Detti dei Padri del Deserto |
❍ L’antropologia
dei Padri del Deserto
❍ Vita di Evagrio Pontico (dai detti dei
Padri del Deserto)
❍ Evagrio Pontico e la sua
antropologia
❍ Massimo
il Confessore e la sua antropologia
❍ Gregorio
Palamas e la sua antropologia
❍ L’antropologia dei Padri del
Deserto
Il dualismo antropologico vede
nell’uomo una tensione tra anima e corpo, spirito e materia; il dualismo
cosmologico vede il mondo come campo di battaglia tra un principio del bene e
un principio del male.
E’ l’esperienza a far notare a
Lattanzio che il principio del male opera nel mondo come un "anti-Dio,
"nemico del bene e della giustizia, che vuole il contrario di ciò che
vuole Dio". Questo potere perverso gioisce dell’errore umano; sua sola e
perpetua occupazione è rendere le anime umane cieche alla luce, perché non
sperino più nel cielo ma si mettano anzi al suo servizio. Dio gli ha affidato
il mondo materiale, ma il Diavolo perverte questa legittima responsabilità.
Preferisce invidiare Dio, volgere la malevolenza che procede dalla sua invidia
contro Dio, contro il Verbo di Dio, il Cristo, e contro l’umanità.
Il successo del Diavolo nel
tentarci è frutto del dualismo inerente al nostro carattere. Il Padre della
Chiesa Lattanzio è un dualista antropologico, scorge una profonda frattura tra
l’anima e il corpo degli uomini. Dio ha creato l’universo in modo tale che in
ogni persona lottino due principi antagonistici. "Noi" – cioè le
nostre vere personalità – siamo ben diversi dai corpi che "abbiamo
indosso". Lattanzio, pur dovendo concedere che il corpo è una creazione di
Dio, lo intende come appartenente al Diavolo, qualcosa di cui Dio permette
l’esistenza per far da contrasto all'anima. Dio vuole che noi seguiamo le
spinte della nostra anima alla generosità e all’amore. Satana vuole che
seguiamo i desideri del nostro corpo: bere, sesso, ricchezza, potere,
prestigio. Ogni uomo e ogni donna sono a un bivio: un sentiero conduce in
cielo, l’altro all’inferno. Se prendiamo la strada in discesa le ombre dei
piaceri materiali ci avvolgeranno sempre di più, distruggendo poco a poco
l’armonia, la quiete, la gioia in un crescente tumulto fatto di agitazione
rumore indecisione, lamento e inutilità.
Nei primi due secoli e mezzo
del Cristianesimo, la lotta tra gli gnostici e le fazioni meno dualistiche non
può essere storicamente letta come una lotta tra l’eresia e l’ortodossia,
perché l’ortodossia non era ancora stata definita. Immaginare una lotta tra
Chiesa e Antichiesa, a quel tempo, significa abusare di idee teologiche
posteriori e prendere troppo sul serio le polemiche di alcuni antichi autori.
Entrambi i fronti – o, per essere più precisi, i vari fronti – si consideravano
cristiani. Solo gradualmente un insieme di opinioni vinse sugli altri e divenne
la posizione "cattolica", accettata, ortodossa. Il Cristianesimo
delle origini, rettamente inteso, comprendeva concezioni fortemente
dualistiche; molti cristiani di allora, pur senza essere gnostici, mostravano
forti tendenze dualistiche. Quindi il perenne apparire di concezioni ed
"eresie" dualistiche in tutta la storia del Cristianesimo non è un’intrusione
di idee aliene, esterne, bensì l’emergere di visioni dualistiche intrinseche al
Cristianesimo sin dall’inizio.
La lotta tra il corpo e l’anima
fu un tema dominante nel primo pensiero monastico cristiano. Il monachesimo,
che mirava a offrire una vita di solitudine e riflessione nella quale
l’individuo potesse consacrare tutto il suo tempo alla contemplazione di Dio
senza essere disturbato dalle distrazioni della vita sociale, ebbe un notevole
significato per la demonologia. Il primo monaco di cui si abbia conoscenza, Sant’Antonio (251-356 sono le
date tradizionalmente attribuitegli) si ritirò dal suo villaggio per condurre
una vita da eremita nel deserto; in uno scenario simile san Pacomio
(286-346) fondò più tardi il monachesimo cenobitico
(comunitario). Da un certo punto di vista il monachesimo era un surrogato del
martirio.
In Egitto, ritirarsi dalla
società significava lasciare la fertile valle del Nilo e andare a vivere nel
deserto,ritenuto per millenni luogo di minacce sia fisiche che spirituali. I
cristiani credevano inoltre che le preghiere delle comunità, nell’impero che
andava sempre più cristianizzandosi, stessero scacciando dalle città i demoni,
che andavano ora riunendosi nel deserto.
Il deserto era un rifugio dalle
tentazioni della società, ma anche un luogo in cui le tentazioni venivano
direttamente dal Diavolo. Nel deserto ci si poteva sottrarre a distrazioni
meschine, piccoli vizi e piccole virtù, per prendere direttamente parte alla
lotta cosmica tra Cristo e Satana… Che si interpretino i demoni come esseri
esterni o forze psicologiche interne, non c’è dubbio che i monaci si sentissero
oggetto di attacchi quasi incessanti da parte delle forze del male. Le loro
esperienze, aumentarono di molto la paura del Diavolo… I demoni attaccavano gli
eremiti più dei cenobiti, perché più ci si eleva nella vita spirituale, più
violenti si fanno gli attacchi del demonio
Tra le immagini di maggior
impatto che il monachesimo diffuse per tutta la comunità cristiana ci fu quella
del monaco guerriero contro il diavolo.
Secondo Atanasio, vescovo di
Alessandria ed autore, nel 360, di una Vita
di Sant’Antonio, cadendo, diavolo e demoni
s’erano separati dal resto del cosmo, condannandosi ad una vita di nulla,
tenebre, mostruosità e non essere. Intrinsecamente mera negatività – tumulto,
turbamento e disordine – i demoni possono assumere forme visibili e quindi
produrre nelle menti delle loro vittime immagini e fantasie. Fanno grande
affidamento su questo potere per sopraffare i monaci.
Più il monaco si eleva nella
sua ricerca di Dio, con maggior odio il Diavolo lo attacca. Poiché la
solitudine è una grande virtù, ogni volta che Antonio decide di passare ad una
solitudine più completa, si espone ad attacchi particolarmente virulenti.
Gli assalti sono in genere opera
di demoni secondari, ma se il monaco oppone troppa resistenza interviene il
Diavolo stesso. Le loro tecniche sono varie e ricche di espedienti.
Per combattere gli assalti
diabolici, i monaci disponevano delle stesse armi degli altri cristiani: la
fede in Cristo, il segno della croce, il nome di Gesù.
I demoni li temono in modo particolare; ne vengono dolorosamente bruciati, a
conferma del castigo che li aspetta nell’inferno. A questi strumenti i monaci
potevano aggiungere, di loro, acume ed esperienza spirituali, sempre con
l’aiuto della grazia di Dio. La vita ascetica di Antonio, i suoi digiuni, le
sue veglie, smussavano gli attacchi del nemico. Altre armi monastiche erano
l’esorcismo, il disprezzo ostentato verso i demoni ignorandoli o soffiando su
di loro (forse ad imitazione dell’alito o Verbo salvifico di Dio; a questo si
riferiva Giuliano l’Apostata beffandosi dei monaci perché fischiavano ai
demoni), e la semplice mancanza di paura. Quando uno spirito si avvicina,
bisogna affrontarlo coraggiosamente e chiedergli chi sia. Se è un angelo si
rivelerà; se è un demone rifuggirà un simile atteggiamento di coraggio
balbettando di paura.
La più importante di tutte le
difese è il discernimento degli spiriti. Lo si riceve in dono da Dio; usandolo
con sapienza si può diventare un grande monaco. La dottrina del discernimento
divenne veicolo d’una sofisticata psicologia. Siamo tutti consapevoli della
nostra mutevolezza di pulsioni e di umori, e sappiamo che quanto ci sembra
giusto un giorno può sembrarci sbagliato il giorno dopo. Fuorviati da impulsi
passeggeri, rischiamo di commettere gravi errori. Attraverso l’esercizio del
discernimento i monaci potevano dire se un impulso veniva in ultima istanza da
Dio o dal Diavolo, se era vantaggioso o nocivo. Lo imparavano sia per sé che
per gli altri, cosicché venivano spesso visitati da persone normali bisognose
di consiglio. Il discernimento degli spiriti metteva il monaco in grado di
interpretare i sogni e quella che Freud avrebbe
chiamato, secoli dopo, la psicopatologia della vita quotidiana.
Ogni vittoriosa resistenza al
Diavolo ha le sue radici nella grazia di Cristo, senza la quale nulla sarebbe
efficace.
❍ Vita di Evagrio Pontico (dai detti dei Padri
del Deserto)
Evagrio
era bello di aspetto e di buon gusto nel vestire e correva il rischio di essere
trascinato nella vita mondana e nella lussuria. Le fonti raccontano che ebbe un
sogno terribile sul giudizio – molto probabilmente da tale esperienza o da tale
tradizione deriva un apoftegma insolitamente fosco quale il primo della
raccolta dei detti e fatti di Evagrio – e vide il
libro degli Evangeli come fonte della sua liberazione. Su di esso in sogno
giurò di allontanarsi dalla città. Perciò, gettate tutte le cose sue su una nave,
se ne partì per Gerusalemme
Dopo
due anni nel deserto di Nitria, in Egitto, Evagrio s’inoltrò ancor più nel deserto, alle Celle, dove
visse per 14 anni in grande austerità, guadagnandosi il cibo come copista di
manoscritti, consumando 350 grammi di pane al giorno e 480 grammi di olio ogni
tre mesi.
A
un fratello turbato da fantasmi notturni Evagrio
ordinò digiuno e servizio ai malati, dicendo che certe passioni da null’altro
sono spente come dalla misericordia.
❍ Evagrio Pontico e la sua
antropologia
Evagrio Pontico nacque a
Ponto nel 345, figlio di un vescovo. Influenzato da
Basilio il Grande e da Gregorio Nazianzeno, fu
ordinato diacono da quest’ultimo nel 379. Godendo di
mole relazioni ricche e potenti, predicò a Costantinopoli e frequentò circoli
elevati. Ma nel 383 abbandonò la sua vita di lusso e fama, che aveva preso a
stancarlo, e si ritirò nel deserto di Nitria in
Egitto insieme a un gruppo di monaci influenzati da Origene. Amico intimo di
Rufino e Melania, entrambi devoti origenisti, adottò
le idee di Origene a fondamento della propria teologia. Nel deserto si fece
discepolo della grande guida spirituale Macario seniore
e condusse la più austera delle vite, cibandosi di poco pane e olio. La sua
castità passò attraverso le prove più severe, che affrontò con sforzi eroici,
come passare la notte esposto al freddo dell’inverno in piedi dentro un pozzo. Evagrio aveva fama di possedere la discrezione – il
discernimento degli spiriti – in misura straordinaria; le storie dei suoi
trionfi sui demoni erano famose. Scrittore eloquente, originale, colorito, era
molto più acuto come analista della psiche umana che come teologo teorico.
Rimase nel deserto fino alla morte, nel 399
La teoria sulla caduta di Evagrio è una variante di quella di Origene, con in più
qualcosa di neoplatonico. Dio, "Enade
primitiva", ha creato l’Enade, che è pura
intelligenza; la pura intelligenza (nous) si moltiplica in un certo numero di intelligenze eguali
(noes). Ma
alcune di esse "cadono" in un "moto" (kinesis) di distacco da Dio.
L’unico nous che non cade è il Signore, il Figlio di
Dio, che procede alla seconda creazione, il mondo materiale. La misura in cui
gli spiriti cadono dipende dal grado del loro peccato. Gli angeli buoni, fatti
di fuoco, rimangono in cielo. Alcuni spiriti caduti diventano uomini, fatti di
terra. I più peccatori diventano demoni, fatti d’aria. Ogni passo in discesa è
più scuro, più denso, più grezzo, più materiale. I demoni sono pesanti e
gelidi, fatti d’aria priva di luce. I noes che cadono divengono psychai, anime.
La psyche̅ è la sede delle passioni; negli esseri
umani la passione dominante è la sensualità, nei demoni l'ira. Con l’aiuto di
Dio, con ascetismo e preghiera, si può salire la scala ontologica sino a
raggiungere Dio. Il che toccherà gradualmente a tutte le intelligenze.
Gli angeli, abitando presso
Dio, godono di grande conoscenza e potere, qualità che i demoni, cadendo, hanno
perso. Essi non posseggono vera conoscenza e non comprendono che la verità
indica Dio. Non possono più vedere Dio né gli angeli buoni. Possono osservare
gli uomini; da ciò che percepiscono derivano una conoscenza speciosa. Non
possono penetrare le nostre anime, perché le nostre anime portano la traccia
del desiderio di Dio che solo lui e i suoi angeli buoni possono scandagliare.
Quindi i demoni, per interpretare lo stato delle nostre anime, si affidano
all’osservazione delle nostre azioni e parole, dei nostri corpi, anche del
nostro "linguaggio del corpo". In questo sono esperti, si sono
impadroniti di lingue e scienze umane e usano costantemente le loro capacità
per ingannarci e illuderci.
Non possiamo vedere i demoni a
meno che essi non assumano false sembianze per ingannarci; possono apparire nei
panni di angeli della luce, belle donne, guerrieri, quello che vogliono; in
queste sembianze digrignano i denti ed emettono gemiti e cattivi odori.
Come ogni demone occupa un
posto diverso nella gerarchia dell’inferno, così ognuno ha il proprio obiettivo
e la propria personalità. Alcuni sono più viziosi, altri più insistenti, alcuni
più veloci, altri più vigliacchi. Il monaco si serve del suo discernimento non
solo per distinguere uno spirito buono da uno malvagio,ma anche per determinare
con che sorta di spirito malvagio ha a che fare. Scopo dei demoni è aggredire
l’anima umana per distrugger l’immagine e somiglianza di Dio dentro di noi.
Cercano di far fallire ogni virtù e ci attaccano con rabbia speciale quando
sospettano che stiamo progettando qualche buona azione. Per questo assalgono i
monaci più della gente qualunque, gli eremiti più dei cenobiti, coloro che sono
illuminati dalla divina conoscenza, o gnosi, più degli ignoranti.
I demoni ci attaccano
attraverso la mente e il corpo. Anche se non possono penetrare nelle nostre
anime, possono influire sui nostri cervelli, suggerendo immagini, fantasie,
timori e tentazioni. Anche qui, i demoni discriminano. Tentano la maggior parte
degli uomini ad azioni volgari, ma con i monaci il loro compito è più sottile:
"Più grande è il progresso dell’anima, più gli avversari che le muovono
guerra sono temibili". Ci vogliono demoni raffinati per distogliere monaci
raffinati dalla contemplazione di Dio, instillando illusioni e ossessioni di
tale sottigliezza che solo monaci armati di discernimento e specialmente
protetti dalla grazia di Dio possono trovare prontamente il modo di resistervi.
Gli assalti dei demoni sono di tutti i generi: dalla tentazione raffinata a
fare qualcosa di apparentemente buono alle tentazioni più volgari della
lussuria e dell’avidità sino alle brutali aggressioni fisiche. Assumono forme
fiammeggianti e provocano apparizioni spaventose; mettono le mani nei nostri
corpi solleticandoci il naso, grattandoci le orecchie, stringendoci lo stomaco,
ci inducono al sonno durante la preghiera, ci gonfiano di flatulenza, ci
provocano gravi malattie o ferite, arrivano sino a saltarci addosso per
picchiarci e malmenarci, tutto per distoglierci dalla nostra meta divina.
La psicologia della tentazione
di Evagrio è assai minuziosa. Le nostre anime, cadute
dal cielo e ormai imprigionate nel corpo, sono piegate; la loro visione di Dio
si è offuscata. Sono dominate dalle emozioni (pathe̅) che non possono scrollarsi di dosso.
Nella nostra condizione di caduti il disordine emotivo delle nostre anime è
endemico. Sono i pathe̅ che dobbiamo trascendere, con la grazia di
Cristo, per innalzarci di nuovo al cielo. Dai pathe̅ sorgono pensieri, inclinazioni o desideri
emotivi (empatheis
logismoi).
Non tutti i "pensieri" sono maligni, naturalmente, ma Evagrio usa quasi sempre il termine in senso negativo.
Questi logismoi
sono la "materia grezza" che il monaco deve padroneggiare per
innalzarsi sopra di essi; sono porte aperte ai demoni che ci assalgono.
Osservandoci con attenzione, il Diavolo si accorge di quando siamo indeboliti
da un particolare logismos,
e fa partire le truppe demoniache specificamente addestrate a sfruttarlo.
"I logismoi",
scrive Siegfred Wenzel,
"sono gli strumenti o 'armi' usati dai demoni come mezzi di tentazione: 'i
demoni fanno guerra all’anima per mezzo dei logismoi'.
[…] La tentazione e il male morale [sono] quindi il frutto della combinazione
di un agente esterno con una disposizione della natura umana". Se non ci
fossero tentazioni demoniache continueremmo forse a peccare in virtù dei logismoi che
sorgono nelle nostre anime, ma i demoni sfruttano i logismoi in due modi: lo
sostengono e li rafforzano, rendendo più difficile resistervi, e fanno
irruzione attraverso di loro come attraverso falle nella diga morale. Ognuno ha
fatto esperienza di qualche cedimento a un piccolo peccato, o di qualche
piccolo cedimento al peccato, giusto per accorgersi che quella piccola testa di
ponte rapidamente si espandeva e rafforzava con ben più potenti tentazioni
dello stesso genere. Il logismos
della lussuria, per esempio, può far desiderare una donna; se s’indugia in
questo pensiero la mente corre il rischio di trovarsi travolta da immagini lascive,
finché l’anima è definitivamente confusa, ossessionata, asservita. Il logismos
dell’avarizia può far sì che una donna cominci semplicemente col dedicare
troppa attenzione agli investimenti che progetta per la sua sicurezza; se
comincia a badare troppo ai soldi, corre il rischio di ritrovarsi la mente
ossessionata da schemi finanziari, finché il bisogno si muta in avidità e
diviene schiava dalla propria ricchezza. In tutti i casi del genere i demoni
sfruttano la piccola falla aperta dal logismos per irrompere come una valanga, che può essere
arginata solo con l’aiuto della grazia.
Sia i logismoi che i demoni sono
specializzati. Evagrio pensava che ai vari aspetti
della morale pratica fossero preposti otto potenti demoni, ognuno a capo di una
schiera di demoni addestrati a sfruttare un particolare tipo di peccato. Le
otto divisioni demoniche corrispondono agli otto logismoi, gola, superbia,
lussuria, avarizia, disperazione, ira, accidia (o ignavia spirituale) e vanità.
I demoni non attaccano tutti insieme; sanno che l’anima si corrompe più
profondamente immergendosi in uno o due
vizi alla volta, e inoltre ci sono vizi che si contraddicono l’un l’altro nella
pratica psicologica: è difficile, ad esempio, essere golosi e spiritualmente
superbi nello stesso tempo. Ogni vizio è seguito con cura dal suo demone, in
modo da poterlo sfruttare al massimo. Degli otto vizi, l’accidia è il più
sottile e il più temibile per i monaci, dopo che hanno preso a salire un po’ in
alto nella loro carriera spirituale: "il
demone dell’accidia – detto anche demone di mezzogiorno – è quello che causa i guai più gravi di tutti.
Spinge il suo attacco contro il monaco [durante le quattro ore centrali della
giornata]. Prima di tutto dà l’impressione che il sole appena si muova, se pure
si muove, e che il giorno sia lungo cinquanta ore. Poi costringe il monaco a
guardare continuamente dalle finestre, a uscire dalla cella, a osservare
attentamente il sole per vedere quanto manca all’ora [di pranzo], a guardare da
una parte o dall’altra se [qualche fratello fa capolino dalla sua cella]. Poi
instilla nel cuore del monaco odio per il luogo, odio per la sua stessa vita,
odio per il lavoro manuale. Lo porta a pensare che la carità abbia lasciato i
fratelli, che non ci sia nessuno che dia coraggio. Se in questi momenti accade
che qualcuno lo urti in un modo o in un altro, anche di ciò il demone si serve
per accrescere il suo odio. Questo demone gli fa desiderare altri luoghi dove
possa più facilmente procurarsi le necessità della vita, trovare più facilmente
lavoro e avere realmente successo. Arriva a suggerirgli che, dopo tutto, non è
il luogo che conta per far piacere al Signore. […] A queste riflessioni
aggiunge il ricordo dei sui cari e del suo precedente modo di vivere. Egli
dipinge davanti una vita lunghissima [inducendo il monaco] ad abbandonare la
cella e la lotta"
Il rimedio principe contro
simili assalti è, con l’aiuto della grazia, la pratica del discernimento:
distinguere tra spiriti maligni e benigni e tra le varie specie di spiriti
maligni, in modo da poter decidere che armi volgere contro i demoni. Evagrio prescriveva anche la tradizionale vita di bontà, la
preghiera, l’ascetismo e il nome di Gesù. Consigliava
una resistenza attiva e accesa. Quando i demoni tentano non bisogna restare
passivi, ma scacciarli dalla mente con rabbia e controbattere con qualche
diversione. Se per esempio un monaco non riesce ad addormentarsi, agitato da
pensieri lussuriosi, deve subito alzarsi, andare da qualche malato e compiere
un atto di bontà; è uno spregio per il Diavolo fare l’una delle sue tentazioni
l’occasione di un atto di virtù positivo.
Nello sconfiggere i demoni la
meta del cristiano è, naturalmente, l’ascesa a Dio; lo stato dell’anima
richiesto da questa ascesa è l’apatheia. L’apatheia è ben diversa dalla moderna "apatia",
benché entrambe significhino "assenza di sensibilità". Per Evagrio apatheia è libertà dai pathe̅, il confuso stato emotivo in cui siamo
sprofondati in conseguenza della caduta, dai logismoi generati dai pathe̅ e dai demoni richiamati dai logismoi. L’apatheia è
"la libertà dalle passioni conturbanti, ottenuta attraverso il controllo
razionale dei propri sensi, desideri, sensazioni e memoria". L’apatheia porta
alla he̅sychia, quella calma e quieta concentrazione
dell’anima connaturata allo spirito in compagnia di Dio; per quanto riguarda la
nostra esistenza terrena porta all’agape̅, il
più nobile stato dell’anima descritto da san Paolo, in cui desideriamo solo ciò
che è davverobene per noi e per gli altri.
Il logismos dell’accidia, αχηδια, è
sotto il controllo del demone o spirito dell’accidia, το τηζ αχηδια
o το τηζ
αχηδιαζ πνευμα,
che sfrutta il logismos
contro il monaco al massimo delle sue capacità. Il mezzogiorno, come la
mezzanotte, è in molte culture un momento di intensa attività delle forze
spirituali. I cristiani, nella loro ostilità a simili forze, le definivano
maligne. Gli autori monastici tendevano a identificare il demone di mezzogiorno
con lo spirito dell’accidia, ma in seguito fu identificato con Satana stesso.
Evagrio, anche se sotto l’influenza di autori
precedenti, è il primo a stabilire un elenco preciso di otto peccati specifici,
un’idea che incontrò grande favore.
❍ Massimo il Confessore e la sua
antropologia
Secondo da
Massimo il Confessore:
“They say that natural thelēsis
or thelēma
is a capacity desirous ( orektikē
) of what is in accordance with nature, a capacity which holds together in
being (sunektikē
) all the distinctive attributes (idiōmata ) which belong essentially to a being’s
nature. The substance, being naturally held together by this, desires (oregetai ) being
and living and moving in accordance with perception and intellect, striving for
(epiesthai
) its own natural and complete existence (ontotēs). A thing’s nature
has a will (thelētikē)
for itself, and for all that is set to create its constitution (sustasis ), and it is suspended in a desiderative way over the
rational structure of its being, the structure in accordance with which it
exists and has come into being. That is why others, in defining this natural thelēma , say that it is a rational and vital desire (orexis ) whereas proairesis is a desire, based on
deliberation, for things that are up to us. So thelēsis is
not proairesis,
if thelēsis
is a simple rational and vital desire, whereas proairesis is a coming together
of desire, deliberation, and judgement. For it is after first desiring
that we deliberate, and after having deliberated that we judge, and after
having judged that we deliberately choose (proaireisthai ) what has been
shown by judgement better in preference to the worse. And thelēsis depends only on
what is natural, proairesis
on what is up to us and capable of being brought about through us”.
❍ Gregorio Palamas e la sua antropologia
Secondo il monaco e teologo
greco Gregorio Palamas, l’amore del piacere, da cui
proviene ogni impurità carnale, è posto come ultimo nella serie delle malattie
dell’anima, perché la concupiscenza carnale ha una utilità naturale e non è,
per sé, indice di anima malata: l’avere cura della carne è cosa cattiva se ha
di mira la concupiscenza stessa. Poiché dunque le passioni carnali prendono
inizio da un intelletto passionale, da esso bisogna dare inizio anche alla
cura: la fonte interiore dei pensieri non si inaridisce solo con digiuni e
patimenti del corpo, ma santificando la radice con l’umiltà e la preghiera.
Cura, sono i patimenti del corpo e la preghiera fatta da un cuore umiliato; e
questa è la povertà nello spirito che il Signore ha chiamato beata. Così, sono
poveri nello spirito coloro che non confidano affatto nelle ricchezze, ma in
Dio; che non desiderano piacere ad altri che a lui; che, in più, vivono in
umiltà davanti a lui.
Ma, per diventare perfetti,
oltre all’umiliazione dello spirito, alla mortificazione del corpo e alla
privazione dei beni di questa vita, occorre la pazienza con rendimento di
grazie, nella tentazione e nelle prove. Alla beatitudine della povertà dello
spirito, Cristo ha fatto seguire quella dell’afflizione che riceve la
consolazione, perché alla povertà è sempre legata l’afflizione.
L’afflizione della povertà
volontaria, e talvolta anche di quella involontaria, consegue un duplice
guadagno: quello di non sentire più alcun moto verso il male e nessuna volontà
di tornare ai peccati commessi in precedenza; e quello per cui i peccati
diventano come se non fossero mai stati, poiché appena l’uomo ha incominciato
ad affliggersene, essi gli sono calcolati da Dio come involontari, i quali non
sono colpevoli.
Gli
anziani dicevano: “L’anima è una fonte, se scavi, diventa più pura; se vi getti
sopra della terra scompare“
Un
fratello si recò a Scete dal padre Mosé per chiedergli una parola. L’anziano gli disse: “Va’,
resta seduto nelle tua cella, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa”
Un
fratello domandò a un anziano: “Padre, ecco, io interrogo gli anziani e mi
danno consigli sulla salvezza della mia anima, ma io non ritengo nessuna delle
loro parole. Perché dunque li interrogo se non ne faccio nulla? Sono tutto
immondezza”. Vi erano lì due vasi vuoti, e l’anziano gli dice: “Va’ a prendere
un vaso e versaci dell’olio, quindi vuotalo, poi riportalo al suo posto”. Fece
così una volta, quindi una seconda volta; poi gli disse: “Ora portali qui tutte
e due e guarda quale dei due è più pulito”. Gli dice il fratello: “Quello in
cui ho versato l’olio”. E l’anziano: “Così è l’anima: anche se non trattiene
niente delle cose che ha domandato, è comunque più purificata di quella che non
chiede affatto”.
La
carità è generata dall’impassibilità; a sua volta l’impassibilità è generata
dalla speranza in Dio; la speranza dalla sopportazione e dalla longanimità che,
a loro volta, sono generate dalla continenza in tutto; questa continenza è
generata dal timore di Dio, e il timore, dalla fede in Dio (Massimo il Confessore)
Non
dite – dice il divino Geremia – che siete tempio del Signore; e tu non dire: La
sola fede nel Signore nostro Gesù Cristo può
salvarmi. Questo è impossibile se non acquisisci anche la carità per lui
mediante le opere. Poiché, quanto al solo credere, anche i demoni credono e
tremano (Massimo il Confessore)
Una
volta affetti da passione per un qualunque oggetto, ne portiamo in noi le
rappresentazioni passionali. Chi dunque vince le rappresentazioni passionali,
non tiene in nessun conto neppure gli oggetti di cui esse sono immagine: poiché
la guerra contro la memoria delle cose è tanto più grave, quanto più facile è
peccare mentalmente che in atti (Massimo il Confessore)
Tutti
gli angeli pregano. Ogni creatura prega. Il bestiame prega al pari delle fiere,
che chinano le ginocchia, e all’uscire dalle stalle o dalle spelonche non
guardano con muso ozioso il cielo, ma anzi fanno secondo il loro costume
vibrare lo spirito. Ma anche gli uccelli che, ecco, s’innalzano al cielo, e
stendono le ali in luogo delle mani in forma di croce, e dicono qualcosa che
sembra orazione (Tertulliano)
Gli
angeli di Dio, coltivatori e agricoltori dei nostri cuori, sono presenti fra
noi e cercano se c’è qualcuno di intelletto così applicato e attento che abbia
ricevuto la parola di dio con avidità come semenza divina, e se quella semenza
ha fruttificato appena ci siamo alzati a pregare, cioè se quell’uomo
prega dio raccogliendo e concentrando i nostri pensieri ed il suo spirito non
erra vagabondo, se le sue riflessioni non si smagliano, se, mentre ha il corpo
piegato nell’orazione, le sue immaginazioni non si disperdono nelle opposte
direzioni. Se qualcuno sente che la sua supplica è attenta e diritta, se
intende d’essere sotto lo sguardo di Dio e nella sua luce indicibile, e se
moltiplica preghiere, suppliche, richieste e ringraziamenti, senza essere
turbato da nessuna immaginazione esteriore, sappia che per mediazione
dell’angelo presente nell’altare ha offerto le primizie della sua immolazione al
vero sommo sacerdote, Cristo (Origene)
[Chi
abbia raggiunto uno stato di preghiera spontanea e costante] ha raggiunto il
culmine di tutte le virtù, ed è divenuto la dimora dello Spirito Santo. Quando
lo Spirito Santo viene a vivere in un uomo, costui non smette mai di pregare,
perché allora lo Spirito Santo prega costantemente in lui. Nel mangiare o nel
bere, nel dormire o nel fare qualcosa, persino nel sonno profondo il suo cuore
esprime senza sforzo l’incenso e i sospiri della preghiera (Isacco di Ninive)
Di
notte il maestro di orazione è reclamato dai demoni; di giorno i demoni si
servono degli uomini per farlo vivere tra vicissitudini, calunnie e pericoli (Evagrio)
Il
demone della fornicazione e quello della bestemmia sono i più potenti (Evagrio)
Sei
teologo se preghi (Evagrio)
Una
giovinetta di nome Paisia rimase orfana di entrambi i
genitori. Pensò di fare della sua casa un albergo per gli ospiti dei padri di Scete. Per un periodo non breve rimase lì, dando ospitalità
e servendo i padri. Ma col tempo, consumato il patrimonio, cominciò a trovarsi
in strettezze. Si attaccarono a lei degli uomini traviati e la distolsero dal
buon proposito. Cominciò a comportarsi male, fino a giungere alla
prostituzione. Il padre Giovanni si recò da lei e disse alla vecchia portinaia:
"annunciami alla tua padrona". Quando fu salito, essa, prevenendolo,
si pose sul divano. Giovanni andò a sedersi vicino a lei e, fissandola in viso,
le disse: "che hai da lamentarti di Gesù, che
sei giunta a tal punto?". E abbassata la testa pianse. Gli chiese:
"perché piangi?". Le disse: "Vedo Satana giocare sul tuo
viso". Chiede allora: "C’è penitenza?". Le dice: "Sì".
Ed ella: "Conducimi dove vuoi". E si alzò per seguirlo. Il padre notò
con stupore che non diede nessun ordine né disse nulla riguardo alla sua casa. Giunsero
nel deserto; era tardi; egli formò un piccolo cuscino di sabbia, vi fece sopra
un segno di croce, e le disse: "Dormi qui". Si allontanò un poco,
recitò le sue preghiere e si coricò. Svegliandosi verso mezzanotte, vide come
una strada di luce che scendeva dal cielo fino a lei. Alzatosi, le si avvicinò
e la toccò col piede; e vide che era morta.
La
luce della contemplazione corre parallela a una quiete continua e all’assenza
di impressioni esteriori perché la mente, quando è vuota, si tiene continuamene
eretta e attende quale contemplazione si leverà in lei. Chi invece disputa
intorno a questo, non solo fa errare gli altri, ma devia anche lui dalla
strada, né lo avverte, e corre dietro a un’ombra nei fantasmi del suo
intelletto (Isacco di Ninive)
Notte
e giorno non venga meno dal tuo cuore questa preghiera: Signore, liberami dalla
tenebra dell’anima. Essa è infatti il termine di tutta la preghiera e della
conoscenza. Un’anima tenebrosa è un secondo Sheol;
una mente illuminata è la compagna dei serafini (Isacco di Ninive)
La
quiete dell’intelletto è lo stato [necessario] alla [presenza della] verità
nell’anima, perché, infatti, la verità è conosciuta senza immagine. Verità è la
limpidezza del pensiero di Dio che si leva nell’intelletto (Isacco di Ninive)
Qualsiasi
pensiero imprime nel pensiero l’oggetto verso cui si muove. La verità, poiché è
priva di immagine, non impressiona l’intelletto, nella sua meditazione, con
alcuna materia o composizione di pensieri. E’ detto bene da uno gnostico
rivestito di Dio: “L’intelletto che guarda Dio è libero da impronte e da
materia”. Dunque qualsiasi immagine posta nell’intelletto è al disotto della
verità. La considerazione di Dio pone l’intelletto al disopra delle immagini
(Isacco di Ninive)
C’è
dunque una potenza presso l’uomo, e, ogniqualvolta essa si allontana da lui,
subito il timore si accosta al [suo] cuore e l’anima si indebolisce in tutte le
sue membra e impoverisce affatto in ogni conoscenza, e quell’uomo
in quell’ora è spogliato del tutto della confidenza
della fede e diviene nel suo pensiero così come un bimbo piccolo. Ma quando
essa gli si accosta di nuovo, immediatamente il coraggio riveste l’anima e il
cuore diviene più saldo di un monte e non teme alcuna delle creature. Nulla
atterrisce il suo cuore, non il timore dei demoni né [quello] delle fiere né
[quello] di uomini cattivi e perversi; non [lo atterriscono] le malattie del
corpo né la nudità né la mancanza di cibo e, fine di ogni cosa, neppure la
morte, che è terribile per la natura. In breve, [l’uomo] si riveste di zelo, a
somiglianza di braci di fuoco, e nulla nella creazione di Dio atterrisce il suo
pensiero, non la sua vista né il suo ricordo. Alcuni martiri vedevano questa
[potenza] sensibilmente, ed essa era vista da molti di loro, nel tempo dell’infittirsi
dei tormenti, in modo manifesto. C’è chi [la] vedeva nella forma di un manto
che si stendeva sopra di lui; chi [la] vedeva a somiglianza di una mano d’uomo,
che lo proteggeva, e chi nella forma di un bel fanciullo, in piedi vicino a
lui. Non solo a questa vista essi acquisivano coraggio, ma divenivano affatto
insensibili a tutti i tormenti che si abbattevano su di loro. E’ questa la
potenza che custodisce in modo invisibile, nel terribile deserto, il solitario
dalle offese dei demoni, mentre essi non sanno di dove [venga] questo, che una
natura umana, per un periodo di quaranta o cinquant’anni,
coabitando con le fiere, resti nella lotta terribile dei demoni senza che il
suo pensiero sia offeso o intristito per nulla. Egli appare così come se abitasse
in cielo, mentre il suo cuore esulta notte e giorno ed è pieno della gioia
degli angeli […] E se uno stabilisce un segno, percepisce a ogni momento quando
essa si allontana da lui e l’ora in cui gli si accosta. [Lo] percepisce dal
mutamento che si è prodotto in lui, dalla potenza indicibile che improvvisamente
vede in se stesso o dalla debolezza della natura.
(Isacco
di Ninive)
[Per]
ogni passione che si muove in te con lo scopo del combattimento, nella cui
battaglia con te aderiscono a te timore e tristezza, anche se talora [ne] sarai
vinto, pure è preparata per te misericordia, soprattutto perché non ti sei
rilassato né sei venuto meno nella disfatta, ma, pur pieno di sofferenza e
tristezza e lutto, hai rivolto in modo pronto e coraggioso la lotta contro di
essa e ti sei armato e sei sceso in battaglia contro di essa. Così troverai
comprensione in ogni passione (Isacco di Ninive)
Disse la santa Teodora:
"E’ cosa buona cercare l’unione con Dio nella quiete, l’uomo saggio
persegue questa quiete. E’ cosa grande per una vergine o per un monaco,
soprattutto per i giovani. Ma sappi che, appena la cerchiamo, il Maligno viene
subito ad appesantire l’anima con l’accidia, lo sconforto, i pensieri. E
appesantisce anche il corpo con infermità, debolezza, rilassamento delle
ginocchia e di tutte le membra, e toglie la forza dell’anima e del corpo. –
Sono malato, non posso andare alla liturgia, diciamo. Ma se siamo vigilanti,
tutte queste cose scompaiono. Vi era un monaco che era colto da febbre, brividi
e dolori di capo quando voleva andare alla liturgia; e così diceva a se stesso:
– Ecco, sono malato, e una di queste volte muoio. Ebbene, mi alzerò prima di
morire per recarmi alla liturgia. Così finiva la liturgia e finiva anche la
febbre. Più volte questo fratello resistette, ripetendosi questo pensiero e
recandosi alla liturgia. E vinse il maligno"
Gli angeli di Dio, coltivatori
e agricoltori dei nostri cuori, sono presenti fra noi e cercano se c’è qualcuno
di intelletto così applicato e attento che abbia ricevuto la parola di dio con
avidità come semenza divina, e se quella semenza ha fruttificato appena ci
siamo alzati a pregare, cioè se quell’uomo prega dio
raccogliendo e concentrando i nostri pensieri ed il suo spirito non erra
vagabondo, se le sue riflessioni non si smagliano, se, mentre ha il corpo
piegato nell’orazione, le sue immaginazioni non si disperdono nelle opposte
direzioni. Se qualcuno sente che la sua supplica è attenta e diritta, se
intende d’essere sotto lo sguardo di Dio e nella sua luce indicibile, e se
moltiplica preghiere, suppliche, richieste e ringraziamenti, senza essere
turbato da nessuna immaginazione esteriore, sappia che per mediazione
dell’angelo presente nell’altare ha offerto le primizie della sua immolazione
al vero sommo sacerdote, Cristo
Se noi meditiamo sulle cose,
anche sulle loro intime ragioni, tuttavia in tal modo l’intelletto non si alza
alla contemplazione della natura corporea alla contemplazione del luogo di Dio.
Chi coltiva l’orazione deve
prepararsi ad assalti violentissimi dei demoni.
”Non desiderare vedere
sensibilmente Angeli né Potenze né il Cristo, per non perdere completamente il
buon senso sì da accogliere il lupo invece del pastore ed adorare i demoni
nemici".
L’origine delle illusioni
dell’intelletto è la vanagloria: essa è ciò che spinge l’intelletto a tentare
di circoscrivere la divinità in figure e forme.
Se i cattivi pensieri si
ritirano troppo facilmente, diffida.
Di notte il maestro di orazione
è reclamato dai demoni; di giorno i demoni si servono degli uomini per farlo
vivere tra vicissitudini, calunnie e pericoli
Il collerico e peccatore che
osa elevarsi alla contemplazione corre gravi rischi.
Clemente Alessandrino: “Lo
gnostico prega mentalmente, essendo alleato di Dio per amore”
“Un anziano disse: ‘non feci
mai un passo senza sapere dove posassi il piede. Mi fermavo a riflettere, senza
cedere, sino a che Dio non mi prendesse per mano’”
Colui che, seduto nella sua
cella, medita i salmi, somiglia ad un uomo che cerchi un re. Ma colui che prega
senza intermissione somiglia ad un uomo che può parlare al re. Quello che
supplica con lacrime, tiene i piedi del re come la cortigiana i cui peccati furono
istantaneamente rimessi
L’abate Lot
si era fatta una piccola regola proporzionata alle sue forze. Tutti dovrebbero
farsi una regola
L’attenzione che cerca
l’orazione la troverà, perché se c’è qualcosa a cui l’orazione usa far seguito,
questa è l’attenzione.
Evita le città e le loro
immagini
Le affezioni dell’anima sono
rivelate al nemico da parole o segni corporei
L’uomo perfetto non deve
mortificarsi o sopportare: sopportazione è uguale a sofferenza
La lettura, la veglia,
l’orazione sono ciò che fissa l’intelletto sviato. La concupiscenza infiammata
si spegne con la fame, il lavoro, il ritiro. La collera straripante con la
salmodia, la pazienza e la pietà.
Il demone della fornicazione e
quello della bestemmia sono i più potenti
Interroga i pensieri uno per
uno: se è della casa ti colmerò di pace; se è l’avversario ti agiterà con
collera e desiderio.
Le virtù impediscono
all’intelletto di vedere i vizi
Metti in conflitto i demoni di
vanagloria e fornicazione.
Ripercorri le immagini che il
demone vagabondo ti ha fatto percorrere
L’anima razionale che partecipa
dell’immutevole sapienza di dio, regge il corpo
Gli atti del sapiente sono
suggeriti dalla divina giustizia che parla attraverso il suo cuore
Al sommo della piramide la
volontà di dio, procedendo dai corpi più sottili che dominano i più grossi,
provoca tutti i movimenti del mondo
L’atto, i movimenti del sacrificatore, sono ispirati dalla volontà divina
Angeli e demoni, che conoscono
i semi delle cose più occulte, li spargono segretamente in noi come agricoltori
e con opportuna coltivazione e temperie di elementi esse germogliano in noi
Ci sono cose, fenomeni, persone
che sono la maschera (persona) di Dio
Il
padre Daniele disse: “Quanto più fiorisce il corpo, tanto più si estenua
l’anima, e quanto più si estenua il corpo tanto più fiorisce l’anima
Disse
ancora il padre Epifanio: “E’ necessario, se si può, possedere i libri
cristiani. Infatti il solo vedere la Bibbia ci rende più esitanti di fronte al
peccato e ci dà maggiore vigore a compiere la giustizia”
Disse
ancora il padre Epifanio: “Grande sicurezza contro il peccato è la lettura delle
scritture”
Disse
ancora il padre Epifanio: “L’ignoranza delle Scritture è un grande precipizio e
un profondo baratro”
Disse
ancora il padre Epifanio: “E’ un grande tradimento della salvezza non conoscere
nessuna delle leggi divine”
Il
padre Eulogio si recò un giorno dal padre Giuseppe a Panefisi.
Il padre Giuseppe mangiava in silenzio. Non si udiva lui o i suoi discepoli
salmodiare o pregare. La loro vita infatti era nascosta. […] A seguito di
questo, il padre Eulogio imparò anche lui ad operare nel segreto.
Il
padre Euprepio disse: “Tutto ciò che riguarda il corpo è materia: chi ama il
mondo ama le occasioni di inciampo; se quindi accade di smarrire qualcosa,
bisogna gioirne e rendere grazie, perché in tal modo siamo liberati da
preoccupazioni”.
Il
padre Euprepio disse: “Timore, umiltà, scarsità di cibo, e lutto rimangano in
te”
All’inizio
della sua vita monastica il padre Euprepio si recò da un anziano e gli chiese:
“Padre, dimmi una parola, come posso salvarmi?”. L’altro gli disse: “Se vuoi
salvarti, quando vai in visita da qualcuno non parlare prima di essere
interrogato”. Preso da compunzione a queste parole, si prostrò dicendo: “In
verità ho letto molti libri,ma non ho mai trovato questo insegnamento”.
E’
contro la tradizione, codificata anche da norme canoniche, il fare digiuni e
penitenze a Pasqua e le domeniche.
Dicevano
che il padre Elladio passò vent’anni
alle Celle, ma non alzò mai gli occhi per guardare il tetto della chiesa.
Raccontavano
che il padre Elladio soleva mangiare pane e sale;
quando giunse la Pasqua, si disse: “I fratelli mangiano pane e sale; io dovrei
fare un piccolo sforzo a motivo della Pasqua: dato che gli altri giorni mangio
seduto, ora che è Pasqua, farò lo sforzo di mangiare in piedi”.
Chiesero un giorno al Padre Silvano:
"Padre, che regime di vita hai praticato per raggiungere una tale
saggezza?". Rispose: "Non ho mai lasciato nel mio cuore un pensiero
che potesse far adirare Dio".
Il padre Silvano disse anche:
"guai a quell’uomo la cui fama è maggiore della
sua opera".
Il padre Mosè
chiese al padre Silvano: "può l’uomo cominciare ogni giorno?".
L’anziano disse: "Se è laborioso, può cominciare ogni giorno".
Raccontavano che il padre Sarmata spesse volte si prendeva quaranta giorni di
penitenza, su consiglio del padre Poemen. E
trascorrevano come un nulla per lui. Un giorno venne da lui il padre Poemen e gli chiese: "Dimmi cos’hai visto dopo tanta
fatica!". Gli disse: "Niente di speciale". E il padre Poemen: "Non ti lascio se non me lo dici".
L’altro disse: "Ho trovato una cosa sola: se dico al sonno: – Và, se ne
va; se gli dico: – Vieni, viene"
Un fratello interrogò il padre Sarmata: "I pensieri mi dicono: – Non lavorare;
piuttosto mangia, bevi, dormi". L’anziano gli
disse: "Quando hai fame,mangia; quando hai sete, bevi;
quando hai sonno, dormi". Giunse per caso da quel fratello un altro
anziano, e il fratello gli riferì ciò che il padre Sarmata
aveva detto. Allora l’anziano gli disse: "Ciò che il padre Sarmata ti ha detto significa questo: quando ti sforzi di
patire molta fame e soffri la sete fino a non poterne più, allora mangia e bevi; e quando vegli proprio molto e ti viene sonno, dormi:
questo ti ha detto l’anziano"
Lo stesso fratello interrogò di
nuovo il padre Sarmata, dicendogli: "I pensieri
mi dicono: – Esci e và a trovare il fratelli". E l’anziano disse: "In
questo non ascoltarli ma dì: – Ecco, ti ho ascoltato prima, ma in questo non
posso ascoltarti"
Il padre Sarmata
disse anche: "Se l’uomo non sta attento a fuggire finché può, rende il
peccato inevitabile"
Disse il padre Serapione: "Come i soldati del Re non osano guardare
né a destra né a sinistra quando gli stanno di fronte, così se l’uomo sta dinanzi
a Dio intento a lui con timore in ogni momento, non può spaventarlo nulla che
provenga dal nemico"
Raccontavano che per tredici
anni la madre Sarra fu violentemente combattuta dallo
spirito di fornicazione, e non pregò mai perché il combattimento cessasse;
diceva piuttosto: "O Dio, dammi la forza!"
Un giorno lo spirito di
fornicazione l’assalì [la madre Sarra] con
particolare violenza, insinuandole le vanità del mondo. Ella, che per il timore
di Dio e per la sua ascesi non cedeva, salì subito nella sua cella a pregare.
Le apparve allora lo spirito di fornicazione in forma corporea e le disse:
"Tu mi hai vinto, Sarra". Ma ella disse:
"Non io ti ho vinto, ma il mio Signore, Cristo".
Raccontavano di lei [la madre Sarra] che abitò per sessant’anni
sopra al fiume e non si sporse mai per guardarlo.
La beata Sincletica
disse: "Noi che facciamo professione di questa vita, dobbiamo possedere in
sommo grado la temperanza; presso coloro che vivono nel mondo, anche quando
sembra che pratichino la temperanza, questa è mescolata all’intemperanza,
perché peccano con tutti gli altri sensi: guardano in modo sconveniente e ridono
disordinatamente".
La beata Sincletica
ha detto anche: "Come gli animali velenosi sono cacciati da farmaci più
forti, così la preghiera unita al digiuno caccia il pensiero cattivo"
Chiesero alla beata Sincletica se il non possedere niente è bene perfetto.
"Perfettissimo, rispose, per chi può; perché
quelli che lo sopportano hanno tribolazione nella carne, ma quiete nell’anima:
come infatti si lavano gli abiti resistenti sbattendoli e torcendoli con forza,
così anche l’anima forte, mediante l’indigenza volontaria, diventa più forte
ancora".
Disse anche la beata Sincletica: "Sono molte le insidie del diavolo. Non
riesce a scuotere l’anima con l’indigenza? Presenta l’esca della ricchezza. Non
ci riesce mediante insulti e offese? Le getta innanzi lodi e gloria. Sconfitto
dalla buona salute, fa ammalare il corpo. Se non può ingannare con i piaceri,
tenta con pene non volute di far uscire dalla retta via: sceglie come vuole
malattie molto gravi perché nello scoraggiamento, si offuschi l’amore per il
Signore. Giunge fino a spezzare il corpo con febbri violentissime e lo tormenta
con una sete insopportabile. Se subisci queste cose, tu che sei peccatore,
ricordati del castigo futuro e del fuoco eterno e delle pene che il giudizio
comporta, e non perderti d’animo di fronte alle cose presenti. Rallegrati
perché Dio ti ha visitato e abbi sulla lingua quel dolce detto: – Con castighi mi ha castigato il Signore, ma
non mi ha dato in balia della morte. Se sei di ferro scacci la ruggine
attraverso il fuoco. Se invece, pur essendo giusto, ti ammali, progredisci da
cose grandi a più grandi; sei d’oro? ma è proprio attraverso il fuoco che
diventi più provato. Ti è stato dato un angelo nella carne? Esulta! Guarda a
chi sei divenuto simile: sei stato reso degno della sorte di Paolo. Sei provato
col calore ardente? Sei castigato dal gelo? La Scrittura dice: Siamo passati attraverso fuoco e acqua e ci
hai condotto al refrigerio. Ti è accaduto di soffrire così? Attendi il
refrigerio. Praticando la virtù, grida le parole del santo che dice: – Io sono misero e afflitto. Questa doppia
tribolazione ti renderà perfetto. Dice infatti: – Nella tribolazione mi hai dilatato. Soprattutto con questi esercizi
esercitiamo l’anima: teniamo bene davanti agli occhi il nemico!
La beata Sincletica
disse anche: "Quando l’infermità ci disturba, non rattristiamoci se per
l’infermità e l’abbattimento del corpo non abbiamo forza di salmeggiare con la
voce. Tutto questo ci è accaduto per purificarci dalle passioni, perché il
digiuno e il dormire per terra sono stati stabiliti per contrastare i piaceri.
Ma se la malattia ha già affievolito le passioni, questo motivo è superato. E’
questa la grande ascesi: resistere nelle malattie ed elevare a Dio inni di
grazie".
La beata Sincletica
disse anche: "Non sollevare il pretesto di essere caduto in una malattia
perché troppo provato dal digiuno, perché anche quelli che non digiunano cadono
spesso nelle stesse malattie. Hai iniziato qualcosa di buono? non lasciarti
sviare se il nemico vuole interromperti, perché egli è vinto dalla tua
sopportazione Quelli che cominciano a navigare, dapprima colgono il vento
favorevole; ma dopo aver spiegato le vele, allora affrontano il vento
contrario. I naviganti non vuotano la nave subito al sopraggiungere del vento
contrario, ma o si fermano per un poco o lottano contro la bufera, quindi
riprendono a navigare. Così anche noi: se al sopraggiungere di un vento
contrario spieghiamo la croce a mo’ di vela, senza timore porteremo a termine
la navigazione".
La beata Sincletica
disse ancora: "E’ pericoloso che insegni chi non è passato attraverso
l’esperienza della vita; come uno che abbia una casa pericolante: accogliendo
degli ospiti li danneggia se la casa crolla. Così coloro che non hanno prima
costruito se stessi, mandano in perdizione anche quelli che a loro si
accostano. Con le parole chiamano alla salvezza, ma con il loro cattivo
comportamento fanno del male a chi li segue"
La beata Sincletica
disse ancora: "C’è un’ascesi stimolata dal nemico, perché pure i suoi
discepoli la praticano. Come possiamo dunque distinguere la divina, regale
ascesi, da quella tirannica e demoniaca? E’ chiaro: dalla moderazione.
Sottoponi tutto il tuo tempo alla regola del digiuno: non digiunare quattro o
cinque giorni e rompere il digiuno un altro giorno con una grande quantità di
cibo. La mancanza di misura è sempre perniciosa. Se sei giovane e sano,
digiuna; giungerà infatti la vecchiaia con la malattia. Finché puoi, accumula
nutrimento, per trovare ristoro quando non potrai".
La beata Sincletica
disse anche: "Nel mondo, se commettiamo un fallo anche senza volere, siamo
gettati in prigione; e noi imprigioniamo dunque noi sessi a causa dei nostri
peccati, affinché questo atto volontario della memoria allontani il castigo
futuro".
La beata Sincletica
dIsse anche: "Come si dissipa un tesoro scoperto, così qualsiasi virtù,
quando è resa notoria e manifesta, svanisce. COme la cera si scioglie dinanzi
al fuoco, così l’anima è svuotata dalle lodi e abbandona la fatica".
La beata Sincletica
disse anche: "Vigiliamo, perché attraverso
la nostra sensibilità i ladri entrano anche se non vogliamo. Come può
non annerirsi una casa, se il fumo salendo dall’esterno trova le finestre
aperte?"
La beata Sincletica
disse anche: "Bisogna che noi siamo sempre armati contro i demoni i quali
o vengono dal di fuori o nascono dal di dentro. L’anima, come una nave,
talvolta è sommersa dai flutti esterni, talaltra affonda per il peso della
stiva. Così anche noi talvolta siamo portati a rovina dai peccati che
commettiamo esternamente, talaltra ci perdiamo a causa degli intimi pensieri.
Bisogna dunque non soltanto guardarsi dagli assalti che provengono dal di fuori
dell’uomo, ma eliminare anche lo scaturire degli intimi pensieri".
La beata Sincletica
disse anche: "Come è impossibile fabbricare una nave senza chiodi, così è
impossibile che l’uomo si salvi senza umiltà"
La beata Sincletica
disse anche: "C’è una tristezza utile e una tristezza dannosa. Tristezza
utile è quella che ci fa piangere per i nostri peccati e per l’infermità del
prossimo e fa sì che non veniamo meno dalla risoluzione di giungere alla
perfezione del bene. Ma c’è anche una tristezza che viene dal nemico: è del
tutto assurda, e certuni la chiamano accidia. Bisogna dunque estinguere questo
spirito soprattutto con la preghiera e con la salmodia".
Un fratello chiese al padre Titoes: "Come posso custodire il mio cuore?".
L’anziano gli dice: "Come possiamo custodire il nostro cuore, se sono
aperti la bocca e il ventre?".
Sedeva un giorno il padre Titoes e un fratello era vicino a lui. Non sapendolo,
gemette. Quindi, inchinatosi davanti a lui, disse: "Perdonami, fratello,
non sono ancora diventato monaco, perché ho gemuto davanti a te"
Il padre Iperechio
ha detto: "Come il leone è terribile contro gli onagri, così il monaco
provato contro i pensieri di concupiscenza".
Il padre Iperechio
ha detto anche: "Il digiuno è per il monaco un freno contro il peccato;
chi lo rigetta, finisce per diventare come un cavallo pazzo per le
femmine".
Il padre Iperechio
disse anche: "Chi non domina la sua lingua nel momento dell’ira, non
dominerà nemmeno le passioni della carne".
Detto di padre Iperechio tratto dalla Adhortatio ad monachos: "La bocca del monaco
sia aperta per la parola di Dio, e il suo cuore mediti incessantemente le
parole di Dio senza distrazione".
Detto di padre Iperechio tratto dalla Adhortatio ad monachos: "Sopporta, monaco,
perché è breve la fatica della sopportazione, infiniti i secoli della
quiete".
Il padre Giacomo, conteso tra
gli ortodossi e gli scismatici che avevano i loro monasteri fronte a fronte
accanto alla sua cella e messo in guardia da ciascuna comunità contro l’altra,
caduto nel dubbio, se ne andò a supplicare Dio: si nascose in una cella
ritirata, fuori dalla laura, rivestito dell’abito
della sua vestizione monacale, come usano fare i padri egiziani quando stanno
per morire, e si mise a supplicare Dio e a macerarsi nel digiuno, finché cadde
a terra e vi rimase steso. Soleva raccontare di aver patito molto in quei
giorni da parte dei demoni, soprattutto nella mente. Trascorsi quaranta giorni,
vede entrare da lui un fanciullo pieno di gioia che, interrogatolo sul perché
del suo stato gli dice: "Dove sei, lì stai bene". A queste parole si
trovò subito davanti alle porte della santa chiesa degli ortodossi dei sinodi.
Il padre Foca raccontò anche
questo: "Il padre Giacomo, dopo essersi trasferito a Scete,
fu violentemente tentato dal demone della fornicazione. E poiché era in
pericolo di cadere, venne da me e mi palesò la sua situazione. Mi disse: – Da
lunedì andrò in quella grotta, ma ti prego in nome del Signore di non dirlo a
nessuno, nemmeno a mio padre; conta quaranta giorni e, quando saranno compiuti,
fammi la carità di venire da me portando la santa Comunione. Se mi trovi morto
seppelliscimi; se mi trovi vivo, fa’ che io riceva la santa Comunione. Udite le
sue parole, al compiersi dei quaranta giorni mi recai da lui portando la santa
Comunione e del pane bianco comune con un po’ di vino; appena mi avvicinai alla
grotta sentii un forte odore cattivo che usciva dalla sua bocca. Dissi allora
in cuor mio: – Il beato riposa per sempre. Ma entrando da lui, lo trovai
semivivo. Come mi vide, si mise a muovere la mano destra quel poco che poteva,
e col gesto della mano faceva cenno alla santa Comunione. Io dissi: – Ce l’ho.
Cercai allora di aprirgli la bocca, ma era serrata. Incerto sul da farsi, uscii
nel deserto e trovai un legnetto da un arbusto. Con molta fatica riuscii ad
aprirgli la bocca e vi versai, sminuzzandolo, quanto poté ricevere del corpo e
del sangue prezioso. Con la partecipazione alla santa comunione riprese forza.
Poco dopo inumidii qualche mollica del pane comune e gliela porsi; dopo un po’
glie ne porsi delle altre, quanto poteva prenderne. E così, per grazia di Dio,
il giorno seguente venne con me e si diresse nella propria cella, liberato, con
l’aiuto di Dio, dalla deleteria passione della fornicazione".
Il padre Or disse anche:
"Colui che è stimato e lodato più di quel che si merita, sarà molto punito;
ma chi non è affatto stimato dagli uomini, sarà glorificato dall’alto.
Il padre Or disse anche:
"Se si insinua in te un pensiero di superbia o di orgoglio, fruga nella
tua coscienza se hai custodito tutti i comandamenti, se ami i tuoi nemici e ti rattristi
dei loro mali, se ti consideri servo inutile e più peccatore di tutti. E allora
non penserai di te così alto come se tu avessi realizzato tutto". Sapeva
infatti che questo pensiero distrugge tutto.
Il padre Or disse anche:
"In ogni tentazione, non accusare nessuno, ma soltanto te stesso, dicendo:
– Questo mi accade per i miei peccati".
Il martedì e il giovedì, mangia
due volte al giorno: di nuovo sei once di pane, alimenti cotti con moderazione
e un po’ secchi, bevi vino misto ad acqua, se ne fai
uso, fino a tre o quattro coppe. La sera, mangiai tre once di pane, un po’ di
cibi secchi o della frutta, una coppa, o al massimo due, di vino per quietare
la sete. La sete giova enormemente alle lacrime, assieme alla veglia, come dice
Climaco: "La sete e la veglia rendono il cuore
contrito, il cuore contrito genera le lacrime". E sant’Isacco:
"A causa di Dio soffri la sete, in modo che ti sazi col suo amore".
Se in uno di questi due giorni decidi di mangiare una sola volta, agisci in
maniera ottima, perché il digiuno e la continenza sono il primo la madre, la
radice, la sorgente e il fondamento di ogni bene. Dice uno dei sapienti
profani: "Scegli la miglior vita; l’abitudine te la renderà
piacevole". E il grande Basilio: "Dove c’è fermo proposito, non ci sono
ostacoli". E un altro dei padri teofori:
"Principio del frutto, il fiore; inizio della praktiké la continenza". Ciò
e quanto ne deriva sembra ad alcuni difficile o anche impossibile, ma colui che
considera il suo frutto e osserva come in uno specchio quanta gloria viene così
generata, non considererà questo difficile e, con l’aiuto del Signore nostro Gesù Cristo e grazie ai suoi sforzi, in base alle proprie
possibilità, mostrerà con parole e opere quanto sia facile e con esse lo
confermerà. E dice sant’Isacco: "Un semplice
pane su una tavola pura purifica da ogni passione l’anima di chi se ne ciba.
Prendi per te il farmaco della vita sulla tavola di coloro che digiunano,
vegliano e si affaticano in Cristo e desta la tua anima dalla morte, perché l’Amato
siede in mezzo a loro, santificando i loro cibi e trasformando in dolcezza
ineffabile l’amaro della loro miseria. I suoi spirituali e celesti ministri li
coprono assieme ai loro cibi. L’odore di chi digiuna è dolcissimo e l’incontro
con lui rallegra il cuore del saggio. La condotta dell’astinente è cara a
Dio".