ogni caso concreto dovrà tener conto della portata
delle difficoltà insite nella realizzazione delle necessarie modificazioni -
difficoltà che possono essere considerevoli, soprattuto in un mondo complesso e
mutevole: sappiamo da esperimenti sugli animali che diversi gradi di
comportamento nevrotico possono essere determinati a piacere, variando in modo
corrispondente le difficoltà.
L'atteggiamento dogmatico... è chiaramente
in rapporto con la tendenza a VERIFICARE le nostre leggi, o schemi, cercando di
applicarli e di confermarli, anche a costo di ttrascurare le confutazioni,
mentre l'atteggiamento critico è pronto a cambiarli, a controllarli, a
confutarli e a FALSIFICARLI, se possibile. Ciò suggerisce fhe è possibile
identificare l'atteggiamento critico con l'atteggiamento scientifico, e
l'atteggiamento dogmatico con quello che abbiamo descritto come peudoscientifico.
L'atteggiamento critico, la tradizione
della libera discussine delle teorie al fine di scoprirne i lati deboli, per
poterle migliorare, è l'atteggiamento stesso della ragionevolezza, della
razionalità. Esso si avvale ampiamente , sia degli argomenti verbali, sia
dell'osservazione - di questa, in ogni caso, a profitto dei primi. La scoperta
greca del metodo critico diede origine dapprima all'erronea speranza che esso
avrebbe consentito di risolvere tutti i grandi problemi in attesa di soluzoine;
cheavrebbe stabilito la certezza; che ci avrebbe aiutato a PROVARE le nostre
teorie e a GIUSTIFICARLE. Questa speranza era tuttavia un residuo del modo di
pensare dogmatico: in effetti, nulla può essere giustificato o provato fuori
che nella matematica e nella logica. La richiesta di dimostrazioni razionali
nella scienza testimonia l'incapacità di conservare la distinzione fra l'ampio
dominio della razionalità e il ristretto campo della certezza razionale: si
tratta di una richiesta insostenibile e irragionevole.
Nondimeno, il ruolo degli argomenti logici,
del ragionamento logico deduttivo, resta fondamentale per l'atteggiamento
critico; non in quanto ci consenta di provare le nostre teorie, o di inferirle
da asserzioni osservative, ma perché solo attraverso il ragionamento puramente
deduttivo ci è possibile scoprirne le implicazioin e criticarle perciò
effettivamente. La critica, ho affermato, è un tentativo di trovare i punti
deboli di una teoria, e questi, generalmente, si trovano solo nelle conseguenze
logiche più remote che se ne possono derivare. E' per questo aspetto che il
puro ragionamento logico svolge un ruolo importante nella scienza.
La scoperta e l'approfondimento tra teorie
scientifiche e teorie non scientifiche accadde nel 1919, quando varie teorie
psicologiche e politiche, che pretendevano lo status di scienze empiriche,
cominciarono ad apparirmi sospette, soprattutto la “psicanalisi"
freudiana, la "psicologia individuale" di Adler e
l'"interpretazione materialistica della storia" di Marx. Mi sembrava
che tutte queste teorie venissero sostenute in maniera ACRITICA. Si schieravano
in loro difesa moltissimi argomenti, ma critiche e controargomenti venivano
guardati con ostilità, come sintomi di un volontario rifiuto ad ammettere la
volontà manifesta; ed erano perciò, affrontati con ostilità piuttosto che con
argomenti.
Ciò che trovai così sorprendente, e così
pericoloso, nei riguardi di queste teorie er l'affermazione che esse erano
"verificate" o "confermate" da n flusso incessante di
evidenza osservativa. E, invero, una volta aperti gli occhi, si potevano
scorgere ovunque delgi esempi che le verificavano. Un marxista non poteva
guardare un giornale senza trovare in ogni pagina, dagli articoli di fondo alle
inserzioni pubblicitarie, delle testimonianze che verificavano la lotta di
classe; e letrovava anche, e soprattutto, in ciò che il giornale non dicev. E
uno psicanalista, sia freudiano sia adleriano, avrebbe detto sicuramenteche
trovava le sue teorie verificate ogni giorno, addirittura ogni ora, dalle sue
osservazioni cliniche,
Ma queste teorie erano controllabili?
Queste analisi erano veramente meglio controllate, diciamo, degli oroscopi
frequentemente "verificati" degli astrologi? Quale evento concepibile
le falsificherebbe agli occhi dei loro seguaci? Non costituiva forse ogni
evento concepibile una "verifica"? Era precisamente questo fatto - il
fatto che esse fossero sempre adeguate, che fossero sempre “verficate" - a
impressionare i loro seguaci. Cominciava a farsi strada nella mia mente l'idea
che questa apparente forza fosse in realtà una debolezza, e che tutte queste
"verifiche" fossero troppo disponibili per poter contare come
argomenti.
Il METODO DELLA RICERCA DI VERIFICHE mi
sembrava errato - mi sembrava, in realtà, il tipico metodo di una
pseudo-scienza. Mi resi conto della necessità di distinguere, con tutta la
chiarezza possibile, questo metodo dall'altro - il metodo consistente nel
controllare il più severamente possibile una teoria, cioè il metodo della
critica, il METODO DELLA RICERCA DI ESEMPI CHE LA FALSIFICANO.
Il metodo della ricerca di verifiche non
era soltanto acritico: incoraggiava altresì un atteggiamento acritico sia
nell'espositore che nel lettore. Esso minacciava, in questo modo, di
distruggere l'atteggiamento della razionalità, dell'argomentazione critica.
Freud era di gran lunga il più lucido e
persuasivo tra gli espositori delle teorie di cui sto parlando. Ma qual era il
suo metodo di argomentazione? Egli proponeva esempi, li analizzava, e mostrava
che si adattavano alla sua teoria, o che la sua teoria si poteva descrivere
come una generalizzazione dei casi analizzati. A volte, faceva appello ai suo
lettori perché rimandassero le loro critiche, e dichiarava che avrebbe risposto
a tutte le critiche ragionevoli in un'occasoine successiva. Ma quando
considerai un po' più da vicino un certo numero di casi importanti, scoprii che
le risposte non arrivavano mai. Tuttavia, fatto abbastnza strano, molti lettori
si ritenevano soddisfatti.
Per mostrare che queste non sono semplici
affermazioni o vuote accuse, le sostanzierò dettagliatamente con un'analisi
della discussione di Freud delle tesi fondamentali del suo grande librp,
L'INTERPRETAZIONE DEI SOGNI, a ragione considerato, da lui e da altri, il suo
lavoro più importante. IL SUO APPROCCIO ERA CRITICO?
Lo scopo di questo paragrafo è di mostrare,
mediante l'analisi di un caso famoso, che il problema della demarcazione non
consiste soltanto nel classificare le teorie in scientifiche e
non-scientifiche, ma che urge una soluzine in vista di una valutazione critica
delle teorie scientifiche, o presunte tali. Ho scelto, a questo scopo, il
grande lavoro di Freud, L'INTERPRETAZIONE DEI SOGNI, per due ragioni. In primo
luogo, perché i miei tentativi di analizzare le argomentazoin hanno avuto un
considerevole ruolo nello sviluppo delle mie idee sulla demarcazione. In
secondo luogo perché malgrado molti gravi difetti, alcuni dei quali cercherò
quidi esporre, esso contiene, al di là di ogni ragionevole dubbio, una grande
scoperta. QUantomeno, sono convinto che esista un mondo dell'inconscio, e che
le analisi dei sogni esposte da Freud nel suo libro siano fondamentalmente
corrette, anche se indubbiamente incomplete (come lo stesso Freud mette in
chiaro) e, necessariamente, alquanto unilaterali. Dico “necessariamente"
perché persino la "pura" osservazione non è mai neutra - è il
risultato necessario di un'interpretazione. (Le osservazioni vengono sempre
raccolte, ordinate, decifrate, vlautate, alla luce delle nostre teorie. In
parte per queste ragioni, le osservazioni tendono a sostenere le nostre teorie.
Questo sostegno è di poco o nessun valore,
a meno che non adottiamo consapevolmente un atteggiamento critico e cerchiamo
confutazioni, piuttosto che "verifiche", delle nostre teorie.) Ciò
che vale persino per le osservazioni più distaccate varrà anche per
l'interpretazione dei sogni.
Ciò che mi propongo di fare in questo
paragrafo è di analizzare il modo in cui Freud argomenta a sostegno della sua
tesi centrale ne L'INTERPRETAZIONE DEI SOGNI.
Lo scopo principale di Freud, in questo
libro, è "dimostrare che i sogni rivelano... palesemente il loro carattere
di appagamento di un desiderio".
Freud introdusse, accanto alla idea
principale riguardo il significato del sogno, "allo scopo di spiegare i
sogni di ritorno a una stuazione traumatica, il concetto di 'tentativo' di
appagamento di un desiderio, 'ma senza considerarlo', scrive Wisdom, 'come
alcunché di essenzialmente nuovo". Popper richiama anche il riferimento di
Wisdom "alla spiegazione freudiana dei 'sogni penosi' con l'appagamento di
DESIDERI DI PUNIZIONE, come indicato nell'INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA
PSICOANALISI e in AL DI LA' DEL PRINCIPIO DEL PIACERE"
Freud è, naturalmente, consapevole del
fatto che esiste un'obiezione più che ovia a questa teoria - l'esistenza di
incubi e di SOGNI D'ANGOSCIA; egli tuttavia respinge questa obiezione.
"Effettivamente", scrive Freud in un brano in cui formula ciò che costituirà
il nostro problema principale in questa sede, “proprio i sogni di angoscia
sembrano non consentire la generalizzazione assiomatica dell'asserto, basato
sugli esempi da noi addotti nel precedente capitolo, che i sogni siano
appagamenti di desideri; sembrano anzi autorizzare a definire assurda tale
tesi. Eppure NON E' MOLTO DIFFICILE controbattere a queste obiezioni" [il
corsivo è di Popper]. Il metodo per controbattere quete obiezioni, egli spiega,
consiste nel mosrare che ciò che in APPARENZA (nel suo “contenuto
manifesto") sembra un sogno d'angoscia, è in REALTA', (nel suo “contenuto
LATENTE") L'APPAGAMENTO DI UN DESIDERIO. Questo conduce Freud ad una
lievissima "modificazione" della sua tesi principale circa "la
natura essenziale dei sogni", che egli formula come segue: "IL SOGNO
E' L'APPAGAMENTO (MASCHERATO) DI UN DESIDERIO (REPRESSO, RIMOSSO)".
La tesi prncipale di Freud è strettamente
connessa ad un'altra tesi fondamentale: cioè “la funzione" di un sogno o,
comunque, la sua funzione "normale", è di essere un GUARDIANO del
sonno contro i disturbi; anche se, a volte può dover, altresì, “comparire in
veste di DISTURBATORE del sonno".
Freud riafferma ripetutamente il suo
programma di rivelare il contenuto latente di ogni sogno d'angoscia come
appagamento di desiderio. Il programma viene dunque riaffermato, ad es. a p.
498 [de L'INTERPRETAZIONE DEI SOGNI], e ancora più dettagliatamente a pag. 505,
dove leggiamo: "Non è dunque DIFFICILE riconoscere che i sogni spiacevoli
e quelli angosciosi sono appagamenti di desiderio dal punto di vista della
nostra teoria, allo stesso modo dei puri sogni di soddisfazione" [corsivo
di Popper]. TUTTAVIA FREUD NON PORTA MAI A TERMINE IL SUO PROGRAMMA; E ALLA
FINE LO ABBANDONA DEL TUTTO - senza, però, dirlo esplicitamente. La prova di
questa affermazione è la seguente.
Freud inizia presto, nel suo libro, a
discutere "i frequentissimi sogni di questo tipo - che sembrano
contraddire direttamente la mia teoria"
La discussione dei "sogni penosi"
continua alle pp. 503-506... Incidentalmente sono dispostissimo a credere
all'ipotesi di Freud (p. 160) che alcuni dei suoi pazienti soddisfacessero, nei
loro sogni, il DESIDERIO di confutre la teoria di Freud. E tuttavia, con questa
ipotesi ci avviciniamo pericolosamente a uno stratagemma convenzionalista, come
cercherò di mostrare.
Ben presto abbiamo il sentore che il
programma di ridurre i sogni d'angoscia a quelli di appagamento potrebbe non
rimanere altro che un sogno inappagato di desiderio; giacché a pagina 163
apprendiamo che nei SOGNI D'ANGOSCIA, L'ANGOSCIA DEV'ESSERE SEPARATA DAL SOGNO
al cui contenuto essa è "soltanto saldata". A pag 226, apprendiamo
che l'angoscia "ha ilsignificato di un sintomo nevrotico”. Quando è così NOI
CI TROVIAMO AL PUNTO LIMITE IN CUI LA TENDENZA ONIRICA ALL'APPAGAMENTO DI UN
DESIDERIO FALLISCE". Così, dopotutto, c'è un limite. A pag. 525, Freud
stesso diventa consapevole del fatto che fin qui egli ha soltanto eluso il
problema di ridurre i sogni di angoscia a sogni di appagamento: "Penso
naturalmente" egli scrive "al sogno d'angoscia, e per non dar
l'impressione di evitare ogni volta che l'incontro questo teste d'accusa della
teoria dell'appagemento di desiderio, intendo accostarmi, almeno pre cenni,
alla sua spiegazione". Ma i cenni sono insoddisfacenti; per lo meno, non
soddisfano Freud. Infatti, dopo due pagine dalle quali non emerge, riguardo al
nostro problema, niente di più illuminante di una ripetizione della vecchia
affermazione secondo cui "che un processo psichico il quale sviluppa
angoscia possa essere cionostante l'appagamento di un desiderio. è nozione che
non presenta più per noi, da molto tempo, alcunché di contraddittorio",
Freud abbandona completamente il tentativo. Infine, a pag. 527, ci dice che
l'intera questione dei sogni d'angoscia cade "completamente fuori del
quadro psicologico della formazione del sogno. Se il nostro argomento [la
teoria dei sogni] non fosse congiunto, tramite questo particolare momento della
liberaizone dell'INC durante il sonno, con l'argomento dello sviluppo
d'angoscia, POTREI RINUNCIARE ALLA DISCUSSIONE DEL SOGNO D'ANGOSCIA,
RISPARMIANDOMENE IN QUESTA SEDE TUTTE LE RELATIVE OSCURITA'". Nel 1911, ma
non nelle edizioni successive, Freud rriassunse la sua elaborata, anche se solo
mplicita e apparentemente inconscia, sconfessione del suo programma in un'unica
frase: "Vorrei ribadire che langoscia nei sogni è un problema
dell'angoscia e non un problema del sogno".
In un saggio del 1923, dice Popper,
"si può trovare un'asserzine del tutto inequivocabile (che, però, non
contiene il termine 'angoscia', ma, in sua vece, il termine 'nevrosi
traumatica') secondo cui alcuni sogni d'angoscia non sono appagamenti di
desiderio, ma 'sono le sole GENUINE eccezioni". In Introduzione allo studio della psicanalisi egli commenta "non
ricorrerò al detto che l'eccezine conferma la regola"
Nelle quattro pagine seguenti, Freud
discute, e in parte analizza, tre sogni d'angoscia. Il suo scopo non è più di
provare che essi sono appagamenti di desideri, ma soltanto di sostenere la sua
affermazione "che l'angoscia nevrotica ha origine sessuale".QUesto,
chiaramente, implica che l'angoscia sia legata a certi DESIDERI. Ma non
giustifica l'inferenza che tutti i sogni d'angoscia debbano avere il carattere
di APPAGAMENTI di desiderio. (questa erronea inferenza sembra essere stata
tratta da alcuni lettori di Freud; ma si dovrebbe notare che lo stesso Freud si
limita a suggerireche il primo dei tre sogni può essere stato IN PARTE, un
APPAGAMENTO di desiderio, e che non suggerisce niente del genere in relazione
al secondo e al terzo sogno). E' chiaro che il motivo per cui Freud non porta a
termine il suo programma origina,e di mosrare (mediante analisi dettagliate
come quelle che è solito offrire) che tutti i sogni di angoscia sono
appagamenti di desideri, è che, alla fine, non vi crede più. Così il sogno
d'angoscia diventa un problema d'angoscia: esso ora "fa parte della
psicologia delle nevrosi" piuttosto che della teoria dei sogni, vale a
dire, della eoria dell'appagameto di desiderio. Dovrei essere l'ultimo a criticare
un tale cambiamento di idee. Ma il cambiamento non è una correzione
consapevole, né l'ammissione di un errore. Al contrario, nove anni dopo aver
scritto questi brani Freud aggiunse alla pagina 141 in cui introduceva per la
prima volta il suo programma di riduzione dei sogni di angoscia a sogni di
appagamento, un aspro rimprovero "ai lettori e ai critici di questo
libro". Egli li accusa di non riuscire a concordare con la sua tesi che
tutti i sogni, compresi quelli d'angoscia, sono appagamenti di desideri, e
anche di non riuscire a capire i suo programma (abbandonato anni prima, anche
se solo alla fine del libro) secondo il quale "i sogni d'angoscia, una
volta interpretati, possono rivelare il loro carattere di appagamento di un
desiderio". "E' incredibile – scrive Freud - l'ostinazione con cui
lettori e criti di questo libro tralasciano questa considerazione e trascurano
la distinzione fondamentale tra contenuto onirico manifesto e latente".
Si vedano anche le osservazioni sui
"critici profani" nella quattordicesima lezione di “Introduzione allo
studio della psicanalisi"
Orbene, per quanto mi riguarda il punto
essenziale non è tanto che, come dato di fatto, non furono i lettori e i
critici ad essere ostinati; che difficilmente lettori e critici non potevano
riuscire a scorgere il problema dei sogni d'angoscia; e che avevano
perfettamente ragione ad essere insoddisfatti nel sentirsi dire, prima, che la
riduzione dei sogni d'angoscia a sogni di appagamento non presentava
"grandi difficoltà" e nello scoprire poi, alla fine che questa
riduzione non era stata neppure tentata, bensì liquidata in quanto non era
"un problema del sogno". Vorrei criticare, piuttosto, il modo con cui
Freud respnse le critiche.
Si veda anche la nota in cui Freud rileva
la "scarsa coscienziosità" dei suoi critici suggerendo che essi siano
mossi dalle loro "tendenze aggressive" quando attribuiscono alla
"psicoanalisi" la dottrina che "tutti i sogni hanno un contenuto
sessuale". Ma forse che Otto Rank - che, come spiega Freud, affermava proprio
questo - non apparteneva alle schiere della "psicoanalisi"?
Sono, in realtà, convinto che Freud avrebbe
potuto enormemente migliorare la sua teoria se il suo atteggiamento nei
confronti della critica - nei confronti soprattutto, della "CRITICA
DISINFORMATA", come gli psicanalisti amano chiamarla - fosse stato
diverso. E, tuttavia, non può esserci dubbio che Freud fosse assai meno
dogmatico della maggior parte dei suoi seguaci, che tendevano a fare della
nuova teoria una religione, completa di martiri, di eretici, e di scismi, e che
consideravano ogni critico come un nemico - o almeno come una persona
“disinformata" (che aveva bisogno, cioè, di essere analizzata).
Questo atteggiamento di autodifesa è in
carattere con l'atteggiamento di ricercare verifiche; di trovarle ovunque in
abbondanza; di rifiutare di ammettere che certi casi non si adattano alla
teoria (e, al tempo stesso, di respingerli in quanto sono "non un problema
del sogno, ma un problema dell'angoscia" - un vero tipico "stratagemma
convenzionalista".
Una volta adottato questo atteggiamento,
OGNI CASO CONCEPIBILE DIVENTERA' UN ESEMPIO DI VERIFICA. Illustrai questa
circostanza, nel 1919, con il seguente esempio di due casi radicalmente opposti
di comportamento. Un uomo spinge un bambino nell'acqua con l'intenzione di
affogarlo; e un altro sacrifica la propria vita nel tentativo di salvarlo.
Ognuno di questi casi completamente diversi può essere facilmente spiegato in
termini freudiani - e, incidentalmente, anche in termini adleriani. Per Freud, il
primo uomo soffriva di una repressione (per esempio, di qualche componente del
suo complesso di Edipo), mentre il secondo aveva raggiunto la sublimazione. (E,
come scrisse una volta lo psicanalista S.
Bernfeld, la psicanalisi può prevedere che
un uomo reprimerà o sublimerà, ma non può dire se farà l'uno o l'altro). Per
Adler, il primo uomo soffriva di un senso di inferiorità (che determinò, forse,
il bisogno diprovare a se stesso che egli osava commettere un crimine); e lo
stesso accadeva al secondo uomo (il cui bisogno era di provare a se stesso di
avere il coraggio di rischiare la propria vita). Non riesco a concepire nessun
esempio di comportamento umano che non potrebbe interpretarsi nei termini
dell'una o dell'altra teoria e che non potrebbero entrambe assumere come una
"verifica".
[Aggiunto nel 1980] Credo, attualmente, che
l'ultima frase del paragrafo precedenre sia troppo forte. Come mi ha fatto
notare Bartley, ci sono certi tipi di comportamento possibile che sono
incompatibili con la teoria freudiana-che sono, cioè, esclusi dalla teoria
freudiana. Quindi la spiegazione freudiana della paranoia in termini di
omosessualità repressa sembrerebbe escludere la possibilità di un'omosessualità
attiva in un individuo paranoico. Ma ciò non fa parte della teoria basilare che
stavo criticando. Inoltre, Freud potrebbe dire che ogni omosessuale attivo
apparentemente paranoico non è REALMENTE paranoico, o che non è COMPLETAMENTE
attivo.
Si può mostrare dettagliatamente che tali
casi radicalmente opposti sono stati in effetti interpretati come delle
verifiche, analizzando il modo in cui Freud tratta certe obiezioni alla sua
teoria. Ne L'INTERPRETAZIONE DEI SOGNI Freud accenna ai "frequentissimi
sogni di questo tipo - che sembrano contrddire direttamente la mia teoria,
avendo essi per contenuto lo scacco di un desiderio oppure qualche cosa di
palesemente indesiderabile". Un gruppo di questi "sogni di
controdesiderio", come egli li definisce, possono venire spiegati, a suo
dire, come sogni che appagano il desiderio di un paziente che la teoria di
Freud possa essere errata. (Ne esiste anche un altro gruppo che qui non ci
riguarda.)
Perciò l'apparente falsificazione si
risolve in una "verificazione". Ma che dire di un caso radicalmente
opposto, quello di un paziente i cui sogni vengono sognati allo scopo di
compiacere l'analista e di confermarlo, anziché di confutarlo? Questi
"sogni compiacenti" (come Freud a volte li chiama) costituiscono,
naturalmente, anche delle verifiche; infatti essi sono appagamenti di desideri
nello stesso identico modo in cui lo erano gli altri.
I "sogni compiacenti" o
"sogni accondiscendenti" - sono fatti per compiacere o
accondiscendere all'analista confermando la sua teoria - sono descritti e
discussi da Freud alle pp. 312-314 di Ges.
schriften, III. Cfr. anche la ventisettesima e ventottesima lezione di
INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA PSICOANALISI.
Un atteggiamento più critico nei confronti
di questi "sogni compiacenti" sarebbe questo. Essi (come dice lo
stesso Freud) sono dovuti a una suggestione da parte dell'analista - al fatto
che l'analista ha imposto le sue idee a n paziente suggestionabile. Non
dovremmo allora, prendere in seria considerazoine la possibilità che alcune
altre "verifiche cliniche" di cui amano parlare gli analisti, o in
realtà tutte queste verifiche, siano dovute ad un meccanismo di questo genere?
E la semplice possibilità di tale meccanismo non invalida queste
“verifiche"?
Freud inizia così la discussione:
"L'analista rimarrà forse, sulle prime, estremamente turbato, quando gli
viene inizialmente ricordata questa possibilità" - quella, cioè, di
influenzare in questo modo il paziente. Questo è un rilievo interessante:
“l'analista", come Freud, rimane turbato perché si rende conto che tutto
il suo edificio di "verifiche cliniche" rischia di crollare. Ma
l'angoscia dell'analista scompare non appena gli viene detto che è soltanto
"lo scettico" a ricordargli questa spaventosa possibilità: "Lo
scettico potrebbe dire che queste cose compaiono nei sogni perché chi sogna sa
che deve produrle - che l'analista se le aspetta, scrive Freud, e aggiunge:
"L'analista stesso la penserà, e con giusta ragione, in altro modo"
La penserà senza dubbio in altro modo. Ma
perché "con giusta ragione"? Non si dà alcuna giustificazione di
questo. Al contrario, quando, tre pagine dopo, lo scettico ricompare per
l'ultima volta - chiamato, adesso qualcuno" - anche lo stesso Freud non
può più "pensarla in altro modo"; ora, infatti, egli scrive: "Se
qualcuno dovesse sostenere che la maggior parte dei sogni di cui ci si può
avvalere in un'analisi sono, in effetti, sogni compiacenti prodotti per
suggestione [dell'analista], ALLORA NON SI POTREBBE DIRE NULLA CONTRO QUESTA OPINIONE
DAL PUNTO DI VISTA DELLA TEORIA ANALITICA. In questo caso, non devo far altro
che riferirmi alle considerazioni contenute nelle mie LEZIONI INTRODUTTIVE
dove... si mostra quanto poco l'attendibilità dei nostri risultati venga
compromessa da una comprensione dell'effetto della suggestione nel nostro
senso".
Il riferimento è al punto 4 della
quindicesima leione della INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA PSICOANALISI che,
nella migliore delle ipotesi, fornisce come risposta un argomento ciriolare, e
all'ultima (lezione ventotto) che fornise un'argomentazione che non mostra
niente di più del fatto che alcuni degli assunti più generali dell'analisi sono
sostenuti da un'evidenza indipendente, cosicché non tutti possono essere dovuti
a suggestione. (Lo ammetto facilmente: quella che è forse la più sorprendente
evidenza di questo tipo la si può trovare nella REPUBBLICA di Platone per
esempio pp. 571-575. Questi passi non sono menzinati da Freud, Essi vengono
discussi, insieme ad altri brani, nella mia OPEN SOCIETY, nota 59 del cap 10).
Il passo della lezione ventotto si avvale anche di quello che è, sostanzialmente,
l'argomento del puzzle ad incastro.
La “divisione" o "frattura"
dell'anima di Platone è una delle più rilevanti impressioni della sua opera, e
specialmente della Repubblica. Soltanto un uomo che dovette com battere
duramente per conservare l'autocontrollo o il dominio della ragione sui suoi
istinti animali poteva sottolineare questo punto con la forza con cui lo
sottolineò Platone... [I passi platonici] presentano una stupefacente
somiglianza con dottrine psicoanalitiche, ma si potrebbe anche sostenere che
mettano in evidenza forti sintomi di repressione... L'inizio del
Libro IX... sembra un'esposizione della
dottrina del complesso di Edipo.
Sull'atteggiamento di Platone nei confronti
di sua madre getta forse ualche luce la REPUBBLICA, 548e-549d, specialmente in
considerazione del fatto che in 548e suo fratello Glaucone è identificato con
il figlio in questione
Quella che io ho chiamato la TEORIA
POLITICA DELL'ANIMA di Platone (si veda anche il testo relativo alla nota 32 al
Capitolo V), cioè la divisione dell'anima in conformità con la società divisa
in classi, è a lungo rimasta la base della maggior parte delle psicologie. Essa
è anche la base della psicanalisi. Secondo la teoria di Freud, quella che
Platone aveva chiamato la parte dirigente dell'anima tenta di rafforzare la sua
tirannia mediante una "censura" mentre gli istinti animali ribelli e
proletari che corrispondono al mondo sociale sotterraneo, esercitano
effettivamente una dittatura nascosta; infatti essi determinano la politica del
governante visibile.
Temo che il riferirsi alle LEZIONI
INTRODUTTIVE possa risultare di ben poco aiuto a chiunque volesse esaminare la
contraddizoine tra le ultime due citazionoi. Se qualcuno è in grado di pensare
criticamente, deve rimanere in stato di "SHOCK"; specialmente se
legge tra le righe della quindicesima di queste LEZIONI INTRODUTTIVE, che lo
"SHOCK" ha avuto origine dalla scoperta che i pazienti di Freud, di
Adler e di Stekel sognavano, rispettivamente, "soprattutto di impulsi
sessuali,... di dominio... [e] di rinascita", adattando in questo modo,
per dirla con Freud, "i contenuti dei loro sogni alle teorie preferite dei
loro medici. Ma tornando dalle LEZIONI INTRODUTTIVE al brano che mi ha condotto
a citarle, il solo argomento degno di questo nome in queste quattro pagine di
apologia è L'ARGOMENTO DEL PUZZLE AD INCASTRO. Esso afferma che se l'analista
riesce a comporre le tessere di tutto il complicato disegno, "così che il
disegno acquista un significato, e non rimane alcuno spazio vuoto... allora sa
di aver trovato la soluzione, e che non ne esiste un'altra".
Niente potrebbe essere più pericoloso di
questo argomento se, come in questo contesto, esso viene usato per dissipare i
dubbi dell'analista circa i risultati della suggestione. INfatti, ciò che l'analista
paventava era proprio, per prima cosa, la possibilità che il puzzle venisse
costruito sotto pressione - spingendo a forza le tessere (che si rivelano
elastiche o plastiche ansiché rigide) nel loro posto, o forse mediante
l'inconscia suggestione, esercitata su un paziente influenzabile, che egli
potrebbe produrre delle nuove tessere, fatte su misura, così da adattarsi a
pennello ai vari "spazi".
Anche senza questa decisiva obiezione,
l'argomento del pussle ad incastro è accettabile solo se abbiamo di fronte una
teoria che può essere severamente controllta: le altre teorie possono SEMPRE
far in modo che i loro puzzles riescano. Si considerino ad esempio, le
interpretazioni della storia in termini di lotta razziale o di lotta di classe:
in che modo esse "rosolvano" tutte il pzzle della storia e della
politica contemporanea. Lo stesso vale per l'interpretazine astrologica della
storai, o per l'interpretazine che ne dà Omero nei termini di bisticci
domestici sul Monte Olimpo, o per l'interpretazione veterotestamentaria nei
termini di colpa collettiva, punizione ed espiazione. Ognuna di queste riesce a
"risolvere" il proprio puzzle. Ma la loro cinvinzione - e quella di
Freud - "CHE NON ESISTE ALTRA SOLUZIONE" si rivela infondata: hanno
tutte successo. (E così Adler e Steckel).
Non vorrei essere frainteso. Penso che
L'INTERPRETAZIONE DEI SOGNI di Freud sia una grande conquista. Essa, tuttavia,
ha il carattere dell'atomismo pre-democriteo - o forse della raccolta di miti
olimpici di Omero - piuttosto che quello di una scienza controllabile.
Certamente, essa mostra che anche una teoria metafisica è infinitamente meglio
della mancanza di una teoria; ed è, suppongo, un programma per una scienza
psicologica paragonabile all'atomismo o al materialismo, o alla teoria
elettromagnetica della materia, o alla teoria del campo di Faraday, che erano
tutti programmi per la scienza fisica. MA E' UN FONDAMENTALE ERRORE CREDERE
CHE, POICHE' VIENE COSTANTEMENTE "VERIFICATA", DEBBA ESSERE UNA
SCIENZA, BASATA SULL'ESPERIENZA.
Un pericoloso dogmatismo va sempre a
vraccetto con il verificazionismo. Personalmente non penso che la domanda
"Qual è la natura essenziale dei sogni?" sia una buona domanda da
porsi; ma se viene posta, allora risposte diverse dalla teoria freudiana
dell'appagamento di desideri sembrano almeno altrettanto appropriate.
Ad esempio, tutto il materiale, come pure
le analisi di Freud si adatterebbero perfettamente alla seguente risposta:
"Tutti i sogni osno il risultato di conflitti - sia di desideri
conflittuali, che di confrlitti fra i desideri e gli ostacoli che minacciano di
frustrarli, e che creano preoccupazioni o problemi". Orbene, dal momento
che, in sogno, i desideri possono veniredifficilmente espressi in modo diverso
che mediante una rappresentazione di ciò che si desidera - vale a dire, del
loro appagamento - si troverà nella maggior parte dei sogni una
rappresentazione di questo appagamento. Tuttavia, benché alcuni sogni possano
culminare in un appagamento, conflitto e frustrazione vengono sempre rappresentati
con altrettanta forza (persino nei più semplici sogni dei bambini e nei sogni
di fame); e diventano predominanti nei sogni di angoscia, che NON sono
necessariamente sintomo di una nevrosi ossessiva.
I sogni di fame... che non si adattano alla
teoria di Freud, bensì a quella qui proposta, sono descritti dal capitano Scott
in THE VOYAGE OF THE DISCOVERY (Giornale di bordo, 22 Dicembre 1902): "I
miei compagni fanno "sogni di cibo" molto brutti; essi sono infatti
diventati argomento corrente di ovnversazione durante la colazoine. Sembra si
tratti di una specie di incubo; essi sono o seduti a un tavolo ben
apparecchiato con le braccia legate, o affrrano un piatto ed esso scivola loro
dalla mano, o stanno portando alla bocca qualche leccornia quando cadono in un
precipizio. Qualunque possano essere i dettagli, qualcosa all'ultimo momento
interferisce ed essi si svegliano"
Niente è più lontano dalle mie intenzioni
che l'offrire questa teoria - che, in ogni caso, dovrebbe tutto a Freud - come
un'alternativa alla sua stessa teoria. Ciò che desidero sottolineare è che
Freud non discute da nessuna parte una teoria alternativa (come quella qui
delineata) che tenga conto del semplice fatto, ormai accettato, CHE I SOGNI
D'ANGOSCIA COSTITUISCONO UNA CONFUTAZIONE DELLA FORMULA GNEERALE
DELL'APPAGAMENTO DI DESIDERI - come venne suggerito molto tempo fa da lettori
"ostinati" e da critici "disinformati". Egli non istituisce
da nessuna parte un confronto tra la sua teoria e una sua promettente rivale, valutandole
l'una contro l'altra alla luce dell'evidena; e non la critica mai: ha la sua
teoria e cerca di verificarla; e la adatta fin dove possibile e - come ha
mostrato l'esempio del sogno di angoscia - fin oltre a ciò che egli stesso
riteneva possibile quando pubblicò il suo grande libro L'INTERPRETAZIONE DEI
SOGNI.
Attribuendo grande importanza all'idea
freudiana dei desideri di punizione (idea della quale lo stesso Freud si era
avvalso assai poco), Wisdom propone di spiegare TUTTI i sogni - anche i sogni
d'"angoscia" - in termini di appagamento di desiderio (lo stesso
Wisdom preferisce il termine "appagamento di bisogno", ma, da un
punto di vista psicanalitico, non vedo alcuna ragione per cui non dovrebbe
esserci un "desiderio inconscio" corrispondente ad ogni
"bisogno" nel senso di Wisdom, inclusi quelli che egli chiama
"bisogni di punizione"). Si potrebbe dire che la teoria di Wisdom
ammette i conflitti nella spiegazione dei sogni, ma, per quanto mi è dato
vedere, ammette UN solo tipo di conflitto - quello causato dal senso di colpa.
Questi furono, più o meno, i motivi che,
nel 1919, mi portarono a rifiutare le pretese dei freudiani, degl adleriani e
dei marxisti, che le loro teorie fossero "basate sull'esperienza" al
pari di quelle delle altre scienze - per esempio, della neurologia sperimentale
o della biochimica. Le rifiutai perché scoprii che le loro teorie non
riuscivano a soddisfare il criterio di controllabilità, o di confutabilità o di
falsificabilità. Oggi questo criterio sta diventando oggetto di ampia accettazione
in quanto criterio di demarcazione; ma le tre teorie menzionate vengono
raramente discusse in questi termini. Si continua, invece, a discuterle nei
termini di evidenza che le conferma, di "verificazioni".
Questo è il modo in cui giunsi per la prima
volta a vedere il problema della demarcazine. In questo contesto, poco importa
se io abbia ragione o meno riguardo all'inconfutabilità dell'una o dell'altra
di queste tre teorie: qui esse servono soltanto come esempi, come
illustrazioni. Il mio scopo è infatti di mostrare che il mio "problema
della demarcazione" era, fin dall'inizio, il problema pratico di valutare
le teorie, e di giudicare le loro affermazioni.
Non era certo il problema di classificare o
di distinguere delle discipline chiamate "scienza" e "metafisica".
Era, piuttosto, un urgente problema pratico: sotto quali condizioni è possibile
un APPELLO CRITICO ALL'ESPERIENZA - un appello che possa dare dei frutti?
IL GIUDIZIO DI KARL R. POPPER SU ADLER
I concetti primitivi di un sistema di
assiomi possono essere interpretati come quelli che soddisfano gli assiomi
(definizione implicita). Una forma di definizione esplicita è quella ostensiva,
che presenta il problema che vanno comunque usati nomi generali, per definire i
quali vanno usati altri nomi generali e che quindi un certo numero di nomi
generali pare destinato ad essere indeterminato. Popper afferma che è possibile
definire i concetti di un sistema più generale in termini dei concetti di un
sistema meno generale. Non si capisce se si adotta in tal caso la
interpretazione convenzionalistica (definizione implicita) del sistema meno
generale.
I quattro principali stratagemmi
convenzionalistici: (a) Ipotesi ausiliarie (ad hoc); (b) Possiamo modificare le
"definizioni ostensive", o le "definizioni esplicite". Per
mezzo di esse ad un sistema di assiomi viene conferito un significato in
termini di un sistema situato a un livello di universaltà più basso. I
cambiamenti in queste definizioni possono essere ammessi se si rivelano utili;
ma devono essere considerati come modificazioni del sistema, che in seguito
tali cambiamenti dovrà essere riesamineto come se fosse nuovo. Per quanto
riguarda i nomi universali indefiniti dobbiamo distinguere tra due possibilità:
1) ci sono alcuni concetti indefiniti che compaiono soltanto in asserzioni
caratterizzate dal più alto livello di universalità ed il cui uso è stabilito
dal fatto che sappiamo in quale relazione logica stanno, nei loro confronti,
gli altri concetti. Essi possono venire eliminati nel corso della deduzione
(es. il concetto di "energia").2) Ci sono altri concetti indefiniti
che si presentano in asserzioni caratterizzate anche da livelli di universalità
più bassi e il cui significato è stabilito dall'uso (esempio: "moto",
“punto-massa", "posizione"). Per quanto ci concerne, vieteremo
alterazioni surrettizie del loro uso; altrimenti procederemo in conformità con
le nostre decisioni metodologiche, come nei casi precedenti. (c) Possiamo
assumere un atteggiamento scettico nei confronti della fidatezza dello
sperimentatore; (d)
Come estrema risorsa possiamo sempre
mettere in dubbio l'acume teorico dello sperimentatore (per esempio nel caso
che non creda, come Dingler, che un giorno la teoria dell'elettricità sarà
derivata dalle leggi di gravitazione di Newton).
Popper ritiene che la generalizzazione per
induzione non sia di alcuna guida alla scoperta scientifica
Vedi Le osservazioni e a maggior ragione le
asserzioni d'osservazione e le asserzioni riguardanti i risultati sperimentali
sono sempre INTERPRETAZIONI dei fatti osservati; sono INTERPRETAZIONI ALLA LUCE
DELLE TEORIE. E' questa una delle principali ragioni per cui è sempre
ingannevolmente facile trovare verificazioni di una teoria e per cui se non
vogliamo ragionare in circolo, dobbiamo assumere un atteggiamento ALTAMENTE
CRITICO verso le nostre teorie. L'atteggiamento consiste nel cercare di
CONFUTARLE. Vedi anche il quarto (pag. 68) e ultimo (pag. 70) capoverso del
paragrafo 19.
Popper ammette che la non-falsificabilità
di certe teorie possa essere paradossalmente interpretata come riprova della
fallacia del falsificazionismo.