I paradossi
Il significato della parola
“paradosso”
Paradossi logici e paradossi
semantici.
Il paradosso della dimostrazione
diagonale di Cantor.
Il paradosso dell'insieme
degli insiemi che non appartengono a se stessi (antinomia di Russell).
Il
paradosso di Grelling e Nelson.
Il
paradosso dell'insieme di tutti gli insiemi.
Il paradosso di Napoleone, o
delle definizioni impredicative.
Il paradosso dell'insieme di tutti
i numeri cardinali.
Il paradosso della famiglia di
tutti gli insiemi equipotenti ad uno dato.
Il
paradosso di Epimenide il cretese.
Il paradosso della famiglia di
tutti gli insiemi simili ad un insieme ben ordinato.
Il
paradosso della relazione "non avere relazione".
Il
paradosso del numero degli ordinali transfiniti.
Il paradosso
di Banach-Tarski.
Il
paradosso dei tre enunciati falsi.
Il paradosso
dell'uovo e della gallina (regresso all'infinito).
Il
paradosso di Alice e del Re rosso.
Il paradosso
di Don Chisciotte.
Il paradosso della lista delle
persone interessanti.
Il paradosso del calcolatore
cui è chiesto di prevedere il futuro.
Il paradosso
dell'esame inatteso.
La
dimostrazione di Cantor della non numerabilità dell'insieme dei numeri reali
❍ Il significato della parola
“paradosso”
La parola "paradosso"
può indicare quattro casi:
▸ Un'affermazione
che sembra falsa, ma che in realtà è vera
▸ Un'affermazione
che sembra vera, ma che in realtà è falsa
▸ Un
ragionamento che sembra impeccabile, ma che porta a una contraddizione logica
(questo tipo di paradosso è detto più comunemente fallacia)
▸ Un'affermazione
di cui non si può decidere la verità o la falsità (es. il paradosso di
Napoleone)
Due ragionamenti che
sembrerebbero dover escludersi a vicenda sono in realtà entrambi corretti (es.
il paradosso di Newcomb)
I paradossi che esporremo
appartengono prevalentemente al terzo e quarto tipo. Saranno tuttavia
presentati anche paradossi del primo e del secondo tipo riguardanti la teoria
cantoriana degli insiemi (es. il paradosso dell'insieme che può essere messo in
corrispondenza biunivoca con una parte di se stesso).
Molti paradossi della teoria
degli insiemi hanno a che fare con un ragionamento circolare o auto-referenza.
In logica la possibilità di auto-referenza può distruggere una teoria o renderla
ricca e interessante. Il problema è quello di formulare le nostre teorie in
modo che esse ammettano solo le possibilità che arricchiscono la materia ed
escludono quelle che porterebbero a una autocontraddizione. Inventare paradossi
è lo strumento principale per verificare se abbiamo posto i giusti limiti alle
nostre idee logiche.
Eliminare l'autoreferenza non
elimina tutti i paradossi. Di ciò erano ben consapevoli già gli antichi Greci.
Illuminante è in proposito il paradosso preso da un dialogo platonico: Platone:
"La prossima asserzione di Socrate sarà falsa" Socrate: "Platone
ha detto la verità".
❍ Paradossi logici e paradossi
semantici.
Nei paradossi logici
intervengono solo concetti della teoria degli insiemi, mentre i paradossi
semantici fanno uso anche di concetti quali "denota",
"vero", "aggettivo", che non ricorrono necessariamente nel
linguaggio matematico standard. Proprio per questa ragione i paradossi logici
sono una minaccia molto maggiore per la tranquillità di spirito del matematico.
F.P.
Ramsey ("The foundations of mathematics", Proc. London Math. Soc., (2), Vol. XXV
(1926), pp. 338-384) per primo introdusse questa distinzione. I paradossi
relativi ai valori di verità sono chiamati "paradossi semantici",
mentre quelli relativi a insiemi di cose sono detti "paradossi della
teoria degli insiemi". I due tipi sono in stretta relazione uno con
l'altro. La correlazione tra paradossi semantici e paradossi della teoria degli
insiemi nasce dal fatto che ogni enunciato cui corrisponde un valore di verità
può essere riformulato come enunciato relativo a insiemi, e viceversa. Per
esempio, "Tutte le mele sono rosse" significa che l'insieme di tutt
le mele è un sottoinsieme dell'insieme di tutte le cose rosse e questo,
riformulato nel linguaggio dei valori di verità, corrisponde all'enunciato
semantico: "Se è vero che x è una mela, allora è vero che x è rosso". Consideriamo l'asserto del
paradosso del mentitore: "Questo enunciato è falso". Esso può venir
tradotto nel seguente enunciato insiemistico: "Questa affermazione è un
elemento dell'insieme di tutte le affermazioni false". Se l'enunciato
appartiene realmente all'insieme di tutte le affermazinoi false, allora quello
che asserisce è vero e non può quindi appartenere all'insieme degli enunciati
falsi. D'altra parte, se l'enunciato non appartiene all'insieme di tutte le
affermazioni false, allora quello che asserisce è falso e deve quindi
appartenere all'insieme di tutti gli enunciati falsi. Ogni paradosso semantico
ha il suo analogo nella teoria degli insiemi e ogni paradosso della teoria
degli insiemi ha il suo analogo semantico.
Sono esempi di paradossi
logici:
▸ L'antinomia
di Russell
▸ Il
paradosso del massimo numero cardinale
▸ Il
paradosso di Burali-Forti del massimo numero ordinale
Sono esempi di paradossi
semantici:
▸ Il
paradosso del mentitore
▸ Il
paradosso di Richard
▸ Il
paradosso di Berry
▸ Il
paradosso di Grelling
La teoria degli insiemi è stata
studiata per la prima volta come disciplina matematica da Cantor (1845-1918)
nell'ultimo scorcio del diciannovesimo secolo. Attualmente, la teoria degli
insiemi appartiene ai fondamenti della matematica, ne ha rivoluzionato quasi
ogni settore. All'incirca nello stesso periodo in cui la teoria degli insiemi
iniziò a influenzare gli altri rami della matematica, vennero scoperte diverse
contraddizioni, dette antinomie o paradossi. Il primo di essi, dovuto a
Burali-Forti, risale al 1897.
Qui esamineremo per primo un
altro paradosso: nessun insieme finito può essere messo in corrispondenza
biunivoca con uno dei suoi sottoinsiemi propri. Questo non vale per gli insiemi
infiniti, i quali sembrano violare la vecchia regola secondo cui un intero è
maggiore di qualsiasi delle sue parti proprie. In effetti, un insieme infinito
può venire definito come un insieme che può essere messo in corrispondenza
biunivoca con un sottoinsieme proprio di se stesso.
Si considerino a questo fine la
successione A dei numeri interi a partire da 1 e la successione B dei numeri
interi a partire da 1000. Si possono mettere in relazione biunivoca i termini
della successione A con quelli della successione B mediante la relazione
f: nA ---f-->
nA + 999
dove "nA"
è un numero arbitrario della successione A e "nA + 999" è
il corrispondente numero della successione B. La relazione f è ovunque
definita, funzionale, iniettiva e suriettiva, e pertanto stabilisce una
relazione biunivoca tra la successione A e la successione B. Invece del numero
1000 si sarebbe potuto far cominciare la successione B da un qualsiasi intero n
arbitrario.
E' possibile parimenti mettere
in relazione l'insieme dei numeri interi a partire da 1 con l'insieme dei
numeri interi pari, mediante la funzione g definita come segue:
g: n ----g--->
n x 2
dove "n" appartiene
alla successione degli interi, mentre "n x 2" appartiene alla
successione degli interi pari.
Possiamo considerare come caso
particolare di questo paradosso il fatto che l'insieme dei numeri interi può
essere messo in corrispondenza con l'insieme dei numeri razionali. Nel 1874
Cantor dimostrò che l'insieme dei numeri interi può essere messo in
corrispondenza biunivoca con quello dei numeri algebrici, cioè con l'insieme di
tutti i numeri che sono soluzioni delle equazioni algebriche del tipo:
a0xn
+ a1xn-1 + ... + an = 0
Questo fatto è ancora più
sorprendente, perché i numeri algebrici comprendono, oltre agli irrazionali
anche una parte dei numeri irrazionali (gli irrazionali non algebrici sono
chiamati trascendenti, e la loro esistenza era stata dimostrata Liouville nel
1844); ad esempio, la radice quadrata di due è il numero che costituisce
soluzione dell'equazione algebrica:
x2 + 0x - 2 = 0
Ecco la dimostrazione di Cantor
di quest'ultima corrispondenza. Si assegni ad ogni equazione algebrica di grado
n la sua altezza N definita da:
N = n - 1 + |a0| +
|a1| + ... + |an|
dove gli ai sono i
coefficienti dell'equazione. L'altezza N è un intero e a ciascun N corrisponde
soltanto un numero finito di equazioni algebriche e quindi anche soltanto un
numero finito, che denoteremo con Φ(N) di numeri algebrici. così,
Φ(1) = 1, Φ(2) = 2, Φ(3) = 4. Cantor parte da N = 1 e
attribuisce ai corrispondenti numeri algebrici gli interi da 1 a n1.
Ai numeri algebrici di altezza 2 vengono poi attribuiti gli interi da n1
+ 1 a n2, e così via. Poiché in tal modo viene raggiunto ogni numero
algebrico e a ciascuno viene attribuito uno e un solo intero, l'insieme dei
numeri algebrici è numerabile.
Il "numero cardinale"
di un insieme è il numero degli elementi dell'insieme. Per esempio, il numero
cardinale dell'insieme che contiene le lettere della parola "gatto" è
5. Qualsiasi insieme finito ha un numero cardinale finito. Georg Cantor scoprì
che alcuni insiemi infiniti erano "più grandi" di altri insiemi
infiniti. Egli usò la prima lettera dell'alfabeto ebraico, "א",
per denotare il numero cardinale di un insieme infinito. Gli indici specificano
quale "infinito". Cantor Chiamò "א-zero" il numero
cardinale dell'insieme dei numeri naturali. L'insieme dei numeri pari e quello
degli interi dispari hanno entrambi numero cardinale "א-zero".
Quindi, א-zero + א-zero = א-zero. L'insieme dei numeri reali
forma un insieme infinito più grande, che per Cantor aveva il numero cardinale
א-uno. Cantor dimostrò che elevando 2 alla potenza di un א (cioè,
equivalentemente, considerando il numero cardinale transfinito dell'insieme di
tutti i sottoinsiemi dell'insieme che ha come cardinale l'א considerato)
si genera un א superiore che non può essere messo in corrispondenza
biunivoca con l'א in esponente. così la scala degli א continua a
salire all'infinito.
Consideriamo la dimostrazione
di Cantor che insiemi di cardinalità א-zero non possono essere posti in
corrispondenza biunivoca con insiemi di cardinalità א-uno. La
dimostrazione comincia con l'assumere che l'insieme dei numeri reali compresi
fra 0 e 1 sia numerabile. Scriviamo ciascuno di essi nella forma di un decimale
illimitato e conveniamo che un numero come 1/2 sia scritto nella forma
0,4999... Se l'insieme di questi numeri reali è numerabile, sarà possibile
assegnare a ciascuno di essi un intero n, così:
1 → 0,a11a12a13
2 → 0,a21a22a23
3 → 0,a31a32a33
................……..
Definiamo ora un numero reale b
= 0,b1b2b3... compreso fra 0 e 1 ponendo bk
= 9 se akk = 1 e bk = 1 se akk è diverso da 1.
b differisce da tutti i numeri reali che compaiono nella corrispondenza
precedente e, poiché si era supposto che questi esaurissero tutti i numeri
reali compresi fra 0 ed 1, questa è una contraddizione.
❍ Il paradosso della dimostrazione
diagonale di Cantor.
La famosa "prova
diagonale" di Georg Cantor dimostra che l'insieme dei numeri reali
corrisponde al numero di punti su un segmento, su una retta, su un quadrato, su
un piano infinito, in un cubo, in uno spazio infinito e così via fino agli
ipercubi e agli spazi di ordine superiore.
L'idea usata per stabilire
questa corrispondenza biunivoca può essere spiegata facilmente stabilendo una
corrispondenza biunivoca fra i punti del quadrato unitario e i punti del
segmento (0,1). Siano (x,y) un punto del quadrato unitario e z un punto del
segmento unitario. Rappresentiamo x e y mediante decimali illimitati
sostituendo eventualmente con una successione infinita di 9 lo 0 terminale di
un decimale finito che termini con 0. Decomponiamo ora x e y in gruppi di cifre
decimali in cui ciascun gruppo termina con la prima cifra non nulla incontrata.
così, ad esempio: x = 0,3 002 03 04 6 ... y = 0,01 6 07 8 09 ... Poniamo poi z
= 0,3 01 002 6 03 07 04 8 6 09 ... scegliendo come primo gruppo di z il primo
gruppo di x, come secondo il primo gruppo di y, come terzo il secondo gruppo di
x e così via. Se duediverse copie di valori di x e y differiscono in qualche
cifra anche gli z corrispondenti saranno diversi, cosicché a ogni coppia (x,y)
corrisponde un unico z. Viceversa, dato x, se ne decomponga la rappresentazione
decimale nei gruppi ora descritti e si formino x e y invertendo il precedente
procedimento. Di nuovo, due z diversi daranno coppia (x,y) diverse, cosicché a
ogni z corrisponderà un'unica coppia (x,y). La corrispondenza biunivoca ora
descritta non è continua, cioè, in parole povere, punti vicini a z non vanno
necessariamente in punti vicini a (x,y) e viceversa.
Nel 1874 Cantor si occupò
dell'equivalenza fra l'insieme dei punti di una retta e l'insieme dei punti di
Rn (lo spazio euclideo a n dimensioni) e cercò di dimostrare che era
impossibile che esistesse una corrispondenza biunivoca fra questi due insiemi.
Tre anni dopo dimostrò invece che tale corrispondenza esiste. In tale occasione
scrisse a Dedekind: "Lo vedo, ma non ci credo".
❍ Il paradosso dell'insieme degli insiemi che non
appartengono a se stessi (antinomia di Russell).
Per insieme si intende
qualsiasi collezione di oggetti, per esempio l'insieme di tutti gli interi
pari, l'insieme di tutti i sassofonisti di Brooklyn ecc; gli oggetti che
costituiscono un insieme sono chiamati suoi membri o elementi. Gli insiemi
possono essere essi stessi elementi di insiemi, per esempio, l'insieme di tutti
gli insiemi di interi ha, come suoi elementi, degli insiemi. La maggior parte
degli insiemi non è elemento di sé stesso; l'insieme dei gatti, per esempio,
non è elemento di sé stesso, poiché l'insieme dei gatti non è un gatto.
Tuttavia possono esistere insiemi che appartengono a sé stessi, per esempio,
l'insieme di tutti gli insiemi. Ora consideriamo l'insieme A di tutti quegli
insiemi X tali che X non sia elemento di X. Evidentemente, per definizione, A è
elemento di A se e solo se A non è elemento di A. così se A è elemento di A,
allora A contemporaneamente non è elemento di A; e se A non è elemento di A,
allora A è elemento di A. In ogni caso, A è elemento di A e A non è elemento di
A.
La fonte del paradosso è
l'assioma di astrazione ("axiom of abstraction"), che altri chiamano "assioma
di comprensione", in base al quale, data una qualsiasi proprietà, esiste
un insieme i cui membri sono tutte e sole le entità aventi quella proprietà.
Questo assioma fu introdotto
per la difficoltà di trattare con le classi definite in termini estensionali.
Si pensi alla classe nulla, o alle classi con infiniti membri, o alla classe
unità. L'assioma rappresenta appunto il punto di vista intensionale della
teoria delle classi. L'assioma di astrazione può essere formulato come segue:
(∃ y)(∀x)(x∈y ⇔ Φ(x))
dove Φ(x) è una formula in
cui la variabile y non compare libera. Ed ecco la derivazione formale del
paradosso di Russell dall'assioma di astrazione:
(1) (∃ y)(∀x)(x∈y ⇔
Φ(x))
(2) Φ(x) =def ∼(x ∈ x)
(3)
(∃ y)(∀x)(x∈y ⇔ ∼(x ∈ x))
(4)
x =def y
(5)
x ∈ y ⇔ ∼(x ∈ y)
(6)
(x ∈ y) & ∼(x ∈ y)
Russell fu condotto alla
scoperta di questo paradosso nel tentativo di conciliare la dimostrazione di
Cantor circa l'impossibilità che esista un numero cardinale massimo, con la
supposizione molto plausibile che la classe di tutti i termini abbia
necessariamente il massimo numero di elementi
Il paradosso dell'insieme degli
insiemi che non appartengono a se stessi fu scoperto da Bertrand Russell nel
1902 riflettendo sulla teoria di Cantor e da lui comunicato in una famosa
lettera a Gottlob Frege in procinto di pubblicare il secondo volume dei
"Grundgesetze der Arithmetic" ("I principi
dell'aritmetica", I, 1893; II, 1903). Frege ne fu - per usare le sue
parole - "costernato". In una lettera a Russell del 22 giugno 1902
scrive: "La Sua scoperta della contraddizione mi ha sorpreso al massimo,
e, vorrei quasi dire, mi ha costernato, perché con essa vacilla la base qulla
quale pensavo si fondasse l'aritmetica... Non solo è messo in crisi il fondamento
della mia aritmetica, ma l'unico fondamento possibile dell'aritmetica in
generale". E nella chiusura del citato secondo volume dei
"Grundgesetze" osservò (dando prova tra l'altro di grande onestà
intellettuale): "E' difficile che uno scienziato si imbatta in qualcosa di
meno desiderabile del vedere buttare a mare i fondamenti proprio quando ha
appena finito il suo lavoro. Io sono stato posto in questa condizione da una
lettera del signor Bertrand Russell". Qualcuno ha rilevato che l'uso, da
parte di Frege, della parola "indesiderabile" è il più grosso
eufemismo di tutta la storia della matematica.
Nella medesima appendice in cui
dava notizia dell'antinomia scoperta da Russell, Frege riaffermava tuttavia la
sua dottrina sul rapporto tra aritmetica e logica e accennava ad una possibile
via d'uscita dall'antinomia. Si iniziava con ciò la fase critica della logica
cioè lafase nella quale la logica mette in discussione il fondamento stesso
della sua validità.
Il paradosso di Richard è
collegato alla dimostrazione di Cantor della non-numerabilità dell'insieme dei
numeri reali. Esso fu pubblicato da J. Richard in "Revue Générale des
Sciences", XVI (1905), 541
Alcune frasi della lingua
italiana denotano numeri reali, per esempio "il rapporto tra la
circonferenza e il diametro di un cerchio" denota il numero π. Tutte
le frasi dell'italiano possono essere enumerate in modo standard: ordiniamo
lessicograficamente (come in un vocabolario) tutte le frasi di k lettere, e
quindi mettiamo tutte le frasi di k lettere prima delle frasi composte da un
numero maggiore di lettere. così facendo tutte le frasi della lingua italiana
che denotano numeri reali possono essere enumerate semplicemente omettendo
tutte le altre espressioni nella data enumerazione standard. Chiamiamo
l'n-esimo numero reale in questa enumerazione l'n-esimo numero di Richard.
Consideriamo la frase: "Il numero reale la cui n-esima cifra decimale è 1,
se l'n-esima cifra decimale dell'n-esimo numero di Richard non è 1, e la cui
n-esima cifra decimale è 2 se l'n-esima cifra decimale dell'n-esimo numero di
Richard è 1". Questa frase definisce un numero richardiano, diciamo il
k-esimo numero richardiano; ma per la sua stessa definizione esso differisce
dal k-esimo numero richardiano nella k-esima cifra decimale.
E' una versione semplificata,
proposta da Berry e da Russell, e pubblicata da quest'ultimo in "Proc.
London Math. Soc.", (2), IV (1906), 29-53.
Nel linguaggio italiano esiste
soltanto un numero finito di sillabe. Dunque esiste un numero finito di
espressioni italiane che contengono meno di cinquanta silabe. Vi è perciò solo
un numero finito di interi positivi che sono designati da espressioni italiane
formate da meno di cinquanta sillabe. Scriviamo ora su un foglio: "k sia
il più piccolo intero positivo che non è denotato da un'espressione nella
lingua italiana contenente meno di cinquanta sillabe". La frase scritta
sul foglio contiene meno di cinquanta sillabe e denota l'intero k.
Il filosofo Max Black formulò
il paradosso di Berry in modo simile al seguente: immaginiamo che in un libro
che citi molti numeri interi rechi scritta la seguente frase: "In questo
libro sono citati numerosi interi. Concentratevi sul più piccolo intero a cui non
sia mai stato fatto riferimento nel libro". C'è questo intero?
❍ Il paradosso di Grelling e
Nelson.
Non è altro che un'altra forma
del paradosso di Richard, enunciata per la prima volta da Kurt Grelling
(1886-1941) e da Leonard Nelson (1882-1927) nel 1908 e pubblicata su un'oscura
rivista: "Abhandlungen der Friesschen Schule", II (1908), 301-304.
Si chiama
"autologico" un aggettivo se la proprietà denotat dall'aggettivo vale
anche per l'aggettivo stesso; un aggettivo è detto invece
"eterologico" se la proprietà denotata dall'aggettivo non si applica
a sé stesso. Per esempio: "polisillabico" e "italiano" sono
autologici, mentre "monosillabico", "francese" e
"blu" sono eterologici. Consideriamo ora l'aggettivo
"eterologico". Se "eterologico" è eterologico, allora non è eterologico. Se
"eterologico" non è eterologico, allora esso è eterologico. In ogni
caso, "eterologico" è contemporaneamente eterologico e non
eterologico.
❍ Il paradosso dell'insieme di
tutti gli insiemi.
E' detto anche antinomia di
Cantor
In due lettere a Dedekind del
28 luglio e del 28 agosto 1899, Cantor si chiese se l'insieme di tutti i numeri
cardinali sia esso stesso un insieme perché, se lo fosse, avrebbe dovuto avere
un numero cardinale maggiore di ogni altro numero cardinale. Egli pensava di
dover rispondere in senso negativo, distinguendo fra insiemi
"coerenti" e insiemi "non coerenti".
Il fatto è che alcune classi
non sono membri di se stesse, ma altre sì, tra cui l'insieme di tutti gli
insiemi. La classe di tutti gli uomini non è un uomo. La la classe di tutte le
idee è un'idea, la classe di tutte le biblioteche è una biblioteca, e la classe
di tutti gli insiemi di cardinalità maggiore di 1 è ancora un insieme con
quella proprietà. In questo, come negli altri casi di paradossi, un oggetto
viene definito in termini di una classe di oggetti che contiene l'oggetto
stesso.
I paradossi di Cantor e
Burali-Forti dimostrano che non vi è nessun insieme universale e nessun insieme
che contenga tutti i numeri ordinali.
Sia C l'insieme di tutti gli
insiemi. In tal caso, ogni sottoinsieme di C è pure un elemento di C; quindi
l'insieme di C è un sottoinsieme di C. Questo implica che: card(2C) ⊆ card(C) dove "card(A) ⊆ card(B)" equivale a "A ⊆ B", che a sua volta significa che A è
equipotente ad un sottoinsieme di B (cioè esiste una funzione iniettiva f: A⇒B) e che tuttavia non è equipotente a B.
Card(2C) è il numero cardinale dell'insieme 2C e card(C)
è il numero cardinale dell'insieme C
Tuttavia il teorema di Cantor
stabilisce che, per ogni insieme A, è vero: A < 2A E a sua volta
questo, per la definizione di diseguaglianza tra numeri cardinali significa
che: card(A) < card(2A) Si ha perciò, come caso particolare:
card(C) < card(2C) che è in contraddizione con la asserzione iniziale
❍ Il paradosso di Napoleone, o delle definizioni
impredicative.
La frase "Napoleone ebbe
tutte le qualità di un grande generale" si traduce in simboli:
(Φ) f(Φz^) ⇒ Φ(Napoleone)
dove "f(Φz^)" è
la funzione proposizionale "x è la qualità di un grande generale" Se
noi non imponiamo alcuna restrizione al tipo di qualità Φz^ considerate in
"(Φ)", allora anche la funzione proposizionale:
θ(x) = (Φ)
f(Φz^) ⇒ Φ(x)
rientra tra le qualità cui fa
essa stessa riferimento. Il che crea una impasse logica: per stabilire se
θ(Napoleone) è vera dobbiamo stabilire se Napoleone ha tutte le qualità
Φ, ma per stabilire questo dobbiamo stabilire se θ(Napoleone) è vera.
In pratica è come se dicessimo: θ(Napoleone) è vera se θ(Napoleone) è
vera; in simboli:
θ(Napoleone) ≡
θ(Napoleone)
Questa è una tautologia e non
contiene nessuna asserzione circa la verità di θ(Napoleone).Si tratta di
un paradosso di indecidibiità.
In questo, come negli altri
casi di paradossi, un oggetto viene definito in termini di una classe di
oggetti che contiene l'oggetto stesso. Simili definizioni sono dette anche
impredicative, e si trovano soprattutto in teoria degli insiemi. Questo tipo di
definizione viene usato anche, come Zermelo osservò nel 1908, per definire il
limite inferiore di un insieme di numeri e per definire altri concetti di
analisi: l'analisi classica contiene perciò dei paradossi.
*Le proprietà che non si
riferiscono ad una totalità di proprietà si dicono "predicative",
mentre quelle che si riferiscono a una totalità di proprietà sono
impredicative. Le proprietà che si riferiscono a un insieme di proprietà hanno
la tendenza a essere fonte di problemi. Supponete, per esempio, di voler dare
la seguente definizione: "il tipico uomo inglese è colui che possiede la maggior parte delle
proprietà possedute dalla maggior parte degli inglesi". Ci si rende
facilmente conto che la maggior parte degli Inglesi non possiede tutte le
proprietà che la maggior parte degli inglesi possiede, e pertanto, un tipico
uomo inglese, secondo la nostra definizione, sarebbe atipico.
Le funzioni che un dato oggetto
può soddisfare possono non essere tutte dello stesso tipo; alcune tra esse
possono riferirsi a una qualche totalità delle altre, come nell'esempio di
Russell "Napoleone ebbe tutte le qualità che fanno un grande
generale", in cui "avere tutte le qualità che fanno un grande
generale" non è essa stessa una qualità del tipo delle qualità che indica,
che devono essere anch'esse ascrivibili a Napoleone se questa proposizione è
vera
❍ Il paradosso del massimo numero
ordinale o paradosso di Burali-Forti.
E' anche conosciuto come il
paradosso del massimo numero ordinale. Fu esposto da Burali-Forti nel 1897. Questa
difficoltà era già stata notata da Cantor nel 1895.
Sia W l'insieme di tutti i
numeri ordinali. Poiché, per un noto teorema, qualsiasi insieme di numeri
ordinali può essere ben ordinato dalla relazione di similitudine tra un insieme
e il segmento iniziale di un altro insieme, entrambi esprimenti un numero
ordinale, anche W è un insieme ben ordinato. Sia α = ord(W). Consideriamo ora s(α),
l'insieme di tutti i numeri ordinali minori di α. Poiché s(α)
consiste di tutti gli elementi di W che precedono α, allora s(α) è un
segmento iniziale di W
Per un altro noto teorema,
α = ord(s(α)) Abbiamo quindi:
ord(s(α)) = α =
ord(W)
Questo vuol dire che W è simile
(isomorfismo d'ordine) ad s(α)
Fin qui, non esiste
contraddizione: si vede facilmente che questa affermazione è vera per qualsiasi
insieme W di ordinali. Ma W non è un insieme qualsiasi: come insieme di tutti
gli ordinali deve includere anche se stesso. Questo comporta che α sia
anche contemporaneamente un numero ordinale all'interno dell'insieme degli
ordinali: s(α) sarà quindi costituito da una parte e non da tutti gli
elementi di W: sarà quindi un segmento iniziale di W. Poiché, come si è visto,
W è simile a s(α), questo vuol dire che W è simile a uno dei suoi segmenti
iniziali. Ma un ultimo teorema stabilisce che un insieme ben ordinato non può
essere simile ad un suo segmento iniziale. Il concetto di insieme di tutti gli
ordinali risulta così contraddittorio.
In sintesi, il paradosso si
riduce al fatto che, come osservò Cesare Burali-Forti nel 1897, la successione
di TUTTI i numeri ordinali, che è ben ordinata, dovrebbe avere come numero
ordinale il più grande di tutti i numeri ordinali. Ma questo sarebbe un numero
fuori dalla successione: un ordinale superiore a qualsiasi ordinale
❍ Il paradosso dell'insieme di
tutti i numeri cardinali.
Sia A l'insieme di tutti i
numeri cardinali. Allora per ogni cardinale α ∈ A esiste un insieme Bα,
tale che: α =
card(Bα).
Definiamo un insieme C tale che: C = Uα∈A Bα Consideriamo l'insieme
potenza 2C di C. Notiamo che 2C è equipotente a Bcard(2C),
che è un sottoinsieme di C. Quindi 2C ⊆ C. e in particolare, card(2C) ⊆ card(C) Dove "A ⊆ B" significa che A è equipotente ad
un sottoinsieme di B (cioè esiste una
funzione iniettiva f: A⇒B) Ma, per il teorema di Cantor, card(C)
< card(2C) Dove "card(C) < card(B)" significa che A
< B Il concetto di tutti i numeri cardinali porta dunque a contraddizione.
Questo paradosso non è da
confondere col paradosso dell'insieme di tutti gli insiemi. E' anche conosciuto
come paradosso del massimo numero cardinale.
❍ Il paradosso della famiglia di tutti gli insiemi
equipotenti ad uno dato.
Sia A = {a,b,...} un insieme
(non necessariamente contabile), e B = {i,j,...} un altro insieme. Consideriamo
gli insiemi
Ci =
{(a,i),(b,i),...}
Cj
= {(a,j),(b,j),...}
………………….
Ossia la famiglia di insiemi {Ci}i∈B. Notiamo che card({Ci}i∈B) = card(B) e Ci è equipotente
ad A per ogni i ∈ B Sia ora α la famiglia di tutti gli
insiemi equipotenti ad A. Consideriamo l'insieme potenza 2α di α, e
definiamo la famiglia di insiemi {Ci}i∈2α come sopra. Poiché ogni Ci è
equipotente ad A, {Ci}i∈2α risulta incluso in α Dunque: card(2α) = card({Ci}i∈2α) ⊆ card(α) Dove "card(A) ⊆ card(B)" equivale ad "A ⊆ B" che a sua volta significa che A è
equipotente ad un sottoinsieme di B (cioè esiste una funzione iniettiva f: A⇒B) Ma per il teorema di Cantor,
card(α) < card(2α). Il concetto di famiglia di tutti gli insiemi equipotenti
a un insieme (la definizione fregeana di numero cardinale!) è quindi
contraddittorio.
Questo paradosso mina la stessa
definizione di numero cardinale, secondo Cantor e Frege.
E' un paradosso molto antico, e
risale almeno al filosofo greco Eubulide, membro della scuola megarica.
Un uomo dice "Io sto
mentendo". Se egli sta mentendo, allora ciò che dice è vero; e perciò egli
non sta mentendo. Se egli non sta mentendo, allora ciò che dice è vero e perciò
egli sta mentendo. In ogni caso egli sta contemporaneamente mentendo e non
mentendo.
Il paradosso del mentitore può
assumere tantissime forme non necessariamente autoreferenziali; ad esempio, in
un dialogo platonico si trova il seguente scambio di battute: Platone: "La
prossima asserzione di Socrate sarà falsa" Socrate: "Platone ha detto
la verità".
Un'altra versione del paradosso
di Socrate e di Platone è dovuta al matematico P.E.B. Jourdain: supponiamo di
avere una carta da gioco le cui facce siano A e B. Sulla faccia A stia scritto:
"La proposizione scritta sulla faccia B di questa carta è falsa".
Sulla faccia B stia scritto: "La proposizione scritta sulla faccia A di
questa carta è vera". E' ora facile riconoscere che la proposizione
scritta sulla faccia A è insieme vera e falsa, cosa che determina una
situazione contraddittoria.
❍ Il paradosso di Epimenide il
cretese.
Epimenide era un leggendario
poeta greco, vissuto a Creta nel VI secolo a.C. Secondo la leggenda, una volta
egli avrebbe dormito per 57 anni. Il paradosso che porta il suo nome è simile,
ma con qualche significativa diversità, al paradosso del mentitore.
Epimenide diceva: "Tutti i
cretesi sono mentitori". Se ciò che diceva è vero, allora, dal momento che
Epimenide è un cretese, deve essere falso. Quindi ciò che diceva è falso. Perciò vi deve essere qualche cretese
che non è un mentitore. Questo non è logicamente impossibile, sicché non
abbiamo un vero e proprio paradosso. Tuttavia, il fatto che il pronunziare
Epimenide quella frase falsa potesse implicare l'esistenza di qualche cretese
che non è un mentitore è piuttosto problematico.
Il paradosso può essere
riformulato in molte forme. Ad esempio, potremmo leggere un documento la cui
ultima frase dice: “alcune delle affermazioni contenute in questo documento
sono false”. La frase di avvertimento non può essere falsa, perché questo
implicherebbe la sua verità. Ne deriva la strana conseguenza che la sola
presenza di questa frase rende irrefutabilmente falsa una delle altre
affermazioni del documento. Nel caso limite in cui il documento consista di una
sola altra frase, quale che essa sia sarà sempre falsa. Questo va contro il
senso comune, che ci suggerisce che per stabilire la falsità di una
affermazione occorre prenderne in esame il contenuto. Nel nostro caso si può
invece dimostrarne logicamente la falsità prescindendo dal suo contenuto.
Per dimostrare logicamente la
falsità di una qualsiasi affermazione, ad esempio: “Torino ha settecentomila
abitanti”, è sufficiente accompagnarla alla frase che dichiara che una delle
due è falsa.
Il paradosso di Epimenide è citato anche da San Paolo: "Uno di loro,
proprio un loro profeta, disse che i Cretesi sono sempre mentitori, cattive bestie,
ventri pigri. Questa testimonianza è vera..." ("Epistola a
Tito", I, 12-13). Da come Paolo riferisce l’affermazione, viene il dubbio
che egli non ne abbia capito la natura paradossale.
❍ Il paradosso della famiglia di tutti gli insiemi simili
ad un insieme ben ordinato.
Sia A = {a,b,...} un insieme
ben ordinato, e B = {i,j,...} un altro insieme. Consideriamo l'insieme Ci
= {(a,i),(b,i),...} e la relazione di ordine parziale (cioè riflessiva,
transitiva, antisimmetrica e tale che non necessariamente due elementi diversi
qualsiasi siano in relazione) R L'insieme Bi, ordinato da (a,i) R
(b,i) se a R i è bene ordinato e simile ad A. Sia ora W la famiglia di tutti
gli insiemi simili all'insieme ben ordinato A. Consideriamo l'insieme potenza 2W
di W, e definiamo la famiglia di insiemi {Ci}i∈2W:
Ci =
{(a,i),(b,i),...}
Cj
= {(a,j),(b,j),...}
………………….
Poiché ogni insieme Ci
è simile ad A, {Ci}i∈2W è incluso in W Quindi: card(2W)
= card({Ci}i∈2W) ⊆
card(W) dove "card(A) ⊆ card(B)" equivale ad asserire "A
⊆ B", che a sua volta significa che A è
equipotente ad un sottoinsieme di B (cioè esiste una funzione iniettiva f: A⇒B). Tuttavia, per il teorema di Cantor si
ha: card(W) < card(2W) dove "card(A) < card(B)"
equivale ad asserire "A < B", che a sua volta significa che A è
equipotente ad un sottoinsieme di B (cioè esiste una funzione iniettiva f: A⇒B) ma non equipotente a B. Il concetto di
classe di tutti gli insiemi simili a un insieme bene ordinato (la definizione
fregeana di numero ordinale!) è dunque contraddittorio.
Questo paradosso mina la stessa
definizione di numero ordinale secondo Cantor
❍ Il paradosso della relazione
"non avere relazione".
Sia T la relazione che sussiste
tra due relazioni R ed S ogniqualvolta R non ha la relazione R con S. Allora,
qualunque siano le relazioni R e S, "R ha la relazione T con S"
è equivalente a "R non ha la
relazione R con S". Dando quindi il valore T sia a R sia ad S, "T ha
la relazione T con T" è equivalente a "T non ha la relazione T con
T".
❍ Il paradosso del numero degli
ordinali transfiniti.
Tra gli ordinali transfiniti
alcuni possono essere definiti, mentre altri non possono; perché il numero
totale delle possibili definizioni è א-zero (la potenza dei numeri naturali),
mentre il numero di ordinali transfiniti eccede א-zero. Perciò debbono
esistere ordinali non definibili, e tra questi ci deve essere un ordinale
minimo. Ma tale numero è definibile come "il minimo ordinale non
definibile", il che contraddice la asserita indefinibilità.
❍ Il paradosso di Banach-Tarski.
Axiom
of choice: For any set A there is a function f such that, for a non-empty
subset B of A, f(B) ∈ B
Application
of the axiom of choice can lead to some paradoxical results. Perhaps the most
celebrated example is the Banach-Tarski paradox (1924) that by using this axiom
a sphere of fixed radius may be decomposed into a finite number of parts and
put together again in such a way as to form two spheres with the given radius.
More generally, Banach and Tarski showed that, in a Euclidean space of
dimension three or more, two arbitrary bounded sets with interior points are
equivalent by finite decomposition, that is, the two sets are able to be
decomposed into the same finite number of disjoint parts with a 1-1
correspondence of congruence between their respective parts.
❍ Il paradosso dei tre enunciati
falsi.
Consideriamo un testo che dica:
"Nel presente testo ci sono tre enunciati falsi: a) 2+2 = 4; b) 3x6=17; c)
8:4=2; d) 13-6=5; e) 5+4=9" In tale frase, a prima vista, vi sono solo due
enunciati falsi. Quindi l'affermazione che ci sono tre enunciati falsi è falsa
e costituisce, quindi, il terzo enunciato falso. O no?
❍ Il paradosso dell'uovo e della
gallina (regresso all'infinito).
Proviamoci a risolvere la
questione se sia nato prima l'uovo o la gallina: l'uovo? No, deve essere
deposto dalla gallina. La gallina? No, deve nascere dall'uovo.
❍ Il paradosso di Alice e del Re
rosso.
Nel capitolo 4 di Alice nel Paese delle meraviglie, il Re
sta dormendo. Tweedledee dice ad Alice che il Re sta sognando di lei e che lei
non esiste se non come "una cosa" dentro il sogno del Re. "Se il
Re dovesse svegliarsi", aggiunge Tweedledum, "tu ti spegneresti -
puf! - proprio come una candela!". Ma questo dialogo ha luogo nel sogno di
Alice stessa. E' il Re che è "una cosa" nel suo sogno, o è lei a
essere una cosa nel sogno del Re? Che cosa è realtà e che cosa è sogno? Il
doppio sogno ci porta a profondi interrogativi filosofici sulla realtà.
"Se non fossero posti con ironia", disse una volta Bertrand Russell,
"li troveremmo troppo dolorosi". Mentre per l'uovo e la gallina il
regresso è all'infinito, nel caso di Alice il regresso è circolare.
❍ Il paradosso di Don Chisciotte.
Nel romanzo Don Chisciotte di Miguel Cervantes (libro
secondo, capitolo 51) si racconta di un'isola in cui vige una legge curiosa.
Una guardia chiede a tutti i visitatori "Perché sei venuto?" Se il
visitatore risponde in modo veritiero, tutto bene. Se risponde falsamente,
viene impiccato. Un giorno un visitatore rispose: "Vengo per essere impiccato".
Le guardie riamsero perplesse. Se non lo avessero impiccato, avrebbe voluto
dire che aveva mentito e che doveva essere imiccato. Ma se lo avessero
impiccato, voleva dire che aveva detto la verità e quindi non avrebbe dovuto
essere impiccato. Per decidere della faccenda, il visitatore avenne portato dal
governatore. Dopo aver a lungo meditato, il governatore decise: "Qualsiasi
cosa io possa decidere, essa infrangerà la legge. Sarò, quindi, generoso e
permetterò a quest'uomo di andarsene liberamente". Il paradosso, benché
analogo a quello del coccodrillo, è oscurato dall'ambiguità dell'affermazione
del visitatore. La sua affermazione si riferisce a una propria intenzione o a
un evento futuro? Nel primo caso, l'uomo ha detto la verità circa le proprie intenzioni,
le autorità avrebbero potuto non impiccarlo e non ci sarebbe stata nessuna
contraddizione. Ma se l'affermazione viene interpretata nel seocndo modo,
allroa le autorità contravverranno alla legge qualsiasi cosa facciano.
❍ Il paradosso della lista delle
persone interessanti.
La versione che esponiamo è una
variante di quella originale che tutti gli interi positivi sono interessanti,
inventata da Edwin F. Bechenbach ("American Mathematical Monthly",
52, Aprile 1945, p. 211).
Supponiamo di avere un elenco A
delle persone interessanti, e un elenco B delle persone non interessanti.
Qualcuno dell'elenco B è la persona meno interessante del mondo. Ma questo la
rende molto interessante e così anche lui, o anche lei, diventerà interessante.
Quindi alla fine diventano tutti interessanti. O no?
❍ Il paradosso del coccodrillo.
Un giorno un coccodrillo
catturò un bambino, e la madre gli disse: "Per pietà, non mangiare mio figlio".
Il coccodrillo ribatté: "Lo risparmierò solo se tu indovinerai ciò che
farò adesso". "Tu lo mangerai!" esclamò la madre. "Ben
detto", rispose il coccodrillo. "Allora ho indovinato", lo
bloccò trionfante la madre, "e adesso non puoi più mangiare il mio
bambino".
Supponiamo che la madre avesse
detto: "Stai per restituirmi il mio bambino". Il coccodrillo avrebbe
allora potuto restituire il bambino o mangiarlo, in entrambi i casi senza
contraddizioni. Se lo avesse restituito, la madre avrebbe detto la verità e il
coccodrillo avrebbe mantenuto la parola. D'altra parte, se fosse stato
sufficientemente spregevole, avrebbe potuto mangiare il bambino; ciò avrebbe
reso falsa l'affermazione della madre e quindi non sarebbe stato obbligato a
restituirle il bambino.
Questo paradosso venne espresso
in forma popolare da Bertrand Russell nel 1918 come paradosso "del
barbiere". Un barbiere di villaggio, vantandosi di non aver concorrenza,
si fa pubblicità dicendo che lui ovviamente non fa la barba a quelli che si
rasano da soli, ma la fa a tutti quelli che non si rasano da soli. Un giorno
gli capita di chiedersi se dovrebbe o no radere se stesso. Se si radesse da
solo, allora per la prima parte della sua affermazione non dovrebbe farlo; ma
se non si radesse da solo, allora, secondo la sua vanteria, dovrebbe farlo.
❍ Il paradosso del calcolatore cui è chiesto di prevedere
il futuro.
Ad un calcolatore elettronico
viene posta la domanda: "La tua prossima risposta sarà 'no'? Rispondi 'sì'
o 'no'". Se il calcolatore risponde "sì" ha sbagliato. Ma anche
se il calcolatore risponde "no" ha sbagliato. Il paradosso del
calcolatore è poco più di una versione mascherata del paradosso del mentitore.
Infatti, la risposta "no" significa "E' falso che io ora stia dicendo
'E' falso'" e questo a sua volta è eguale a: "Questo enunciato è
falso".
❍ Il paradosso dell'esame
inatteso.
Questo paradosso, di origine
sconosciuta, apparve per la prima volta agli inizi degli anni quaranta e
riguarda un professore che annuncia un "esame inatteso" per un giorno
della settimana successiva, assicurando ai suoi studenti che nessuno avrebbe
potuto dedurre il giorno dell'esame prima che il giorno stesso fosse arrivato.
Uno degli studenti disse subito che il giorno non poteva essere Sabato, perché
se si fosse arrivati a Venerdì senza svolgimento dell'esame, si sarebbe potuto
prevedere l'esame per Sabato. Un secondo studente fece rilevare che, escluso
Sabato, anche il Venerdì avrebbe dovuto essere escluso per lo stesso
ragionamento, come pure qualsiasi altro giorno della settimana. Il professore,
imperturbabile, svolse l'esame il mercoledì (la situazione sarebbe stata
identica in qualsiasi altro giorno della settimana). Gli studenti rimasero
perplessi: l'esame era stato effettivamente "inatteso".
Questo paradosso può essere
"condensato" considerando una scatola di cui ci si dice:
"Aprila, e troverai un uovo inatteso". Se chi ha pronunciato la frase
ha ragione, la scatola deve contenere un uovo, ma allora l'uovo non sarebbe
"inatteso", e quindi la frase è falsa. D'altra parte, se questa
contraddizione ci porta a dedurre che la scatola non può contenere un uovo (nel
qual caso la frase sarebbe falsa per un altro motivo) e poi aprendolo
trovassimo un uovo, allora l'uovo sarebbe "inatteso" e la frase
sarebbe vera.
Questo paradosso è dovuto al
fisico William Newcomb ed è stato pubblicato e analizzato dal filosofo
dell'Università di Harvard Robert Nozick.
Supponiamo che esista un essere
in grado di prevedere infallibilmente il futuro. Egli presenta ad un uomo e ad
una donna due scatole; la scatola A è trasparente e contiene una banconota da
mille dollari; la scatola B è opaca. L'essere dice a ciascuno di loro:
"Hai due scelte. Una è prendere tutte e due le scatole e tenerti il loro
contenuto. Ma se io avessi previsto che avresti fatto questa scelta, avrei
lasciato B vuota e tu guadagneresti solo 1000 dollari. L'altra possibilità che
hai è prendere solo la scatola B. Se avessi previsto che avresti agito così,
avrei messo un milione di dollari in B e te li prenderesti tutti. Ho già
provveduto a confezionare la scatola B e non la toccherò più da questo momento.
Fai la tua scelta". L'uomo decide di prendere la scatola B ragionando in
questo modo: "Se l'essere prevede infallibilmente il futuro, vedrà in
anticipo che io sto prendendo la scatola B e vi metterà il milione di dollari;
perciò prendendo la scatola B guadagnero un milione di dollari". La donna
decide di prendere entrambe le scatole, con questo ragionamento: "L'essere
ha già fatto la sua previsione ed approntato le due scatole. La scatola B non
cambierà: se è vuota, rimane vuota e se è piena, rimane piena. Quindi prenderò
tutte e due le scatole e avrò tutto quello che c'è dentro". E' possibile che i ragionamenti
siano entrambi corretti? In effetti il ragionamento della donna è conforme alla
"Teoria dei giochi", dovuta a Jon Von Neumann e Oskar Morgestern.
❍ La dimostrazione di Cantor della
non numerabilità dell'insieme dei numeri reali
La famosa dimostrazione di
Cantor della non numerabilità dell'insieme dei numeri reali fa anch'essa uso di
insiemi impredicativi. Per comprendere la dimostrazione di Cantor, occorre
preliminarmente stabilire alcuni risultati della teoria degli insiemi. Quindi è
anch’essa una sorta di paradosso.
Se M è un insieme finito
contenente m oggetti e N è un insieme
finito contenente n oggetti, Cantor definisce l'insieme MN come
l'insieme costituito da tutte le disposizioni con ripetizione di m oggetti a n
a n.
MN può anche essere
definito come la classe di tutte le funzioni di N in M. Le due definizioni sono
perfettamente equivalenti, poiché, se ordiniamo sia l'insieme N che ciascun
insieme di n oggetti di M, ciascuna disposizione individua univocamente la
funzione il cui grafo è composto dalle coppie che hanno come k-esimo primo
elemento il k-esimo elemento di N e come k-esimo secondo elemento il k-esimo
elemento della disposizione. Grazie a questa equivalenza possiamo estendere la
definizione MN ad insiemi M ed N infiniti.
Sulla scorta di queste
definizioni, si vede come l'insieme potenza di un insieme S (cioè l'insieme di
tutti i suoi sottoinsiemi) ha lo stesso numero di elementi dell'insieme 2S,
dove per "2" intendiamo l'insieme {0,1}.
Cantor dimostrò che, se α
è la potenza o cardinalità dell'insieme dei numeri naturali, allora 2α
è la potenza dell'insieme dei numeri reali. Perciò, affermare la equipotenza
dell'insieme N dei numeri naturali con quello R dei numeri reali vuol dire
affermare la equipotenza di un insieme S con il suo insieme potenza 2S.
Ed ecco la dimostrazione di Cantor della contraddittorietà di questo assunto.
Supponiamo che esista una
corrispondenza biunivoca tra S e 2S e consideriamo l'insieme W di tutti gli
elementi s di S tali che il corrispondente sottoinsieme (membro) K di 2S
non contenga s. W è naturalmente un
elemento di 2S e Cantor afferma che esso non è compreso nella
corrispondenza biunivoca supposta esistente. Infatti, se W corrispondesse a
qualche s di S e W contenesse s, ciò contraddirebbe la stessa definizione di W.
Se invece non contenesse s, allora dovrebbe contenerlo perché W è per
definizione l'insieme di tutti gli s che non appartengono al sottoinsieme
corrispondente. L'assunzione che esiste una corrispondenza biunivoca tra S e 2S
conduce perciò ad una contraddizione.
La definizione dell'insieme W è
impredicativa perché s appartiene a W se e solo se esiste un insieme K in 2S
tale che K è in relazione biunivoca con s e s non appartiene a K. Perciò nel
definire W facciamo uso della totalità 2S degli insiemi che
contengono W come elemento. cioè, per definire W, W deve essere già contenuto
nell'insieme 2S.