Conferenze e altri insegnamenti di Padre
G. Cappelletto S.J. sulla
meditazione e lo yoga tantrico |
❍ CONFERENZE 16
APRILE - 4 GIUGNO 1996
❍ Prima lezione (martedì 16 aprile 1996)
❍ Seconda lezione (martedì 23 aprile
1996)
❍ Terza lezione (martedì 30 aprile 1996)
❍ Quarta lezione
(martedì 7 maggio 1996)
❍ Quinta lezione
(martedì 14 maggio 1996)
❍ Sesta lezione
(martedì 21 maggio 1996)
❍ Settima lezione
(martedì 28 maggio 1996)
❍ Ottava lezione
(martedì 4 giugno 1996)
❍ CONFERENZE 16 APRILE - 4 GIUGNO 1996
Tra
parentesi quadre le annotazioni di natura filologica, pertinenti la
ricostruzione del discorso del Padre Cappelletto.
❍ Prima lezione (martedì 16 aprile 1996)
Diogene, l'antico filosofo, cercava l'uomo. Ai suoi tempi, si
diceva, era difficile trovarlo.
E anche ai nostri tempi non è facile trovare uomini - e donne
- equilibrati, padroni di sè, comprensivi, che sanno ciò che vogliono, in grado
di affrontare ogni situazione.
Moltissime persone credono che l'aver superato i tre momenti
di crescita - infanzia, adolescenza, giovinezza - e l'essere arrivati alla
cosiddetta età della maturità li esima finalmente da quella che è la grande
fatica e lo sforzo di crescere. Guardano con compatimento i ragazzi che si
tengono teneramente per mano e si amano, loro che sono "più avanti",
che "hanno sperimentato" tutto quel che c'è da sperimentare.
Persone che non hanno neppure l'idea che si possa crescere
ancora, che spesso si fossilizzano attendendo la vecchiaia e il declino.
C'è chi rimane imprigionato in una situazione di
infantilismo. Certe donne dicono: "ho non due, ma tre figli: debbo stare
sempre continuamente dietro a mio marito!".
Altre persone sono schiave della televisione, non possono
stare un istante, tornati a casa, senza accenderla; perdono ore della propria
vita che potrebbero essere dedicate alle letture, ad attività profittevoli come
l'apprendimento dello yoga, alla crescita personale.
Altre persone preferiscono giocare con i giocattoli dei loro
figli: con i trenini, con gli aeromodelli.
Altre persone sono prese da fanatismo per la squadra del
cuore, sognano scudetti, soffrono - e perché poi? - per le sue sconfitte,
sognano di morire di un colpo apoplettico nel momento della conquista del
ventesimo scudetto. C'è chi ha detto che allo stadio lo spettacolo più
divertente non è quello degli atleti, ma quello dei tifosi.
La prima cosa che colpì Padre Cappelletto una volta arrivato
in India fu la convinzione con cui lì si parlava dei cinque livelli di
coscienza:
● Primo livello:
Concentrazione. Riuscire a portare a livello di
acme, di potenziamento massimo tutte le facoltà: intelligenza, memoria,
sentimento, tutte potenziate al massimo. Questo dà modo da poter compiere cose
che sono ordinariamente ritenute fuori della nostra portata.
● Secondo livello:
Superate le apparenze, si guarda l'entità, la
realtà nella sua vera sostanza.
● Terzo livello:
La coscienza si evolve e purifica, e si
comprende come si svolgono le cose, si giunge realmente a capire il gioco, si
comprende cosa o chi ci è di ostacolo e cosa o chi ci aiuta sulla via del
perfezionamento. Si possiede una visione che non si lascia ingannare
● Quarto livello:
Si arriva al grande livello cosmico. Il proprio
volere si identifica col Suo volere. E' l'"excessus mentis", la
sensazione ineffabile di essere nella stanza dei bottoni, di prendere parte
alla direzione delle cose.
● Quinto livello:
Ma, ancora oltre il punto precedente, si dice
che ci sarebbe concesso arrivare a toccare le grandi forze infinite che dominano
l'universo
Ecco, in sostanza, da tutto quanto detto, il
programma del corso e della pratica.
Quanto detto sui livelli di coscienza, in Occidente non si
trova che per accenni: si parla di estasi, profezia, "excessus
mentis". Non se ne vede la concatenazione, e soprattutto non viene
indicato come ci si mette sulla strada.
In qualche scritto è adombrata questa esperienza: nel brano
evangelico della trasfigurazione ci è mostrato che quando Gesù volle additare
ai discepoli la perfezione scelse i tre più forti, robusti, e li condusse nel
massimo isolamento attraverso cinque tappe ben precise.
E innanzitutto è detto che "li mise in preghiera".
Fuori della Sinagoga, “pregare" voleva dire stare seduti, ad occhi chiusi.
E questo è il primo livello.
Poi, i discepoli sono
sensibilizzati da una intensa fonte di luce e sono indotti ad aprire gli occhi.
Dinanzi a loro compare il Maestro luminoso e trasfigurato. Gregorio Nisseno
dice: "i loro occhi hanno cominciato a svelarsi", cioè a giungere a
vedere sotto le apparenze. E questo è il secondo livello.
Poi i discepoli vedono due personaggi, e ascoltandoli parlare
si accorgono che sono Mosè ed Elia, cioè due persone morte rispettivamente da
duemila e da settecento anni. E' una esperienza incredibile, impressionante,
traumatica. I tempi sono mescolati. Figure del passato discutono nel presente
con Cristo della futura passione. E questo è il terzo livello.
Pietro vuole accamparsi sul Tabor: siamo all'"excessus
mentis", al quarto livello di coscienza.
Infine, una nube bianca li avvolge: aumenta la luminosità, ma
diminuisce la visibilità. Si tratta di quella che i mistici chiamano
"notte", "notte luminosa/tenebrosa". I discepoli sentono la
voce dall'alto e crollano: è una esperienza che l'umanità ordinaria non riesce
a reggere.
E quando Cristo li chiama alla realtà non vedono più nulla.
La strada è stata solo additata, occorre ancora iniziare a percorrerla. Cristo
dà un tipico precetto iniziatico: non parlarne prima che tutto sia compiuto.
Nella Chiesa greca i mosaici pavimentali iniziano con la
trasfigurazione, che
è il punto iniziale e
finale dell'itinerario cristiano.
Il Padre Cappelletto, col suo corso, dirà cosa occorre fare e
come prepararsi ad intraprendere un simile itinerario. Occorre mettere nel
bagaglio abitudini fisiche, psicologiche, anche coraggio, per percorrere una
via che non richiede tanto fatica, quanto impegno DIUTURNO.
E' una via che vale la pena di percorrere, perché porta a
"cose colossali" [parole testuali di Padre Cappelletto]. I cinque
livelli sono quindi preceduti da un prelivello che riguarda la conoscenza degli
strumenti, affinché, quando ci si troverà di fronte a certi ghiacciai o pareti
a strapiombo non si rimanga a corto di ramponi... Inoltre saranno date
istruzioni per non cadere in situazioni poco desiderabili, peggiori di quelle
da cui siamo partiti.
Per tutto ciò, occorre che si faccia esperienza delle cose
dette. Alla fine di ogni chiacchierata saranno proposti degli esercizi cui
tutti dovrebbero partecipare, per non creare distonia nel gruppo.
Essenziale, come passo iniziale, è dominare la propria mente.
La nostra mente gira sempre a grande velocità. Preoccupazioni, pensieri la
occupano in permanenza; le preoccupazioni e le cose da fare l'indomani tendono
a togliere anche il sonno.
La scoperta fondamentale fatta da Berg all'inizio del secolo,
è che la nostra mente si esprime emanando onde cerebrali. Con
l'elettroencefalogramma tali onde sono state captate. I pennini
dell'apparecchio sono cinque, tanti quanti i tipi di onde conosciute. Le onde
si distinguono per le diverse velocità:
1) sopra i 12 cicli abbiamo le onde beta. E' il
cervello di un individuo sano, attivo, occupato, affaccendato.
2) Dagli 8 ai 12 cicli abbiamo le onde alfa,
tipiche di uno stato di calma, tranquillità, dello stato di chi quasi quasi si
addormenta.
3) Da tre a otto cicli abbiamo le onde theta,
tipiche del sonno profondo e senza sogni o di stati precomatosi.
4) Da zero
a tre cicli abbiamo le onde delta. Il cervello ormai è in coma, più o meno
grave. Oltre questo stato c'è l'elettroencefalogramma piatto, con occasionali
sobbalzi di attività. E' la morte cerebrale; gli organi possono ormai essere
donati.
Per la meditazione occorre almeno porsi nello stato alfa. Il
sonno alfa può portare immagini molto significative per l'inconscio.
Con facilità, dopo qualche mese di attività si può arrivare a
raggiungere da svegli lo stato theta.
E si può arrivare anche allo stato delta: si vede allora
l'individuo che si distende, cade, e va lasciato stare, mentre sta facendo la
più grande esperienza della sua vita.
Ogni movimento fatto con muscoli volontari si riflette nel
cervello, che produce onde cerebrali. Bisogna bloccare questi movimenti
volontari, ma non la vita: debbono continuare i movimenti involontari della
peristalsi, della respirazione, del battito cardiaco, che non dànno luogo ad
onde cerebrali.
Essenziale è occuparsi della respirazione. La respirazione
toracica avviene tramite muscoli volontari, mentre quella diaframmatica avviene
tramite muscoli involontari.
Un tempo era comune presso i medici l'affermazione che gli
uomini possiedono una respirazione diaframmatica o addominale mentre le donne
una respirazione toracica. Ma, in realtà, l'unica respirazione naturale è
quella diaframmatica.
Tutti i bambini respirano con l'addome, come pure gli atleti,
i cantanti, i suonatori di strumenti a fiato.
La respirazione diaframmatica massaggia l'addome (esattamente
quanti sono i respiri: 50.000 volte al giorno), evitando che i fluidi digestivi
ristagnino provocando calcolosi, flatulenza, stitichezza, dispepsia. La
respirazione toracica è errata, tipica delle persone angosciate, represse,
depresse, di chi è sull'orlo di una crisi di pianto.
Occorre fare degli esercizi per muovere, impiegare il
diaframma. Si tratta di un muscolo trasverso. A titolo di curiosità: è di
diaframma il frammento coriaceo che viene messo apposta nelle scatolette di
carne.
Abbassandosi, il diaframma fa espandere i polmoni e schiaccia
la massa addominale che fuoriesce formando pancia. Alzandosi in due piccole
cupole, comprime i polmoni mentre l'addome fa buco.
Per percepire il diaframma e i suoi movimenti si possono
mettere le mani sull'addome e percepire il movimento dei visceri.
Si può mettere la mano sinistra sulla parte destra del petto,
e la mano destra sull'addome, facendo "trenino": rapide e brevi
inspirazioni ed espirazioni, durante le quali si può sentire il gioco dei
muscoli respiratori.
Si possono percepire i movimenti polmonari toccandosi le
costole sul retro della gabbia toracica.
Distesi, si può porre un libro sull'addome e osservarne
l'andare su e giù.
Durante questi esercizi chi aveva il diaframma bloccato
accusa un lieve capogiro, dovuto alla maggiore ossigenazione di cui viene ora a
beneficiare.
❍ Seconda lezione (martedì 23 aprile 1996)
Dovendo affrontare un impegnativo combattimento è opportuno
conoscere il terreno della battaglia. Ancora meglio, conoscere la macchina da
combattimento.
Il corpo umano è la nostra macchina da combattimento. Il
corpo è una macchina complicatissima, che nasconde una grande quantità di
segreti. La medicina non ha ancora scoperto che in parte tali segreti. Se un
medico, dopo anni di studi, non conosce ancora del tutto il funzionamento del
corpo, figurarsi in che condizione è una persona comune, di solito totalmente
disinformata al riguardo.
Il corpo, non ci si stancherà mai di ripeterlo, è una
macchina complessa, ricca, forte, ma anche delicata, fragile, che non va
sottoposta a sollecitazioni violente o eccessive. Vi sono persone che non sanno
nulla del proprio corpo, e, naturalmente, non hanno la minima idea di come vada
trattato.
Negli ambulatori circolano barzellette su individui che sanno
solo indicare un generico dolore e un punto del corpo ed evadono le domande più
precise del medico con un "veda lei". Tocca al medico affannarsi,
denudare, palpare, in sostituzione di un soggetto che percepisce confusamente
una parte malata del proprio corpo, figurarsi la parte sana. "Dottore, mi
fa male qui, veda lei".
Eppure siamo persone di una certa cultura. Ma a quanto pare,
di una automobile che non parte sappiamo aprire il cofano, ricercare e anche
trovare il gusto, e magari ripararlo. Nel caso del corpo c'è la mancanza più
completa di conoscenza: si chiama subito il medico al primo segno di malore o
malattia.
Non sappiamo o non vogliamo neanche prestargli le prime cure.
Trattiamo il nostro corpo con una irresponsabilità che
talvolta sfiora l'autolesionismo. Si ascoltano conversazioni che descrivono
pranzi pantagruelici, in cui i commensali vomitano per poter rimpinzarsi di
nuovo fino alla sazietà e alla nausea completa e lasciano la tavola pieni da
scoppiare, da non poterne più. Si ascoltano alpini vantarsi di aver prosciugato
le osterie della zona del raduno, di essersi ubriacati come squali, di aver
cantato come disperati, un anno dopo l'altro. Con la facilità con cui può
capitare un infarto, un piccolo embolo (e infatti, ogni anno, capitano simili
incidenti in tali raduni). Ci sono persone che senza preparazione atletica
scalano cinque cime in un giorno, e si riducono a pezzi, con le gambe gonfie e
dolori dappertutto.
Tutto questo lascia un segno nel nostro corpo. Il triste
risultato di tanti insulti lo vediamo impudicamente esposto sulle spiagge:
corpi quarantenni o cinquantenni, a vent'anni capolavori della natura, che in
qualche decennio abbiamo ridotto alla devastazione: natiche cadenti, cellulite,
pancia, adipe, pelle cascante.
Il nostro corpo è lo strumento attraverso cui dovremo fare
esperienze spirituali altissime. Dobbiamo capirne il valore, la delicatezza,
allenare questa macchina, usarla, metterla in moto. Si comprende da queste
considerazioni il significato delle parole del Buddha: "Il vostro corpo è
il luogo dell'Atman" (l'Atman, nella visione panteistica buddhista, è il
principio spirituale onnipervadente). S. Paolo riecheggia queste parole ed
espone un concetto esattamente identico là dove dice: "Il vostro corpo è
il tempio dello
Spirito". Non occorre andare lontano, allontanarsi da sé
per trovare il ricettacolo dello spirito. Occorre solamente cambiare la visione
delle cose.
Nel "Libro della Corte Gialla" è detto:
"Quando il Principe visita la sua provincia, tutti i maggiorenti si recano
in visita, e lui, da una stanza larga un cubito, da un trono piccolo un
pollice, dispensa le sue grazie a tutti, e tutti ne attingono. La luce di
queste grazie deve circolare per tutta la provincia e cristallizzarsi".
Secondo la scienza mistica adombrata in questo testo, nel
capo, tra la ghiandola pituitaria e la pineale, è la sede da cui parte il
raggio della coscienza, che deve illuminare tutte le parti del corpo, ed essere
così abbondante da cristallizzare, da renderlo luce. Gli stessi concetti
esprime la mistica greca, ad es. con Nicodimo Aghiorita, che teorizza sul corpo
di luce che nell'uomo deve crescere e svilupparsi.
Il nostro corpo è frutto di una evoluzione filogenetica
durata millenni, che ha continuamente arricchito e dotato di nuove possibilità
questa manifestazione di vita. E' stata questa evoluzione a sviluppare un
sistema ghiandolare complesso, e infine a darci la postura eretta, con il che
tale sistema ghiandolare è stato gerarchizzato.
Il nostro corpo è formato da numerosi sistemi: ghiandolare,
osseo, nervoso, linfatico, muscolare, circolatorio, strettamente interconnessi.
Un foruncolo, un piccolo osso rotto possono ripercuotersi sui restanti sistemi,
possono mettere in crisi la macchina corporea.
Il nostro corpo è un organismo complesso, ricco, delicato,
che tanto più è conosciuto, tanto più diventa nostro strumento. Nella normalità
dei casi noi ignoriamo invece il nostro corpo. Sentiamo - questo sì - l'organo
quando c'è la malattia, il fegato ingrossato che opprime i visceri, ma dovremmo
percepire l'organo sano, la sua posizione, durezza, morbidezza, pulsazione,
ecc.
E' l'esercizio che ci mette in mano questo strumento. Per
intanto è molto importante sapere che è una macchina, che è affidata alle
nostre cure. Sapere ad esempio che gli zuccheri non vengono digeriti prima
delle 15, e pertanto riempirsi di zuccheri prima di quel periodo serve solo a
gonfiarsi. Vanno fatte le pulizie del corpo, a cominciare da quella dei denti.
Purtroppo, c'è chi ignora le regole elementari di questa manutenzione.
Sbagliando tutto, danneggia il corpo. Quando il corpo è danneggiato, è
difficile, difficile recuperare lo stato perduto.
Il corpo ha delle esigenze: vi sono delle regole igieniche,
dietetiche, dinamiche da rispettare per mantenerlo in buona salute, per
aumentarne la salute. Accenneremo qui a delle regole orientali molto
intelligenti, che vanno sotto il nome di "niyama" [scrittura incerta]
[attenzione: nella terza lezione P. Cappelletto ha detto di aver fatto
confusione tra "yama" e "niyama": questi sarebbero dunque i
precetti "yama", mentre i precetti "niyama" sarebbero
esposti nella lezione successiva].
La prima regola è la pulizia corporea. Soprattutto quando
siamo in contatto con ambienti sporchi. Dopo aver fatto le pulizie, soffiandoci
il naso, vediamo come il muco sia nero. Segno che il nostro corpo è stato
sporcato e necessita di pulizia.
Dice la prima regola di far scorrere l'acqua, di "lavare
i peli", per peli intendendo dai baffi in giù. Più che strofinarsi col
sapone è importante far scorrere l'acqua, percepire la sensazione dell'acqua che
scorre, ad es. fresca sulla schiena.
Ma come va lavato l'esterno va lavato anche l'interno. I
condotti nasali sono lunghi una ventina di centimetri, sono foderati di tessuto
spugnoso, che secerne muco. Questo muco diviene facilmente ricettacolo di microbi,
in primo luogo di stafilococchi e altri batteri dello stesso tipo, diviene
catarro infetto. Occorre pertanto, durante il lavaggio esterno, raccogliere
acqua con le mani a coppa, inalarla con le narici e sputarla dalla bocca.
Per i principianti però, l'esercizio iniziale dovrà essere
quello di piegare la testa orizzontalmente con l'orecchio in basso e di far
sgocciolare con la punta delle dita, nella narice posta più in basso, qualche
goccia d'acqua.
Entrata nel naso con tale sistema, l'acqua finisce naturalmente
per uscire dalla bocca senza problemi.
Tali purificazioni liberano il condotto nasale per tutta la
giornata, dando una sensazione di vitalità e benessere. Per coloro che hanno
difficoltà è opportuno utilizzare acqua tiepida e, meglio ancora, salina.
L'ideale è l'acqua di mare. Quando si è al mare occorre approfittarne per fare
delle purificazioni.
La importanza della purificazione dei condotti nasali è
capitale: il nostro cervello è un organo raffreddato ad aria, ed è
indispensabile che l'aria circoli liberamente nelle cavità nasali. Ad una buona
ventilazione corrisponde un buon funzionamento di ciascuno dei due emisferi, e
il mantenimento delle funzionalità ad esso associate: lo studio nel caso di
quello destro, il sonno, la digestione, nel caso di quello sinistro (vedi gli
studi sulla diversa funzione degli emisferi cerebrali.
Pure importanza fondamentale ha mantenere in buono stato i
due filtri dell'organismo: fegato e reni. Non c'è migliore o altro modo
naturale di pulirli se non bevendo. I bimbi bevono molto, chiedono
continuamente da bere ai genitori. Gli adulti, essendo di mole maggiore,
dovrebbero consumare più acqua, e invece ne consumano di meno. Dovremmo bere
due litri di acqua al giorno. Chi ha facilità ai calcoli deve berne di più.
Per facilitare l'assunzione d'acqua dovremmo bere un quarto
di litro al mattino appena alzati, quando bere è meno sgradito che in altri
momenti della giornata. Tra le otto e le dodici, quando scarichiamo l'acqua
bevuta, beviamo altra acqua. Così pure tra le 15 e le 20.
Bevendo, si previene il bisogno di far saliva, che ci spinge
ad assumere beveraggi in prossimità dei pasti, aperitivi e simili. Il fatto è
che, avvicinandosi il momento del pasto, gli odori, le immagini, il pensiero
del cibo stimolano la secrezione dei succhi gastrici, a cui segue subito la
discesa della bile. Se bevessimo in questo momento faremmo un gran danno,
perché l'acqua porta via tutti i succhi apparecchiati per la digestione.
Beviamo all'inizio del pasto perché, non avendo bevuto prima, la saliva tende a
divenire viscosa, a seccarsi, e ci induce ad assumere liquidi. Bevendo, abbiamo
lo stomaco pesante. Dopo i pasti possiamo bere una scodella di tisana o caffé
d'orzo (tre scodelle, per i tre pasti principali).
Seguendo questi consigli, completeremo senza sforzo la
assunzione del quantitativo d'acqua consigliato (due litri). Gli effetti
positivi non mancheranno di farsi sentire: pelle luminosa e tonica;
eliminazione della stitichezza. Il padre Cappelletto ha visto troppe volte
persone stitiche diventare degli orologi grazie alla assunzione di acqua. Il
nostro corpo ringiovanirà.
Occorre anche purificare i polmoni andando a respirare aria
sana qualche volta alla settimana fuori città. E' da irresponsabili fumare o
stare più del dovuto in ambienti inquinati. Il velo parietale che separa il
tessuto polmonare dalle vene e attraverso il quale deve avvenire il laborioso
processo di trasferimento dell'ossigeno è già estremamente delicato senza il
bisogno degli insulti del fumo, che provoca enfisemi e anche tumori. Senza
contare che si tratta di una abitudine molto difficile da estirpare.
Ma occorre anche pulire la immaginazione, la fantasia, non
gravarla con immagini, fantasie che la turbano, e massime con odi, rancori,
rimpianti.
Evitiamo i pensieri negativi. Siamo figli della luce e
dobbiamo andare verso la luce.
Occorre che ricerchiamo "santosha" [grafia
incerta], la calma. Nella città, luogo della attività frenetica, della
competizione, dell'ambiente di lavoro poco favorevole alla calma, è difficile
trovarla. Se ci distendiamo in un prato, nella calma lontana dalla città,
possiamo sentire il nostro corpo che scricchiola, si espande, fiorisce. Non
potendo abbandonare l'ambiente cittadino, la cosa più intelligente che possiamo
fare è evitare tutti gli eccitanti: caffeina, teina, alcool oltre una certa
misura e gradazione, fumo, televisione, musica troppo sincopata.
Caffeina e teina: non abusiamo del caffé. Il caffé è una
droga molto forte.
Assunto da un organismo sano un caffé di primo pomeriggio
impedisce di addormentarsi sino alle tre di notte. Anche l'alcool, oltre un
certo livello, tocca il cervello, lo danneggia irreversibilmente. Il Padre
Cappelletto, poi, manda decisamente via i fumatori dai suoi ritiri in campagna.
La televisione innervosisce. Le immagini televisive si
fissano nella memoria, e il cervello è costretto ad impiegare, per smaltirle,
le prime ore di sonno.
Solo dopo quel momento possiamo realmente dormire e
rilassarci. Sono centinaia le immagini televisive che ci giungono in un minuto,
impregnando il nostro cervello, contro l'esiguo numero di immagini che
immagazziniamo durante una passeggiata.
La musica sincopata ha un diretto effetto sul cervello, lo
debilita e lo priva in breve tempo della possibilità funzionare bene. Gli
incidenti del sabato sera sono una tragica riprova dell'effetto disturbante
della musica molto sincopata: dopo due ore il cervello, che è più sensibile
delle piante, non connette più normalmente, non ragiona più.
Esperimenti condotti con piante in culture idroponiche hanno
mostrato che la musica rock, protratta per una settimana, ha ucciso tutte le
piantine (nessun effetto ha avuto la musica classica). Delle piante mobili
(rampicanti), in un recente esperimento canadese, in un mese si sono avviticchiate
ad altoparlanti che diffondevano musica di Bach, mentre tentavano di fuggire
dalle sorgenti sonore di musica rock suonata nel cubicolo dove erano state
poste. Occorre “abbassare i volumi", non far gridare la gente, parlare con
tranquillità, generare tranquillità. “Tapa" [grafia incerta],
"servizio". Il nostro corpo riesce a fare cose notevoli, che ci
stupiscono, purché certe facoltà siano sviluppate. La madre che sente il vagito
del figlio nel pieno di un sonno profondo, mentre prima della gravidanza aveva
un sonno di pietra; la madre che sente la ferita e la morte del figlio prima
che glie ne giunga notizia, ha sviluppato, mercé la lunga simbiosi con
l'organismo del figlio, delle facoltà percettive, delle antenne.
Ma queste antenne le sviluppiamo solo quando le esercitiamo.
Dobbiamo crearci da noi le occasioni di questo esercizio, visto che nella città
non vi sono le occasioni che permettono ad es. ai selvaggi di sviluppare nella
foresta un sesto senso che consente loro di evitarne tutte le insidie. Ogni
giorno obblighiamoci ad un servizio alle piante, ad un servizio agli animali,
ad un servizio agli uomini e alle donne.
Servizio alle piante: le piante sono state create per noi, ci
sentono, hanno reazioni di paura e angoscia quando le mutiliamo, fioriscono con
il nostro affetto e le nostre cure, che esse percepiscono. Noi, ordinariamente,
prestiamo poca attenzione alle piante, vediamo solo persone, oggetti, vicende.
Vi sono persone di una certa età che riferiscono a Padre Cappelletto di essersi
accorte che Torino è una città piena di piante!
E' importantissimo allungare questa antenna, dobbiamo
percepire le piante, tenere delle piante in casa e sensibilizzarci ad esse,
dedicare loro delle cure, parlare loro. Le piante sono sensibili, e ci sentono.
Padre Cappelletto ha fatto fiorire una pianta grassa parlandole e dedicandole
attenzione. Una signora ha fatto rivivere una pianta di orchidea gettata nel
cassonetto curandola con uovo sbattuto e amore. Occorre sviluppare il "pollice verde".
Servizio agli animali. Se non si hanno spazi in casa, non
tenerli in casa. Se si ha giardino si può tenerli in giardino. Se non si ha un
giardino, lasciare del cibo sul davanzale o altrove. Gli animali verranno e
gradualmente si avvicineranno. Essi sentono un ambiente favorevole. Nel casale
dove vive Padre Cappelletto nidificano perfino magnifici gufi reali, c'è una
presenza continua di uccelli, i cani vengono dal circondario durante i raduni.
Parlate ai gatti, agli uccelli, agli animali. Naturalmente
essi non capiscono, ma sentono la vicinanza. Padre Cappelletto, una volta, ha
gettato del cibo a un cane che era stufo di sentire ringhiare e gli ha detto di
seguirlo. Poi si è girato e cammin facendo gli ha esposto i decreti delegati
della scuola. Alla fine il cane gli è saltato al petto e si sono abbracciati.
Il cane alla fine lo preferiva al padrone. Il padrone pare lo
trattasse male.
La pianta, l'animale, è
fatto per noi, si china su di noi. Ci sente, e può regalarci la capacità di
sentire [appunti: "questa capacità"].
Servizio a uomini e donne. Con garbo diverso a seconda che
sia un uomo o una donna. Sorridere, mostrarsi gentili, disponibili, secondare e
aiutare una parsona che ha fretta, che vuole scavalcarci nella fila, avvicinare
le persone.
Debbono sentire che abbiamo una disposizione favorevole, che
siamo disponibili.
Intrecciare una conversazione in treno, rispondere
gentilmente a chi ti chiede che libro stai leggendo.
Altro precetto: Lettura di una pagina di un libro ispirato
tutti i giorni, ad alta voce, cercando di comprenderla. Libri ispirati esistono
in tutte le grandi tradizioni spirituali: "I Ching",
"Tao-Te-Ching", "Racconti della primavera" (Giappone),
"Upanishad", "Mahabharata", il cui nono capitolo costituisce
la incomparabile "Bhagavad-Gita", "Corano", Nuovo ed Antico
Testamento. Sono libri che occorrerebbe avere tutti nella biblioteca.
Altro precetto: non sprecare i beni della vita: non sprecare
il cibo esagerando con il mangiare e il bere. Il vestito deve coprire, non
scoprire.
Certi fuseaux sono poi francamente orribili. Certi maschietti
sono abituati sin da piccoli con seta e altri vestiti raffinati, e par di
vederli venir su molli ed effeminati. Il vestito deve essere maschile. E poi,
il difetto della eccessiva profusione di vestiti! Armadi rigurgitanti di
vestiario. Potremmo vestire gli ignudi quasi senza accorgercene, con tutto il
superfluo che abbiamo.
La abitazione deve essere spartana. E' il luogo del nostro
combattimento. Vi sono abitazioni concepite non per la lotta e il progresso, ma
per il riposo: cuscini, divani, poltrone rilassanti, letti sontuosi, stereo e
televisori dappertutto. Questo danneggia anche i ragazzi, che, per studiare
hanno bisogno, come tutti, di un ambiente più spartano: un tavolino, una sedia
scomoda, e tanta fatica. Ci sono genitori che confessano che il figlio studia
in poltrona davanti alla televisione e si meravigliano che vada male a scuola!
Ci sono case con luoghi sontuosi di riposo: stanza con tende,
di colori smorzati, silenziosa, con al centro catafalchi con materassi soffici,
piumini e coperte sontuose, doppia spuma di uncinetto. Con tutta la fatica che
si fa ogni mattina per dare aria alle coperte, arriva poi il mal di schiena e
il medico prescrive la tavola sotto il letto. Avremmo fatto prima a fare come
gli arabi e i giapponesi, che dormono in terra, sul duro, e che sono più puliti
e robusti.
Occorre che in casa si stimoli anche la educazione, la si
promuova con decisione. Il sei politico degli anni sessanta ha fatto entrare
nella scuola una generazione di professori ignoranti.
Usare con cautela, il meno possibile, le medicine chimiche.
Come minimo affaticano il fegato, lasciano il segno nell'organismo. Preferire
le medicine naturali: argilla (antiflogistica, antinfiammatoria, antisettica),
acqua, erbe e tisane, digiuno.
Il digiuno è preferibile
alle cure chimiche della influenza: si può anche andare a lavorare a digiuno
con la febbre, se non è alta. Il digiuno tiene bassa la temperatura, e in due
giorni scaccia la febbre. Anche gli animali più voraci, quando si sentono male
digiunano, e niente li smuove da tale comportamento. Noi spesso, di fronte ad
una influenza, ci imbottiamo di medicine, cibo ("perché bisogna reagire,
acquistare energie col cibo"), brodi e beveraggi con intrugli, finiamo per
sudare la notte come cavalli, e al mattino siamo tutti rintronati. Seguendo
questi precetti si inizia a prendere il corpo, a scoprirne i segreti.
Altro precetto: la "conversione". Oggi si ha la
tendenza ad uscire fuori di noi, mentre invece le cose interessanti, profonde,
sono entro di noi. Ci sono persone che in casa hanno stereo, libri e
quant'altro, ma la sera fremono per uscire. Si sente dire: "DEBBO
uscire"; "BISOGNA andar fuori"; "Debbo essere invitata,
sennò sono infelice". Si vuole andare dove si percepisce illusoriamente
felicità, benessere. Si dice fin ai bambini: "se sei buono ti porto a
Milano (da Torino)"; "Se sei buono ti porto a Torino (da Milano).
Si va a teatro, a sentire un concerto, e non si capisce che
quelle sensazioni coinvolgenti sono nate dall'opera di una persona che ha
scrutato, attinto dal proprio intimo. L'arte viene dal cuore. Ci riduciamo a
mendicare dagli altri ciò che si ha in cuore. E' confortante sapere che c'è
ancora gente che fa ancora arte sana, non aberrante: vuol dire che è ancora capace
di mettersi in contatto col cuore.
Occorre "spegnere" queste rutilanti luci esterne,
abbandonare o moderare la televisione, le uscite, ecc. Sentirsi dentro. Dentro
di noi percepiremo ciò che non abbiamo mai percepito, impareremo a conoscerci,
a conoscere aspetti ignoti della nostra personalità. Solo così si potrà
regalare agli altri la buona parola, la attenzione. E' questa la
"conversione", dall'esteriore all'interiore.
❍ Terza lezione (martedì 30 aprile 1996)
Il sistema ghiandolare umano si è verticalizzato quando
l'uomo ha acquistato la postura eretta. Le ghiandole sono infine
"fiorite" nel cervello.
Le ghiandole sono al servizio della vita. Esse generano
infatti potenti - potremmo sinanco dire violente - spinte verso le attività
vitali, attraverso la secrezione ormonale. Esse sono collegate con le passioni,
che ci inducono a vivere più intensamente.
Ma le passioni vanno controllate, dominate, affinché non si
instauri un circolo che le amplifica pericolosamente: l'ormone, in concorso con
altre condizioni (cibo, ambiente), stimola la passione; questa, a sua volta (si
pensi alla paura) stimola la produzione ormonale, e così via in un circolo che
può portare alla follia, a perdere il controllo di sé stesso, poiché la
passione offusca la ragione ["si va fuori di testa"].
Le passioni servono alla vita: ad esempio la rabbia è legata
alla autodifesa, ma se sfrenata può portare al delitto. Tutte le legislazioni
conoscono l'effetto della passione sulla psiche razionale, e concedono
l'attenuante per il delitto passionale, poiché la passione travolge.
La passione è necessaria per incentivarci, per il compimento
delle attività necessarie alla vita: chi coltiverebbe, raccoglierebbe,
conserverebbe, cucinerebbe, pulirebbe la cucina in modo assolutamente
ripetitivo se non ci fosse la fame? La fame è una grande passione, capace di
generare grandi spinte a livello individuale e collettivo, ma se si esagera si
rovina il fegato, si ingrassa, invece di lavorare si dorme.
Anche il sesso è una passione che incentiva all'azione.
Passati i 25-30 anni chi si sposerebbe più senza lo stimolo del sesso? (e già a
25-30 anni ci si pensa 50-60 volte prima di sposarsi).
Le passioni sono dei grandi strumenti ["grande
cosa"] in mano a persone intelligenti che sanno quanto sono pericolose.
Sono come un'auto fuoriserie che occorre imparare ad usare. Quando si
stimolano, occorre saper cavalcare la tigre.
Occorre studiare bene il corpo umano. Esso possiede
innumerevoli ghiandole: una dozzina di grosse ghiandole, centinaia di ghiandole
piccole (sebacee, linfatiche, ecc.), milioni di ghiandole piccolissime, di
dimensione cellulare o poco più. Queste ghiandole interagiscono ed agiscono
sull'organismo in modo estremamente complesso, regolato al decimillesimo di
microgrammo ["decimillesimo di micron"].
Ad ogni gruppo di ghiandole corrispondono determinate
passioni. Bisogna mantenere funzionanti le passioni perché siano in grado di
procurarci vantaggi, ma al contempo dominate. Si tratta di un gioco
sottilissimo, di cui sappiamo per giunta ancora poco. I testi di endocrinologia
sono quelli che invecchiano più rapidamente, poiché di continuo sono scoperte
nuove ghiandole. Recentemente è stato detto a Padre Cappelletto che sono state
individuate ghiandole persino nel cervello.
Occorre tenere deste le ghiandole, ma al contempo tenerle
dominate. Dominare le ghiandole vuol dire dominare le passioni. Per dominare le
passioni occorrono delle regole, dei precetti. Da millenni le varie religioni,
con la loro precettistica, si prefiggono questo obiettivo. La Chiesa Cattolica
ci presenta dei precetti, primi fra i quali i dieci comandamenti, per dominare
le passioni.
Oggi, in occidente, sentiamo tali precetti estranei, ne
abbiamo dimenticato il significato, troviamo il loro numero eccessivo. Nel
libro "Dio su una Harley" la protagonista, rivolgendosi al Signore,
si lamenta per l'eccessivo numero di comandamenti.
Tanto vale allora prendere questi comandamenti dall'esterno,
vale a dire dall'oriente, e semplificarli, riducendoli ai 5 comandamenti del
"niyama".
Ahimsa: "non fare violenza a nessuno". E' un
precetto chiaramente connesso con il controllo delle passioni, perché la
violenza è l'esito estremo di una passione. Non fare violenza alle piante, ai
bambini. In particolare, tenere presente che un bimbo non può diventare buono
con la cattiveria. Deve essere corretto, incoraggiato, ma mai con la violenza.
Non fare violenza agli uomini, perché sono debiti che si scontano. Non fare
violenza agli animali.
Fraternizziamo con gli animali, osserviamo gli animali, che
talvolta possono insegnare a noi come agire.
Uccidere gli animali per mangiarli non è proibito da nessuna
legislazione civile o penale. Ma la strada della meditazione e della
spiritualità dovrebbe sensibilizzarci nei confronti di questa violenza che
facciamo loro. In realtà esistono motivi fisici, psicologici, e spirituali che
sconsigliano di mangiare carne.
Da un punto di vista fisico (fisiologico) si può notare che
il nostro intestino è più lungo di un terzo rispetto a quello di un carnivoro.
Un pasto ricco di elementi putrefattivi, che questo evacua in due giorni,
staziona pertanto nel nostro apparato digerente un giorno in più. Il nostro
sistema digerente è più vicino a quello degli erbivori.
La flora intestinale che possediamo è fatta per ricavare
proteine e principi nutritivi dai vegetali, e viene bruciata dalla assunzione
di carne, sin dai primi mesi dello svezzamento (è sintomatico che il bambino in
un primo momento rifiuti o rigetti gli alimenti carnei). Una volta che tale
flora intestinale è bruciata, l'organismo rimarrà dipendente dall'esterno per
le proteine che non riesce più a sintetizzare a partire dalle verdure, e si
crea una dipendenza dalla carne. Per liberarsi da essa, rigenerando la flora batterica,
occorre un periodo superiore ad un anno (10-14 mesi, ricorda nel suo caso Padre
Cappelletto), dopo il quale siamo nuovamente in grado di apprezzare gli
alimenti vegetali, e le verdure ci fanno di nuovo venire l'acquolina in bocca.
E' ormai provato che il consumo di carne favorisce
l'insorgenza di tumori al retto, allo stomaco, al duodeno. Ma i maestri
orientali si spingono più oltre, e affermano che TUTTI i tumori derivano dal
consumo di carne.
Per questo in un grande centro antitumori di Milano e da
parte dello scienziato che lo dirige [probabilmente Umberto Veronesi?] si
consiglia di non mangiare carne. La carne è satura di acidi prodotti nel
momento della morte e nei momenti di panico e terrore che la precedono. Da
questa saturazione deriva la rigidità cadaverica, che richiede la frollatura
della carne, che può arrivare anche a durare quindici giorni, in frigo o nelle
spezie. Noi consumiamo quindi un alimento semi decomposto.
Da un punto di vista psicologico, la meditazione dovrebbe
sensibilizzare nei confronti della violenza agli animali. Un individuo normale
dovrebbe reagire con paura, orrore, ripugnanza ad immagini di morte e di
sangue, sia che riguardino la propria che le altre specie animali.
Di fatto, siamo divenuti insensibili agli spettacoli che ci
accade di vedere in macelleria: animali ridotti in quarti, organi e visceri
sanguinolenti, teste mozzate. Con la meditazione riacquistiamo questa
sensibilità alla violenza. Chi si rende più conto che si dovrebbe provare lo
stesso orrore che proviamo nei confronti del pensiero di uccidere un cucciolo
di gatto o di cane? Di fatto, molta sensibilità spirituale si ottunde.
Per sensibilizzarci potremmo andare a visitare i macelli: nel
momento in cui gli animali sono caricati sui mezzi di trasporto salgono di buon
grado; al momento di scendere gli odori, le grida, i rumori li terrorizzano ed
essi sono restii a scendere. Si genera una atmosfera di paura che scorre loro
nel sangue.
Dal punto di vista spirituale, si può ricordare la posizione
di tutti i maestri spirituali dell'occidente (l'oriente non ha mai dimenticato
tale precetto, che lì è cosa nota anche ai nostri giorni), da Evagrio Pontico
(IV secolo avanti Cristo) che afferma con sicurezza, apoditticamente ["è
così, e basta"]: "E' bene che non si mangi carne".
Si tratta di alleggerire il corpo, di non affaticare organi
come il fegato.
Si è provato a limitare la carne nella dieta dei conducenti
della azienda trasporti municipale (di Torino?) che sono divenuti più svegli,
meno sonnolenti. Molti sportivi che
praticano sport di resistenza, che richiede uno sforzo continuato (ciclismo,
sci di fondo, ecc.) sono vegetariani. Sono carnivori solo i cultori degli sport
violenti, dove occorre scaricare in breve tempo una grande potenza fisica
(boxe, sollevamento pesi, ecc.). I fondatori del Carmelo, S. Francesco
d'Assisi, S. Benedetto non vedevano di buon occhio ["vietavano"] il
consumo di carne. S. Francesco da Paola, fondatore dell'ordine dei Minimi,
inserì addirittura la rinuncia alla carne come quarto voto. Ancor oggi, nei
conventi dei certosini, dei trappisti, si vigila che nelle borse di chi vi
entra non vi siano salumi e affettati.
E' poi completamente falso che rinunciando alla carne si
abbiano meno energie.
Satya: "non mentire", "non mettere il
tuo parlare e il tuo agire in contrasto con la tua mente". Si provoca uno
sdoppiamento, si finisce per non fidarsi più degli altri. Con questo non si
vuol intendere che occorra dire tutto: non sempre ciò è necessario, ed allora è
meglio tacere che mentire.
Asteya: "non rubare". Non carichiamoci dei
pesi della roba altrui, non diveniamo schiavi delle ricchezze materiali. Si
incontra gente preoccupata perché "sono andati giù i titoli".
Pazienza: si è perso ciò che non ci serve.
Chi ha l'indispensabile per vivere, soprattutto il cibo, ha
tutto, e non ha il bisogno di comperare titoli. Spesse volte le separazioni
coniugali sono proprio imputabili al troppo denaro: se non ci fossero soldi non
ci si separerebbe.
Anche le eredità sono fonti di conflitti che avvelenano i
rapporti familiari.
C'è gente che arriva ad accoltellarsi "per ragioni di
principio", per acquisire un pugno di beni molto inferiori al proprio
patrimonio. Certamente, nel caso di conflitti familiari, ci sono questioni
psicologiche che complicano i problemi, ma è comunque colpa nostra il non saper
districarsi da esse. I fatti sono quelli che sono: per delle stupidaggini ci si
rovina il fegato, salute e serenità.
Cerchiamo di difendere solo il necessario. Dare soldi ai
figli è nocivo.
Diamo loro una solida educazione, degli studi che permettano
loro di guadagnarsi la vita, e poi lasciamoli arrangiarsi e nuotare da soli.
Altrimenti vengono rovinati, divengono dei debosciati.
Diceva S. Francesco che anche un sottile filo d'oro impedisce
di volare.
Bramacharya: "non usare irrazionalmente le forze
sessuali". "Bramacharya" vuol dire "strada di
Brahman", e cioè strada dell'infinito. La forza sessuale è uno
straordinario motore, che crea i legami parentali e familiari, che sono alla base
della civiltà, produce opere d'arte somme, ecc. Ma oggi viene male usata. Nei
"media", nella letteratura moderna c'è un incoraggiamento alla
esagerazione, all'abuso. C'è l'equazione sesso = diritto = dovere = necessità.
Fino a pochi decenni fa il sesso semplicemente non si
nominava; oggi il messaggio, riecheggiato in tutte le salse è: "chi usa il
sesso è realizzato, mentre chi non lo usa è un emarginato o un represso".
In realtà vediamo che gli individui che indulgono ad un uso
eccessivo del sesso provocano rovina di rapporti familiari, trapassano nella
violenza, si fanno nemici, finiscono per trovarsi ai margini della società. Per
non parlare delle malattie a trasmissione sessuale, da quelle tradizionali
all'AIDS. E altre malattie stanno venendo fuori.
S. Giovanni Bosco disse lapidariamente, nella sua estrema
vecchiaia: “ringrazio Iddio di essere arrivato alla fine della mia vita
vergine". E ci si vorrebbe presentare come "non realizzato" un
individuo che, come lui, ha lasciato un patrimonio materiale di immenso valore,
ha creato l'opera salesiana diffusa in tutto il mondo, ha lasciato di sè una
fama imperitura? S. Bernardo, S. Giovanni Battista, gli Evangelisti non hanno
conosciuto sesso.
Si tratta di un segreto iniziatico. Lungo la spina dorsale
fluisce una energia che al livello più basso si manifesta come energia
sessuale. Al livello dell'ombelico si manifesta come energia trasformante, che
consente di creare opere d'arte, di prendere la materia e modificarla. Al
livello del cuore si manifesta come energia trascinante. E vi sono ancora altri
due o tre livelli superiori di manifestazione di tale energia.
Se essa viene dissipata, non si potrà accedere alle
manifestazioni superiori.
Gli allenatori sportivi, che portano gli atleti in ritiro,
sanno bene l'importanza di tali energie. Usata all'interno della famiglia ha
grandi effetti. Chi la spreca non è altro che un pover'uomo. Noi possediamo
organi che possiedono una ben precisa funzione, e non giocattoli da usare
all'infinito per il nostro divertimento.
Abbandono all'Ishvara. Compiere atti di fiducia. Capita a
tutti di scoraggiarsi in qualche contingenza della vita. Oggi, se si
osservassero le persone e si cercasse di penetrare con un qualche "metodo
delle associazioni" nella loro psiche eludendo le difese coscienti, si
noterebbe che la emozione dominante è la paura: paura di perdere il lavoro, la
salute, i beni, ecc. La medicina psicosomatica insegna che gli effetti
fisiologici della paura sono dannosi per l'organismo. Occorre divenire
fiduciosi come bambini. La serenità fa fiorire il nostro fisico. La fiducia fa
tanto bene, fa dormire con sonni tranquilli. La paura è addirittura più forte
del sesso.
Si ripensi al discorso di Cristo in Mt 6,25-33: "Perciò
io vi dico: non preoccupatevi troppo del mangiare e del bere che vi servono per
vivere, o dei vestiti che vi servono per coprirvi. Non è forse vero che la vita
è più importante del vestito? Guardate gli uccelli che vivono in libertà: essi
non seminano, non raccolgono e non mettono il raccolto nei granai... eppure il Padre
vostro che è in cielo li nutre! Ebbene, voi non valete forse più di loro?
E chi di voi con tutte le sue preoccupazioni può vivere un
giorno più di quel che è stabilito? Anche per i vestiti, perché vi preoccupate
tanto? guardate come crescono i fiori dei campi: non lavorano, non si fanno
vestiti... eppure vi assicuro che nemmeno Salomone, con tutta la sua ricchezza,
ha mai avuto un vestito così bello! Se dunque Dio rende così belli i fiori dei
campi che oggi ci sono e il giorno dopo vengono bruciati, a maggior ragione
procurerà un vestito a voi, gente di poca fede! Dunque, non state a
preoccuparvi troppo, dicendo: 'Che cosa mangeremo?, Che cosa berremo?, come ci
vestiremo?' Sono gli altri, quelli che non conoscono Dio, a cercare sempe tutte
queste cose. Il Padre vostro che è in cielo sa che avete bisogno di tutte
queste cose. Voi invece cercate il regno di Dio e fate la sua volontà: tutto il
resto Dio ve lo darà in più. Perciò non preoccupatevi troppo per il domani: ci
pensa lui, il domani, a portare altre pene. Per ogni giorno basta la sua
pena". Si guardino, si tocchino i vegetali, fiori, ci si renda conto di
quanto sono preziosi, straordinari.
Le ghiandole vanno tenute attive. Almeno fino a 75 anni. Per
tenere attive le ghiandole occorre massaggiarle. Gli uomini primitivi o di
altre epoche facevano abbastanza movimento da massaggiare abbondantemente le
ghiandole, alzando pesi, tirando, flettendo gli arti. Oggigiorno la
sedentarietà richiede che si inventino e pratichino dei movimenti artificiali
per massaggiare le ghiandole.
L'Oriente ha sviluppato questa ginnastica particolare:
piegandocisi prima da un lato e poi dall'altro le ghiandole sono
alternativamente stirate e compresse.
Occorre eseguire cinque
movimenti la mattina, dopo la stasi notturna, e cinque movimenti il pomeriggio,
per prepararsi alla calma del riposo. Non è necessario altro: le contorsioni,
le posizioni più spinte, sono una ginnastica da palestra, praticata per giunta
non sempre con la dovuta fluidità e lentezza, dagli allievi dei corsi yoga
"avanzati", e non servono se non nel caso di malattie rare: ad
esempio, la posizione capovolta serve per l'orchidismo. Dopo aver fatto in modo
convulso quegli esercizi occorre fare altri esercizi... di sblocco.
Col niyama si sono date regole per il dominio o controllo
delle passioni “dall'interno". Con le "asanas" si agisce
dall'esterno, partendo dal fisico.
Le "Asanas" sono sinonimo di "massaggio
ghiandolare", non di ginnastica, e vanno perciò fatte con lentezza. Né si
deve pretendere di arrivare subito a padroneggiarle alla perfezione. Questo
avverrà col tempo, anche con uno-due anni.
Questi esercizi caricano
le ghiandole di energia elettromagnetica, e perciò occorre astenersi dal bere
acqua per 15-30 minuti dopo la loro pratica. E' preferibile compiere gli
esercizi mattutini dopo la doccia.
Tutti possono praticare le "asanas". Sono
controindicate solo per le donne incinte, anche da breve tempo, per le donne
mestruate, per i malati acuti con febbre. Anche persone con malattie ossee
quali artrosi, ossificazione delle vertebre e simili, apprendendo e adottando
le dovute cautele, possono tranquillamente eseguirli.
Occorre imparare una asana al giorno, espirando quando ci si
piega, inspirando se ci si distende. Nel caso dei movimenti faticosi si permane
in una breve apnea. Si continui a praticare yama. Percepire le ghiandole non è
facile.
Per ottenere un tale
risultato si deve partire, negli esercizi di meditazione, dalla percezione
dello scheletro. Le ghiandole "fioriscono" dallo scheletro.
La colazione dovrebbe farsi con pane tostato, un po' di
zuccheri e cereali.
Si dovrebbe bandire il latte, soprattutto gli anziani.
Infatti, l'organismo adulto non produce più l'enzima lattasi, ed è quindi ben
difficile trovare persone in grado di assimilare il latte. Possono assumere il
latte solo coloro nei cui confronti sia certificata la presenza della lattasi.
Bere latte senza gli enzimi capaci di digerirlo vuol dire provocare
l'osteoporosi, perché l'organismo, per digerire il latte utilizza il calcio
delle ossa.
Per quel che riguarda i latticini, formaggi stagionati come
il Grana Padano favoriscono le varici delle vene, specie delle gambe. I
formaggi freschi sono preferibili, ma non sono necessari. [Padre Cappelletto
non si è pronunciato sullo yoghurt. Nel libro “Naturalmente vegetariani" è
detto: "Il latte, ricco di proteine animali e grassi, utile nell'infanzia,
meno utile nell'adulto, è un vero e proprio alimento, va consumato tenendo
conto delle combinazioni alimentari. Per non affaticare la digestione, nell'adulto
andrebbe preferito l'uso dello yoghurt, più digeribile e benefico per la flora
batterica intestinale. Da abolire l'uso di latte a lunga conservazione. I
formaggi offrono una vasta gamma di alimenti di alto contenuto proteico
(proteine animali), spesso troppo ricchi di grassi. Tenere conto nel loro uso
delle combinazioni alimentari. Da rifiutare i formaggi fusi, ricettacolo di
tutti gli scarti e ricchi di polifosfati. Ottimi i formaggi freschi, più poveri
di grassi, se è garantita la provenienza (conservanti). I formaggi stagionati
si conservano bene, non necessitano di conservanti, e questo è il loro pregio,
ma sono troppo ricchi di acidi grassi saturi. Ad esempio il parmigiano è un
ottimo prodotto da usare però con moderazione (troppo ricco di albumina), per
aromatizzare altri cibi", pag. 36 del libro consigliato Naturalmente vegetariani]
Nel periodo caldo alimenti come insaccati o latticini
risultano pesanti. Il prosciutto dà delle eruzioni cutanee ai bambini.
Si può mangiare pesce, purché sia fresco. I monaci allevavano
pesci nei monasteri. Al tempo di cristo le popolazioni della giudea, che spesso
erano di pescatori, si nutrivano di pane e pesce.
Tuttavia, se anche il pesce non fa male, non è strettamente
indispensabile, e occorre tenere presente che si tratta pur sempre della
uccisione di animali.
Si possono mangiare le
uova? Preferibilmente poche, secondo Padre Cappelletto. Sono ammesse nella
preparazione di dolci, per l'esigenza di legare l'impasto. [Nel libro Naturalmente vegetariani il pesce e le
uova sono classificati tra i cibi tossici, deleteri per il nostro organismo
(pag. 8)]
Se non si è convinti della bontà delle regole alimentari sin
qui esposte, tuttavia non si negherà che gli alimenti, specie quelli più
nutrienti, vanno consumati con parsimonia, in relazione alle nostre reali
esigenze nutritive.
Gli alimenti base debbono essere la soia, la frutta, i
legumi, le granaglie, le insalate.
❍ Quarta lezione (martedì 7 maggio 1996)
I tre cervelli sono costituiti dello stesso tessuto delle
ghiandole. Il fatto è che dopo la verticalizzazione i tre cervelli hanno potuto
maturare meglio che negli animali, cosicché è nato il pensiero: siamo venuti a
disporre di un organo di conoscenza. Il cervello ci ha fornito una intelligenza
che è in grado di capire le cose, virtualmente qualsiasi cosa, con cui possiamo
conoscere tutto.
Tuttavia si impone una doverosa cautela nell'uso di tale
organo di conoscenza. Occorre prendere esempio dallo scienziato, che rifugge
dalle affermazioni categoriche, che cerca sempre prove inconfutabili per le sue
certezze, che lascia lo spazio dovuto al ragionevole dubbio, al ventaglio delle
possibilità, che riconosce la limitatezza dei propri mezzi di conoscenza.
L'uomo comune invece, ha molte certezze categoriche, non di
rado fondate su analisi superficiali della realtà, che non accetta di mettere
in discussione.
In questi casi si impone una salutare critica delle nostre
facoltà conoscitive. Di fatto, tutti i nostri sensi sono più o meno limitati, e
non riescono a penetrare vaste zone della realtà, in cui possiamo o potremmo
faticosamente addentrarci solo disponendo di apparecchi che li potenzino.
Per quel che riguarda il senso dell'udito, tutti sanno che
esistono infrasuoni e ultrasuoni che il nostro orecchio non percepisce: da
questo punto di vista delfini e pipistrelli, che possono sentire anche
ultrasuoni, percepiscono una realtà (sonora) più vasta della nostra.
Noi vediamo all'interno di una determinata gamma di colori, che
va dal rosso al violetto; già con l'ultravioletto non percepiamo più nulla.
Il nostro tatto, pur essendo un senso molto complesso, non è
affinato come quello di un semplice insetto: mosche e zanzare riescono
addirittura a percepire la zona dove è più facilmente pungere.
Così anche per gusto ed olfatto: abbiamo limiti precisi,
molto più ristretti di quelli di animali come cani o altri mammiferi.
Questi limiti sono anche delle barriere che è pericoloso
varcare con i nostri sensi ordinari: di fronte ad una luminosità troppo intensa
si rimane abbacinati, accecati, e si debbono chiudere gli occhi per
proteggerli. Come non possiamo sopportare una luminosità intensissima, noi non
vediamo nel buio, come invece sono capaci di fare animali come gatti, gufi, ecc.
Anche i suoni troppo alti sono pericolosi per il nostro
udito, e solo attraverso un ottundimento del nostro sensorio è possibile
sopportarli in qualche modo. Anche il tatto ha dei limiti di sicurezza: non
possiamo toccare oggetti incandescenti. Anche il gusto ha i suoi limiti:
ingerire dell'acido è mortale per un essere umano.
E' quindi evidente che noi possiamo accedere solo ad una
parte della realtà, mentre un'altra parte ci è preclusa o diviene accessibile
solo attraverso l'intelligenza, con l'uso del nostro potere deduttivo, o di
strumenti che suppliscano alle nostre deficienze.
E' come se fossimo in una torre con finestre diseguali, e
guardando dall'una e dall'altra si ricavino impressioni differenti: qui
pianure, là monti, colline, mari, ecc. Solo con molta attenzione e cautela,
facendo uso della nostra intelligenza, possiamo ricostruire la realtà esterna.
E parimenti solo in questo modo possiamo giudicare le cose. E invece ci sono
persone dalla percezione limitatissima o falsata, che sono convinte di
conoscere la verità su tutto. Il vero scienziato non mette limiti ad una realtà
che ci supera da tutte le parti, è molto più dubitativo che assertorio ed
apodittico, sa (meglio) riconoscere i confini delle sue possibilità e della sua
conoscenza.
Occorre essere molto cauti nell'accampare certezze. I sensi
possono facilmente ingannare; le persone comuni corrono il rischio di supplire
alla realtà con la fantasia. L'uomo scopre la verità molto lentamente e
faticosamente. Si pensi solo alla circolazione sanguigna, che fu scoperta solo
nel 1500 da Harvey, lavorando su animali vivi.
Perdipiù, siamo suggestionabili, influenzabili, talvolta
addirittura ci precludiamo delle conclusioni, delle strade, in via preconcetta.
Infine, siamo condizionati da filtri deformanti.
Principalmente si tratta di tre tipi di deformazioni: reazioni istintive;
mentalità derivata dalla educazione subita; messaggi dei "media" e in
particolar modo la pubblicità.
Prendiamo in considerazione le reazioni istintive.
Istintivamente assumiamo atteggiamenti ingiustificati e irrazionali. Si pensi
al disgusto e alla ripugnanza per i serpenti: che pure sono animali docilissimi
e ammaestrabili, che seguono il padrone per tutte le stanze, con la la loro
andatura sinuosa ed elegante, pulitissimi, dalla pelle bellissima, dormono
sotto il cuscino e al mattino ci vellicano con la loro piccola lingua. Noi,
però, li vediamo sporchi, ripugnanti, brutti, ineleganti, senza neanche
degnarli di un secondo sguardo.
Idem dicasi per i topi, che sono piccoli esseri molto
graziosi: non per niente Walt Disney ha fatto fortuna con Topolino,
simpaticissimo roditore.
Tali ripugnanze ci estraniano da una gran parte del mondo
degli animali con cui potremmo venire in contatto: anche da criceti, ghiri,
rane, rospi (i batraci hanno in realtà delle livree e delle forme bellissime) e
molti altri animali.
Consideriamo ora la mentalità derivata dalla educazione
subita. Essa ci porta a giudicare dall'esterno, seguendo certe abitudini
mentali secondo le quali, ad es. "l'abito fa il monaco". In certi
ambienti (es. gli uffici direzionali FIAT di Corso Marconi) si viene
inesorabilmente respinti se non si possiedono i caratteri esteriori che ne
costituiscono il segno di riconoscimento: valigetta in pelle, giacca e cravatta
impeccabili, biglietto da visita, rolex al polso. E magari si tratta del
biglietto da visita di un pluriomicida. Ma costui passerà, mentre altre persone
che non si presentino allo stesso modo vengono infallibilmente allontanate.
Padre Cappelletto ricorda quando suonò il campanello di una
lussuosa cappelleria di Corso Vittorio Emanuele a Torino e il proprietario fece
le viste di non accorgersi del cliente indesiderato, malgrado questi stesse
gridando e sbandierando le banconote per attirarne la attenzione.
Anche in treno, a meno che non siano giorni di affollamento,
Padre
Cappelletto viene garbatamente evitato; in certi giorni tutti
i posti intorno a lui sono vuoti: potrebbe tranquillamente praticare le asanas
senza che nessuno se ne accorga. "Terribile" - il suo commento.
I bambini, a differenza degli adulti, gli sorridono e vedendo
la gran barba e la capigliatura si avvicinano divertiti; ma vengono subito
richiamati severamente dai genitori.
L'abitudine genera incrostazioni mentali che fanno giudicare
in modo drasticamente sbagliato le persone, i fatti, ciò che ci circonda.
Oggi impera dovunque una mentalità gregaria, per cui, specie
per quel che riguarda l'abbigliamento, il modo di presentarsi, il cosiddetto
"look", sia noi che gli altri dobbiamo essere in un certo modo. Si
vedono allora ridicole minigonne su cosce da centravanti e fuseaux che
ostentano orribili grazie, pugni al buon gusto e al senso estetico.
Infine, i messaggi dei "media", e soprattutto la
pubblicità, ci rendono schiavi di certi modi di pensare e di agire. Certi
personaggi vengono deformati ai nostri occhi fino a che delle nullità ci
appaiono come figure mitiche: attrici, fotomodelle, disc-jockey e simili.
Senza pubblicità un prodotto, sia pur ottimo, ha scarse
possibilità di essere venduto al grande pubblico. Se non interviene la
pubblicità, le cose migliori restano fatalmente nascoste. Padre Cappelletto
ricorda che i grandi magazzini accettarono controvoglia, da un suo amico, una
nuova margarina interamente vegetale, dalle eccellenti qualità organolettiche e
dal prezzo estremamente contenuto: sapevano già che il cliente, messo di fronte
alla scelta tra una offerta straordinariamente conveniente e una marca
suggerita dalla pubblicità avrebbe preferito "andare sul sicuro"
acquistando quest'ultima. Prodotti mediocrissimi vengono così ad avere grande
successo commerciale. Si vendono perfino i dischi di Patty Pravo [sic], la
"tigre di Mestre" [o qualcosa del genere].
I jeans, un tempo indumenti da fatica, stretti, ruvidi,
antiestetici, che rovinano i genitali, imposti dal martellamento pubblicitario
sono diventati la divisa dei giovani e dei meno giovani. Come pure le scarpe da
tennis, calzature sportive, nate per praticare attività agonistiche o palestra,
che non permettono la traspirazione, rendono i piedi maleodoranti, eppure sono
portate dalla mattina alla sera dai ragazzi e dagli adulti. Idem dicasi per gli
ingombranti zainetti, che hanno ormai sostituito le benemerite cartelle di un
tempo.
Padre Cappelletto ricorda, a distanza di quaranta e più anni,
l'irrisione di cui lo fece segno un compagno di studi universitari
elegantissimo, sempre circondato da ragazze, al vederlo trasportare, sulla sua
modesta Volkswagen una piccola suora bruttina. Si trattava di Madre Teresa di
Calcutta. Il più bel cuore di Roma veniva liquidato con un superficiale
giudizio estetico. Simili individui non hanno capito nulla. Non riescono a
vedere nel senso più vero e autentico del termine.
Come si può vedere? Si tratta del secondo livello di
coscienza, quello cui hanno accesso tutte le grandi personalità spirituali. S.
Benedetto, di fronte a Totila che a Monte Cassino manda avanti per beffarlo un
suo subordinato con le insegne della regalità, si rivolge direttamente al re e
gli predice la sconfitta e la morte. Con queste persone non si può scherzare.
Queste persone vedono.
In Roma [incerta la città: Assisi? Roma?] c'è una targa che
commemora un incontro realmente avvenuto: Francesco d'Assisi, vestito di povero
sacco, scorge uno straniero vestito di bianco; nessuno dei due conosce l'altro;
si abbracciano, riconoscendosi fratelli spirituali. L'altro era Domenico di Burgos,
fondatore dell'ordine domenicano.
S. Filippo Neri incontra un giorno per Roma due dame
bellissime nello sfarzo cinquecentesco dei loro abiti. Si appoggia ad un muro
boccheggiando: si sente soffocare da un intollerabile tanfo di cadavere. Queste
persone SENTONO, VEDONO al di là delle apparenze.
Padre Pio usciva improvvisamente dal confessionale e,
ignorando le proteste delle centinaia di persone in paziente attesa da ore,
andava a confessare coloro che sapeva con certezza averne il più grande
bisogno.
La capacità di vedere si sviluppa lentamente, mano a mano che
si capisce il valore delle immagini. Tra tutti i sensi noi prediligiamo,
utilizziamo maggiormente il senso della vista. Ed è proprio attraverso
l'immagine sempre più limpida, rischiarata, noi, osservando attentamente,
penetriamo, vediamo la realtà. Di fronte ad una persona penetriamo a poco a
poco apparenze, lo scintillìo esteriore, per ridurla alla sua vera dimensione,
al suo vero valore.
Vi sono due strade per apprendere tutto ciò: quella fisica e
quella interiore.
La strada fisica passa attraverso il rallentamento del
respiro. Gli indiani ["loro"] dicono: "respirare come i
pappagalli". Il nostro cervello attraversa delle fasi di espansione e
contrazione in corrispondenza della espirazione e della inspirazione. Queste
espansioni e contrazioni sono quasi impercettibili ma reali. Durante la
inspirazione-contrazione viene interrotto il processo di penetrazione
intellettuale, mentre tale processo si sviluppa pienamente durante la
espirazione: l'attività cerebrale registra così un andamento sinusoidale, con i
punti inferiori e superiori della curva rispettivamente corrispondenti alla
inspirazione e alla espirazione.
Se il periodo negativo della contrazione ha la stessa durata
del periodo positivo, non si riesce ad avere una buona comprensione. Occorre
calmarsi, rendere breve la contrazione-inspirazione, che può essere attuata
rapidamente, e allungare la espirazione. L'estasi, sopravvenendo, non sarà
altro che una espirazione lunghissima, infinita.
Non si può meditare svolgendo attività come passeggiare: la
respirazione non ha il ritmo giusto. Quando si va di corsa, inspirazione ed
espirazione hanno la stessa lunghezza. Quando si è calmi accadrà naturalmente,
in modo spontaneo, senza bisogno di forzare, che la espirazione si allunghi e
si arrivi ad avere la impressione di non respirare.
La chiarezza mentale ottenuta con la giusta respirazione può
servire per risolvere un problema. Dopo averlo messo bene in chiaro,
dimenticarsene e iniziare la seduta di meditazione respirando come prescritto.
Alla fine della meditazione notiamo che, se anche (come spesso pure avviene)
non è risolto, il problema diventa comunque più chiaro. Occorre non perdere mai
questa calma, questo controllo della propria mente.
La strada interiore verso il secondo livello di coscienza
richiede che noi puliamo il filtro della nostra conoscenza. Il centro della
nostra coscienza è come uno specchio che va pulito e levigato. Il centro della
percezione è la nostra coscienza, siamo noi. Se coltiviamo una immagine
deformata di noi, se ci crediamo esageratemente grandi o mediocri deformiamo
tutto ciò che vediamo.
Occorre quindi per prima cosa vederci come realmente siamo.
Normalmente abbiamo una bassa opinione di noi, desidereremmo
essere diversi da come siamo, ci sentiamo in colpa per le nostre mancanze, ci
riteniamo poco intelligenti, senza memoria, privi di volontà. Tutto aiuta a
creare questa deformazione, che può avere effetti drammatici, spingere al
suicidio ragazzi giovanissimi. La cattiva opinione di noi è pronta a venir
fuori in ogni occasione in cui la nostra goffaggine ci mette in situazioni
imbarazzanti (ad es. quando cadiamo salendo su un mezzo pubblico). E' allora
che ci si riaffacciano alla mente tutti i condizionamenti passati, ad opera di
genitori, fratelli poco caritatevoli, insegnanti (troppo spesso inclini alla
critica) sotto forma di frasi ricorrenti nella propria infanzia o giovinezza:
"Te l'avevo detto"; "Cretino"; "Oca"; ecc.
Noi non siamo né eccelsi né abietti. E' necessario coltivare
una immagine obiettiva ed equilibrata di sé.
Poiché noi operiamo sulla realtà attraverso la nostra
immaginazione, la realtà finisce con l'adeguarsi alla immagine che abbiamo di
noi: non riusciremo a mostrarci intelligenti; non avremo memoria; atleti
eccezionali del pallone, capaci di vere prodezze, dopo aver subito un rovescio,
un gol, diventano impacciati, giocano da brocchi. La loro fiducia in sé,
l'immagine che avevano, è stata infranta, e occorreranno giorni di lavoro
dell'allenatore per ripristinarla. I nostri sciatori, caricati col training
autogeno, ottengono eccellenti risultati, riescono ad arrivare là dove vogliono
e si vedono arrivare.
Normalmente giudichiamo male, troppo severamente gli altri, e
di riflesso anche noi stessi. Pensiamo al modo in cui liquidiamo
sbrigativamente certe persone - e spesso e volentieri i politici (ma potrebbero
aggiungersi gli allenatori ed altre figure pubbliche) - giudicandoli sulla
scorta di una uscita infelice, di una goffaggine in cui chiunque potrebbe
incappare. Così facendo giudichiamo spesso superficialmente persone dalle
notevoli capacità (e i politici ad esempio, debbono per forza avere doti di
energia, astuzia, e anche intelligenza, per arrivare ad occupare i posti che
occupano).
Ci capita di inveire contro una persona etichettandolo come
delinquente perché, avendo trovato un portafoglio per strada, omette di
restituirlo. Se potessimo conoscerlo meglio vedremmo che si tratta di un onesto
lavoratore, sollecito padre di famiglia, che, trovandosi in una ristrettezza
finanziaria, e avendo pregato i suoi santi, vede nel portafoglio l'intervento
provvidenziale tanto atteso.
Ci capita di qualificarci come "poveri peccatori",
per tre mancanze occasionali (e Dio sa se i santi non ne furono esenti) quando
in realtà non ci mancano delle ottime intenzioni, e con un po' di pentimento
tutto si rimetterebbe a posto. Alla fine si rischia di peccare per confermare
l'immagine di peccatore che abbiamo.
Contro queste immagini,
questi condizionamenti negativi, si deve utilizzare il metodo dei riflessi
condizionati (vedi quadro specifico).
Non di rado, Padre Cappelletto è stato accusato di insegnare
strane forme di meditazione (discesa, scala a chiocciola) invece di quelle
conosciute dalla tradizione cristiana. Ma chi fa queste critiche confonde gli
esercizi propedeutici (quali questi sono) con la meditazione vera e propria, di
cui essi rappresentano il semplice ma necessario preambolo.
❍ Quinta lezione (martedì 14 maggio 1996)
La lezione è stata tenuta da un discepolo di vecchia data
[venti e più anni?] di Padre Cappelletto, il sig. Daniele.
Quando la mente non è più frastornata gli occhi si fanno più
penetranti. La realtà non ci appare tanto diversa, quanto piuttosto ci si svela
sempre più, ci permette di cogliere cose nuove. Ci si aprono degli orizzonti.
Ma agli inizi, pur con questa apertura di orizzonti, si rimane
ancora al di qua della realtà, non ci si identifica con essa. Spingendosi
ancora più oltre, si può arrivare al gradino o livello profetico. Andare al di
là della mente. Si scopre che la realtà è più di ciò che si può
concettualizzare: non strana, irrazionale, quanto piuttosto attingibile
superando i limiti dello spazio e del tempo, acquistando una visione più
unitaria delle cose. E' proprio del gradino profetico superare appunto i
vincoli dello spazio, cogliere la contemporaneità degli eventi.
Non sono astrusità. Questa strada esiste. Noi siamo attratti
normalmente dalla realtà, e mano a mano che acquisiamo capacità di penetrarla
sviluppiamo il desiderio, la volontà di conoscerla più a fondo.
Si comincia ad andare oltre la realtà, in uno spazio infinito
in cui non ci si perde, ma piuttosto si penetra sempre più. Si ha l'impressione
che si possa conoscere tutto. Non si potrà conoscere tutto di tutto. Ma noi
vogliamo arrivare ad un certo grado di conoscenza della realtà. Acquisiremo di
ciascuna cosa quella conoscenza che ci permette di trovare ciò che ci serve.
E' lo stesso uso che facciamo delle enciclopedie: ci servono
per sapere quanto basta, per mettere la realtà del mondo alla nostra portata.
Ci arrecano un senso di sicurezza e di possibilità di conoscenza. Ma si noti
che ci sono sempre degli aggiornamenti, prima magari proposti come saltuari,
poi regolari, corposi. Potrò ad un certo punto leggere il contrario di quello
che avevo letto originariamente. Questo perché la realtà è in continuo
cambiamento, ci sfugge sempre in qualche modo, stimola la nostra sete di sapere
che deve trovare una risposta.
Qualcuno appaga questa sete nel diventare specialista di
qualcosa. Ma in ogni campo dello scibile non si trova un limite definito, non
si riesce a venirne definitivamente a capo. Nel campo dell'infinitamente
piccolo ci si può spingere fino alle particelle subatomiche, e al loro interno
intravvedere strutture infinitamente complesse: quark, gluoni, ecc.
Nell'infinitamente grande il nostro sguardo abbraccia galassie, ammassi di
galassie, nebulose e via via incontra oggetti sempre più grandi o prima mai
incontrati: quasars, buchi neri, ecc.
E' tuttavia legittimo e possibile capire almeno i fondamenti,
i principi; in tal modo ci si avvicina alle teorie filosofiche, alla
metafisica. Brancolando, cercando, rimuginando, rischiamo di divenire scettici.
Si giunge ad un punto di grande confusione, in cui ci si sente disarmati di
fronte alla esigenza di sapere dove siamo e cosa facciamo.
I maestri orientali dicono: "Se la ciotola è troppo
piccola per contenere l'oceano, buttala nell'oceano".
S. Agostino camminava un giorno sulla spiaggia meditando sul
mistero della
Trinità, quando vide un
fanciullo che con un secchio, così gli disse, voleva travasare il mare nel buco
che aveva scavato. Alla irrisione del Santo il fanciullo oppose la irrisione
dei suoi tentativi di capire la Trinità, che rappresentavano esattamente lo
sforzo di vuotare il mare con un cucchiaio.
E' indispensabile mettere tutto nella testa o non piuttosto entrare
nella realtà e sapersi muovere? E' necessario che io sappia tutto perché possa
vivere pienamente la mia vita? Il signor De La Palice diceva una cosa banale
quando asseriva che basta, negli esami, sapere le nozioni fondamentali [sic].
Capita che non di rado cerchiamo la realtà, appaghiamo questa sete di realtà
immergendoci nel pettegolezzo quotidiano. Occorre chiedersi: dove sono, dove
posso arrivare, come faccio a muovermi? Debbo studiare? Capire tutto? Magari
invece sono necessarie non tanto le chiavi per aprire la realtà, quanto per
aprire la mia testa. Allora anche le cose più pratiche, banali, prosaiche
acquistano un senso.
Mendelejev, senza pretendere di conoscere la intima essenza
degli elementi chimici li radunò in base alle affinità delle caratteristiche
osservabili.
Senza pretendere di capire. E riuscì ad operare una
classificazione talmente valida che le caselle mancanti sono state via via
riempite dalle nuove scoperte. Non c'era evidentemente bisogno di capire tutto,
ma solo di una chiave di lettura che mettesse ordine nel caos della materia. A
quel punto ciò che ci appare come caos ci si chiarisce, non ci intimorisce più.
Osserviamo le api, la cui attività intorno all'alveare sembra
disordinata, caotica, incapace perfino di trovare rapidamente la via della
entrata e della uscita dell'alveare. In realtà i loro movimenti indicano con
estrema precisione la localizzazione e perfino il tipo e la quantità di cibo.
Occorre trovare la chiave della realtà ["che ha la realtà"], che può
aprirci orizzonti diversi.
Altrimenti si brancola, ci si muove disordinatamente. I
giapponesi hanno provato a interferire col meccanismo naturale, sterminando le
vespe responsabili di antiestetiche escoriazioni della frutta. Così facendo
hanno perso tutta la raccolta di frutta di quell'anno: non si erano accorti
della esistenza di un parassita che le vespe contribuivano ad eliminare. Si
conclude troppo in fretta che una cosa non va bene, che va rimossa. Si tenta
troppo spesso di imporre degli schemi alla realtà. E' preferibile entrare in un
mistero, cercare di capirlo, percorrerlo all'infinito.
E' come se, avendo acquistato un'auto, e prima di iniziare ad
utilizzarla, volessi saperne tutto: codice della strada; legislazione e
segnaletica europea; legislazione degli altri stati; funzionamento meccanico; e
così via all'infinito. In effetti non siamo molto lontano dal vero, visto che
per l'auto perdiamo effettivamente moltissimo del nostro tempo. Ma se voglio
approfondire tutto non prenderò mai la patente, non inizierò mai a guidare. E'
sufficiente imparare a memoria il libro dei quiz, leggere il libro delle
istruzioni, disporre della chiave di accensione e partire.
Siamo sicuri di dover
conoscere tutto per poterci avventurare in una realtà in cui comunque viviamo?
Dovremmo solo cercare di capire come trattare il nostro corpo, non studiarlo
fino agli ultimi dettagli scientifici; occorre farlo piuttosto funzionare. Dopo
aver imparato a farlo funzionare occorre partire, fare, passare all'azione. Non
è una cosa così teorica, non è una cosa astratta.
Pensiamo ai personaggi che hanno compiuto grandi cose, ad
esempio a San Francesco, che ha rivoluzionato tutta la sua epoca: egli non
aveva molte nozioni, molto sapere. Forse che Don Bosco e altri grandi fondatori
come lui, che si sono trovati a gestire alla fine grandi organizzazioni e
grandi patrimoni hanno frequentato scuole di management?
A noi basterà entrare nella realtà al posto giusto, con
l'aiuto giusto, sapendo la cosa giusta. Sapere in tal modo di essere collegati
a ciò che guida tutto, che realmente ci muove costituisce per noi un grande
sprone.
Tutti i grandi santi hanno avuto dei motti, delle formule che
frequentemente richiamavano alla mente. Il motto del Cottolengo era:
"Charitas Christi nos urget". Quello di Don Bosco era: "Cetera
tollens". San Francesco diceva: "Chi sono io? Chi sei Tu?".
Nel gergo devozionale sono chiamate giaculatorie:
etimologicamente, "frecce scagliate". Lo stesso uso di brevi frasi lo
si trova nel sufismo. In Oriente si hanno i "mantra", il più famoso
dei quali è "Aham so", che significa "Io Tu".
Non si tratta di frasi magiche: dicendole non succede nulla
esteriormente, non si cambia la realtà: il loro effetto è di permettere alla
testa di aprirsi.
Ci apre la testa, la mette in collegamento con una realtà più
grande di noi, schiude alla nostra testa delle possibilità. Pongono al posto
giusto nel momento giusto.
Ci sono tanti tipi di mantra. Occorre trovare il nostro, e
quello non si può trovare che presso colui che ci ha creati, costruiti, e
quindi nei libri ispirati (ecco una delle ragioni della lettura ad alta voce di
tali libri). Una cosa apparentemente così modesta come questa frase può
cambiare una persona. La tradizione ne parla con solennità: "Spada a due
tagli"; "Carbone che brucia in bocca" (Ezechiele); "Spada
che taglia le ossa" (San Paolo). Il mantra è la chiave che utilizziamo
nella meditazione. Meditazione è utilizzare il mantra.
Ma deve essere realmente un mantra, deve costituire la frase
giusta. E' opportuno consigliarsi in proposito con un maestro, con qualcuno che
sappia, sottoporgli la propria scelta.
Esistono delle fonti di mantra generici. San Francesco
recitava: "Non vivere in me ma in te" [possibile errore di
trascrizione]. Il pellegrino russo del libro ominimo recitava "Abbi pietà
di me" ("Kyrie eleison"). Il paternoster è formato da otto
mantra. Come abbiamo trovato una prima volta la vita nel grembo dei nostri
genitori, così troveremo il nostro mantra. Nell'attesa occorre sceglierne uno,
perché solo con un matra si fa meditazione. Solo quello è meditazione: scendere
ad un livello tale da poter utilizzare, attivare il mantra.
I mantra si compongono tipicamente di due parti, collegare
rispettivamente alla inspirazione e alla espirazione. Ad es: "Charitas
Christi / urget nos". Il mantra deve "colorare" il nostro
respiro, deve entrare come un colore nella nostra inspirazione (senso di
necessità, piccolezza) e nella nostra espirazione (senso di abbandono). Non
deve distoglierci dalla profondità del raccoglimento, deve entrare nella
meditazione colorando il respiro. Cristo disse: "pregate sempre senza
stancarvi mai".
La preghiera è il momento della unione con l'infinito. Col
respiro e la preghiera siamo in collegamento. Possiamo passare tutta la
giornata e la vita collegati a qualcosa di più grande, che ci fa capire il
mistero.
Il respiro ci fa comprendere come in inspirazione siamo
bisognosi. Come non possiamo determinare tutto. Ci sono cose che determinano,
condizionano la nostra vita che non sono in noi, non dipendono da noi: sono
intorno, nella realtà che ci circonda. Abbiamo bisogno di essere sostenuti.
Così, nella prima parte del mantra, si comprende come si sia bisognosi, si
percepisce la propria piccolezza.
Con l'espirazione si restituisce l'aria, senza preoccuparsi. Per
vivere dobbiamo restituirla, fiduciosi di averne poi dell'altra. Nella
inspirazione abbiamo la percezione concreta di avere necessità di tutto; nella
espirazione ci abbandoniamo a queste forze che governano ogni cosa, e che ci
possono fare entrare nella realtà. Altrimenti non funziona.
E' importante scegliere un mantra generico per iniziare
subito la meditazione e cominciare ad andare avanti con esso. Senza cambiare
continuamente. Quando si crede di aver trovato il proprio mantra, continuare
ancora col vecchio, fare prima la prova.
Il mantra è segreto: è difficile coglierlo e capirlo. Se lo
si comunica ad altre persone queste ne risulterebbero deluse perché non avrebbe
su di loro gli stessi effetti che essi osservano su chi glie lo comunica.
Occorre mantenere il segreto per rispettare la libertà altrui, per non
condizionarli, per non fuorviarli. La meditazione fatta con altre regole
(lettura di frasi) ci aiuta a scoprirlo [non si è sicuri che il senso di quanto
scritto sugli appunti sia quello indicato].
Non c'è bisogno di altre preghiere durante questa
meditazione: quando un mendicante, un bimbo ci si avvicinano, sappiamo bene
cosa vogliono. E così è parimenti chiaro cosa vogliamo noi.
Il mantra "Om" si recita solo in espirazione, e
quindi non è adatto a principianti. Potrebbe farlo un individuo che non provi
alcun bisogno di dipendenza [detto forse ironicamente]. “Om" rappresenta
qualcosa di analogo a ciò che nella nostra tradizione è il “Fiat".
[Padre Cappelletto] Meglio recitare il mantra mentalmente che
non a voce. I mantra possono essere cantati, ma l'effetto, per la meditazione,
deve essere interno, deve avvertirsi - è molto difficile esprimere queste
sensazioni - che ne viene raddrizzata la spina dorsale.
[Padre Cappelletto] La respirazione non deve essere pensata,
ma solo vissuta: in inspirazione sentirsi piccoli e bisognosi; in espirazione
sentirsi disponibili al servizio e all'amore.
[Padre Cappelletto] Esiste anche il mantra "Vita
Amore" [o "Vita e Amore"? o “Vita è Amore"?]
❍ Sesta lezione (martedì 21 maggio 1996)
Se analizzassimo la vita umana in rapporto a ciò che la
circonda, ci renderemmo conto che siamo dentro un meccanismo grandioso,
violento, che ci obbliga a un cambiamento costante secondo questo grande
motore.
L'universo è una gran macchina che gira: la terra ruota su se
stessa; ruota anche intorno al sole; i pianeti influiscono sulla terra, e il
suo satellite, la luna, esercita pure un influsso.
La terra ruota sul suo asse, e trascorre sul piano
dell'eclittica, esponendo diversamente la superficie a seconda dei tempi. Ci
sono le stagioni. Quando si avvicina al sole (verso il perielio) aumenta la
velocità; quando si allontana (verso l'afelio) la diminuisce.
La luna muove le maree e la atmosfera e influisce sulla
nostra vita. I pianeti portano con sé il vento solare e ciò influenza il fisico
umano.
Viviamo dentro un ritmo binario: tempo forte e tempo debole.
E' un ritmo che costituisce una danza. Gli indiani parlano di "Maha-Lila",
la danza cosmica. Si tratta di ritmi colossali.
Sono ritmi movimentati, non monotoni. Abbiamo visto che il
giro della terra sull'eclittica non è sempre uniforme. Anche la luna varia i
suoi ritmi.
C'è il ritmo annuale, delle stagioni: quando si va verso la
stagione calda i pori del corpo si dilatano, il sonno si fa pesante, non si ha
molta voglia di fare, si pensa alla pausa, alla vacanza. Quando si va verso il
freddo, invece, i pori si restringono, si è spinti a muoversi per bisogno di
calore; si progettano nuove opere, ci si prepara ai lavori, si fanno programmi.
Il ritmo stagionale scandisce l'apertura degli armadi e dei cassetti,
l'alternarsi degli abiti. E' un ritmo che varia ogni sei mesi.
Esistono i ritmi lunari, mensili: la luna si porta dietro
tutto quel che può: maree di acqua, ma anche maree atmosferiche: cinquanta
chilometri di onda che crea venti, perturbazioni atmosferiche.
Gli uomini, e soprattutto le donne sentono questi cambiamenti
attraverso il fisico. Il tredicesimo giorno dopo la luna nuova c'è il picco
statistico degli incidenti d'auto e degli omicidi. Le donne partoriscono
intasando e gettando nel caos gli ospedali. Nei manicomi si rafforzano la
sorveglianza e le dosi di sedativi.
Esistono i ritmi quotidiani della luce e del buio. Il
metabolismo, la pressione, aumentano a partire dalle tre di notte fino alle
quindici, per poi decrescere e rallentare fino alle tre di notte. Non è un caso
che a quell'ora ci si svegli, per una ragione o per l'altra, per l'impaccio
degli abiti, delle coperte troppo numerose o troppo scarse. Si percepisce ogni
rumore intorno a sé. E' un'ora poco propizia per i ladri.
[Esiste anche il ritmo della espansione e riassorbimento
cosmico: “maha-pralaya"]
Questi ritmi forti sono poi moltiplicati nel nostro corpo dal
ritmo cardiaco della sistole (contrazione) e della diastole (espansione).
Il ritmo cosmico viene riflesso nel nostro corpo.
Siamo immersi in questa danza cosmica come esseri
intelligenti, che la capiscono, la anticipano, sono in grado di prepararsi e di
prendervi parte nel migliore dei modi. Ad esempio, i saggi digiunano nel
tredicesimo giorno dalla luna nuova per calmare il proprio corpo, e osservano
il mondo che intorno a sé che invece cade in preda ad un apice di frenesia. Le
persone intelligenti si mettono in grado di partecipare a questi ritmi nel
migliore dei modi.
Gli animali sentono e vivono questi ritmi con grande
partecipazione. Con il cambiare della stagione tornano le rondini, felici di
ritrovare gli antichi nidi, riempiono il cielo di canti e di gioia, celebrano
la primavera.
Al mattino gli uccelli, al primo chiarore, iniziano a
pigolare, poi saltano giù, fanno le loro abluzioni e infine iniziano a rompere
le scatole con il canto spiegato sotto le nostre finestre. Le serpi escono e si
dispongono su sassi ben riscaldati. Le volpi escono dalle tane.
All'imbrunire le volpi si dileguano ed è la volta delle
civette e degli animali notturni. Tutto partecipa con entusiasmo a questi
ritmi. Tranne l'uomo.
Se lo si invita a venire a vedere l'aurora ti manda a quel
paese; se lo si invita a coricarsi per tempo per sfruttare le ore più propizie
al recupero delle energie preferisce stordirsi dinanzi alla televisione. La
maggior parte delle persone sopportano malissimo i cambiamenti di stagione e di
tempo.
D'inverno gli studenti si lamentano: "Ho tanto di quel
freddo..."; "L'aula è gelida, chissà quando accenderanno i
condizionatori". All'arrivo del caldo: “che caldo, non se ne può più; ci
vorrebbero dei condizionatori...". Se piove: “Oddìo, piove, non ho le
scarpe alte, mi si rovina la messa in piega...". Se nevica è la fine del
mondo.
In realtà questi mutamenti sono fatti per noi, per darci
slancio, per farci variare. Possiamo partecipare con intelligenza a questo
gioco favoloso, da persone libere, intelligenti, sensibili. Solo gli esseri
umani possono capire la danza cosmica, che ci eccita a vivere.
La danza cosmica ha tre qualità. La prima è di essere un
ritmo che si espande, che si moltiplica. I pianeti, nel loro muoversi,
conquistano nuovi spazi, lasciando le regioni celesti cariche di
elettromagnetismo. L'analisi doppler delle righe rosse delle galassie rivela il
"red shift", segno che il cosmo si sta espandendo. Il cosmo brulica
di nuove formazioni, di buchi neri, di ammassi di gas e di concentrazioni di
energia che preparano il sorgere di nuovi sistemi solari.
Sulla terra si vede che tutto vuol crescere, espandersi. Il
granello di frumento, piantato a novembre [novembre?], a giugno è già nel
granaio. Il riso piantato prima di febbraio è già rigoglioso a maggio, insieme
alle erbe che occorrerà disinfestare. I pini, faggi, piantati da P.
Cappelletto, dopo due-tre anni di stasi prendono lo slancio e crescono
impetuosamente, di 40-50 centimetri al mese [all'anno?]. In natura tutto si
espande in modo violento. Le radici delle querce abbattono i muri.
I bimbi appena nati, che non sanno ancora ben respirare, si
agitano, afferrano, succhiano, col latte crescono, gattonano, non camminano
mai, bensì vanno a tutta velocità, sempre di corsa, richiedono di essere
seguiti: dalla stanza in cui mettono le mani sui soprammobili al giardino, al
parco, alla palestra, allo stadio a giocare a pallone, dalla bici alla moto
all'auto.
Occorre allungare vestiti, scarpe.
Quando le scarpe si assestano va avanti la crescita
intellettuale.
L'intelligenza è curiosa, vuol conoscere, tira fuori tutto,
rovista, chiede il perché fino a quando i genitori esasperati tirano un sospiro
di sollievo perchè il bimbo andrà a scuola dove gli saranno spiegati tutti i
perché. 5 anni di elementari per imparare a leggere, per sapere tutto sulla
storia e la geografia, sugli affluenti del po e sulle alpi marittime, cozie,
graie, pennine, lepontine e retiche. Tre anni di medie inferiori: di nuovo
storia, geografia, lingue. E poi da capo per cinque anni, per il diploma. E poi
la laurea. I libri si fanno più grandi, più ponderosi. La testa continua a
riempirsi di nozioni. Dopo la laurea, la specializzazione, corsi preparatori,
masters. Quando finalmente si lavora si leggono libri che non si aveva mai
avuto il tempo di leggere, le novità di cui ci hanno parlato, i libri della
professione. La casa si riempie, i libri minacciano di cacciare gli abitanti.
La curiosità della mente va sempre avanti, fino alle soglie
della morte. Il maestro di Padre Cappelletto fu trovato morto a novantadue anni
su un nuovo libro che stava iniziando a leggere. Si studiano di nuovo storia e
geografia per i viaggi che si vogliono o vorrebbero intraprendere. Non c'è un
limite alla crescita della nostra conoscenza.
E parallelamente c'è la crescita del cuore: prima adolescenti
innamorati, poi genitori, poi nonni che viziano il nipote. Dalle mani della
madre e del padre si passa in quelle dei nonni. Poi ci sono le zie, i
cuginetti, gli amici di scuola, i primi innamoramenti sui banchi delle
elementari, le festicciole. Il giro degli affetti si allarga, e a dieci-undici
anni i ragazzi si riuniscono in piccoli gruppi. A quattordici anni circolano i
fogliettini, i piccoli appuntamenti. Si esce sempre più spesso, il sabato, la
domenica, poi anche gli altri giorni, in bici, moto, auto, sempre più fuori
casa; si ritorna solo ai pasti, suscitando le ire dei genitori. Poi ci si
scambia la promessa con il partner del cuore e dopo nove mesi si è tre. C'è
tutto il sommovimento dei rapporti che si intrecciano tra le famiglie. Vengono
cambiate le fidanzate e sono altri drammi apocalittici.
Il cuore si allarga sempre di più. C'è sempre posto nel
nostro cuore, e bisogna stare ben attenti, specie le donne, perché sembrerebbe
esserci il posto anche per qualcun altro. Siamo imbarcati su una grande
astronave che crea le stagioni, i ritmi, i bisogni di crescita.
La seconda qualità della danza cosmica è questa: che la
crescita è incentivata, sostenuta dall'amore. I bimbi crescono e si sviluppano
più sensibili all'amore che al cibo. Possono saltare il pasto allegramente, ma
non possono rinunciare all'affettuosità dei genitori, di chi è loro intorno. E'
un triste spettacolo quello degli orfani privi di affetto negli istituti di
carità, che privi si tale stimolo non crescono, rimangono in uno stato
infantile.
Gli affetti, le passioni, sono incentivi interni che ci fanno
interessare di tutto ciò che ci può far crescere. Ci si innamora degli
insegnanti, non della materia. Si ama la squadra del cuore, il complesso dei
nostri sogni, e si sa tutto sui modelli di macchine, sulle date e le canzoni
dei Beatles. Chi si appassiona di una cosa ci vive dentro. La passione trascina
l'intelligenza, l'inventività, tutto.
E' l'amore che fa crescere. Nelle superiori, spesso in terza,
le ragazzine subiscono straordinarie metamorfosi: diventano più curate nel
vestire, eleganti, taciturne, scaltre, attente, occhieggiano, si fanno trovare
nei posti giusti, diventano delicate, soavi.
Il fidanzato sta dietro alla fidanzata, si imitano, fanno ciò
che fa l'altro, si interessano a ciò che interessa l'altro. Lui si interessa ai
vestiti. Lei si interessa di calcio. Guai se ci si scorda della data di
compleanno dell'altro.
Si chiede alla madre di
ricordarcelo. I maschi rinunciano alle parolacce, si vede che crescono. Si
interessano per la prima volta alla musica classica, che piace tanto a lei.
Se la crescita continuasse anche dopo il matrimonio non
sentiremmo ultimatum del tipo "o mi vuoi così o cambi". La donna
impara a prendersi cura del bimbo, cerca di non scordarsi niente di importante,
poi passerà ad occuparsi dei nipoti. L'amore stimola la crescita.
La terza qualità della danza cosmica è che il vero amore
diventa servizio. La madre serve notte e giorno il figlio, lo accudisce,
indifferente alla popò e alla pipì, a ciò che viene rimesso, alle malattie. Le
donne dimenticano amicizie, carriera, appendono la laurea al chiodo per
occuparsi del figlio. Il servizio non finisce a quattordici, né a diciotto, né
a ventun anni, ma prosegue sempre perché c'è sempre qualche bisogno cui venire
incontro, e infine arrivano i nipoti.
E l'amore è anche alla base del lavoro ben svolto. Se si è
appassionati di motori, non si restituiscono le auto che si sono avute
consegnate prima di averle riparate. Per servire i clienti occorre amarli.
L'insegnante non mercenario si accolla quantità aggiuntive di compiti da
correggere, porta schemi, porta in gita la classe, si prepara. E tanto più si
serve, tanto più è richiesto di servire. Più alta è la tua posizione, tanto più
ti viene chiesto.
Il Cottolengo, alla fine della sua vita serviva a tutti senza
rifiutare nessuno, tacitando le rimostranze e le esitazioni delle suore e dei
religiosi che erano con lui. Divenne realmente una creatura che tutto dà e non
chiede nulla. Emanava da lui una luce divina e soprannaturale. La stessa che
emana da personaggi come Suor Teresa di Calcutta, che persiste ancor oggi
eroicamente al servizio del prossimo, malgrado la vecchiaia, le malattie, la
fatica.
La vita è una avventura, è un invito a crescere all'infinito
nell'amore e nel servizio degli altri. Coloro che dicono che la vita è
terribile sono persone che non riescono ad aprirsi dalla piccineria. Sono
ancora bimbi che assorbono tutto senza dare alcunché. La loro è non-vita.
Naturalmente, non bisogna porsi al servizio dell'egoismo
altrui, occorre farsi furbi. Tutto questo non ruberà alla nostra disponibilità.
Certe persone debbono diventare adulte.
Il cambiamento dall'egoismo alla donazione è un cambiamento
totale. Abbiamo paura di dover dare troppo. Non è facile entrare nel ritmo
della danza cosmica.
Occorre superarsi, saper trasformare il proprio egoismo.
Esiste per ottenere questo risultato una strada non facile ma
efficace. Come si è già detto, il nostro modo d'essere e di comportarci è
determinato dalla immagine che abbiamo di noi stessi. Occorre coltivare tre
immagini determinanti della vita.
La prima immagine è quella della nostra piccolezza. Occorre
essere convinti della propria piccolezza. La piccolezza fisica è una idea molto
chiara, che può costituire il punto di partenza. In una città noi siamo un
atomo.
Si salga sulla Mole Antonelliana per dare una occhiata alla
sterminata selva di tetti e di costruzioni della città. Le persone sono
formiche, ombre, i tram sono piccoli insetti, la propria casa è un microscopico
punto nella piccola area del proprio quartiere.
Saliamo in elicottero e spaziamo con lo sguardo sull'intero
Piemonte.
Poi colleghiamoci con il satellite Meteosat per contemplare
la visione dell'Italia dall'alto. Cerchiamo di ritrovarvi la nostra regione, la
nostra città, il nostro quartiere e il nostro appartamento. Siamo solo un
piccolo granello. Scalfaro non ci telefona.
Guardiamo la terra dalla luna. Vediamo l'Europa, vediamo tra
essa e l'Africa il piccolo stivale. La nostra regione, il Piemonte, è ormai
indistinguibile.
Da Marte osserviamo il sistema solare. Si vede il globo
terrestre. L'Italia non si scorge. Un terremoto sarebbe del tutto
inosservabile.
Dalla galassia più vicina vedo un piccolo puntino luminoso
che è il Sole.
Dicono che abbia dei pianeti. Se la Terra sparisse in un
immane cataclisma non si noterebbe neanche.
Siamo degli esserini minuscoli. Potremmo essere gradevoli e
deliziosi come un granello di zucchero, una pagliuzza d'oro, un diamantino. E
invece l'uomo è piccolo e cattivo ["anzi, dicendo meglio, piccolino e
fetentone"].
Quando giungeremo a convincerci della nostra piccolezza
avremo acquisito una posizione deliziosa. Non diremo mai più frasi del tipo
"ma lei non sa chi sono io!". Padre Cappelletto lasciò ammansito e
stupefatto il proprietario dell'auto contro cui era andato ad urtare
maldestramente e per la fretta, ammettendo candidamente, per tutta risposta
agli improperi indirizzatigli, di sapere già di essere un cretino.
La seconda immagine consiste in questo: che esseri
altrettanto piccoli di quelli che ogni giorno esibiscono le proprie miserie e
la propria piccineria parlano a tu per tu con l'infinito.
Non si sa neanche dove sia la tomba di Mosé, ma nessuno fu
più grande di lui, che parlava con l'infinito, tra maestose ierofanie, il volto
risplendente di una luce terribile, che non si poteva fissare.
San Francesco strappò al cielo ciò che nessuno era
["è"?] mai riuscito a strappare: alla sua morte erano più di
duecentomila i fraticelli che seguivano il suo esempio. Tutti abbandonavano ciò
che avevano per seguirlo. San Bernardo ha cambiato il volto del suo secolo.
Sono creature che stavano faccia a faccia con l'infinito, e ottenevano ciò che
volevano.
La terza immagine consiste in questo: pensare al modo in cui
queste creature hanno fatto per arrivare a tanto. Fingiamo di vedere una
immagine cinematografica. Si sentono così piccoli e disponibili da fare sempre
ciò che vuole l'infinito. Mosé ha ottant'anni, è carico di vicende, di
trascorsi gloriosi e di sapienza, conosce le lingue, ha soggiornato presso la
corte del Faraone. Ma Dio lo chiama ancora. Vuol mandarlo dal Faraone.
"Signore, se ci vado nuovamente verrò ucciso". Eppure si reca da lui,
subisce delle vicissitudini, ma alla fine il popolo sarà liberato dall'Egitto.
Dovrà ancora sopportare quarant'anni nel deserto, ma alla fine parla faccia a
faccia con la divinità. Aveva capito la danza cosmica. Sacrificarsi per gli
altri per amore.
San Francesco dapprima fa la dolce vita del trovatore e
dell'amante, poi vuol tentare la via delle armi, e mal glie ne incoglie: viene
ferito, imprigionato, capisce che questa esperienza non è la sua strada.
D'improvviso vede un lebbroso che chiede aiuto. Malgrado senta l'impulso di
fuggire qualcosa, la percezione di una sfida, di valere qualcosa, lo fa
resistere. Scende e abbraccia l'uomo. Capisce che quella è la via giusta e ci
si getta con tutta l'anima. Riparerà San Damiano, farà molte altre cose, e sarà
seguito, perché gli altri capiscono che quella è la via giusta, riconoscono che
non è un pazzo.
Papa Giovanni ha aperto alla Chiesa la via al rinnovamento in
questa fine di millennio. E' un titano. Ambizioso. Si dedica a coltivare gli
studi in cui può primeggiare, quelli storici. Ma lo mandano a Roma a
specializzarsi in una disciplina che gli è aliena: il diritto canonico.
Accetta. Farà il minutante presso la segreteria vaticana. Sarà inviato in
Turchia, dove cominciano ad essere evidenti le qualità del suo animo, la sua capacità
di amore, la sua umanità. Salva una bambina dalla morte. Quando il ciclone
nazista si abbatte sull'Europa sarà lui, per la sua capacità di negoziare, di
fronteggiare situazioni difficili, ad essere designato come ambasciatore a
Parigi della
Santa Sede, a trattare con i nazisti. Ormai entrato nella
vecchiaia, sarà nominato patriarca di Venezia. Infine, a sorpresa, papa: solo i
veneziani sapevano chi era l'uomo, e non si meravigliarono che dovesse per
destino essere conosciuto da tutti. Eletto papa, fece quel che ha fatto.
Servendo.
Quando si hanno queste tre immagini si fa meditazione.
Occorre evitare di abbandonarsi a sogni di grandezza. Durante la inspirazione
percepiamoci piccoli e magari fetenti. Durante la espirazione, sforziamoci di
capire che si è obbligati ad accettare la vita come atto di servizio. Che
occorre essere disponibili di fronte ad un compito, ad una malattia, a
scegliere bene nel momento giusto. Così si entra nella danza cosmica, ci si
eleva al quarto livello di coscienza.
La meditazione profonda non è una meditazione su un oggetto,
bensì entrare e abbandonarsi, lasciare agire l'universo. Tutto agisce intorno a
noi, noi possiamo esserne coscienti e manovrare. Questo è esaltante.
Per intraprendere la meditazione occorrono nervi saldi e un
certo grado di maturazione. Non è consigliabile iniziare prima dei
diciotto-venti anni. Ma ai bambini possono esserne forniti i rudimenti come
forma di preghiera preparatoria, in alternativa alle aride preghiere
mnemoniche.
Padre Cappelletto ha raccolto preghiere e formule di
meditazione in un suo libriccino che ci viene consegnato durante questa sesta
lezione. In appendice reca un testo inglese del 1200 in cui si parla della
meditazione, il che sta a dimostrare che tali pratiche non erano ignote nei
secoli passati.
[in risposta ad una domanda del pubblico] Durante la
meditazione siamo sdoppiati. Una parte di noi è concentrata nella propria
interiorità; un'altra parte tende a distrarsi, ad essere toccata dalle
preoccupazioni.
❍ Settima lezione (martedì 28 maggio 1996)
L'anima lentamente purificata attraverso l'ascesi entra nella
danza cosmica, nella "Maha-Lila" con tutta la coscienza, con
compartecipazione naturale. Non ha più un suo piano, ma si identifica col
grande piano cosmico. Dal sentirsi un ingranaggio della immensa macchina
cosmica trae forza, consapevolezza di rappresentare, nel suo limitato ambito,
una forza determinante.
Questo le dà una immensa gioia, una gioia quasi
insopportabile, che fa sragionare il cervello. Per manifestare questa gioia si
farebbero follie, cose da entusiasti, da rapiti. S. Francesco improvvisa un
violino con due stecchi di legno. Maddalena de' Pazzi corre per il chiostro
gridando: "L'amore non è amato!". Si tratta dell'"excessus
mentis", che prelude all'ultimo stadio, quello dell'avvicinamento
all'infinito, della percezione delle sue forze.
E' una condizione difficile da esprimere. E' una intima gioia
che fa battere il cuore, fa vibrare tutto il corpo. Questa vibrazione va in
alto, attraverso il collo penetra nel capo, arriva alla massa cerebrale e la
percuote. La persona cade. Le sue estremità iniziano a raffreddarsi, arriva
l'estasi, durante la quale l'unica parte calda è la testa, la parte alta. Non
bisogna allarmarsi. La persona non corre nessun pericolo, a patto che non sia
disturbata. Al ritorno da tali esperienze, essa non sa parlarne, descriverle.
Ha il volto luminoso, gli occhi che sprizzano luce, e per
ventiquattr'ore non riesce ad articolare parola.
Richiesta di descrivere ciò che ha provato, non trova di
meglio che utilizzare analogie inadeguate con gioie terrene: ma in tal modo si
rischia di equivocare radicalmente la natura delle sue esperienze. Qualche
confessore ha preteso simili descrizioni, che finiscono con l'essere equivoche.
Sulle esperienze descritte da S. Teresa d'Avila si sono potuti creare racconti
equivoci. Questo perché il paragone con gioie terrene induce gli ascoltatori a
credere di conoscere già in qualche modo ciò di cui si parla.
San Paolo, è più obiettivo e scientifico, laddove dice:
"Né occhio vide, né orecchio udì, né mente umana può concepire ciò che ci
aspetta" ["Ma come si legge nella Bibbia: 'Quel che nessuno ha mai
visto e udito, quel che nessuno ha mai immaginato, Dio lo ha preparato per
quelli che lo amano'" (1 Cor 2,9)]. E rifiuta di aggiungere altro. Si
tratta del quinto livello di coscienza.
I grandi mistici hanno due qualità: sono anzitutto i migliori
interpreti del testo sacro. I testi spirituali sono difficili ed oscuri per la
comprensione ordinaria. I mistici ne dànno una interpretazione anagogica, che è
il quarto senso attribuibile alle scritture, come si trova esposto da Dante in
un celebre luogo del "Convivio".
E' una interpretazione molto diversa da quella che darebbe un
filologo.
Confrontando ad esempio il commento della "Bhagavad
Gita" di Sri Aurobindo - dotto, ma che tuttavia tira l'acqua al suo mulino
[che vuol dire?] - con quello di Gandhi, par di sentir parlare di cose diverse.
Leggendo Origene - grandissimo autore spirituale - e confrontandolo con un
preparato esegeta scritturale si ha la stessa impressione.
In secondo luogo, i mistici, essendo pervenuti al gradino più
alto della realizzazione spirituale, avendo attinto la pienezza dei doni
mistici, possono a loro volta insegnare, comunicare tali doni. Nascono le
grandi correnti della mistica, la scuola francescana, la spiritualità
ignaziana.
Si tratta di correnti convergenti verso la stessa meta
suprema. E' la luce dall'alto che nella sua infinita forza creativa traccia
strade nuove. Gli scritti di tali uomini sono i prodotti più maturi della
produzione spirituale: il "Cantico dei Cantici" di S. Francesco;
l'"Anima Christi" di S. Ignazio; gli scritti di argomento mistico di
S. Tommaso d'Aquino (che P. Cappelletto definisce un mistico).
Con ciò abbiamo esaurito ciò che c'è da dire sul quinto
livello di coscienza.
I passaggi da un livello all'altro hanno qualcosa in comune:
come il quinto livello si raggiunge per grazia divina muovendo dalla intensa
gioia dell'"excessus mentis", così ognuno è un trapasso dallo stadio
precedente donato, concesso gratuitamente. E' un risultato che arriva quando
vuole, nel modo che vuole, che dura quanto vuole. E' totalmente gratuito. Se
tale è l'ultimo passo, gli altri passi precedenti saranno ancora più gratuiti.
In particolare, questa operazione della grazia si dispiega da
prima che si inizino a salire i gradini della elevazione. Non si arriva a fare
certi incontri, ad imboccare certe strade per caso. Non si pongono le persone
su questa strada con pubblicità, né, di regola, si deve farne. Arrivano a
questi incontri coloro che debbono arrivarvi per fatto provvidenziale. Molti si
ritirano a metà strada, capiscono che si tratta di una salita troppo ardua.
Arriva chi deve arrivare.
Una caratteristica della strada mistica è la elargizione di
doni, carismi, conosciuti in oriente come "siddhis", termine tradotto
erroneamente come “poteri". "Siddhi" vuol dire "dono",
largito non tanto per noi quanto per far del bene agli altri. In genere tali
doni accompagnano i primi passi, quasi a sostenere le forze ancora incerte del
proficiente. Eccone una breve descrizione.
Nel primo livello, normalmente si giunge a beneficiare di una
maggiore acutezza sensoriale: di udito, olfatto, di sensibilità alle piante,
agli animali, agli ammalati. Si ha l'inconsapevole impulso ad applicare le mani
per guarire. Si affina la sensibilità per i cibi, la attrazione istintiva per
quelli che ci sono benefici e la repulsione per quelli che ci sono nocivi.
Durante la meditazione può capitare di udire i tipici suoni
della campagna: stormire di fronde, canto di uccelli, suono di grilli e simili.
Nel secondo livello si acquisisce la facoltà di vedere al di
là delle apparenze. Certe "vetrine", certi spettacoli perdono il
potere di attrarci. Si capisce che certi film, certi divertimenti, sono delle
sciocchezze, delle vanità. Le mode perdono la loro presa su di noi, ne
comprendiamo la inutilità.
Tutte queste cose svaniscono, perdono di importanza. Nel
campo dei rapporti sociali si incomincia a realizzare che le nostre amicizie, i
contatti con persone bloccate a stadi inferiori di sviluppo non ci aiutano più,
anzi, ci ostacolano: la visita ai conoscenti, l'offerta di vino o liquori, la
bisboccia, il pasto copioso, la partita a carte, sono tutte cose che ci rendono
sempre meno attraente il frequentarli.
Sembra che la vita perda smalto. E' un momento critico: non
si è più nella vecchia condizione, ma non si è ancora arrivati a realizzarne
una nuova.
Occorre farsi coraggio, fare il salto, altrimenti si resta
indietro. Saremo ricompensati da nuove gioie, nuovi amici, da un modo di vedere
diverso, contempleremo con distacco il ridicolo teatro di questo mondo. Si
tratta di un momento molto delicato, che può essere accompagnato dalla
percezione di un tintinnìo sottile, come di anelli o braccialetti.
Giunti al terzo livello si arriva a comprendere come girano
le cose, le vie provvidenziali, si guarda al proprio passato e vi si riconosce
un disegno superiore, si giunge a tranquillizzarci su di esso, a sgombrare
l'animo dalle ubbie psicanalitiche su traumi, carenze affettive, complessi
pulsionali. "In fin dei conti, se sono arrivato qui - vien fatto di
ragionare - vuol dire che tutto è andato bene, è avvenuto a fin di bene".
Che non è un risultato da poco per il nostro equilibrio spirituale.
Si può giungere ad intuire come muoversi nel futuro, si
possono avere dei “flash" che ci mostrano dove arrivare. Si acquista una
tranquillità circa il futuro, e si vive finalmente nel presente.
Alcuni, in questo intravvedere il futuro, giungono a
conoscere la data della propria morte. Capita a questo stadio di udire dei
suoni lunghi, tesi, ma non monotoni, dolci.
A questo punto ci si sente parte dell'ingranaggio, si è pieni
di gioia di vivere, la propria esistenza è resa interessante da cambiamenti
continui, ogni mese una nuova esperienza. Non ci si sente più soli: inizia la
vita con gli spiriti. Vi sono i santi, i morti che si sono liberati [dai
peccati tramite la purgazione, parrebbe di capire] e naturalmente lo spirito
divino. Si comprende che non siamo mai soli. E' un po' ciò che capita a chi,
prima di morire, liberandosi dalla razionalità che ne ottundeva le percezioni,
parla con le persone defunte. Per le persone ordinarie è un segno della morte
prossima.
Prima di realizzare questa condizione Padre Cappelletto non
aveva mai fatto caso ai cimiteri. Ora, che viaggi in treno o con altro mezzo,
gli pare di sentire che lo chiamino per chiedergli di portarli con sé nella
meditazione.
Si narra di quel principe orientale che arrivava regolarmente
in ritardo alla consulta mattutina con i propri dignitari. Spiatolo dal buco
della serratura lo si vide a colloquio con delle persone; ma aperta che ebbe la
porta della stanza per uscire incontro ai dignitari, apparve essere solo.
I morti, i santi, gli angeli ci accompagnano, ci proteggono e
ci aiutano.
Come già detto, non si è più soli, si è contenti di vivere.
Può capitare di sentir sgorgare dal petto uno scampanìo festoso che prosegue
anche dopo il termine della meditazione.
Del quinto livello non si può dire nulla.
Quelli descritti sono piccoli doni di cui non ci si deve
vantare o inorgoglire, perché non costituiscono in sé la santità. La nostra
meditazione è semplicemente premiata con queste piccole cose. Non si deve
parlarne con nessuno. Non ci sono dati per gonfiare il nostro io, ma per
sostenerci nella fatica. Al massimo si può confidarli al proprio padre
spirituale. Occorre non desiderarne ancora, cercare di ritrovarli, perché
desiderandoli si torna indietro, si rimane fissati alla condizione in cui si
era. Occorre semmai desiderare carismi più grandi: tra cui, sommi, fede,
speranza, carità.
Tutti i santi e i mistici impongono di non parlarne. E'
regola. Nonostante ciò si formano club in cui si fanno esperienze di gruppo e
ci si descrive vicendevolmente ciò che si è sperimentato. Si finisce col
diventare ridicoli, a furia di voler vedere dappertutto un segno
soprannaturale, e facilmente si abbandonano le pratiche.
La meditazione termina con l'estasi, che è passività, stato
di totale abbandono e di consapevolezza della propria piccolezza sempre più
grande, di disponibilità al servizio altrui. Cosa si deve fare arrivati a
questo livello?
In realtà meno si fa e meglio è. Si deve rimanere
abbandonati.
Alla nostra mentalità ordinaria è invece difficile accettare
l'idea che se non facciamo nulla otteniamo comunque dei risultati. Si pensa che
se non si agisce non si è nulla. Il verbo "fare" ricorre
frequentissimamente nel nostro linguaggio: "fare la strada";
"farsi un panino"; "fare pratica"; ecc. In realtà esiste un
modo di condursi che è in antitesi rispetto a quello tecnologizzato,
programmato, organizzato. Un modo di agire di fronte al quale l'attivismo e lo
sforzo febbrile si rivelano dilettantistici, superficiali, provvisori e
inquinanti.
Si prenda ad esempio la città di Torino, piena di zone con
viuzze piccole, strette, storte, non progettate per il traffico e per la vita
odierna della città. E anche i lavori che vengono svolti in città peccano di pressapochismo,
dànno risultati deludenti o negativi: rompiamo l'asfalto per mettere una
condotta oggi, e domani toccherà di nuovo sterrare, bucherellare, dissestare
per inserire altri fili, per rifare il lavoro fatto. Dopo quindici giorni torna
a suonare il martello pneumatico. E' lo stesso per l'asfalto che per i
marciapiedi. Nulla si salva. E' un continuo fare e disfare.
Altro caso emblematico dei risultati e della qualità del
nostro fare: la nota vicenda della fabbrica chimica ICMESA di Val Bormida, progettata
da ingegneri chimici, secondo criteri di razionalità ed efficienza, ha finito
per spargere veleni in tutta la valle. Ed è iniziato il bailamme: cortei di
ambientalisti contro cortei di famiglie che rischiano di perdere il posto di
lavoro; polemiche, scioperi.
Un altro caso: a La Spezia, tre gigantesche ciminiere di una
fabbrica chiusa stanno a ricordare una assurda vicenda iniziata con l'impianto
di una raffineria ubicata "razionalmente" in vicinanza del mare, che
produsse un inquinamento massiccio da smog dei ridenti comuni della costiera.
Dopo polemiche e denunce, il pretore ordinò di sopraelevare di cento metri le
ciminiere: col risultato che l'inquinamento si spostò pochi chilometri più
oltre, e costrinse alla fine a decretare la chiusura definitiva degli impianti.
Si pensi alle polemiche sulla Costituzione italiana: quante
volte sarebbe stato necessario rifarla, già a poca distanza di tempo dalla sua
redazione!
Esiste un altro "fare", che produce capolavori
eterni che non danneggiano la vita sulla terra e vanno a vantaggio di tutti. A
sentir parlare certe madri, sembrerebbe che abbiano "fatto" il
proprio figlio quasi costruendolo loro stesse pezzo per pezzo, artigianalmente.
In realtà le prescrizioni dl ginecologo sono essenzialmente negative: non
assumere the o caffé; non fare lavori pesanti; andare a letto presto; e così
via. La donna rimane passiva: è la grande macchina dell'universo che produce
quel capolavoro della natura che è un nuovo essere umano. E' un meccanismo di
forze a noi superiori, che è capace di fare questo.
E lo stesso è per il musicista: un mattino, al risveglio,
sente risuonare per la testa delle note che cerca di connettere, intuendo
istintivamente le combinazioni sbagliate e le armonie giuste: nasce la
splendida sinfonia, la grande opera lirica. Chiedergli di crearne dietro
ordinazione, con la velocità con cui si porta a termine un lavoro meccanico
sarebbe privo di senso: l'ispirazione ha i suoi tempi.
E la medesima cosa è per il poeta: egli non sa donde venga la
ispirazione che gli ha fatto connettere i versi che mette su carta. E' stata
una passeggiata, un panorama, la veduta di un paesaggio battuto dal vento, che
ha fatto sorgere le prime parole che si legavano tra loro; egli ha aggiunto un
verbo, altre parole, ha sentito che certe scelte andavano corrette, e di lì è
nata la visione messa su carta: "Sempre caro mi fu quest'ermo colle / che
da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". Perché
"esclude" e non “chiude"? Perché si sente che quella è la parola
adeguata, e basta.
E quest'opera diviene immortale, si sente che non può essere
dimenticata, che deve essere imparata, tramandata; tradotta, non perde la sua
forza lirica, non cessa di incantare, di comunicare, di resistere nel tempo.
E' un "fare" che nasce da forze che sono presenti
in noi e che possono produrre questi risultati eccelsi. Come ha potuto ottenere
il Cottolengo un'opera di cui non riuscirebbe certamente di creare la pari una
moderna equipe di managers, architetti, urbanisti, pianificatori? Richiestone,
risponderebbe probabilmente di non saperlo: ricorderebbe il primo impulso ad
aiutare una donna anziana, le prime stanze reperite alla bell'e meglio; il
casolare messo insperatamente a sua disposizione quando ormai credeva di non
aver più i mezzi per proseguire la sua missione. E, alla fine, i grandiosi
risultati rimasti nel tempo.
L'uomo e la donna prosaici risponderanno che questa è poesia,
ma che la vita pratica richiede che ci si occupi di cose più concrete, come la
preparazione del cibo e le pulizie. Ma queste, in cui abbiamo voce in capitolo,
sono decisioni di mediocre importanza. Le grandi cose non le decidiamo noi: il
luogo di nascita; il tempo di nascita; il sesso; il livello sociale di
appartenenza; il numero di figli; e si potrebbe continuare a lungo.
I bimbi già nascono con certi istinti: sono evidenti in loro
propensioni che orienteranno le loro future attività, che li faranno diventare
scienziati, veterinari, matematici, poeti. Nascono già con una direzione
segnata. Decidiamo forse noi la persona con cui fidanzarci, legarci? Quante
volte si dice ai benedetti giovani di scegliere con la testa, di scegliere
bene, di valutare tutti i pro e i contro: e alla fine magari finiscono con lo
scegliere al modo in cui noi rimpiangiamo ancor oggi di aver scelto il partner.
In teoria si potrebbe scegliere ultrarazionalmente,
selezionando in base all'aspetto fisico, al quoziente di intelligenza, alla
ricchezza, alle doti che più accomunano o risultano gradite; in pratica, quando
si viene richiesti di rendere conto della propria scelta ci si dànno di quelle
manate in testa...: “Non l'avevo notato in un primo momento; poi quel giorno,
in quelle circostanze, ho trascorso la sera con lui, una cosa tira l'altra...
anche la suocera ha voluto mettere il becco; e poi si è capito che
ingranava..."
Venti anni fa, nella cerchia di Padre Cappelletto, sono nati
un bimbo e una bimba che oggi hanno scoperto di amarsi e si sono sposati.
Dentro e fuori di noi c'è una grande macchina che, se
assecondata, se lasciata fare, ci fa creare grandi capolavori. Far meditazione;
aspettare; abbandonarsi; digiunare: questo è tutto quel che serve, come dice
Herman Hesse in "Siddharta". Il
non fare ha come risultato il fare.
❍ Ottava lezione (martedì 4 giugno 1996)
Ci capiterà prima o poi di essere sorpresi in meditazione e
saremo oggetto di valutazioni negative: "Ti ha dato di volta il
cervello?"; "Hai un periodo difficile che ti spinge verso queste
pratiche strane?"; "Sei in stato di sbandamento spirituale?";
"Hai l'esaurimento nervoso?"; "Non sarà mica un fuoco di paglia,
una tua illusione di poterti liberare dai tuoi problemi con un metodo
magico?"; "Non sarai mica finito nelle grinfie di qualche setta di
dubbia fama?".
Per tutta risposta, noi rispondiamo semplicemente: "Si,
può essere". Il cammino spirituale è infatti irto di ostacoli e di
pericoli. In oriente si dice che chi compie tale cammino si espone
["almeno"?] al pericolo nientedimeno che di due pretese, tre
illusioni cinque confusioni e quattro deviazioni.
Le pretese consistono nella convinzione errata circa i propri
progressi lungo la strada spirituale.
La prima pretesa è quella di chi, dopo solo otto lezioni
dica: "la strada la so". Pretesa assurda perché si tratta di una
strada infinita, che dura tutta la vita e oltre la vita, piena di trabocchetti,
di pericoli e difficoltà che esigono cautela e attenzione costante. Nemmeno un
maestro può dire di "sapere la strada", di averla esplorata fino in
fondo. I principianti possono al più dire di aver conosciuto l'ingresso, la
iniziazione, ma non di più.
La seconda pretesa è quella di chi sapere a che punto si sia
giunti, di conoscere con assoluta esattezza i progressi fatti, quelli
giornalieri. Si sentono le tipiche frasi di chi è sicuro di non sbagliare:
"Da quanto esposto sui livelli di coscienza, posso stimare che, sì, non
sono ancora giunto al quinto livello, ma sono comunque arrivato tra il terzo e
il quarto".
Si è convinti che la meditazione di un giorno sia andata bene
mentre quella del giorno appresso sia andata male. Magari invece l'impressione
di una buona meditazione è illusoria, data da niente di più che da uno stomaco
vuoto, da una buona digestione, da una sensazione di soddisfazione per
l'andamento della giornata, che non hanno nulla a che fare col progresso
spirituale, mentre la seduta negativa ci ha magari costretti a fare i conti con
dolori e fastidi della postura e ci ha fatto crescere in capacità di
autodominio e sopportazione. Non si può mai tirare simili conclusioni.
Assolutamente.
Tra l'altro, più si va avanti maggiori appaiono i nostri
difetti. I grandi santi alla fine della propria vita si autodefinivano grandi
peccatori. Non per un malvezzo di falsa modestia, ma perché, giunti a vedersi
alla luce della infinita bellezza, si vedono tutti i propri difetti, ci si
trova irrimediabilmente brutti in confronto ad essa, distanti dall'ideale. Ci
si fa persino paura.
E' un po' come portare un indumento fuori casa, alla luce
piena del sole: quelle macchioline che prima non si erano notate, ora risaltano
chiaramente.
Sono macchie che esistevano già da prima, e la luce ha solo
contribuito a mostrarle. La percezione dei propri difetti non è una condizione
negativa: ci permette di conoscere per migliorarci.
La prima illusione è che tutto dipenda da noi, da ciò che
facciamo o non facciamo. Gli iperattivi si affannano a praticare cinque asanas,
poi dieci asanas, raddoppiano il tempo giornaliero di meditazione, riempiono
quaderni di appunti [eh eh!], leggono libri su libri. E dopo un po' li si
ritrova ansanti e affannati sul margine della strada. Hanno mollato tutto. Non
si ripeterà mai abbastanza che in queste faccende tutto dipende dalla grazia.
La seconda illusione è che la grazia faccia tutto da sé,
senza alcuno sforzo da parte nostra. Si incontrano spesso persone che dicono di
"attendere la grazia" per iniziare la pratica, per iniziare a
modificare il proprio comportamento. Certo, la grazia aiuta potentemente. Ma la
nostra parte va fatta: dobbiamo ripulire la coscienza, allontanare le immagini,
mettere impegno e buona volontà. Non bisogna esagerare né in un senso
(iperattivismo) né nell'altro (passività eccessiva e ignavia).
La terza illusione è quella di poter percorrere più strade
contemporaneamente. Si incontrano persone che fanno parte del tal gruppo; sono
state per un certo periodo a Pomaya, in Tibet, hanno anche un maestro
ayurvedico. Padre Cappelletto si è visto invitare a recarsi in Svizzera insieme
al suo interlocutore per assistere alle conferenze di un guru importantissimo.
Ha risposto chiedendo ironicamente se quel che lui aveva
richiesto ai partecipanti delle conferenze non fosse per caso abbastanza. Il
maestro svizzero avrebbe aggiunto con tutta probabilità ancora qualcosa in più
e magari anche di diverso ad una serie di precetti già così estremamente ardui
da osservare.
Oggi è di moda passare da una strada all'altra, "per
provare", perché "si impara sempre da tutti". Ma se questo
atteggiamento va bene di fronte ad una scienza, fatta di nozioni che possono essere
collezionate ed ampliate ed aggiornate, non va bene di fronte ad una esperienza
qual è una strada spirituale.
Nessuno dubita che esistono altre strade, altri maestri,
altrettanto validi.
Ma il fatto che esistano quattro strade valide non implica che
si possa percorrerle tutte e quattro, anzi, nemmeno più d'una. Si incontra chi
dice: "mi piace la spiritualità di San Francesco. Ma sono pure attratto da
quella di Don
Bosco. E anche S.
Ignazio mi è congeniale. Percorrerò tutte queste strade".
Come poi possa fare tre noviziati contemporaneamente è un
mistero. In questo modo non si finisce mai di oscillare. Occorre scegliere una
strada ed essere fedeli a quella.
Un amico di Padre Cappelletto gestiva una palestra di yoga.
Era un'ottima persona, e dedicava ogni anno, con estrema serietà, due-tre mesi
agli studi e ai contatti. Disponendo di mezzi economici e col lavoro che glie
lo consentiva, aveva girato l'India, spingendosi a settentrione, la Cina, il
Sudamerica, aveva avuto contatti con molti importanti maestri, aveva riportato
libri bellissimi che costituivano una biblioteca invidiabile. Aveva una vera
erudizione e Padre
Cappelletto accettava di
buon grado le sue occasionali correzioni.
Un giorno, nel recarsi in auto alla stazione con lui, il
Padre lo vede respirare male, con affanno, arrossato fino alla punta del naso.
Gli ricorda la necessità di una buona respirazione diaframmatica, ma quello -
incredibile a dirsi - dopo tutti quegli anni di contatti con i maestri ignorava
ancora questo semplice e basilare precetto. Liquidò la faccenda con una
scrollata di spalle, sostenendo che lui "badava alla parte filosofica
degli insegnamenti". Dopo qualche mese morì di infarto. La filosofia,
nella pratica, conta poco. In realtà quell'uomo non sapeva niente. Occorre
scegliere una via, compiere una esperienza con serietà, ben accompagnati da chi
ci sappia guidare.
Con le confusioni si entra nel campo della patologia
psichica, si rischia di prendere la via del manicomio. Non è purtroppo
difficile che ciò capiti: basti pensare che in tutti i tempi e in tutte le
chiese sono sempre stati numerosi i maniaci, ad es. i ritualisti ossessivi che
toccano tre volte l'acqua santa, si fanno dieci segni della croce, e dopo aver
pregato il santo si affannano a ripetere daccapo le preghiere alla Vergine
perché non si abbia a male di essere stata preferita.
Il passaggio dalla normalità alla patologia non è segnato da
alcun confine che noi possiamo percepire con assoluta chiarezza, anzi spesso
non si riesce per nulla a percepirlo. Occorre stare attenti, vigilare.
La prima confusione è quella tra bisogno di solitudine, di
vita spirituale ed autismo. L'autistico è chiuso in se stesso, non comunica con
gli altri. La sua tipica forma di espressione è la geremiade. Capita di
incontrare una persona che inizia una mesta tiritera: "Nel 1974 è morto
mio padre. Io vivevo con lui.
Da allora la vita per me è un tormento. Di lì a poco è morta
anche mia madre e sono rimasto orfano (magari chi parla ha 60 anni). Le cose
sono andate sempre peggio. Ho subito un intervento chirurgico sbagliato che mi
ha danneggiato permanentemente. Sono stato per un lungo periodo in clinica per
una seria malattia. Sono tormentato dall'insonnia, vivo delle situazioni
difficili che mi opprimono, i vicini mi tormentano" e così via.
Si cerca di consolarlo, di risollevarlo, ma non giova a
nulla. All'incontro successivo riprende la storia dall'inizio, negli stessi
termini: "Nel 1974 è morto mio padre...". La terza volta, quando si
tenta di scantonare, un tale individuo si adombra: "Benissimo, vedo che
non mi si comprende, che le persone che ho intorno sono ostili ed egoiste. Ma
io basto a me stesso. Forse ho perfino una vocazione mistica, alla vita
contemplativa, alla clausura".
In realtà si tratta di una persona malata, che non sa
comunicare, che ignora il proprio prossimo, che non aiuta nessuno. Tutt'altra
cosa è la autentica vita di clausura: i religiosi di clausura hanno la più
grande apertura al mondo, sono rivolti al mondo con la loro preghiera e il loro
spirito. S. Teresa di Lisieux sapeva come mettersi in contatto misterioso e
spirituale con chi viveva al di là delle mura della clausura, e il suo influsso
era così potente che arrivava fino alle missioni. Alle persone autistiche, che
sono veramente malate, occorre dare degli interessi caritativi, degli aiuti
perché escano da se stessi.
La seconda confusione è quella tra desiderio di meditazione e
masochismo.
Capita troppo di frequente che dandosi alla meditazione
persone con trascorsi non edificanti, concepiscano l'idea di espiare il male
compiuto ed inizino ad autotorturarsi, vietandosi rigidamente certi atti,
privandosi di gioie e soddisfazioni, dandosi a pratiche austere. In realtà è
gente che si vuole male, e perciò si autotortura. Ma il peggio è che infliggono
sofferenza anche a coloro che li circondano, ai familiari, ai vicini
("spegni quella radio, che mi disturba la concentrazione!"; "dì
ai vicini che disturbino meno!").
E' il modo sbagliato di rimediare a degli errori. Si cambia
facendo in positivo ciò che si era fatto in negativo. Ad una ragazzina che
tiene il muso alla madre dovrebbe darsi, invece delle avemarie, la penitenza di
lavare i piatti alla madre. Per quanto questa sia l'ultima cosa che avrebbe
voglia di fare. Con l'autotortura invece, non si ripara assolutamente nulla.
La terza confusione è quella tra ispirazione e schizofrenia.
Stati di lieve sdoppiamento li viviamo tutti quotidianamente. Ad es. quando,
esausti ad un certo punto della giornata o di un lavoro, ci rivolgiamo a noi
stessi come a un'altra persona rincuorandoci ed invitandoci a superare il
momento di stanchezza, a riprendere l'attività.
Ma si può cadere in uno stato di sdoppiamento completamente
patologico, in cui quella voce che si sente, quelle manifestazioni che sembrano
provenire dal margine della nostra personalità, divengono degli eventi, dei
segni magici, considerati voci spirituali. Il soggetto è convinto che si tratti
di ispirazioni dall'alto: "guardi, Padre, che non è la mia voce ordinaria,
è sicuramente la voce di qualcun altro, di Cristo, dei marziani, ecc.".
Si tiene il famigerato diario spirituale: grossa agenda
"16 mesi" che si riempie fittissimamente della narrazione degli
episodi e delle comunicazioni spirituali.
Ogni mese, a Padre Cappelletto, capita qualche persona del genere,
che pretende di infliggergli la lettura dei suoi vaneggiamenti. Una volta, il
Padre volle leggere uno di questi diari, presentatogli da una signora, e vi
trovò ricorrente un nome maschile. "Ma è tuo marito?" "No, è uno
che fa la strada con me". Insospettito da alcune annotazioni: "Ma ci
fai solo la strada o..." “Padre, lei è un veggente; effettivamente c'è
stato qualche cosa..." "Ma il tuo spirito-guida che ne pensa?"
"Dice che è il mio karma". Dopo qualche mese il marito la buttò fuori
di casa, ed ora va girando come un cadavere ambulante: proprio un bel karma.
In questi casi si rischia di andare fuori di testa, di
sragionare. Si vaneggia di spiriti guida. Padre Cappelletto fu voluto a tutti i
costi alle Molinette, al proprio capezzale, da un moribondo che asseriva di
essere guidato in ogni azione dallo spirito di Cesare Pavese. Patologia. Gli
spiriti non hanno l'abitudine di tiranneggiarci, ma ci lasciano bensì la nostra
libertà.
Purtroppo cadere in questi stati patologici è sin troppo
facile. Occorre stare in guardia. MAI verbalizzare queste ispirazioni,
comunicazioni. Certe persone invece imperniano tutta la loro esistenza intorno
a tali messaggi: costringono la moglie a trascriverli, li fanno stampare,
diffondono volantini a pacchi.
C'era la persona che, tutta presa dalle comunicazioni
dall'alto, si accorse con stizza che la figlia durante la preparazione della
maturità con un suo coetaneo era rimasta incinta, del che non era stato
preavvertito dallo spirito.
Verrebbe fatto di dirgli bonariamente: "E' capitato
perché sono tutte scemenze. Sei una brava persona, molla tutto e volta
pagina".
In questo modo si gettano via le cose buone che la
meditazione, le pratiche spirituali possono invece donarci. Ad esse si
preferiscono questi dubbi segni del soprannaturale, li si cerca, anzi, con
avidità: "Adesso entro in chiesa e starò a vedere se la Madonnina mi
guarda o no, come segno di favore del cielo"; oppure: "Se riesco a
prendere quel tram vuol dire che le cose mi andranno bene, sarò aiutato".
Scempiaggini. Occorre sempre reagire con la massima energia e fermezza di
fronte a questi cedimenti.
Un signore genovese iniziò qualche anno fa a ricevere
sedicenti comunicazioni dagli arcangeli, occupanti di una astronave. Si
trattava, a suo dire di messaggi della massima urgenza. Lasciò il buon posto di
lavoro che aveva e si mise a diffondere questi messaggi. Li portò pure al
Cardinale di Genova. Per sua fortuna, si accorse alla fine dell'assurdità di
quanto andava facendo e smise. Oggi è in Germania e si occupa della cura degli
handicappati, il che è certamente più produttivo che vaneggiare di esseri alati
in astronave.
Altre persone confidano: "Ieri abbiamo usato
l'"Oui-ja" e dopo aver armeggiato due ore abbiamo ricevuto un
messaggio terrificante: 'Il mondo è marcio'! Che glie ne pare?" "Che
bastava seguire le cronache di 'Mani Pulite'".
Questa gente pare assolutamente incapace di rendersi conto
del ridicolo.
Basta poco per avere l'impressione di comunicazioni
soprannaturali. Si inizia allora a cercare conferme in tutto quanto ci capita,
e la ragione si smarrisce: “(Con aria di grande importanza) Ho capacità di
pranoterapeuta. Me le ha insegnate l'Arcangelo Michele. Per certe malattie
invece, interviene di persona
S. Giuseppe"; oppure: "Ho un messaggio della Madonna.
L'ho vista, le dico, mi riceva". Una volta ricevuta la persona, con
ingrato sacrificio del pisolino pomeridiano: "L'ho vista, l'ho vista, era
lì, era la Madonna, la Madonna... Mi ha dato un messaggio per il Cardinale di
Milano, Martini. Lei glie lo deve portare" "Ah, bé, affranchi con
settecento lire e spedisca. Arriva prima e con minor spesa".
Non che un diario spirituale non possa essere tenuto e non
sia di beneficio.
Ma va usato parcamente, per annotarvi in due parole un
avvenimento particolarmente significativo per la nostra evoluzione spirituale,
un caso fortuito che ci ha fatto fare certi incontri o esperienze, qualcosa di
ciò che abbiamo sperimentato. S. Giovanni della Croce, autorità riconosciuta da
tutti i mistici, dice ("Salita al Monte Carmelo", capitoli XIV o XV)
che, se anche fosse certo che Dio ci parla, non dobbiamo badarci: dopo che Dio
ci ha mostrato cosa fare ["dato direttive"], manda dei messaggi per
provarci. [Vedi, per una raccolta di passi pertinenti dalla "Salita al
Monte Carmelo", l'apposita appendice]
Si ripete ancora che occorre non parlare di ciò che si sente
in meditazione.
Abbiamo già sin troppi messaggi mistici, apparizioni,
veggenti, al giorno d'oggi. Limitiamoci a fare ciò che dobbiamo fare.
Papa Giovanni dette un esempio stupendo di comportamento
equilibrato e saggio di fronte a tali fatti nel caso del terzo segreto di
Fatima. Il primo segreto, come si ricorderà, riguardava la fine della prima
guerra mondiale; il secondo segreto riguardava lo scoppio della seconda guerra
mondiale; Il terzo segreto era stato sigillato in una busta, con la
disposizione di trasmetterlo al Papa solo nel 1960. Papa Giovanni accettò di
ricevere la busta e senz'altro avrebbe preferito che la faccenda si svolgesse
senza fasto e clamori: gli fu consegnata con una cerimonia ufficiale, durante
un pellegrinaggio, da una folta delegazione di notabili spagnoli, su un cuscino
di velluto rosso. Giovanni XXIII la prese e, tra la delusione dei presenti, la
intascò senza leggerla. Il Cardinale di Lisbona, facendosi interprete della
(indiscreta) curiosità generale gli fece rispettosamente presente che le altre
due lettere contenevano dei segreti che interessavano tutta l'umanità e forse
sarebbe stato bene leggere a tutti anche la terza missiva. Il Papa aprì la
lettera, la lesse e col dire "bene, bene, andiamo avanti così, lo Spirito
ci guida, e non abbiamo bisogno d'altro" la intascò di nuovo. A nessuno è
stato comunicato da allora il testo del terzo messaggio.
Se le cose vanno bene, non bisogna esagerare, occorre
fidarsi.
La quarta confusione è quella tra la vocazione particolare e
la mitomania.
Possiamo star sicuri che
non siamo stati buttati nel mondo a caso, e ognuno di noi ha una strada. Ma non
bisogna forzare il destino rincorrendo illusioni e progetti grandiosi e
irrealizzabili. Come pure non bisogna, dopo aver tentato certe strade
professionali, la attuazione di certe scelte, e aver fallito, prendersela con
la provvidenza. La provvidenza non c'entra. Non bisogna ostinarsi nei propri
errori dicendosi: "anche se sinora è andata male, magari le cose
cambieranno, avrò un'estasi, un piccolo segno soprannaturale, una apparizione,
mi sarà dato un messaggio per il mondo".
Tutti abbiamo un sogno nel cassetto, ma non bisogna farne una
ossessione che ci paralizza. William James scrisse un'opera, "Il salto
della tigre", in cui è descritta la vita di un uomo che attende di vedere
il "salto della tigre", e per poterlo fare non si sposa, evita i
condizionamenti sociali, si blocca nell'attesa vana di un evento e muore senza
averlo potuto vedere.
Spesso questo tipo di comportamento è dovuto ad una immagine
eccessiva di sé inculcata in tenera età da madri, zie e simili. Normalmente la
vita si incarica poi di ricondurre le nostre ambizioni e le nostre presunzioni
entro i confini della dura realtà, ma qualcuno persiste, continua a vivere ad
una spanna dal suolo, aspettando l'evento fatidico. E in tal modo perde
l'occasione di fare qualcosa di grande e di utile.
Chi si sforza di valorizzare in pieno le proprie doti arriva
ai massimi risultati, realizza la sua strada. Egli attingerà la grandezza se
accetterà il proprio posto nella danza cosmica. Un bell'esempio di ciò Padre
Cappelletto, che insegnava in passato Storia dell'Arte, lo ha sempre visto in
Paolo Uccello. L'umile Paolo Uccello che, pur non conoscendo le leggi della
prospettiva [o conoscendole?], come i pittori suoi contemporanei, che la
utilizzavano con virtuosismo, è salito tra i grandi artisti di tutti i tempi,
meritando un posto in ogni museo accanto a Tiziano e Leonardo, e agli altri
sommi, col suo lavoro, fatto con umiltà e dedizione.
La quinta confusione è quella tra il difficile e
l'impossibile. Troppe volte ci mettiamo in testa che qualcosa non è alla nostra
portata e ci blocchiamo la strada da soli. A forza di figurarci la cosa come
impossibile essa finisce per diventare realmente tale. Si vedono abbandoni
immotivati delle facoltà universitarie. E' una condizione patologica, si
finisce col rovinarsi con le proprie mani. Evitiamo di spaventarci, di figurarci
che le cose siano terribili, inaccessibili.
Le deviazioni riguardano non tanto il campo della patologia,
quanto quello pratico. La prima deviazione è quella del falso maestro. Oggi ci
sono maestri per tutti i gusti e per tutte le tasche: da quelli che chiedono
una piccola elemosina a quelli che pretendono settecentomila lire per la
iscrizione, un milione per la prima iniziazione e due milioni per la seconda
iniziazione. I guru di Padre Cappelletto asserivano che un buon maestro si
distingue dal cattivo guardando i frutti. I cattivi maestri producono
perversione, violenza, intolleranza. Come a Torino quel caso recente di un
gruppo di recita del rosario che su istigazione della donna che lo dirigeva ha
ucciso il membro che costei credeva indemoniato.
Ma rimane il pericolo di accostarsi all'albero prima ancora
di averne potuto osservare i frutti. Il Reverendo statunitense Johnson aveva
cominciato a formare negli anni '80 un gruppo di preghiera che si diceva
perseguitato dalle autorità e, espulso dal paese, riparò in Guyana. Dove ci fu
il "suicidio" di massa - solo in parte volontario - dei suoi membri.
Con un po' di ragionamento si è spesso in grado di capire
qualcosa, di intravvedere la autenticità o inautenticità di certe strade.
Di fronte ad un maestro che si presenta con un gran
"battage" pubblicitario, manifesti che lo proclamano grande e famoso,
raduni al PalaTrussardi, basta riflettere che se fosse così famoso come
asserisce avrebbe già tanti di quei discepoli da non poter occuparsi di altre
persone. Padre Pio non si spostò mai da Pietrelcina nel corso di tutta la sua
vita, perché già bastavano ad impegnarlo allo spasimo ["ad
ucciderlo"] le folle che si recavano colà.
Cancelliamo subito i guru che si fanno pubblicità. Si è già
detto che la regola
è di non farsi
pubblicità, e di accettare coloro che vengono, mandati dallo
Spirito.
In altri casi rende perplessi l'entità delle cifre chieste.
Ad un vero maestro, contornato da discepoli solleciti, non mancherebbe mai
l'essenziale; chi gli è intorno e gli è affezionato non gli farebbe mai mancare
quantomeno vitto e vestiario. Settecentomila lire per la iscrizione al corso,
un milione per la prima iniziazione e due milioni per la iniziazione ulteriore,
sono segni di avidità, di volontà di guadagno. L'Associazione Ricostruttori
chiede molto meno, accontentandosi, come è giusto, di recuperare le spese
sostenute.
Rendono pure perplessi i maestri che girano in Rolls Royce.
Non tanto per l'auto in sé, quanto per il numero: passino uno o due veicoli...
[detto ironicamente], ma decine di auto di lusso al servizio del guru
insospettiscono decisamente.
La seconda deviazione è
il fariseismo. Capita che ascoltatori del Padre Cappelletto plaudano alle sue
conferenze concludendo con un: "i giovani dovrebbero ascoltare le cose che
gli diciamo NOI. Quanto a me, io sono sempre stato dei vostri".
Simili persone negano di aver bisogno di un progresso, di
trasformare, di rendere ardente la propria vita. Viene da chiedersi come si
possa essere contenti di ciò che si è quando si intravede dinanzi a sé un
cammino di perfezione che ci fa avvicinare all'Infinito. E' desolante. E ci
sono pure di quelli... [brusca interruzione. Forse il P. Cappelletto voleva
alludere alle persone dedite al satanismo]
La terza deviazione è quella di chi consapevolmente o
inconsapevolmente accampa scuse mettendo altri interessi e altri obiettivi
dinanzi a quello che dovrebbe invece essere la loro meta suprema. Capita spesso
di sentir dire: "Sì, si tratta di una cosa importante, ma non riesco assolutamente
a trovare il tempo..." "Ma il sabato?" "Eh, il Sabato c'è
la confusione del non far niente, non ho la concentrazione giusta..."
"Ma la Domenica?" "Eh, la Domenica bisogna uscire...".
A questo punto è
divertente andare più a fondo e cercare di saperne di più su come queste
persone hanno organizzato la loro vita. "Lei va dal parrucchiere?"
“Certamente, debbo pur tenere in ordine i capelli, e poi sotto il casco leggo
riviste interessanti, articoli di cui discutere con le mie amiche" "Perché,
lei si incontra regolarmente con le amiche?" "Santo cielo, sì, al
mercato, e poi da una di loro, per parlare delle ultime notizie, scambiarsi
commenti e impressioni sulle 'soap operas' televisive" "Perché, lei
vede le telenovelas?"
E via di questo passo. A quanto è dato scoprire, queste
persone trovano il tempo per fare di tutto, ma non quello per meditare.
Pretesti insulsi. C'è chi dice: "Ho tre case da ordinare
e pulire, e sapesse la fatica, non mi lascia un attimo libero". E poi si
scopre che la "seconda casa" è quella del figlio, che la nuora,
secondo l'interpellata, non cura come dovrebbe, per cui l'interessata si
ritiene in dovere di essere sempre tra i piedi più che altro a controllare e a
criticare. La "terza casa" è quella dei vicini della porta accanto,
due vecchietti che "non si può lasciare soli, bisogna andare a vedere come
stanno, visitare per fare una partita a carte allo scopo di tirarli su di
morale".
Esiste pure il tipo di persona che passa da una attività
lavorativa frenetica, con cui riempie ogni minuto della giornata, alla
inattività della pensione, e finisce di essere sommerso dalla noia, dalla
malinconia e muore di infarto. E si tratta di un caso molto frequente. Questo
dovrebbe ammonirci a non arrivare all'età della pensione da disorganizzati in
preda all'arteriosclerosi, ma di organizzarsi, di fare spazio a queste
pratiche, a costo di spendere del tempo per riprogrammare la propria
organizzazione di vita, di chiedere il lavoro part-time, la cassa integrazione.
La vita si gioca in un breve arco di anni, tra i trenta, quando ci scuotiamo
dalla indifferenza, ai sessanta. Occorre affrettarsi, giocare il tutto per
tutto, mettere la meditazione avanti tutto.
Riflettiamo su questo: per mangiare, accudire alle necessità
fondamentali del corpo, il tempo lo troviamo comunque. Dovremmo essere in grado
di trovare tempo anche per queste pratiche vitali per il nostro spirito.
[La quarta deviazione non è risultata individuabile dallo
scrivente sulla scorta degli appunti presi]
La quinta deviazione consiste nel trovare immancabilmente
scuse, nel non mettersi mai d'impegno. "Mi ero messo in meditazione quando
hanno bussato alla porta" "E non poteva lasciar bussare?"
"Eh non si può. Per quel giorno la meditazione è stata rovinata. Come
pure, un'altra volta, ho dovuto rispondere al telefono che si è messo a
squillare in un'ora in cui di solito tace" "Ma non poteva
staccarlo?" "Eh no, e se fosse una notizia grave ed urgente?".
Si potrebbe obiettare che in quel caso si sarebbe stati sicuramente richiamati,
ma la fila dei contrattempi si allunga: "Il giorno dopo ho riprovato, ma
avevo un mal di testa di quelli... Il giorno dopo ancora ecco un raffreddore da
gocciolare come una fontana: sfido che avevo mal di testa! Per quel giorno non
ho potuto fare nulla" "E poi?" "E poi, il giorno dopo, con
gli antibiotici, ero così intronato che non se ne è potuto neanche
parlare" "E il giorno appresso?" “Beh, ho ricevuto un amico, e
sa com'è...".
Queste persone somigliano a coloro che debbono intraprendere
una cura dimagrante, ma la procrastinano sempre al domani. Occorre prendere il
toro per le corna e farsi violenza: "Crepi il mondo, domani farò
meditazione".
Dopo questa esposizione di tutti i pericoli e le trappole che
attendono chi si dedica alla meditazione e alla preghiera, ci si chiederà
preoccupati se sia mai possibile evitarle tutte. Questo è possibile solo a
patto di preoccuparsi di porre dei punti fermi, delle pietre miliari sicure.
Che vuol dire anzitutto non agire da solo, ma fare amicizie, conoscenze, darsi
degli appuntamenti settimanali. Da soli è quasi fatale che ad un certo punto
qualcosa interrompa le nostre pratiche, dopodiché è ben difficile che noi le
riprendiamo. E' necessario fare capo ad un gruppo. Un gruppo con intenzioni serie,
che si riunisca almeno una volta la settimana, per tutto l'anno.
Precautelarsi vuol dire anche scegliere una buona guida cui
affidarsi, cui riferire una volta al mese i progressi compiuti, che sia
intransigente sui punti fondamentali e ci stimoli senza riguardi a progredire.
Deve essere una persona che possa seguirci, esserci vicina, accompagnarci (e
non, come certi si vantano, un lontano santone indiano che si va a trovare una
volta ogni due-tre anni), che ci dia confidenza, che ci dia apertura. Individui
simili non sono facili da trovare. Occorre fare molta anticamera, dopo averli
conosciuti.
Tuttavia, cercando con decisione si trova la propria guida.