La moneta |
❍ Il “portafoglio” dei soggetti
economici privati (famiglie e imprese)
❍ Le “variabili reali” e le
“variabili monetarie” dell’economia
❍ Creazione e distruzione di
moneta. Creazione e distruzione di base monetaria
❍ Casi di creazione e
distruzione di moneta:
❍ I canali di creazione /
distruzione di moneta
❍ Quali “canali di creazione di
moneta” sono sotto il controllo delle Autorità Centrali?
❍ La banca e la creazione di
depositi. I sistemi di pagamento tra banche
❍ Il moltiplicatore dei depositi
bancari
❍ L’incontro tra la domanda e
l’offerta di moneta
❍ La
politica monetaria: La “politica economica”
❍ La
politica monetaria: La “politica di bilancio”
❍ La crescente importanza della
politica monetaria nel secondo dopoguerra
❍ La
politica monetaria: La “politica creditizia”
❍ La
politica monetaria: La “politica valutaria”
❍ La politica monetaria: La
“politica di sconto e prestito della Banca centrale”
❍ Le vicende del credito alle
imprese in Italia
❍ La evoluzione del sistema
bancario italiano
❍ La evoluzione normativa
dell'ordinamento bancario italiano
❍ Cosa si intende per
"eccesso di offerta di moneta"?
❍ Quanti tipi di scorte di
moneta tiene una famiglia o una impresa?
❍ Cosa succede quando famiglie e
imprese cercano di liberarsi dalla moneta in eccesso secondo Keynes?
❍ Come utilizzavano i
neoclassici lo strumento della politica monetaria contro le crisi economiche?
❍ Quali sono, in sintesi, le
posizioni della Scuola Monetarista o Scuola di Chicago?
❍ Le critiche dell’economista
John Kenneth Galbraith ai monetaristi
❍ Gli indici Paasche e Laspeyres
dei prezzi
❍ Il Reddito o PNL reale e il
Reddito o PNL nominale
❍ Le conseguenze negative
dell’inflazione
❍ La “politica dei redditi”
contro l’inflazione e la spirale prezzi-salari
❍ La
stagflazione e le sue cause
❍ Qual è la politica delle
autorità di fronte alla stagflazione?
❍ Il
mercato monetario e la borsa
❍ Il “portafoglio” dei soggetti economici privati (famiglie
e imprese)
▸ Tutti i soggetti della economia (stato, enti
pubblici, imprese, famiglie, banche, ecc.) posseggono un portafoglio.
▸ Un portafoglio è un insieme di attività con
diverso rendimento, rischio e scadenza
Per "attività patrimoniale" o,
semplicemente, "attività" si intende qualsiasi cosa appartenga ad un
soggetto e costituisca ricchezza. Il portafoglio di un soggetto può contenere
attività che vanno dalle più liquide (moneta) alle meno liquide:
a) Moneta
b) Obbligazioni, altri titoli a
reddito fisso e crediti con scadenza a breve termine
c) Obbligazioni, altri titoli a
reddito fisso e crediti con scadenza a lungo termine
d) Azioni
e) Beni di consumo durevoli
f) Beni di consumo non durevoli
g) Beni aziendali (le imprese)
h) Capitale umano (le abilità e
le conoscenze "spendibili" sul mercato del lavoro)
▸ A tutte le attività del portafoglio sono
ricollegabili rendimenti
A tutte le attività del
portafoglio sono ricollegabili rendimenti positivi o negativi. Le attività
reali forniscono un rendimento che si differenzia da una attività all'altra. Ad
es. il rendimento dei beni di proprietà è pari al valore dei servizi che
altrimenti il soggetto dovrebbe procurarsi pagando (così una casa di abitazione
di proprietà del soggetto ha come rendimento una somma pari al canone di
locazione che egli dovrebbe altrimenti pagare); il rendimento del capitale
umano è pari al reddito che esso può o potrà procurare con l'attività
lavorativa; le macchine offrono alla impresa che le possiede un contributo alla
produzione e quindi alla crazione di profitti.
▸ Le scelte di portafoglio
Per "Scelte di
portafoglio" si intendono le scelte che continuamente i soggetti compiono
per determinare la composizione del proprio portafoglio (ad es. scelta tra
moneta, titoli a breve, titoli a lungo termine) in modo da massimizzare i
rendimenti di tale portafoglio. Molte di tali scelte sono estremamente
importanti per spiegare variazioni o perturbazioni nella attività economica. Ad
esempio, se tutte le famiglie decidono di diminuire la quota di ricchezza
detenuta sotto forma di moneta e di sostituirla con titoli si avrà un aumento
del valore dei titoli, una diminuzione del saggio di interesse, un (probabile)
aumento degli investimenti e un (probabile) incremento del reddito nazionale.
▸Attività
reali e attività finanziarie
In sintesi, si può dire che un
portafoglio è composto principalmente da attività finanziarie: (moneta,
obbligazioni e azioni) e attività reali (macchine, terreni, fabbricati
posseduti dalle imprese, beni di consumo durevoli, abitazioni possedute dalle
famiglie).
▸ Attività liquide e attività non liquide
Quanto più facilmente un
credito che non è mezzo di pagamento può essere convertito in mezzi di
pagamento, cioè quanto più facilmente esso può essere impiegato per la creazone
di mezzi di pagamento, tanto più tale credito è liquido.
▸I
crediti
Nel portafoglio sono compresi
crediti verso altri soggetti economici. Ad esempio le obbligazioni, le quote di
fondi di investimento, i depositi bancari sono crediti
I crediti detenuti nel proprio
portafoglio dai soggetti economici (famiglia, imprese, istituti di credito,
Stato) possono essere classificati in modo generale come crediti:
· verso famiglie
· verso imprese
· verso istituti di credito (banche, casse di risparmio) o uffici
di conto corrente postale
· verso lo Stato.
Di questi crediti sono
utilizzati e accettati come mezzi di pagamento:
· Crediti verso la banca centrale nella forma di monete e banconote
· Crediti esigibili a vista verso istituti di credito e di uffici
di conto corrente postale (“depositi a vista”)
La moneta legale è tecnicamente
definita come "credito nei confronti della banca centrale": questa
terminologia risale al periodo in cui i possessori di banconote potevano
cambiarle con oro presso la banca centrale.
I crediti a termine e i
depositi a risparmio presso istituti di credito, dei quali si può disporre
soltanto dopo un determinato periodo di tempo, non sono mezzi di pagamento,
poiché il diritto di disposizione è stato abbandonato dal creditore per un
certo periodo di tempo.
Alcune grandi imprese
mantengono crediti a vista non solo verso banche ordinarie, ma anche verso la
banca centrale. I mezzi di pagamento delle imprese sono quindi:
· Monete e banconote
· Depositi a vista presso banche ordinarie
· Depositi a vista presso la banca centrale (solo le grandi
imprese)
Lo
stato è in possesso di:
· Monete e banconote
· Depositi a vista presso le banche ordinarie
· Depositi a vista presso la banca centrale
In conclusione, i mezzi di
pagamento dei vari soggetti non sono del tutto identici. Per semplicità
considereremo come “moneta” le monete e banconote e i depositi a vista presso
le banche ordinarie.
I depositi a vista ammettono il
prelievo senza preavviso, la emissione di assegni ma non sono produttivi di
interessi.
I depositi a risparmio non
ammettono il prelievo senza preavviso, non ammettono la emissione di assegni e
sono produttivi di interessi.
Gli economisti non considerano
mezzi di pagamento all’interno di uno stato le divise estere.
Giuridicamente la moneta è un
bene mobile (moneta legale) o un credito (moneta bancaria). Dal punto di vista
economico è un bene economico che dà una peculiare utilità: facilita e consente
gli scambi. Come tutti i beni esiste una domanda e una offerta di moneta, un
suo prezzo (saggio di interesse), un suo mercato.
▸ Le funzioni della moneta sono:
‧ Riserva
di valore
‧ Mezzo
di scambio
‧ Misura
di valore
▸ Il baratto
Il baratto è lo scambio di cosa contro cosa
▸ Le caratteristiche della moneta ideale sono:
‧ Inalterabilità
‧ Universale
accettazione
‧ Alto
valore (trasportabilità)
‧ Divisibilità
‧ Valore
stabile nel tempo
▸ L’oro ha caratteristiche che lo fanno
avvicinare alla moneta ideale, ma ha un difetto: ne esiste una quantità troppo
limitata per le necessità degli scambi mondiali. Sin dagli anni ’60 del secolo
scorso esso è stato quindi abbandonato a favore della carta-moneta.
❍ Le “variabili reali”
e le “variabili monetarie” dell’economia
Variabili monetarie
dell’economia sono quelle che gli economisti misurano in moneta o che ha a che
fare con la moneta, come ad es.:
‧ Livello
generale dei prezzi
‧ Saggio
di interesse monetario (cioè espresso in moneta e non in termini di potere
d’acquisto)
‧ Reddito
nazionale (PIL, PNL) monetario
‧ Salari
monetari
‧ Valore
dei titoli
‧ Quantità
di moneta in circolazione
‧ Credito
totale interno
‧ Tassi
di cambio tra le monete
Variabili reali dell’economia
sono quelle che gli economisti misurano in stock o flussi di beni e servizi, o
come numero di persone che svolgono determinate attività economiche, come ad
es.:
‧ Investimenti
‧ Reddito
nazionale (PIL, PNL) reale (inteso come prodotto annuo di beni e servizi del
sistema)
‧ Consumi
‧ Domanda
aggregata
‧ Occupazione
‧ Esportazioni
e importazioni
Gli economisti hanno a lungo
discusso se modifiche delle variabili monetarie (modifiche del "settore
monetario della economia") possano provocare modifiche alle variabili
reali (modifiche al "settore reale della economia").
Per esempio si sono chiesti che
effetto avrebbe sulla produzione e quindi sulla occupazione (variabili reali)
un aumento della quantità di moneta in circolazione (variabili monetarie).
Gli economisti neoclassici e
keynesiani ritenevano che l'effetto di cambiamenti nel settore monetario della
economia non avesse che scarse o nulle ripercussioni sul settore reale della
economia. Per i neoclassici, un aumento della quantità di moneta avrebbe fatto
aumentare la spesa per beni e servizi, ma poiché il sistema è normalmente in
stato di massima occupazione, non vi può che essere inflazione, e cioè aumento
dei prezzi senza aumento di produzione.
Per i keynesiani un aumento
della quantità di moneta avrebbe fatto aumentare gli acquisti di titoli e
provocato in tal modo una diminuzione del saggio di interesse. Ma il saggio di
interesse è legato molto debolmente agli investimenti, e quindi alla
produzione.
● AGGREGATI MONETARI
Vedi M1, M2,
M3
● BASE MONETARIA
E’ lo stock di moneta legale
detenuta dalle banche.
Moneta legale = Circolante +
Base monetaria
● BANCONOTA (BIGLIETTO
DI BANCA)
Un tempo era un titolo al
portatore, contenente la obbligazione della banca emittente di pagare a vista
una determinata somma ("tonda"), cioè a convertirla in moneta
metallica avente valore intrinseco, o in verghe d'oro, o in monete straniere a
loro volta convertibili in oro.
Esso rappresenta quindi
formalmente un "debito" della Banca Centrale e viene pertanto segnato
al passivo nel suo bilancio.
● CIRCOLANTE (MONETA
CIRCOLANTE)
E' lo stock di moneta legale
detenuto dal pubblico, con esclusione quindi delle riserve di moneta legale
delle banche.
● CREAZIONE DI MONETA
DISTRUZIONE DI MONETA
Vedi più avanti
● CREDITO TOTALE INTERNO
Totale dei crediti concessi
dalle banche (esclusa la Banca d’Italia)
● DOMANDA DI MONETA
Domanda di scorte monetarie da
parte delle famiglie e delle imprese (settore privato) a scopo transattivo,
precauzionale e speculativo
● IMPIEGHI
Nel linguaggio bancario
"impieghi" significa prestiti in lire o in valuta a breve o a
medio-lungo termine concessi dalle banche o dagli istituti di credito speciale
alla clientela ordinaria
● LIQUIDITA'
Il termine assume numerosi
significati:
▸ "Liquidità
di una banca" E' la capacità di una banca di far fronte ai pagamenti in
contanti richiesti dai clienti
▸ "Liquidità
di una banca" In un secondo significato indica la capacità di una banca di
concedere credito o di aumentare il volume di credito al pubblico
▸ "Liquidità
a disposizione di famiglie e imprese" Disponibilità presso tali soggetti
di attività di portafoglio che non sono mezzi di pagamento, ma sono
immediatamente trasformabili in mezzi di pagamento (ad es. titoli di stato a
breve termine)
▸ "Liquidità
di una attività di portafoglio" Qualità di una attività per cui essa può
essere prontamente trasformata in moneta. Ad esempio, quanto più facilmente un
credito che non è un mezzo di pagamento può essere convertito in mezzi di
pagamento, tanto più tale credito è "liquido".
▸ "Liquidità
primaria e liquidità secondaria" Nel significato di moneta (moneta legale
+ moneta bancaria)
● M1 (LIQUIDITA’
PRIMARIA)
Circolante + Depositi a vista
Attività utilizzabili
direttamente dal pubblico come mezzi di pagamento: moneta legale (biglietti e
monete) + conti correnti bancari e postali + depositi a vista presso la Banca
d'Italia e il Tesoro. Di solito, quando nei testi economici si definisce
"moneta" come l'insieme "moneta legale + depositi a vista",
ci si riferisce ad M1.
● M2 (LIQUIDITA’
PRIMARIA + LIQUIDITA’ SECONDARIA)
Circolante + Depositi a vista +
Depositi a risparmio
M1 + Liquidità secondaria
(Depositi a risparmio bancari e postali + buoni postali fruttiferi)
● M3
Circolante + Depositi a vista +
Depositi a risparmio + BOT
● MONETA
“Moneta” è l’insieme dei mezzi
di pagamento universalmente accettati; nel senso generico può significare M1 o
M2 o M3; il significato più comune, che adotteremo è quello di Circolante +
Depositi a vista in possesso del settore privato (Settore privato = famiglie + imprese),
cioè di M1.
● MONETA A CORSO LEGALE
MONETA A CORSO FORZOSO (CARTA MONETA
INCONVERTIBILE)
Lo stato può imporre
("corso legale") o non imporre ("corso fiduciario") la
accettazione della sua moneta come mezzo legale di pagamento, cioè di
estinzione dei debiti pecuniari.
Il “corso forzoso” si ha
quando, nel caso di moneta a corso legale la banca di emissione nega il cambio
in moneta metallica ("corso forzoso")
L’euro è una moneta a corso
legale e a corso forzoso
● MONETA BANCARIA
Depositi a vista creati dalle
banche. Gli assegni NON sono moneta bancaria, ma solo strumenti (ordini) di
trasferimento di moneta bancaria. La moneta bancaria è anche chiamata
"moneta di conto".
● MONETA CARTACEA (CARTA
MONETA)
MONETA CARTACEA
INCONVERTIBILE
Termine usato normalmente per
le banconote. E’ formata dalle banconote accettabili a vista nelle transazioni commerciali e creditizie.
Viene emessa dalla banca centrale secondo le leggi dello stato.
Può essere convertibile (in
altre monete, lingotti d’oro o di altri metalli preziosi) o inconvertibile
● MONETA COMMERCIALE
Sono monete commerciali gli
assegni bancari e circolari, i vagli postali, le cambiali, le carte di credito
● MONETA DI CONTO
Unità di moneta che non circola
materialmente ma in depositi, versamenti, registrazioni di dare e avere, bilanci
di enti, che sono espressi in questa moneta. Per i pagamenti viene prima
trasformata nella moneta che si usa nei pagamenti.
Ad esempio, fino al 2001 il
bilancio dell’Unione Europea, i contributi versati dai vari paesi, i fondi
erogati dall’Unione Europea erano denominati in Euro, ma i pagamenti ai privati
avvenivano nelle monete nazionali
Un altro esempio è dato dai
contratti che prevedono pagamenti futuri in cui, per evitare gli effetti
dell’inflazione sulla moneta nazionale, la prestazione viene calcolata in una
moneta estera caratterizzata da una maggiore stabilità di valore, che funziona
come moneta di conto. Il pagamento può essere effettuato in moneta nazionale,
ma dopo averne rapportato il valore alla moneta estera in base al cambio del
giorno.
● MONETA DIVISIONARIA
Meglio nota come “spiccioli”, è
la moneta di piccolo taglio coniata generalmente in metalli non preziosi (ma
esistono anche “biglietti di banca” cartacei, come i vecchi biglietti da
cinquecento lire del secolo scorso), il cui valore intrinseco è, almeno
all’origine, notevolmente inferiore al valore nominale impresso sulla moneta
stessa.
● MONETA ELETTRONICA
Serve per indicare la moneta
costituita da registrazioni nella memoria di computer, il cui pagamento avviene
trasmettendo ordini al computer. Un conto corrente relativamente al quale si
può usare una carta bancomat o una carta di credito (per fare acquisti presso
negozi o su internet) è considerabile moneta elettronica.
● MONETA LEGALE (MONETA
AVENTE CORSO LEGALE) (MONETA DELLA BANCA
CENTRALE)
Mezzi di pagamento coniati
(monete) o emessi (biglietti di banca) dallo stato (raramente qualche stato
attribuisce corso legale anche a monete straniere) aventi corso legale: cioè
che tutti sono tenuti ad accettare in pagamento (obbligo stabilito dall'art.
1277 codice civile e dall'art. 693 codice penale) Anche i pagamenti di somme
espresse in moneta straniera o fuori corso possono essere fatti con valore
liberatorio al corrispondente valore della moneta legale.
● MONETA-MERCE
MONETA-SEGNO
● OFFERTA DI MONETA (QUANTITA’
DI MONETA DELL’ECONOMIA) (STOCK DI MONETA)
(QUANTITA’ DI MONETA IN CIRCOLAZIONE)
Per "offerta di moneta" gli
economisti intendono "stock di moneta esistente nel sistema", e cioè
normalmente l'insieme di banconote, monete metalliche e depositi bancari a
vista che costituiscono l'aggregato M1, anche designato col nome di
"quantità di moneta in circolazione" o "quantità di moneta
dell'economia".
"Offerta" non ha quindi il
significato che si è studiato in macroeconomia: insieme di quantità che un
soggetto è disposto ad offrire in relazione ai vari possibili prezzi.
● PORTAFOGLIO
SCELTE DI PORTAFOGLIO
Vedi il paragrafo specifico
● RACCOLTA (MASSA
FIDUCIARIA)
Complesso dei fondi depositati
in una banca ordinaria dal pubblico. Sono segnati al passivo del bilancio della
banca
● RISERVE BANCARIE
Normalmente indica la parte di
base monetaria in possesso delle banche, costituita dalle banconote e monete
metalliche da esse detenute + i depositi presso la banca centrale. Tali
depositi sono moneta legale a tutti gli effetti, perché la Banca Centrale si
impegna a consegnare alla banca ordinaria, su richiesta, la corrispondente
quantità di moneta legale. Essi possono essere utilizzati per fare pagamenti ad
altre banche o essere trasformati in circolante mediante pagamento al pubblico
del contante prelevato.
● SETTORE PUBBLICO DELL’ECONOMIA
SETTORE PRIVATO DELL’ECONOMIA
Per "Settore privato della
economia" si intende Famiglie + Imprese non bancarie + banche ordinarie.
Per "Pubblico" si intende invece Famiglie + Imprese non bancarie.
Quindi "Settore privato della
economia" = "Pubblico" + Banche ordinarie.· Sistema monetario
● SISTEMA MONETARIO A CARTA MONETA INCONVERTIBILE
E' il sistema monetario vigente
in tutti gli attuali stati del mondo, compresa l'Italia. La carta moneta
circola convenzionalmente, cioè in virtù di una norma inderogabile di legge: lo
stato ordina il corso legale e insieme il corso forzoso della carta moneta,
cioè dispone che sia obbligatoriamente usata e accettata in pagamento da tutti
secondo il valore stampato su di essa (corso legale), ma che non possa essere
cambiata in oro (corso forzoso).
● TESORO
E' il ministero (attualmente è
una sottodivisione del ministero dell’economia e delle finanze) che funge da
tesoriere (cioè gestisce gli incassi e i pagamenti) dello stato: ad esso vanno
versati tutti gli introiti di denaro dello stato (in particolare quelli
riscossi dal ministero delle finanze) e tramite esso, mediante ordini inviati
dalle altre amministrazioni, vanno fatti i pagamenti. Il Tesoro si occupa anche
di reperire i fondi necessari per finanziare le spese dello stato quando le
entrate tributarie non siano sufficienti o vi siano sfasamenti tra incassi e
pagamenti, tramite emissione di titoli del debito pubblico (BOT, CCT, ecc.) o
prestiti (anticipazioni) da parte della Banca d'Italia o prestiti da banche
ordinarie o da governi stranieri. Il Tesoro ha facoltà di coniare la sola
moneta divisionaria: monete metalliche e biglietti di stato (in passato erano i
biglietti da 500 lire), ora scomparsi.
● TRANSAZIONI
Sono le compravendite e in genere gli
scambi che possono avvenire tra i soggetti economici (tra famiglie e famiglie;
tra imprese e famiglie; tra imprese estere e famiglie italiane; ecc.)
● VALORE INTRINSECO (VALORE
REALE) (POTERE DI ACQUISTO)
VALORE NOMINALE
Il potere di acquisto di una
moneta è la quantità di beni e servizi
acquistabili con un’unità di moneta
Gli "strumenti
monetari" sono cose mobili (banconote, divise metalliche), su cui è
impresso un numero di "unità monetarie", che esprime i valore
nominale della moneta
● VARIABILI MONETARIE E VARIABILI REALI
Vedi paragrafo specifico
❍ Creazione e distruzione di moneta. Creazione e
distruzione di base monetaria
Per "creazione di
moneta" e "distruzione di moneta" gli economisti intendono
normalmente "aumento dello stock M1" e "diminuzione dello stock
M1".
Si ha pertanto creazione di
(nuova) moneta quando famiglie e imprese (= il settore privato) vedono
aumentare la quantità di moneta legale o di depositi a vista a loro
disposizione per effettuare pagamenti; il contrario (diminuzione) si verifica
nel caso di distruzione della moneta
Per "creazione di base
monetaria" e "distruzione di base monetaria" gli economisti
intendono l'aumento o la diminuzione dello stock di moneta legale, costituito
da circolante + riserve bancarie. Come già detto, il circolante è detenuto dal
pubblico, mentre le riserve bancarie sono quelle delle banche ordinarie.
"Creazione di moneta"
e "Creazione di base monetaria" non sono ovviamente la stessa cosa:
A) Vi sono casi di creazione di base monetaria cui non si accompagna
creazione di moneta.
Si pensi all'acquisto, da parte
della Banca Centrale, di titoli di stato di proprietà delle banche ordinarie;
questa operazione fa aumentare lo stock di base monetaria, in quanto incrementa
le riserve bancarie, ma non fa aumentare lo stock di moneta in mano al
pubblico.
B) Vi sono casi di creazione di moneta cui non si accompagna
creazione di base monetaria.
Si pensi alla concessione di
una apertura di credito in conto corrente da parte di una banca ad un
imprenditore: aumenta lo stock di moneta, ma rimangono invariate le riserve
bancarie, e quindi la base monetaria.
C) Vi sono casi in cui si ha, insieme, creazione di base monetaria
e creazione di moneta.
Si pensi all'acquisto, da parte
della Banca Centrale, di titoli di stato in mano al pubblico: questa operazione
fornisce al pubblico una quantità di moneta legale aggiuntiva pari al
controvalore dei titoli, e in tal modo aumentano sia la base monetaria sia la
moneta utilizzabile dal settore privato dell'economia.
❍ Casi di creazione e distruzione di moneta:
Forniamo ora delle
esemplificazioni dei principali casi di creazione/distruzione di moneta o di
base monetaria.
(1) La Banca Centrale (Bankitalia) acquista da una banca ordinaria BOT
(buoni ordinari del Tesoro) per un valore di 1000 €
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = + 1000
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = ∅
(2) La banca Alfa concede un prestito
all’imprenditore Tizio accreditandogli la somma di 1000 € sul suo deposito a
vista presso la banca stessa
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = + 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = + 1000
(3) La Banca Centrale (Bankitalia) acquista BOT
(buoni ordinari del tesoro) dalle famiglie per un controvalore di 1000 €
pagandole in contanti
∆ Circolante = + 1000
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = + 1000
(4) La banca Alfa acquista dollari da un
esportatore per un controvalore di 1000 €, che vengono accreditati sul deposito
a vista dell’esportatore presso la banca Beta.
(Nota Bene: La moneta straniera
non è “moneta” per l’economia nazionale)
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = + 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = + 1000
(5) La banca Alfa sconta una cambiale
all’imprenditore Tizio per un controvalore di 1000 € che gli accredita sul suo
deposito a vista presso la banca stessa.
(Nota bene: cambiali ed assegni
in possesso della banca non sono base monetaria, essendo questa costituita solo
da moneta legale)
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = + 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = + 1000
(6) Tizio, che ha un deposito a vista presso la
banca Alfa, acquista un terreno da Caio, pagandolo con un assegno di 1000 € che
Caio deposita sul suo deposito a vista presso la banca Beta.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = ∅
(7) La Signora Rosa deposita 1000 € in contanti
sul suo deposito a vista presso la banca Alfa.
∆ Circolante = - 1000
∆ Base monetaria = + 1000
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = + 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = ∅
(8) La Signora Rosa, cliente della banca Alfa,
sposta 1000 € da un deposito a vista ad un deposito a risparmio.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = - 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = - 1000
(9) Tizio paga in contanti alla scadenza alla
banca Alfa una cambiale di 1000 € che aveva firmato.
(Nota Bene: il denaro pagato
alla banca, che finisce nel patrimonio della banca, e non nei depositi dei
clienti, è considerato distrutto)
∆ Circolante = - 1000
∆ Base monetaria = + 1000
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = - 1000
(10) Tizio acquista un televisore da Caio, che gli
fa credito per 1000 € (Tizio pagherà tra un anno).
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = ∅
(11) Tizio restituisce alla scadenza il prestito
ricevuto dalla banca Alfa pagando 600 € in contanti e 400 € con assegno emesso
su un deposito che ha presso la banca Beta.
∆ Circolante = - 600
∆ Base monetaria = + 600
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = - 400
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = - 1000
(12) La Banca Centrale (Bankitalia) acquista dalla
famiglia Rossi BOT (buoni ordinari del Tesoro) per un controvalore di 1000 €.
La somma viene accreditata sul deposito a vista che la famiglia Rossi ha presso
la banca Alfa. Per far questo la Banca Centrale accredita 1000 € sul deposito
della banca Alfa presso la stessa Banca Centrale.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = + 1000
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = + 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = + 1000
(13) Tizio, importatore italiano di scarpe USA, dà
ordine alla banca Alfa, presso cui ha un deposito a vista, di pagare 1000 $
(controvalore 1000 €) al produttore USA di scarpe. La banca Alfa utilizza le
sue riserve di dollari USA (cambiali e crediti in dollari depositati da
esportatori) ed addebita il conto di Tizio del controvalore in euro.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = - 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = - 1000
(14) Lo Stato preleva 1000 € di imposte a Tizio,
che paga con bonifico dal suo deposito a vista presso la banca Alfa.
(Nota Bene: la moneta ceduta
allo Stato si considera distrutta)
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = - 1000
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = - 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = - 1000
(15) Lo Stato acquista un computer per la Pubblica
Amministrazione pagandolo 1000 € che il venditore ritira in contanti presso uno
sportello della Tesoreria dello Stato.
∆ Circolante = + 1000
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = + 1000
(16) La banca Alfa acquista un edificio da Tizio, e
gli accredita 1000 € sul suo deposito a vista presso la stessa banca Alfa.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = + 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = + 1000
(17) La Banca Centrale (Bankitalia) risconta una
cambiale presentatagli dalla banca Alfa, accreditandole 1000 € sul suo deposito
a vista presso la stessa Bankitalia.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = + 1000
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = ∅
(18) La Banca Centrale (Bankitalia) accorda un
prestito alla banca Alfa accreditandogli 1000 € sul deposito a vista che la
banca Alfa ha presso la stessa Bankitalia.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = + 1000
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = ∅
(18) La Banca Centrale (Bankitalia) accorda un
prestito allo Stato accreditandogli 1000 € sul deposito a vista che lo stato ha
presso la stessa Bankitalia.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = ∅
(19) Lo Stato vende BOT (buoni ordinati del Tesoro)
alla famiglia Rossi per un controvalore di 1000 €. La famiglia Rossi paga con
un bonifico dal suo deposito a vista presso la banca Alfa sul conto del Tesoro.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = - 1000
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = - 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = - 1000
(20) La banca Alfa acquista BOT (buoni ordinari del
Tesoro) dallo Stato per un controvalore di 1000 €. Per pagare trasferisce 1000
€ dal suo deposito a vista presso Bankitalia al deposito a vista dello Stato
presso Bankitalia.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = - 1000
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = ∅
(21) Il signor Rossi concede un prestito al suo
amico Bianchi, dandogli un assegno tratto sul suo deposito a vista presso la
banca Alfa. Bianchi deposita l’assegno sul suo deposito a vista presso la banca
Beta.
∆ Circolante = ∅
∆ Base monetaria = ∅
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = ∅
∆ M1 (Circolante + Depositi
a vista) = ∅
(22) Il signor Bianchi rimborsa al suo amico Rossi
il prestito di 1000 € che questi gli aveva fatto, pagandolo in contanti. Rossi
versa la somma sul suo deposito a vista presso la banca Beta.
∆ Circolante = - 1000
∆ Base monetaria = + 1000
∆ Moneta bancaria
(Depositi a vista) = + 1000
∆ M1 (Circolante +
Depositi a vista) = ∅
Ogni forma di moneta nei
sistemi moderni è un credito: le banconote sono formalmente crediti esigibili
nei confronti della Banca Centrale e da essa segnate al passivo del suo
bilancio; la moneta bancaria è costituita da depositi a vista che rappresentano
altrettanti debiti della banca ordinaria nei confronti del depositante. Quindi
la moneta moderna è un credito nei confronti della Banca Centrale o è un
credito nei confronti di una banca ordinaria. Ma non tutti i crediti sono
moneta: si pensi ad un credito incorporato in una cambiale: esso non è
universalmente accettato come mezzo di pagamento. Si pensi ancora ad un credito
pecuniario di un soggetto nei confronti di un altro: la cessione di tale
credito non è normalmente accettata come pagamento.
❍ I canali di creazione / distruzione di moneta
Si parla di "canali di
creazione di moneta" per indicare quelle operazioni che fanno aumentare lo
stock di moneta (M1) nel sistema:
(A) Acquisti da parte delle banche ordinarie di
attività dal settore privato
Esempio (16)
(B) Moltiplicatore dei depositi bancari
La banca, concedendo prestiti,
o scontando cambiali crea depositi a favore di soggetti privati, che
costituiscono moneta: esempi (2) e (5)
(C) Commercio con l’estero
Vedi esempi (4) e (13)
(D) Manovra dell’aliquota di riserva
obbligatoria
(vedi più avanti)
(E) Massimale del credito
Lo stato impone un limite
massimo ai prestiti che ciascuna banca può concedere
(F) Manovra del saggio di sconto
Vedi più oltre
(G) Operazioni di mercato aperto del Tesoro o
della Banca Centrale
Se lo Stato (tramite il Tesoro)
o Bankitalia acquistano titoli di stato (BOT, CCT ecc.) dalle famiglie la
quantità di moneta aumenta (creazione di moneta)
Se lo stato vende titoli di
stato (BOT, CCT ecc.) alle famiglie la quantità di moneta diminuisce
(distruzione di moneta)
Esempi (1), (3), (12), (19)
(H) Prelievo fiscale
Esempio (14)
(I) Spesa pubblica
Esempio (15)
(J) Spostamenti di somme, che una famiglia o una
impresa compie, da depositi a risparmio a depositi a vista.
Esempio (8)
(K) Si può anche citare la modifica del rapporto
desiderato contante/depositi da parte del settore privato come una causa di
aumento o diminuzione di moneta
❍ Quali “canali di creazione di moneta” sono sotto il
controllo delle Autorità Centrali?
Esistono diversi canali
attraverso i quali può essere aumentata la quantità di moneta presente nel
sistema economico (chiamati “canali di creazione di moneta).
In particolare sono canali
controllabili dalle autorità centrali:
▸Operazioni
di mercato aperto
▸Politica
valutaria
▸Politica
delle riserve obbligatorie
▸Politica
di sconto e prestito della Banca Centrale
❍ La banca e la creazione di depositi. I sistemi di
pagamento tra banche
Esponiamo ora il sistema di
pagamento tra banche ordinarie mediante stanza di compensazione
Supponiamo che Tizio, che ha un
conto corrente di 300 € presso la banca
Alfa, emetta un assegno di 150 € a favore di Caio, che ha un deposito di 400 €
presso la banca Beta.
Contemporaneamente Mevio, che
ha un conto corrente di 300 € presso la banca Beta emette un assegno di 200 € a
favore di Sempronio, che ha un conto di 150 € presso la banca Alfa.
La banca Alfa deve 150 € alla
banca Beta e contemporaneamente la banca Beta deve 200 € alla banca Alfa.
Le due banche, attraverso la
“stanza di compensazione” compensano il credito di 150 € che ciascuna ha verso
l’altra. Rimangono da pagare 50 € da parte della banca Beta alla banca Alfa.
La banca Beta può materialmente
inviare contante o a sua volta spostare denaro da un deposito che ha presso la
banca Alfa o presso altre banche
La banca Beta può anche pagare
spostando una parte dei depositi che tutte le banche ordinarie hanno presso la
Banca d’Italia
Infine, la banca Alfa rettifica
le sue scritture: ora il conto corrente di Tizio è di 150 € e non più di 300 €
mentre il conto di Sempronio è di 350 € e non più di 150 €
Anche la banca Beta rettifica
le sue scritture: ora il conto corrente di Caio è di 550 €, e non più di 400 €,
mentre il conto corrente Mevio sarà di 100 € e non più di 300 €
Le banche effettuano la maggior
parte dei pagamenti tramite compensazioni, senza spostamenti materiali di
moneta.
❍ Il moltiplicatore dei depositi
bancari
▸ L’aliquota r di riserva obbligatoria
Normalmente la legge prescrive
alle banche di tenere una somma in moneta legale pari ad una frazione r
dei loro depositi. Questa somma consiste in realtà di depositi a vista presso
la Banca Centrale (da noi la Banca d’Italia). La frazione r ha un valore compreso tra 0 ed
1.
▸ La percentuale c di moneta tenuta presso di sé dal pubblico
Normalmente, famiglie e imprese
tengono una parte della propria moneta sotto forma di depositi bancari a vista,
e una parte presso di sé, sotto forma di moneta legale. La percentuale di
moneta tenuta presso di sé sul totale della moneta posseduta è chiamata c, e può assumere un valore
compreso tra 0 ed 1
▸ Il moltiplicatore dei depositi bancari
Supponiamo che una banca
ottenga moneta legale pari ad L dalla vendita di titoli di stato (BOT,
CCT ecc.) di sua proprietà; essa vuole sapere quanti nuovi depositi M
può creare sfruttando la quantità L di moneta che è venuta in suo
possesso.
La banca sa che, per legge, non
deve tenere una quantità di moneta legale inferiore ad una percentuale r
dei suoi depositi.
La banca sa anche che il
pubblico ritirerà una frazione c
dei nuovi depositi che essa creerà, perché c è la percentuale di moneta che il pubblico desidera tenere
presso di sé sotto forma di moneta legale.
Dopo un certo tempo dalla
creazione dei depositi, quindi, la moneta legale in possesso della banca si
sarà ridotta a:
L – (c ‧ M)
a seguito del prelievo di una
somma c ‧ M da parte dei correntisti
I depositi della banca si
saranno pure ridotti della quantità c ‧ M prelevata, e ora saranno pari a:
M – c ‧ M
Se la banca vorrà rispettare la
legge sull’aliquota di riserva obbligatoria r potrà espandere i depositi M solo fino al limite:
dove, come già detto, L è la moneta legale depositata in banca
da Tizio; e M è l’ammontare dei
depositi originariamente creati dalla banca
Il membro di sinistra reca al
numeratore , che è la quantità di moneta legale che rimane nella banca
dopo che i depositanti hanno prelevato una somma da tenere presso di sé in contanti.
Il membro di sinistra reca al
denominatore , che è il totale dei depositi rimasto dopo l’uscita della
somma
Il rapporto tra numeratore e
denominatore è quindi il rapporto tra il contante della banca e e depositi
della banca, e tale rapporto, per legge, non deve essere inferiore ad r. Se la
banca volesse creare la quantità massima consentita di depositi, dovrebbe
quindi eguagliare ad r il
membro di sinistra.
Risolvendo per M si ha:
e cioè:
e cioè:
e cioè:
e cioè:
e cioè:
e cioè:
e cioè:
e cioè:
e cioè:
e cioè:
e cioè:
L’espressione:
che, in relazione ai valori di r e di c ha un valore superiore ad 1, prende il nome di
“moltiplicatore dei depositi bancari”
Qual è il limite massimo di
espansione dei depositi tenendo presente il deflusso di contante e il rischio
di prelievi eccezionali da parte della clientela?
Se interpretiamo r come percentuale imposta
dall’esperienza e non dalla legge, la formula del moltiplicatore dei depositi
bancari:
rappresenta il limite massimo
di espansione dei depositi cui la banca può arrivare senza rischio
Supponiamo che i depositi sono
mantenuti sempre al massimo livello dalle banche, che, non appena viene
restituito un deposito, ne creano un altro per un altro correntista.
La creazione di moneta dipende
dalla domanda di moneta della clientela: se la banca ha sufficiente domanda
essa può espandere i depositi fino ad un determinato limite, che può essere il
limite teorico segnato dal moltiplicatore.
La domanda di credito da parte
degli imprenditori si colloca nella domanda di moneta a scopo transattivo.
Ovviamente può pur sempre
esserci creazione di credito senza creazione di moneta.
Per rimborsare il proprio
prestito di (supponiamo) 100 milioni, il mutuatario deve acquisire un deposito
altrui o del contante altrui, da riconsegnare alla banca.
Nel momento in cui riconsegna
alla banca il contante o i depositi, 100 milioni di moneta legale e/o bancaria
vengono distrutti.
Successivamente, la banca
presta nuovamente 100 milioni ad un altro imprenditore, e i depositi ritornano
al livello originario, pari a:
A prima vista l’affermazione
che “dal deposito defluisce solo
una quantità di contante pari a una frazione c del deposito stesso”, e quindi che “la banca deve tenere di
riserva solo una frazione c del deposito” non sembra vera.
Sembrerebbe che, a poco a poco,
il titolare del deposito ritiri una quantità di contante pari all’intero
ammontare del deposito.
Ma questo non è vero.
Anzitutto, molti dei pagamenti vengono fatti con assegno, e quindi vengono
compensati tra banche e danno luogo a partite di giro. Ma supponiamo pure che
un depositante ritiri tutto il deposito in moneta.
Supponiamo che il totale dei
depositi di tutte le banche sia di 80 milioni, e che “c” sia di 0,2: vuol dire
che esisterà moneta per un valore di 100 milioni (80 milioni di moneta
bancaria, e 20 milioni di moneta legale detenuta dal pubblico). A questo punto
il depositante Tizio, che aveva un deposito di 10 milioni e aveva ritirato già
due milioni, ritira l’intero deposito di 10 milioni. Ma questo contraddice il
fatto che le sue preferenze sono per una detenzione di contante di 0,2.
Possiamo quindi avere solo due possibilità: o il soggetto rimette il contante
eccedente in banca, o lo dà ad altro soggetto (Caio). Caio, ha una nuova
ricchezza di 8 milioni, e ne deposita 8∙80% = 6.400.000 in banca. A sua
volta Tizio, coerentemente con l’ipotesi, sceglierà di tenere 2.000.000 ∙
80% = 1.600.000 in banca. E abbiamo così dimostrato che gli 8 milioni sono
tornati in banca.
La formula dei depositi nel
caso che la quantità di moneta L sia ottenuta dalla banca dal versamento
di un correntista
Nel caso di un correntista che
deposita una somma in contante presso una banca, la formula dell’espansione dei
depositi è lievemente diversa:
Infatti, ora il deflusso è pari
a:
c
‧ M – c ‧ L
perché possiamo supporre che il
correntista che ha depositato la somma sia soddisfatto della ripartizione del
denaro tra depositi e moneta presso di sé, e non ritiri una frazione c di contante
Qual è il limite massimo di
espansione dei depositi in condizioni normali (cioè se non esistessero rischi
di prelievi eccezionali da parte dei correntisti)?
Teoricamente la banca potrebbe
trascurare la riserva r e quindi espandere i depositi fino al limite:
e cioè:
e cioè:
Possiamo considerare come il
“moltiplicatore dei depositi in assenza di obbligo di riserva r ”
In condizioni normali, se i
depositi sono pari a , la banca avrà una uscita di contante pari ad , e non si dovrà preoccupare di altre uscite.
Se la banca tiene una riserva
di contante non pari, ma superiore a , questo è dovuto al fatto che possono verificarsi situazioni
di eccezionale richiesta di contante da parte dei correntisti.
Una anomala richiesta di
contante alla banca si ha ad esempio nei periodi di grandi acquisti (festività
pasquali e natalizie, inizio delle vacanze, giorni di fiere e mercati, periodi
di incentivi pubblici per l’acquisto di una nuova auto, ecc.)
Cosa vuol dire che se le banche
“muovono ad egual passo” non si avrà emorragia di contante né rischio di
insolvenza?
Partiamo dal presupposto che i
nuovi depositi si ripartiscono in modo casuale tra le banche. Ciò vuol dire che
se esistono quattro banche, A, B, C, D e la banca A crea un deposito di 100
milioni, ben presto ciascuna delle banche avrà 25 milioni di deposito.
In questa situazione, se le
banche creano ciascuna la stessa quantità di nuovi depositi ogni mese, non ci
sarà deflusso di contante oltre quello costituito dalla frazione c dei depositi che i correntisti
vorranno tenere in moneta presso di sé.
Consideriamo il caso delle
banche A, B, C, D: ciascuna di queste banche raccoglie il 25% dei depositi totali.
Supponiamo che esse aumentino ciascuna i propri depositi di 100 milioni. Dopo
breve tempo, supponendo c
= 0,2 ciascuna di esse possiederà depositi per 80 milioni, perché i correntisti
ritireranno una parte della somma da tenere presso di sé. Consideriamo ora la
situazione della banca A. Il 75% dei depositi rimasti, pari a 60 milioni,
uscirà dalla banca A. Ma contemporaneamente vi rientrerà il 25% dei depositi
creati dalla banca B (20 milioni) più il 25% dei depositi creati dalla banca C
(20 milioni) più il 25% dei depositi creati dalla banca D (20 milioni): nel
complesso, la banca A riceve 60 milioni e non avrà alcun deflusso di moneta.
Non è necessario supporre che
tutte le banche abbiano eguali dimensioni: supponiamo che, ad es. in relazione
al numero di sportelli, una banca acquisisce normalmente il 70% dei depositi,
mentre un’altra ne acquisisce il 30%. Di fatto le quote di mercato cambiano
molto lentamente, come dimostra il caso del salvataggio della Chrysler da parte
di Lee Iacocca. “Muovere ad egual passo” vuol dire che la banca crea depositi
in proporzione alla sua quota di depositi sul totale (se le banche hanno eguali
dimensioni, questo vuol dire che esse creano contemporaneamente lo stesso
ammontare di depositi).
Se la banca A ha 400 sportelli
(e quindi il 40% della raccolta) e le banche B, C, D hanno ciascuna 200
sportelli (e quindi il 20% della raccolta ciascuna), quando la banca A crea
depositi per 100 milioni, per muovere ad egual passo ed evitare rischi, le
altre banche debbono creare ciascuna 50 milioni di depositi. I correntisti
ritireranno una frazione c
= 0,2 dei depositi per tenerli in contante presso di sé, e in questo modo, dopo
breve periodo la situazione dei depositi sarà la seguente:
BANCA |
Deposito
originariamente creato |
Deposito dopo il prelievo dei correntisti |
Fuga dei depositi verso altre banche |
Arrivo di depositi dalla banca A |
Arrivo di depositi dalla banca B |
Arrivo di depositi dalla banca C |
Arrivo di depositi dalla banca D |
A |
100.000.000 |
80.000.000 |
48.000.000 |
- |
16.000.000 |
16.000.000 |
16.000.000 |
B |
50.000.000 |
40.000.000 |
32.000.000 |
16.000.000 |
- |
8.000.000 |
8.000.000 |
C |
50.000.000 |
40.000.000 |
32.000.000 |
16.000.000 |
8.000.000 |
- |
8.000.000 |
D |
50.000.000 |
40.000.000 |
32.000.000 |
16.000.000 |
8.000.000 |
8.000.000 |
- |
Come si può vedere, la fuga dei
depositi è esattamente compensata dall’afflusso dalle altre banche.
Se invece le banche non
rispettassero queste proporzioni, si avrà una uscita di contante dalla banca
che espande i depositi più delle altre. Facciamo la seguente ipotesi:
BANCA |
Deposito originariamente creato |
Deposito dopo il prelievo dei correntisti |
Fuga dei depositi verso altre banche |
Arrivo di depositi dalla banca A |
Arrivo di depositi dalla banca B |
Arrivo di depositi dalla banca C |
Arrivo di depositi dalla banca D |
A |
100.000.000 |
80.000.000 |
48.000.000 |
- |
32.000.000 |
16.000.000 |
16.000.000 |
B |
100.000.000 |
80.000.000 |
64.000.000 |
16.000.000 |
- |
8.000.000 |
8.000.000 |
C |
50.000.000 |
40.000.000 |
32.000.000 |
16.000.000 |
16.000.000 |
- |
8.000.000 |
D |
50.000.000 |
40.000.000 |
32.000.000 |
16.000.000 |
16.000.000 |
8.000.000 |
- |
I dati in corsivo rappresentano
la variazione rispetto alla prima ipotesi. Come si può vedere, mentre le banche
A, C, D espandono la moneta “di pari passo”, la banca B espande la moneta in
modo non proporzionale alla espansione attuata dalle altre. Questo provoca una
fuga di depositi pari a 64.000.000, a fronte di un arrivo di nuovi depositi di
soli 32.000.000. Ciò vuol dire che la banca B dovrà versare alle altre banche
moneta legale per un ammontare di 32.000.000
❍ L’incontro tra la domanda e l’offerta di moneta
Qualunque sia la domanda di
moneta, la massa monetaria esistente in ogni momento è frutto di decisioni
delle autorità monetarie, e rappresenta un'offerta di moneta. I privati e le
società, ossia i richiedenti, possono soltanto adattarsi a detenere la massa
monetaria esistente, ma, nel tentativo di scambiare la moneta eventualmente
eccedente rispetto ai loro piani o di ottenere quella mancante, finiscono per
far variare il prezzo di mercato o i saggi di interesse di altre attività
finanziarie. Dopo aver influenzato le variabili monetarie, tutto ciò influenza
le variabili reali dell'economia
❍ La politica monetaria: La
“politica economica”
La "Politica economica"
è l'insieme delle azioni intraprese dalle autorità centrali per influenzare
l'economia utilizzando, in base alle conoscenze fornite dalla economia
politica, gli strumenti a loro disposizione: creazione di divieti o obblighi
che impongano ai soggetti economici determinati comportamenti; incentivi e
disincentivi monetari, fiscali, ecc.; imposte; spese pubbliche; ecc.
"Politica economica" è anche il nome della scienza che studia,
applicando le conoscenze della economia politica, gli strumenti con i quali si
possono modificare le variabili economiche e i loro effetti.
❍ La politica monetaria: La
“politica di bilancio”
La "Politica di
bilancio" è l'insieme delle decisioni di spesa e di tassazione attuate dallo
Stato e fissate nel documento di bilancio approvato annualmente dal Parlamento
su proposta del Governo. Mediante un aumento o una diminuzione di spesa si può
influenzare la domanda aggregata di beni e servizi e quindi il livello del
reddito nazionale (vale a dire l'ammontare di beni e servizi prodotti in un
dato anno). Mediante un aumento o una diminuzione del prelievo fiscale si può
egualmente influenzare la domanda di beni e servizi delle famiglie e delle
imprese, con identici effetti.
E' la politica attuata dalla
banca d'Italia e dal sistema bancario su direttive del Ministero dell’economia
e delle finanze (ma oggi la Banca d’Italia è largamente indipendente dal
Ministero per quanto riguarda la politica monetaria).
La "Politica
monetaria" è l'insieme delle azioni intraprese dalle autorità per
controllare lo stock di moneta e, in tal modo, influenzare o controllare
variabili macroeconomiche importanti quali livello generale dei prezzi, saggio
di interesse, livello dei cambi, investimenti, ecc.
I legami tra la politica di
bilancio e la politica monetaria sono molteplici. Facciamo alcuni esempi:
● Il
deficit pubblico può considerarsi una concausa di inflazione soprattutto se la
sua copertura è affidata ad emissioni monetarie
● I
tassi di rendimento applicati dallo stato ai titoli di debito pubblico, per
renderli più appetibili ai risparmiatori influiscono sui livelli dei tassi del
mercato monetario e comunque il risparmio che affluisce alle casse dello stato
è sottratto ad altri impieghi, causando un aumento del tasso di interesse
● Per
contro, l'aumento dei tassi deciso dalla banca centrale provoca, anche per lo
stato e gli altri soggetti pubblici, un maggior onere per il loro
indebitamento. Ciò accresce la spesa pubblica, con conseguenti movimenti sia
sulle entrate (eventuali aumenti tributari), sia sulle altre spese oltre quelle
per interessi (minori investimenti) e sia sul disavanzo (che può aumentare)
Da questi pochi esempi si può
comprendere che la politica di bilancio, pur operando sulle entrate e sulle
spese dello stato, ha anche effetti monetari (sia sulla massa di moneta sia sui
tassi) e per contro che la politica monetaria pur operando sull'offerta di
moneta, può influire sulle entrate e sulle spese pubbliche
Fanno parte della politica
monetaria:
· la politica creditizia (solo in parte)
· la politica valutaria
· la politica delle riserve obbligatorie
· la politica di sconto e prestito da parte
della Banca Centrale
· La politica di mercato aperto
La politica creditizia e la
politica valutaria potrebbero tuttavia avere obiettivi diversi dall'aumento o
diminuzione dello stock di moneta.
Si parla di "politica
monetaria espansiva" quando le azioni delle autorità hanno l'obiettivo di
incrementare lo stock di moneta; di "politica monetaria restrittiva"
quando l'obiettivo è la diminuzione dello stock di moneta.
❍ La crescente importanza della politica monetaria nel
secondo dopoguerra
La politica monetaria ha
assunto, a partire dal secondo dopoguerra, un rilievo sempre maggiore.
La politica monetaria non era
considerata da neoclassici e keynesiani un efficace strumento per influenzare
le variabili reali della economia: reddito, consumi, investimenti, occupazione,
ecc. Si riteneva generalmente che un aumento della quantità di moneta in
circolazione avrebbe influenzato unicamente le variabili monetarie,
principalmente elevando il livello dei prezzi, senza modificare le variabili
reali.
A partire dagli anni '50 la
scuola monetarista e poi un sempre maggior numero di altri economisti, da un
lato hanno denunciato gli aspetti negativi delle politiche di bilancio di tipo
keynesiano e dall'altro hanno mostrato come le variabili monetarie sono in
molti casi in grado di influenzare le variabili reali della economia.
Quanto al primo punto essi
hanno denunciato:
(1) Gli effetti inflazionistici di politiche di bilancio keynesiane.
Aumentando la spesa dello stato si immette moneta nel portafoglio di famiglie e
imprese senza badare al controllo di questo stock di moneta in circolazione.
(2) Il crescente indebitamento pubblico derivante dalle politiche di
bilancio keynesiane Per ragioni politiche (è più facile chiedere prestiti che
non rendersi impopolari con nuove imposte) ed economiche (se lo stato si limita
a rimettere in circolazione somme prelevate con le imposte, che famiglie e
imprese avrebbero comunque speso, la spesa aggregata non aumenterebbe
significativamente; se invece lo stato si finanzia con i risparmi di famiglie e
imprese spende somme che queste non avrebbero speso, ed apporta un
significativo incremento alla spesa aggregata) la spesa pubblica è stata
regolarmente finanziata con prestiti pubblici piuttosto che con imposte.
(3) Il danno per gli investimenti privati Le crescenti necessità di
finanziamento da parte dello stato lo hanno portato a fare concorrenza alle
imprese per accaparrarsi il risparmio disponibile; come risultato il costo del
denaro è salito e gli investimenti privati sono diminuiti, senza che a
compensarli vi fosse un adeguato volume di investimenti pubblici (la spesa
pubblica finisce perlopiù in stipendi e in altre spese correnti non di
investimento)
Quanto al secondo punto essi hanno messo in
evidenza che:
(4) Se l'economia non è in una situazione di massima occupazione,
allora, secondo il pensiero neoclassico o monetarista l'aumento di spesa
provocato dall'aumento dello stock di moneta può contribuire a far aumentare la
produzione (variabile reale).
(5) Se invece si ritiene, con Keynes, che i soggetti cercano di
liberarsi dell'eccesso di moneta acquistando titoli, allora potrà aversi una
diminuzione del saggio di interesse sui prestiti e gli imprenditori, notato che
il denaro è più a buon mercato, aumenteranno gli investimenti, facendo crescere
il reddito nazionale (variabile reale)
La politica monetaria è diventata sempre
più importante anche per un'altra ragione. Nel corso del tempo la spesa dello
stato, destinata per una parte sempre maggiore a coprire le necessità correnti
(stipendi, materiali di consumo, ecc.) è diventata sempre meno modificabile.
Una efficace politica keynesiana di
bilancio, basata su variazioni della spesa per far fronte alla congiuntura
economica, è divenuta quindi praticamente impossibile, e l'unico strumento
importante di politica economica in mano alle autorità è rimasta la politica
monetaria.
Questo ha portato a una grande influenza
politica della Banca d'Italia, e a un rafforzamento della sua indipendenza come
autorità monetaria, culminato con il cosiddetto "divorzio" tra Banca
d'Italia e Tesoro, consistente nel fatto che la Banca d'Italia non è più
obbligata ad acquistare i titoli del tesoro, e potrebbe non farlo qualora ciò
contrasti con obiettivi di stabilità monetaria.
❍ La politica monetaria: La
“politica creditizia”
La "Politica
creditizia" è quell'insieme di azioni delle autorità centrali volte a
controllare la creazione di credito da parte delle banche ordinarie.
Il credito è infatti, come
sappiamo, un importante strumento di creazione di moneta, e inoltre condiziona
gli investimenti, i consumi e in genere il livello della attività economica.
Molte delle azioni volte a
controllare la quantità di moneta esistente hanno l'effetto di controllare il
credito
"Politica creditizia"
e "Politica Monetaria" hanno perciò una serie di strumenti e di
interventi in comune.
Un importante strumento di
politica creditizia è, oltre che l'aliquota di riserva obbligatoria, il
massimale degli impieghi, che impone alle banche ordinarie di non superare un
certo volume di crediti concessi (normalmente vi sono tetti diversi a seconda
del tipo di credito: al consumo o produttivo, a medio o a breve termine,
interno o all'esportazione, ecc.)
Una politica monetaria
espansiva non avrà effetto se banche ordinarie, Tesoro, famiglie e imprese non
decidono di approfittare delle opportunità di sfruttare una maggiore quantità
di base monetaria che le autorità concedono loro dichiarandosi disponibili al
risconto di cambiali, all'acquisto di titoli, alla concessione di prestiti alle
banche ordinarie, al cambio di divise estere o diminuendo la aliquota di
riserva obbligatoria:
● Le
banche ordinarie potrebbero infatti giudicare non necessario aumentare le
proprie riserve di moneta legale, e quindi non chiedere anticipazioni o
risconti alla Banca Centrale.
● Le
banche ordinarie potrebbero voler aumentare le riserve ma giudicare prudente
non aumentare comunque il volume dei prestiti e quindi dei depositi, ad es.
perché la congiuntura non è favorevole.
In tal caso non sfrutterebbero
neanche la possibilità di espandere i depositi offerta dalla diminuzione della
aliquota di riserva obbligatoria.
● Il
Tesoro potrebbe non voler vendere titoli alla Banca Centrale o ottenerne
prestiti, o comunque potrebbe decidere di rimandare la spesa delle somme così
ottenute.
● Il
pubblico potrebbe non aver bisogno di nuovi prestiti da parte delle banche
ordinarie, o non voler vendere i titoli di stato in proprio possesso.
Invece, una politica
restrittiva avrà più facilmente effetto sulla base monetaria e sullo stock di
moneta M1.
Infatti, a meno che le banche
ordinarie non dispongano di riserve eccedenti o siano in grado di procurarsi
nuova base monetaria (ad es. vendendo titoli a breve o altre attività
prontamente liquidabili in loro possesso) l'aumento della aliquota di riserva
obbligatoria, unito al rifiuto della Banca Centrale di concedere prestiti o
risconti o alla limitazione del cambio delle divise, le metterà in difficoltà,
costringendole a diminuire il volume dei depositi.
Anche le operazioni di vendita
di titoli sul mercato da parte del Tesoro o della Banca Centrale a famiglie e
imprese vengono finanziati attingendo dai depositi presso le banche ordinarie.
Nel momento in cui il Tesoro o la Banca Centrale pretendono il pagamento in
contanti degli assegni emessi su questi depositi le banche ordinarie si vedono
private di una corrispondente quantità di riserve.
Per esprimere il fatto che una
politica monetaria restrittiva è normalmente di più sicuro effetto, mentre
l'effetto di una politica monetaria espansiva è solo eventuale si usa parlare
di "asimmetria" della politica monetaria.
Sia la Banca Centrale che il
Tesoro, acquistando o vendendo titoli al settore privato ("operazioni di
mercato aperto") possono far aumentare o diminuire lo stock di base
monetaria o di moneta M1.
La Banca Centrale può far
aumentare la base monetaria anche acquistando titoli direttamente dal Tesoro.
Una famiglia o una impresa che
acquista titoli cede moneta al Tesoro o alla Banca Centrale. Supponiamo che
essa paghi tali titoli con un assegno. Quando il Tesoro o la Banca Centrale
presentano alla banca ordinaria l'assegno per la riscossione, chiedendo di
essere pagati in moneta legale, si verifica contemporaneamente una diminuzione
di eguale ammontare dei depositi (e quindi di M1) e delle riserve (e quindi di
base monetaria) della banca. Quando la banca ordinaria vede diminuire dello
stesso ammontare sia la quantità di depositi che la quantità delle riserve di
moneta legale, anche il suo rapporto riserve/depositi diminuisce
Infatti, sottraendo al
numeratore e al denominatore di una frazione la stessa cifra il valore della
frazione diminuisce, se era minore di 1, o aumenta, se era maggiore di 1; il
rapporto riserve/depositi è sempre minore di 1 e quindi il suo valore
diminuisce
Il rapporto riserve/depositi
può così trovarsi al disotto del minimo legale imposto dalla Banca Centrale.
La banca ordinaria si trova
allora in una situazione simile a quella in cui la Banca Centrale abbia
aumentato la aliquota di riserva obbligatoria: deve procurarsi nuove riserve di
moneta legale o diminuire i depositi.
Se sceglie la seconda
alternativa lo stock di moneta M1 diminuisce.
Se la Banca Centrale acquista
titoli direttamente dal Tesoro e lo Stato spende poi le somme ricavate si ha un
immediato aumento di moneta M1 in possesso del settore privato.
Come abbiamo visto parlando
degli effetti della politica monetaria, le operazioni di mercato aperto,
facendo aumentare la quantità di moneta nel portafoglio di famiglie e imprese
potrebbero spingerle a liberarsene acquistando beni e servizi o titoli; in
entrambi i casi possono verificarsi importanti effetti sul reddito, la
occupazione e altre variabili reali.
❍ La politica monetaria: La
“politica valutaria”
La "Politica
valutaria" è l'insieme delle azioni decise dalle autorità centrali allo
scopo di controllare il mercato dei cambi.
Da tali decisioni può derivare
creazione o distruzione di base monetaria e di moneta in quantità rilevante. Si
supponga che lo stato voglia difendere un determinato livello di cambio.
Normalmente in questi casi le
autorità dichiarano che a quel livello di cambio sono disposte a vendere e ad acquistare
qualsiasi quantitativo di divise estere in controvalore di lire italiane. In
periodi di esportazioni eccedenti sulle importazioni lo stato effettuerà quindi
ingenti vendite di lire agli esportatori, che gli cederanno le divise ricevute
in pagamento delle merci esportate. Si verificherà quindi un aumento continuo
della base monetaria in mano al settore privato (agli esportatori). In periodi
di importazioni eccedenti sulle esportazioni lo stato effettuerà invece ingenti
vendite di divise estere, richieste dagli importatori per acquistare merci
straniere, e in tal modo ritirerà dalla circolazione le lire offerte in cambio.
Si verificherà quindi una diminuzione continua della base monetaria in mano al
settore privato (agli importatori).
❍ La politica monetaria: La “politica delle
riserve obbligatorie”
La "Politica delle riserve
obbligatorie" della Banca Centrale è la manovra con cui la Banca Centrale
stabilisce l'aliquota o percentuale di riserva obbligatoria delle banche
(normalmente indicata dagli economisti con il simboli “r"), cioè la
percentuale dei depositi che esse debbono tenere sotto forma di moneta
(contante o depositi presso la banca centrale). Se la Banca Centrale aumenta
l'aliquota r, allora il valore dei moltiplicatori dei depositi:
diminuisce.
Le banche si trovano con un
rapporto riserve/depositi troppo alto e debbono aumentare le riserve o
diminuire i depositi. Per aumentare le riserve esse debbono ottenere altra
moneta legale, principalmente vendendo i titoli in loro possesso o chiedendo
moneta alla Banca Centrale, come anticipazione (prestito) o presentando al
risconto delle cambiali. Ma se la Banca Centrale rifiuta le anticipazioni o il
risconto e se la banche ordinarie non dispongono di titoli in quantità
sufficiente, è allora necessario ridurre i depositi, richiamando i prestiti
concessi o non rinnovando i prestiti alla scadenza. In tal modo diminuisce la
moneta bancaria (depositi) a disposizione del pubblico e con essa anche lo
stock M1.
❍ La politica monetaria: La “politica di sconto e prestito
della Banca centrale”
La "Politica di sconto e
prestito della Banca Centrale" è l'insieme di decisioni riguardo il risconto
di cambiali delle banche ordinarie e i prestiti da concedere ad esse e
soprattutto allo stato tramite il Tesoro. Come si è visto parlando della
politica delle riserve obbligatorie, la decisione della Banca Centrale di non
scontare e di non concedere prestiti può mettere in difficoltà le banche
ordinarie, che in tal modo sono costrette a ridurre il totale dei loro
depositi. Se invece la Banca Centrale decide di accordare prestiti e risconti
le banche ordinarie potranno ottenere per tali vie nuova base monetaria da
utilizzare per espandere ulteriormente i depositi.
❍ Le vicende del credito alle imprese in Italia
In Italia è da sempre esistito
il problema del finanziamento del capitale di rischio delle imprese: i piccoli
risparmiatori sono diffidenti, le imprese si rivolgono all'autofinanziamento o
all'indebitamento con le banche o alla compressione dei dividendi (nelle
aziende grandi), generando così una disaffezione del pubblico dei
risparmiatori. In tal modo, chi vuole guadagnare in borsa deve darsi ad
attività speculative. Queste attività falsano il valore dei titoli, che
dovrebbe essere l'indicatore del valore delle imprese e guidare i risparmiatori
ad un corretto investimento a medio-lungo termine. E questa situazione accentua
il carattere di rischiosità dell'investimento in borsa, rafforzando il circolo
vizioso di sfiducia e disaffezione del risparmiatore. Per questo stato di cose,
si può dire che in Italia la borsa non è necessaria alle imprese. Diventa il
luogo dove si compiono passaggi di mano azionari e speculazioni. Negli ultimi
decenni la politica dei finanziamenti delle imprese si è deteriorata
rapidamente, con i debiti a breve che sono divenuti prevalenti su quelli a
medio-lungo termine. Questo è dovuto a incertezza sulle prospettive economiche
che in parte deriva dall'oscillante andamento della economia italiana, in parte
è sicuramente una conseguenza dell'aumento vertiginoso della velocità dei
cambiamenti della economia mondiale. Inoltre, in presenza di inflazione
finanziare le imprese con obbligazioni diviene difficile, perché tali
obbligazioni sarebbero rimborsate con denaro svalutato. L'inflazione è stata
una piaga costante della economia italiana. Tra le ragioni: a) la imponente
spesa pubblica, che, essendo finanziata con prestiti delle famiglie, si
affianca alla spesa di tali famiglie anziché sostituirla, come avverrebbe se
invece fosse finanziata con imposte; b) la ristrutturazione industriale che ha
sostituito macchinari a lavoro, e in tal modo ha reso difficoltoso per le
imprese diminuire o controllare i prezzi comprimendo i salari; c) la fragilità
di larghe parti del sistema produttivo italiano, che non riesce a far fronte a
richieste di aumenti salariali con corrispondenti incrementi di produttività, e
quindi deve scaricare sul prezzo gli effetti di tali aumenti; d) l'aumento del
prezzo delle materie prime per un paese, come il nostro, che deve importare la
quasi totalità delle risorse non agroalimentari. Per lottare contro
l'inflazione, le autorità monetarie iniziano, sin dagli anni '70, le cosiddette
politiche di "stop and go", in cui cioè si alternano pesanti strette
creditizie (stop) a periodi in cui l'attività economica è lasciata libera di
espandersi (go). Le strette creditizie danneggiano prevalentemente le imprese e
le loro fonti di finanziamento, visto anche che con la concorrenza dello stato
nell'accaparrarsi risparmi la restrizione del credito si ripercuote a loro
danno. Quando, negli anni '70, il governo si sforzò di venire incontro alle
necessità di finanziamento alle imprese per favorire la ripresa industriale,
cercando in tutti i modi di tenere basso il costo del denaro, i tassi di
interesse più alti presenti all'estero drenarono denaro dalle banche, il tasso
di cambio crollò, e si dovettero prendere misure drastiche per limitare le
importazioni e per controllare la inflazione, finendo con operare...
restrizioni al credito. Il finanziamento alle imprese ha sofferto, poi, fino
alla legge di riforma bancaria, del peso di una doppia intermediazione: dati
gli steccati tra credito ordinario e credito a medio-lungo termine posti dalla
legge del 1936 (le banche che raccolgono depositi in conti correnti possono
solo esercitare il credito a breve termine e lo sconto cambiario, mentre le banche
che esercitano il credito a medio-lungo termine si debbono finanziare
prevalentemente con prestiti di altre istituzioni o emissioni di titoli) e la
scarsa propensione dei risparmiatori ad investire in capitale di rischio, gli
istituti mobiliari potevano disporre di somme sufficienti solo facendo
sottoscrivere le proprie obbligazioni alle banche ordinarie, e questo
rappresentava un onere di doppia intermediazione per le imprese che venivano a
loro volta finanziate.
❍ La evoluzione del sistema bancario italiano
Oggi il sistema bancario si
trova in una fase di mutamenti profondi. Il dato essenziale è, a livello
mondiale, l'avvento della società dei servizi e del capitalismo finanziario, e,
a livello continentale, il processo di unificazione europea. Per oltre un
decennio ('75-'85 all'incirca), nei paesi industrializzati c'era stato un freno
allo sviluppo delle forze produttive e il modello degli anni cinquanta non
funzionava più. Le imprese cercarono di ristabilire i margini di profitto
aumentando la produttività e bloccando i salari. In queste condizioni il
sostegno della domanda poteva avvenire soltanto attraverso l'espansione della
occupazione nei servizi, ed il risultato fu una profonda trasformazione nella
struttura sociale, con il prevalere dei servizi in tutti gli stati di
capitalismo avanzato. Il profitto derivante dalle transazioni finanziarie è
diventato superiore a quello ricavabile dalla produzione. Si svilupparono quindi
le transazioni puramente finanziarie, all'interno dei mercati dei vari paesi,
ma specialmente nei rapporti internazionali. Oggi ogni giorno vengono scambiati
1000 miliardi di dollari, ma solo il 3% di queste transazioni è riconducibile a
scambio di beni e servizi. La crescente velocità con cui l'economia mondiale
muta non può che accentuare il rilievo di questi spostamenti finanziari. Il
capitale diviene sempre più volatile, nel senso che cerca ormai quasi
esclusivamente il profitto a breve termine, e disinveste prontamente o non
investe in attività, come quelle produttive, che necessitano invece di
immobilizzazioni a medio-lungo termine. Questo, tra l'altro, costituisce un
serio pericolo per la stabilità e la crescita del sistema produttivo internazionale.
Ciò sconvolge il vecchio modo di fare banca attraverso la amministrazione dei
prestiti e il rapporto con i depositi. Gli utili che le banche fanno sulle
operazioni sul denaro, compra e vendita di titoli, intermediazione, operazioni
speculative, vanno crescendo sistematicamente rispetto a quelli che si fanno
con l'esercizio del credito e questo vale non solo per le banche di affari (che
curano il finanziamento e la consulenza finanziaria delle iniziative
produttive, anche mediante il collocamento di capitale), ma anche per le banche
di credito ordinario. Le banche italiane, come rileva anche Romano Prodi, non
sono ancora riuscite a ristrutturarsi adeguatamente e rischiano di lasciare
agli altri competitori internazionali (paesi anglosassoni in testa) il ricco
mercato dei nuovi servizi finanziari sui derivati e sulle attività immateriali.
Una ragione della lentezza con cui si muovono le banche è dovuta anche al fatto
che tali servizi sono molto più rischiosi delle tradizionali attività
produttive, e Istituti di grande storia come la Banca Barings o il Crédit
Lyonnais si sono trovati in piena crisi per ragioni connesse appunto a tale
trasformazione. In Italia la finanza ha cercato effettivamente, seppure sempre
in ritardo rispetto alla concorrenza internazionale, sempre nuovi sistemi per
realizzare profitti col maneggio di solo denaro. Ma senza grande successo. Per
un certo periodo andarono di moda i servizi alle imprese, il leasing e il
factoring. Nel 1995 la grande moda, che ha aumentato fortemente la instabilità
del commercio internazionale, è quella dei derivati, del commercio cioè di
titoli che non hanno un proprio valore nominale, ma derivato dal valore che
acquistano altri titoli o altre grandezze, come le azioni, i tassi di
interesse, i tassi di cambio, per cui la valutazione el titolo dipende dal naso
dell'operatore. In Italia si è tentato di espandere il parabancario, cioè i
servizi alle imprese, attraverso società controllate, ma ciò non ha dato, a
tutt'oggi (1995), grandi risultati. La graduale liberalizzazione dei movimenti
di capitale e la prospettiva del mercato unico europeo hanno influito sulle
istituzioni creditizie europee facendo sentire maggiormente la pressione della
concorrenza proveniente dagli altri sistemi finanziari e dalle banche estere.
Le difficoltà a competere a livello internazionale del sistema bancario
italiano sono dovute in parte al suo frazionamento. Attualmente le banche più
grandi vanno conducendo una politica di acquisizioni allo scopo di acquisire la
dimensione necessaria per competere a livello internazionale, e quelle di
minori dimensioni danno vita a fusioni con lo stesso obiettivo. Perdipiù, il
sistema bancario italiano ha un punto debole, che frena la sua modernizzazione,
nelle condizioni delle banche meridionali. Tanto il Banco di Napoli quanto il
Banco di Sicilia registrano una cifra eccessiva di crediti in sofferenza,
incagliati o addirittura inesigibili, ed una notevole debolezza nei mezzi
propri, cosa che influisce pesantemente sui conti economici e sulla solvibilità.
Lo stato e la Regione non sono stati in grado di ricapitalizzare tali istituti,
che versano in serie difficoltà, e per uno almeno dei quali (Banco di Sicilia)
si chiede da più parti la liquidazione.
❍ La evoluzione normativa dell'ordinamento bancario
italiano
Il tentativo di adeguare
l'ordinamento bancario ai tempi nuovi è stato fatto, con risolutezza e cautela
insieme, da Carlo Azeglio Ciampi. All'inizio degli anni novanta il sistema ha
una normativa del tutto nuova che ha soppiantato la legge bancaria del 1936. Si
partì dall'esigenza di allargare il numero di soggetti abilitati ad agire sul
mercato finanziario in relazione ai nuovi mezzi di sottoscrizione del capitale,
come i fondi comuni di investimento. L'obiettivo era quello di sollecitare la
partecipazione dei risparmiatori al capitale di rischio delle imprese, per
rimediare alla cronica riluttanza dei risparmiatori italiani a sottoscrivere
azioni. Si costituivano quindi le SIM (società di intermediazione mobiliare)
con facoltà di fare tutte le operazioni su titoli. Una forte spinta venne dalla
Unione Europea, in relazione alla libertà di circolazione dei capitali ed alla
libertà di installazione delle banche nel territorio degli altri paesi
dell'unione. La Commissione dell'Unione aveva emanato una direttiva che fu
ratificata con un certo ritardo dall'Italia ma che portò ad innovare
profondamente la struttura del sistema. Per prima cosa si stabilisce la libertà
per gli istituti creditizi dei paesi dell'unione di installare sedi e filiali
negli altri paesi, con le prerogative assegnate nei paesi di origine. La
vigilanza dovrebbe essere esercitata dalle autorità del paese di origine, ma si
prevedono eccezioni nei casi di interesse generale, peraltro mai definito. La
parte più rilevante della nuova legislazione era l'obbligo per gli enti
creditizi di diventare società per azioni. Unica eccezione, le Casse Rurali e
Artigiane, che diventarono Casse di Credito Cooperativo. Le Banche Popolari
diventarono anch'esse delle società per azioni cooperative, per cui l'unico
tratto distintivo era la denominazione
del capitale. Le Banche di Interesse Nazionale erano già delle società
per azioni, controllate dall'IRI.
Le Casse di Risparmio, gli Enti
Pubblici e gli Istituti di diritto pubblico dovevano cambiare carattere, ma
questo non significò che diventarono immediatamente delle società private. Per
le Casse di Risparmio si adottò l'espediente di costituire delle fondazioni di
natura pubblica, che detenevano il controllo in molti casi la totalità del
capitale della Cassa, trasformata in società per azioni. Per gli Enti Pubblici
e gli Istituti di diritto pubblico la soluzione fu l'assegnazione al Tesoro del
capitale. Di fatto quindi la privatizzazione è ancora lontana. Le banche
venivano poste tutte sullo stesso piano per quanto riguarda gli interventi;
scomparvero gli istituti speciali e tutte le banche furono autorizzate a fare
tutte le operazioni; solo a fini statistici si cominciò a distinguere tra
banche con prevalente raccolta a breve o a lungo, ma tutte possono raccogliere
depositi o emettere obbligazioni. Nei rapporti col capitale delle imprese si
verificarono rilevanti mutamenti.
Le banche furono autorizzate a
mantenere partecipazioni in società non di credito fino ad una quota del 15%
dei fondi propri di quella società, mentre l'insieme delle partecipazioni non
può superare il 60% dei fondi propri della banca. Si cercava in questo modo di
evitare che le partecipazioni fossero coperte dai depositi. La legge prevede
eccezioni non meglio definite per le ristrutturazioni aziendali o situazioni
temporanee, nonché deroghe per “circostanze eccezionali" per cui il
limite, come è nella tradizione delle leggi bancarie italiane, è molto
elastico. Per quanto riguarda il capitale delle banche invece ogni acquisto di
azioni per un importo superiore al 5% del capitale deve essere autorizzato
dalla Banca d'Italia e nessun socio può possedere più del 15% del capitale di
una banca.
❍ Cosa si intende per "eccesso di offerta di
moneta"?
Si tratta della situazione in
cui lo stock di moneta legale e bancaria in circolazione - cioè presente nei
portafogli di famiglie e imprese - è superiore a quello da esse desiderato.
In tale situazione esse
cercheranno di liberarsi della moneta in eccesso.
Agli inizi del 1900 Irving
Fisher, ispirandosi alle idee dell'autore seicentesco David Hume elaborò nella
sua forma matematica la "Teoria quantitativa della moneta",
introducendo l'identità:
M · v = P
· Q
dove M è l'offerta di moneta o
quantità di moneta presente nei portafogli di famiglie e imprese; P è la media
ponderata dei prezzi (i “pesi” sono costituiti dalle quantità scambiate q1,…,qn
di ogni singolo bene):
e Q è la somma di tutte le
quantità di beni scambiate nel sistema:
Q
= q1 + … + qn
P · Q è quindi il valore in moneta di tutti gli
scambi avvenuti nel sistema (beni di consumo contro prezzo; lavoro contro
salario; fattori produttivi contro remunerazioni dei fattori; beni all'ingrosso
contro prezzo; beni strumentali durevoli e non durevoli contro prezzo; ecc.)
tra famiglie e famiglie, imprese e imprese, imprese e famiglie, imprese e
Stato, famiglie e Stato. Il valore monetario di tutti gli scambi è infatti pari
a:
“v" è la "velocità di
circolazione della moneta", data dal rapporto tra volume complessivo degli
scambi e quantità di moneta in circolazione:
in pratica, v indica il numero
di volte che una unità di moneta è stata usata. Infatti, se sono avvenuti
scambi per 100 milioni, ma la quantità di moneta utilizzata è stata di 10
milioni, è evidente che ogni lira è stata in media riusata dieci volte (ad es.
dapprima per l'acquisto di carne del sig. Rossi presso il macellaio sig. Verdi;
poi per l'acquisto di benzina da parte di Verdi presso il benzinaio Bianchi;
poi da Bianchi per l'acquisto di altri beni presso Neri... ecc. Nella formula:
M · v
= P · Q
sia Q che v sono invariabili. Q
è invariabile perché secondo Hume e i neoclassici il sistema viaggia sempre a
livello di piena occupazione delle risorse, e quindi si può ulteriormente
aumentare il volume degli scambi per produrre nuovi beni. "v" è
invariabile perché dipende dalle abitudini di pagamento dei soggetti e da altri
fattori istituzionali che non mutano facilmente. Ad es. se gli operai venissero
pagati ogni 30 giorni e non ogni 15 giorni v aumenterebbe, perché le imprese
avrebbero bisogno di più moneta per fare i pagamenti mensili; se aumentassero
le fusioni tra banche e tra imprese v diminuirebbe, perché molti pagamenti tra
banche e imprese fuse sarebbero sostituiti da semplici passaggi interni di beni
e servizi. Le uniche grandezze che possono variare nella formula sono M
a sinistra e P a destra: il che vuol dire che se aumenta M
aumenta anche P
Secondo i neoclassici, che
hanno fatto propria la teoria di Hume, le famiglie e le imprese si liberano
della moneta in eccesso acquistando beni di consumo o investendo in borsa in
modo da finanziare nuovi investimenti da parte delle imprese. Un aumento di M
aumenterebbe quindi la domanda C di beni di consumo e la domanda I di beni di
investimento, ma, poiché il sistema produce già la massima quantità di beni
possibile, l'unica cosa che potrà aumentare saranno i prezzi.
❍ Quanti tipi di scorte di moneta tiene una famiglia o una
impresa?
▸ Scorte transattive: una famiglia o una impresa
deve tenere scorte per effettuare i pagamenti
▸ Scorte precauzionali: è la quantità di moneta
tenuta per le spese impreviste
▸ Scorte speculative: è la moneta tenuta per
speculare sulla vendita e l’acquisto dei titoli
Fu Keynes il primo a
distinguere con chiarezza le scorte precauzionali da quelle transattive e ad
introdurre e studiare le scorte speculative.
I neoclassici ritenevano che
l’unico motivo per detenere scorte monetarie fosse quello transattivo (essi
prestavano poca attenzione al motivo precauzionale) e che nessuno avrebbe
accumulato volontariamente scorte monetarie oziose (precauzionali o
speculative).
La quantità di scorte
transattive è quella necessaria per gli scambi che si verificano nel sistema
economico, è quindi determinata dal reddito Y, e non varia apprezzabilmente nel
tempo.
Anche Keynes pensava che il
reddito contribuisse a determinare la domanda di moneta (egli infatti
riconosceva l’esistenza di scorte transattive), ma riteneva che l’influenza del
reddito fosse meno importante di quella di fattori quali il saggio di interesse
Egli infatti introdusse le
“scorte oziose”, la cui quantità non è collegata al reddito nazionale Y ma al
saggio di interesse i
Anche i neoclassici ammettevano
che le scorte transattive e precauzionali fossero influenzate dal saggio di
interesse, ma davano scarsa importanza a questo collegamento, che per Keynes è
invece molto importante.
Secondo Keynes, sia le scorte
transattive che quelle precauzionali che quelle speculative aumentano al
diminuire del saggio di interesse e diminuiscono all’aumentare del saggio di
interesse:
Secondo gli studiosi
neoclassici della Scuola di Cambridge (primi decenni del 1900) la equazione di
Fisher andava riformulata così:
M = k · (P · Q)
che si legge: "La quantità
di moneta M presente nel sistema rappresenta una frazione k del volume
monetario P · Q degli
scambi; precisamente quella frazione che famiglie e imprese, in relazione al
volume degli scambi e ad altri fattori (primo fra tutti il saggio di interesse)
desiderano tenere sotto forma di scorte transattive, precauzionali e
speculative". Una forma lievemente diversa della formula di Cambridge è:
M = k ·( P · Y)
dove P · Y non è più il volume di TUTTI gli scambi, ma
solo il valore monetario del reddito nazionale. Le conclusioni della Scuola di
Cambridge rimasero sostanzialmente simili a quelle di Fisher e di Hume: il
valore di k è stabile nel tempo, perciò, quando la quantità M è
superiore alla frazione k desiderata, famiglie e imprese si liberano dalla
moneta in eccesso facendo aumentare C, I e per questa via i prezzi o la produzione.
Se il sistema è in una
situazione di piena occupazione delle risorse, Q non può aumentare, perciò
aumenta P
Se il sistema è in una
situazione di parziale occupazione delle risorse, allora aumenta la produzione
Q mentre i prezzi P rimangono invariati.
I neoclassici ammettevano che
il sistema andasse incontro nel breve periodo a temporanee situazioni di sotto
occupazione delle risorse, ma la consideravano una ipotesi eccezionale e
limitata al breve periodo: quindi, per loro, l’ipotesi normale era quella di
aumento dei prezzi P
Osserviamo il grafico di FIGURA
13, che mostra la curva di domanda di moneta speculativa ( Md ) di
un solo speculatore in funzione del saggio di interesse ( i ).
Il valore iatteso è
molto importante per lo speculatore: è il saggio di interesse che egli si
aspetta a più o meno breve termine sul mercato.
Possiamo notare come per un
qualsiasi valore i1 del saggio di interesse di mercato al disotto di
iatteso lo speculatore terrà tutta la sua ricchezza in forma di
moneta liquida (scorte oziose, pari a M1).
Questo perché egli si attenderà
che il saggio di interesse di mercato risalga verso iatteso, e, per
una nota legge economica, se aumenta il saggio di interesse il valore dei
titoli diminuisce. Lo speculatore evita pertanto di tenere titoli nel suo
portafoglio, dal momento che avrebbe delle perdite per la loro diminuzione di
valore.
Al disopra del saggio di
interesse atteso, ad es. al livello i2, lo speculatore si attenderà
una discesa i2 à iatteso e quindi un aumento del
valore dei titoli (sempre per la legge già esposta che se i diminuisce il
valore del titolo aumenta e viceversa).
Perciò egli si affretterà ad
acquistare titoli, e nel grafico si può notare che la sua liquidità sopra iatteso
è pari a zero.
Perché esiste un rapporto
inverso tra saggio di interesse e valore del titolo?
Consideriamo per capirlo una
obbligazione, emessa per il valore di 100 € (“valore nominale”) e che reca
scritta la promessa di pagare annualmente 10 € (“interesse nominale”: 10%)
Cosa succede se il saggio di
interesse di mercato (“tasso effettivo”) passasse dal 10% al 20%? Sicuramente
nessuno vorrebbe acquistare l’obbligazione al prezzo di 100 €, per avere solo
10 € di interessi: dato che il tasso di mercato è del 20% sarà infatti sempre
possibile dare in prestito la somma in modo da avere 20 €. Lo sfortunato
proprietario della obbligazione potrà quindi al massimo venderla a 50 €, perché
in tal modo essa offrirebbe un interesse del 20%, e sarebbe presa in
considerazione dagli acquirenti.
Se invece il saggio di
interesse scende dal 10% al 5% il proprietario dell’obbligazione capisce che
può venderla a 200 €: infatti 10 € rappresentano un interesse del 5% su 200 € e
gli acquirenti non troverebbero nel mercato condizioni esattamente eguali.
Osserviamo ora il grafico di
FIGURA 14, che mostra il comportamento di 4 speculatori, ciascuno dei quali ha
un diverso saggio di interesse atteso: il saggio atteso del primo
speculatore è i1, quello del secondo è 12, quello del
terzo è i3, quello del quarto è i4.
Quando il saggio di interesse
supera il livello i1 il primo speculatore decide di ritirare i suoi
fondi (la sua moneta liquida) dai depositi a vista in banca e investire (egli
infatti si attende a questo punto una discesa del saggio e un aumento del
valore dei titoli che acquista): la quantità di moneta complessiva è ora M2.
Quando il saggio di interesse
supera il livello i2 il secondo speculatore decide di ritirare i
suoi fondi dai depositi a vista in banca e di investire: la quantità di moneta
complessiva è ora M2.
Quando il saggio di interesse
supera il livello i3 il terzo speculatore decide di ritirare i suoi
fondi dai depositi a vista in banca e di investire: la quantità di moneta
complessiva è ora M3.
Quando il saggio di interesse
supera il livello i4 il quarto speculatore decide di ritirare i suoi
fondi dai depositi a vista in banca e di investire: la quantità di moneta
complessiva è ora pari a zero.
Se aumentiamo il numero degli
speculatori la curva diventa quella di FIGURA 15:
Come si vede, mano a mano che
il numero dei soggetti aumenta, la curva diviene sempre più liscia, fino ad
arrivare, nel caso di decine di migliaia di speculatori, alla forma comunemente
mostrata dai libri di testo:
❍ Cosa succede quando famiglie e imprese cercano di
liberarsi dalla moneta in eccesso secondo Keynes?
Gli effetti di un aumento della
quantità di moneta sono esaminati da Keynes in un grafico che riporta, in
funzione del saggio di interesse, sia la domanda che l’offerta di moneta:
Nel grafico, la quantità di
moneta nel portafoglio delle famiglie passa da M1 ad M2;
se le famiglie erano in equilibrio con la quantità M1, esse
cercheranno di eliminare l’eccesso di moneta. Tutto questo provocherà la
discesa del saggio di interesse da i1 ad i2
Secondo Keynes, le famiglie non
si liberano dell’eccesso di moneta mediante una spesa C, ma mediante acquisto
di titoli (azioni e obbligazioni)
Si crea quindi un eccesso di
domanda di titoli che, per un ben noto meccanismo, spinge in basso il saggio di
interesse: è ovvio infatti che acquistare un titolo che rende 10 € l’anno ad un
prezzo di 100 € equivale a contrattare un interesse del 10%; acquistarlo ad un
prezzo di 200 € equivale a contrattare
un interesse del 5%; acquistarlo ad un prezzo di 400 equivale a contrattare un
interesse del 2,5% e così via.
Ma quando il saggio di
interesse scende, famiglie, imprese e speculatori aumenteranno le loro scorte:
alla fine essi accetteranno di tenere la quantità M2
Secondo Keynes l’unico effetto
dell’aumento della quantità di moneta non sarà stato l’aumento della
produzione, ma la diminuzione del saggio di interesse. La produzione non
aumenta perché le famiglie non utilizzano moneta per finanziare spese C di
consumo; ma non aumenta neanche quando le famiglie acquistano azioni e
obbligazioni. Secondo Keynes, infatti, il denaro delle famiglie non va che in
minima parte a finanziare nuovi investimenti, perché il “flottante”, cioè la
quantità di titoli già emessi, e che non corrisponde più a nuovi investimenti,
è enormemente maggiore della quantità di titoli di nuova emissione. Gli
acquisti delle famiglie si scaricano quindi sul “flottante”, e non danno luogo
che in misura irrilevante a nuovi investimenti.
Il rapporto tra moneta e
investimenti è, per Keynes, come vedremo, più complesso, e passa attraverso la
diminuzione del saggio di interesse.
Quando la quantità di moneta
immessa nel sistema è tale che il saggio di interesse sia diventato
estremamente basso, ogni tentativo delle autorità di abbassarlo ulteriormente
fallisce: infatti tutti gli speculatori sono a questo punto convinti che il
tasso risalirà e terranno tutta la moneta che continua ad entrare nei loro portafogli
in forma liquida: in questo modo non si verificano altri acquisti di titoli, e
il valore del saggio di interesse non scende.
❍ Come utilizzavano i neoclassici lo strumento della
politica monetaria contro le crisi economiche?
I neoclassici affermavano che
il sistema economico possedeva una serie di meccanismi automatici (cosiddetta
“mano invisibile”) in grado di assicurare nel medio-lungo periodo:
● La
piena occupazione delle risorse
● La
migliore allocazione possibile delle risorse
● La
migliore distribuzione possibile del prodotto ottenuto con l’impiego delle
risorse
Tuttavia essi, di fronte
all’evidenza dei fatti, non potevano negare che il sistema economico andasse
incontro a crisi economiche, caratterizzate da sotto-occupazione delle risorse,
discesa dell’occupazione, dei prezzi, della produzione e degli investimenti.
I neoclassici ritenevano che
tali crisi fossero:
● Occasionali
(non cicliche o regolari)
● Di
piccola intensità
● Di
breve durata
● Dovute
a shock esterni che venivano a colpire il sistema economico (scioperi,
carestie, guerre etc.)
● Destinate
ad estinguersi da sole nel medio-lungo periodo
In questi casi essi si
limitavano a consigliare di non turbare con attività sindacali il mercato del
lavoro, in modo che l’abbassamento dei salari favorisse il riassorbimento della
manodopera disoccupata.
Inoltre, poiché ammettevano che
il sistema poteva incontrare disoccupazione delle risorse, essi consigliavano
anche una manovra di politica monetaria espansiva, consistente nell’aumentare
la quantità di moneta in circolazione, facendo sì che famiglie e imprese si
liberassero delle scorte di moneta eccedente facendo aumentare la spesa di
consumo C o acquistando titoli (azioni e obbligazioni) emessi dalle imprese, e
per questa via facendo aumentare anche gli investimenti. A tale scopo le
autorità erano solite rimuovere i vincoli al credito bancario e fornire alle
banche liquidità aggiuntiva in modo che
aumentasse il credito disponibile per gli operatori economici.
I saggi di interesse troppo
alti erano considerati un impedimento alla espansione del credito e quindi le
autorità dovevano adoperarsi per favorire il loro abbassamento. Questo
obiettivo sarebbe stato anch’esso raggiunto aumentando la quantità di moneta in
circolazione.
Le opinioni di Keynes possono
essere riassunte nei seguenti punti:
● Un
aumento della offerta di moneta Mo (cioè della moneta M presente nel
portafoglio di famiglie e imprese o, come si dice, “in circolazione”) non
provoca un aumento della spesa C di consumo
Infatti, per Keynes, le
famiglie non si liberano della moneta in eccesso con una spesa C, bensì
acquistando titoli (azioni e obbligazioni)
● Un
aumento della offerta di moneta Mo non sempre provoca il tentativo
delle famiglie di liberarsene, perché la preferenza per la liquidità (cioè
l’ammontare delle scorte liquide che gli operatori economici desiderano tenere)
varia in dipendenza da molteplici fattori:
▸ Le scorte, specie quelle speculative, sono
molto sensibili al saggio di interesse
Se il saggio di interesse
inizia a diminuire a seguito dei tentativi delle famiglie di liberarsi delle
scorte, questo può bloccare i tentativi delle famiglie di liberarsi delle
scorte
▸ La moneta ha tre funzioni: mezzo di scambio,
riserva di valore e misura di valore. Per ciascuna di queste funzioni essa ha
dei surrogati (ad esempio, come riserva di valore essa è in concorrenza con i
beni durevoli). Quando, per cause eccezionali, essa perde la capacità di
svolgere una di queste funzioni, si verifica la “fuga dalla moneta”, verso i
suoi sostituti, e le scorte monetarie si riducono al minimo indispensabile.
Ad esempio, in momenti di forte
inflazione, la moneta perde la sua funzione di riserva di valore e di misura di
valore, e i soggetti fuggono dalla moneta, rivolgendosi ai suoi sostituti, i
cosiddetti beni-rifugio: terreni, edifici, beni durevoli, beni di lusso etc.
Ad esempio, in momenti di forte
insicurezza economica (momenti di depressione economica, di prospettive incerte
di guadagno per gli imprenditori, di guerra imminente ecc.) i soggetti
liquidano le proprie attività commerciali, riducono le scorte di moneta e si
rivolgono ai beni-rifugio o alle scorte necessarie per la sopravvivenza
▸ Famiglie e imprese tengono la loro ricchezza
distribuita in un “portafoglio” di attività economiche con vario grado di
liquidità: moneta, titoli a breve termine, titoli a lungo termine, beni
durevoli, ecc.
Con una certa frequenza esse
rivedono le loro preferenze e ridistribuiscono la ricchezza tra le varie
attività. Questo provoca spesso anche un cambiamento della preferenza della
liquidità, cioè della quantità di ricchezza che esse tengono investita in
moneta
● Poiché
la preferenza per la liquidità di famiglie e imprese potrebbe variare
improvvisamente, l’effetto sul saggio di interesse di un aumento della quantità
di moneta non è sicuro. Si possono avere due possibilità:
▸ La preferenza per la liquidità di famiglie e
imprese non varia quando le autorità aumentano la offerta di moneta
Famiglie e imprese cercano
allora di disfarsi della moneta e il saggio di interesse diminuisce
▸ La preferenza per la liquidità di famiglie e
imprese diminuisce proprio nel momento in cui le autorità aumentano l’offerta
di moneta
Anche in questo caso le
famiglie si libereranno di moneta e il saggio di interesse scenderà
Nella formula della teoria
quantitativa questo significa che nel membro di sinistra è aumentato M, ma nel
membro di destra non è variato P o Q, ma è aumentato k, che è collegato alla
preferenza per la liquidità
▸ La preferenza per la liquidità di famiglie e
imprese aumenta proprio nel momento in cui le autorità aumentano l’offerta di
moneta (“trappola della liquidità”)
Se la preferenza per la
liquidità aumenta, le famiglie terranno tutta la moneta sotto forma di scorte
liquide e non cercheranno di liberarsene: perciò il saggio di interesse non
scenderà.
Si parla in questo caso di
“trappola della liquidità”.
Un caso tipico di trappola
della liquidità, esaminato da Keynes, si ha quando la discesa del saggio di
interesse i si blocca perché tra gli speculatori si diffonde l'idea che il
saggio di interesse sia già arrivato troppo in basso e sia destinato ad
aumentare. In tale situazione, essi preferiscono, anziché liberarsi della
moneta acquistando titoli, trattenerla sotto forma di scorta liquida
speculativa, in attesa del rialzo del saggio di interesse.
Keynes era molto scettico al
riguardo. Egli notava le seguenti cose:
● La
domanda di moneta per investimenti da parte degli imprenditori dipende dal
"saggio di efficienza marginale del capitale" ("e"),
calcolato risolvendo rispetto ad "e" l'equazione:
dove “I” è la somma che
l’imprenditore progetta di spendere per l’investimento ed R1,…,Rn
sono le somme che l’imprenditore si aspetta di guadagnare negli anni 1,…,n
prima che l’investimento cessi di essere produttivo di reddito.
In pratica, “e” è il profitto
percentuale annuo atteso dall’investimento della somma
Consideriamo due casi distinti:
▸ Imprenditori che non abbiano capitali propri da
investire, e si debbano rivolgere alla banca, pagando un interesse annuo.
Se “e” (percentuale di profitti
atteso dall'investimento) è superiore ad "i" (interesse che
l'imprenditore deve pagare alla banca) l'imprenditore non realizzerà
l'investimento: infatti dovrebbe pagare ogni anno alla banca una somma
superiore a quella che ottiene come profitto dall’investimento
Se "e" (percentuale
di profitti atteso dall'investimento) è inferiore ad "i" (interesse
che l'imprenditore deve pagare alla banca) l'imprenditore realizzerà
l'investimento: infatti, una volta pagati gli interessi annuali alla banca,
rimane un profitto residuo di cui potrà appropriarsi.
▸ Imprenditori che hanno capitali propri da
investire
Anche essi confronteranno
l’efficienza marginale del capitale col saggio di interesse.
Infatti, se il saggio di
interesse è eguale all’efficienza marginale del capitale essi preferiranno
acquistare obbligazioni che danno lo stesso rendimento di un investimento senza
dover sopportare i rischi di una attività produttiva.
Solo quando l’efficienza. Al
limite, essi potrebbero acquistare azioni di imprese già esistenti, invece di
crearne delle nuove (per effetto dei meccanismi di borsa i rendimenti delle
azioni tendono a livellarsi ai rendimenti delle obbligazioni, con uno scarto
positivo dovuto al rischio dell’investimento azionario).
Solo se l’efficienza marginale
del capitale sarà superiore al saggio di interesse gli imprenditori saranno
indotti a rischiare i propri capitali in un’attività produttiva, e quindi ad
investire.
Keynes faceva notare che “e”
non è un valore oggettivo ed esatto, ma esprime piuttosto l’ottimismo o il
pessimismo dell’imprenditore (quelli che Keynes chiamava gli “animal spirits”
dell’imprenditore)
Non bisogna dimenticare che
"e" dipende da "R1", "R2",...,"Rn"
che sono le somme che l'imprenditore si aspetta di guadagnare
dall'investimento. Cosicché in definitiva "e" dipende dalle aspettative
dell'imprenditore. Se le aspettative sono ottimistiche, "R1",...,
"Rn" saranno molto elevati, e quindi "e" sarà
molto elevato: l'imprenditore farà l'investimento anche se "i" è
molto alto. Se invece le aspettative sono basse, "R1",...,"Rn"
saranno bassi, "e" sarà basso e l'imprenditore non farà
l'investimento anche se "i" sarà molto basso. In sintesi: anche se a
prima vista un tasso di interesse basso dovrebbe invogliare gli imprenditori a
imprestarsi denaro e a fare investimenti, in realtà sono le aspettative, gli
"animal spirits" degli imprenditori a dire l'ultima parola.
● Infine,
gli investimenti sono condizionati dalla quantità di investimenti già
effettuata. La spesa per investimento, a differenza della spesa di consumo, ha
un importantissmo effetto: quello di aumentare la capacità produttiva delle
imprese. Se per diversi anni gli investimenti delle imprese sono stati elevati,
alla fine del periodo le imprese si troveranno con un eccesso di capacità
produttiva e di produzione che bloccherà per un certo tempo ulteriori
investimenti, anche se il saggio di interesse rimane basso.
❍ Quali sono, in sintesi, le posizioni della Scuola
Monetarista o Scuola di Chicago?
A partire dagli anni '50 la
scuola monetarista (cosiddetta Scuola di Chicago) e poi un sempre
maggior numero di altri economisti, da un lato hanno denunciato gli aspetti
negativi delle politiche di bilancio di tipo keynesiano e dall'altro hanno
mostrato come le variabili monetarie sono in molti casi in grado di influenzare
le variabili reali della economia.
Quanto al primo punto essi
hanno denunciato:
● Gli
effetti inflazionistici di politiche di bilancio keynesiana
Aumentando la spesa dello stato
si immette moneta nel portafoglio di famiglie e imprese senza badare al
controllo di questo stock di moneta in circolazione
● Il
crescente indebitamento pubblico derivante dalle politiche di bilancio
keynesiane
Per ragioni politiche (è più
facile chiedere prestiti che non rendersi impopolari con nuove imposte) ed
economiche (se lo stato si limita a rimettere in circolazione somme prelevate
con le imposte, che famiglie e imprese avrebbero comunque speso, la spesa
aggregata non aumenterebbe significativamente; se invece lo stato si finanzia
con i risparmi di famiglie e imprese spende somme che queste non avrebbero
speso, ed apporta un significativo incremento alla spesa aggregata) la spesa
pubblica è stata regolarmente finanziata con prestiti pubblici piuttosto che
con imposte
● Il
danno per gli investimenti privati
Le crescenti necessità di
finanziamento da parte dello stato lo hanno portato a fare concorrenza alle
imprese per accaparrarsi il risparmio disponibile; come risultato il costo del
denaro è salito e gli investimenti privati sono diminuiti, senza che a
compensarli vi fosse un adeguato volume di investimenti pubblici (la spesa
pubblica finisce perlopiù in stipendi e in altre spese correnti non di
investimento)
Quanto al secondo punto essi
hanno messo in evidenza che:
● Se
l'economia non è in una situazione di massima occupazione, allora, secondo il
pensiero neoclassico o monetarista l'aumento di spesa provocato dall'aumento
dello stock di moneta può contribuire a far aumentare la produzione (variabile
reale)
● Se
invece si ritiene, con Keynes, che i soggetti cercano di liberarsi dell'eccesso
di moneta acquistando titoli, allora potrà aversi una diminuzione del saggio di
interesse sui prestiti e gli imprenditori, notato che il denaro è più a buon
mercato, aumenteranno gli investimenti, facendo crescere il reddito nazionale
(variabile reale)
I punti principali del pensiero
della Scuola di Chicago, il cui principale esponente è il premio Nobel per
l’economia Milton Friedman, sono i seguenti:
● La
ricostruzione da parte di Keynes delle cause della crisi del 1929 è errata e
quindi la affermazione che la politica monetaria si fosse rivelata inefficace
era sbagliata
Secondo Friedman la crisi del
1929 non fu una crisi da carenza di domanda, ma da carenza di moneta. Essa non
era quindi dovuta a scarsa influenza della politica monetaria, ma al contrario
la (cattiva) politica monetaria delle autorità USA fu responsabile della crisi:
la Federal Reserve statunitense, durante la crisi economica, diminuì notevolmente
l’offerta di moneta, provocando in tal modo un ristagno dell’economia.
● La
affermazione di Keynes secondo cui le economie ricche richiedono costanti spese
dello Stato perché le famiglie dei paesi ricchi tendono sempre più a
risparmiare è falsa, e dovuta alla adozione di un concetto di reddito – il
reddito effettivo di una famiglia – che non è collegato col suo risparmio, che
dipende invece dal “reddito permanente”
L’idea che i paesi più ricchi
risparmino più dei meno ricchi è smentita dai fatti, che mostrano che la
percentuale S/Y del risparmio aggregato sul reddito nazionale si mantiene
costante nel tempo.
Keynes aveva dedotto, dal fatto
che le famiglie più povere risparmino meno delle famiglie ricche, la
conseguenza errata che quando il livello di reddito dello Stato si fosse
elevato anche le famiglie povere avrebbero aumentato il loro risparmio. Questo
perché egli pensava che il consumo dipendesse dal reddito effettivo della
famiglia. Secondo Friedman, invece, la differenza di risparmio tra famiglie
povere e famiglie ricche è collegata non al reddito effettivo ma al “reddito
permanente”, che è un concetto che tiene conto della variazione di reddito che
le famiglie si aspettano nel tempo: coloro che si trovano nelle classi di
reddito più alte rendono a risparmiare molto, in previsione di ritornare a
livelli di reddito più bassi. Allo stesso modo, coloro che si trovano a livelli
di reddito bassi, tenderanno a spendere una proporzione elevata del loro
rddito, dato che si apsettano di spostarsi verso livelli di reddito più
elevati. Perciò, quando un paese diventa più ricco, i livelli di risparmio
delle classi più abbienti e di quelle meno abbienti non dovrebbero
significativamente cambiare.
● La
domanda di moneta è molto più stabile di quanto pensava Keynes, che la faceva
dipendere dalle aspettative instabili degli imprenditori. Perciò la teoria
quantitativa della moneta era sostanzialmente esatta.
La teoria quantitativa della
moneta della scuola di Cambridge, sintetizzata dalla formula:
M · v = P ·Q
è sostanzialmente esatta, e va
interpretata nel senso che esiste un rapporto abbastanza stabile tra il volume
degli scambi e la quantità di moneta M: “v” può essere considerata una
costante, perché dipende dalla domanda di moneta, che è stabile e collegata ad
un numero limitato di variabili (come vedremo) e scarsamente sensibile al
saggio di interesse. Al massimo si può dire che tende a diminuire nei periodi
di recessione o ristagno, e ad aumentare nei periodi di espansione economica.
Nel lungo periodo, per tutta una serie di fattori, v tende a diminuire.
Comunque, quese lente modifiche
non hanno niente a che vedere con le variazioni repentine e violente che Keynes
pensava interessassero “k” e quindi “v”.
● La
teoria quantitativa era nel giusto anche per quanto riguarda il modo in cui
famiglie e imprese si liberano dell’eccesso di moneta: esse aumentano i loro
acquisti di qualsiasi tipo di
bene o servizio diverso dalla moneta e non si limitano solamente ad acquistare
titoli.
Queste attività non liquide
possono essere le più varie: le famiglie possono acquistare titoli a breve
termine, titoli a lungo termine, beni durevoli che forniscono utilità (es.
macchine, appartamenti, che forniscono quello che i monetaristi chiamano un
“reddito in natura”), beni di lusso (che non forniscono alcun reddito, ma, al
massimo un impiego durevole della ricchezza), in capitale umano (cioè in
istruzione e qualificazione professionale, che è simile ad un investimento che
darà redditi futuri) e in altro ancora.
Le vie e i meccanismi
attraverso cui un aumento della quantità di moneta porta all’acquisto di questi
beni possono essere i più vari, e non sono certamente limitati all’acquisto dei
titoli, come pensava Keynes: la spesa di beni durevoli può aumentare
direttamente quando i soggetti utilizzano la maggiore ricchezza posseduta, ma
anche indirettamente, quando le banche che hanno ricevuto i depositi di moneta
espandono il loro credito finanziando acquisti tramite mutui-casa o altri
prestiti al consumo.
Poiché le famiglie e le imprese
non concentrano tutta la loro spesa sui titoli, come pensava Keynes, l’effetto
di un aumento della quantità di moneta sul saggio di interesse è notevolmente
più basso.
Una consistente discesa del
saggio di intersse si potrà avere solo se le autorità scelgano, tra tutti i
mezzi per far aumentare la moneta, le operazioni di mercato aperto tramite
l’acquisto di titoli presso le famiglie. Ma anche in tal caso i tassi di
interesse tenderanno rapidamente a risalire.
● I
monetaristi sono ancora più scettici di Keynes sul legame tra saggio di
interesse e investimenti
● L’offerta
di moneta è “esogena”, cioè non è sotto il controllo di famiglie e imprese, ma
è largamente controllata dalle autorità
● La
domanda di moneta proveniente dagli operatori privati (famiglie e imprese) è di
due tipi:
· Domanda fatta da famiglie che desiderano
investire la propria ricchezza
· Domanda fatta da imprenditori che chiedono
finanziamenti per le loro attività produttive
● La
domanda di moneta fatta da soggetti che desiderano investire la propria
ricchezza dipende da due fattori:
· Reddito degli individui
Anche Keynes pensava che il
reddito Y contribuisse a determinare la domanda di moneta (egli infatti
riconosceva l’esistenza di scorte transattive), ma riteneva che l’influenza del
reddito fosse meno importante di quella di fattori quali il saggio di
interesse, legato alla esistenza di scorte “oziose” (precauzionali e
soprattutto speculative)
Il reddito condiziona le
possibilità di spesa, e quindi anche la quantità di moneta che eventualmente un
individuo può permettersi di tenere.
Ma non è il reddito dei singoli
anni che i soggetti considerano nel programmare i loro acquisti, bensì il
“reddito permanente”, cioè una sorta di media di ciò che i soggetti
guadagneranno nell’arco della loro vita lavorativa.
· Rendimento comparativo delle attività
acquistabili come “portafoglio” (cioè “patrimonio”) dagli individui
Ogni soggetto deve decidere
come ripartire la propria ricchezza tra una serie di attività patrimoniali:
moneta, titoli a breve termine, titoli a lungo termine, beni durevoli, beni di
lusso, capitale umano (cioè istruzione e qualificazione professionale per sé e
per i propri figli)
Nel far questo egli considera
che ogni attività patrimoniale ha un “reddito” o “rendimento”, che può essere
in denaro o in natura. Ad esempio il reddito della moneta è un reddito in
natura, e consiste nella utilità (in senso economico) e nella comodità di avere
scorte di moneta a disposizione. Contemporaneamente la moneta produce un
reddito negativo consistente nella mancata percezione degli interessi che si
otterrebbero dandola in prestito. Un’auto o un appartamento danno un reddito
che è pari rispettivamente al costo del trasporto pubblico e all’affitto che si
dovrebbe pagare per un’abitazione non di proprietà.
E’ importante notare che le
famiglie confrontano comunque sempre “rendimenti reali”, cioè depurati dalla
influenza dei prezzi. Anche le scorte monetarie che esse considerano sono
“scorte monetarie reali”, cioè scorte rapportate al livello dei prezzi degli
scambi cui esse sono destinate a far fronte.
La scelta di tenere scorte di
moneta di un certo ammontare dipende da questi calcoli, ed è scarsamente
influenzata dal saggio di interesse, come ritenevano Keynes e i neoclassici.
● La
domanda di moneta fatta dalle imprese che desiderano finanziare le loro
attività produttive dipende dagli stessi fattori (reddito e rendimenti delle
attività) che influenzano le scelte dei consumatori.
Tuttavia il reddito, e cioè le
dimensioni dell’impresa ha una importanza limitata: anche una piccola impresa
può ottenere un grande finanziamento
Per quanto riguarda i
rendimenti delle attività è ovvio che l’impresa li valuta in modo diverso da
una famiglia: le imprese saranno ad esempio molto più sensibili ai rendimenti
delle azioni e delle obbligazioni rispetto alle famiglie.
● Se
un sistema economico non dispone di una quantità di moneta pari a k · Y esso
avrà difficoltà a finanziare gli scambi necessari per produrre un reddito Y
Se invece la quantità di moneta
è superiore a quella richiesta, si genera inflazione.
● Se
invece la quantità di moneta è eccessiva, si genera infallibilmente inflazione.
I monetaristi non si stancano
di far notare come la storia economica mostri che “ogni consistente aumento
della quantità di moneta è stato accompagnato da un consistente aumento dei prezzi”,
cioè da inflazione.
● Un
eccesso di moneta non solo produce inflazione, ma produce anche instabilità
economica.
I monetaristi pensano che possa
innescarsi una catena di aggiustamenti difficile da interrompersi: un gruppo di
famiglie si libera della moneta in eccesso acquistando beni da un altro gruppo
di famiglie; successivamente il secondo gruppo di famiglie cerca di disfarsi a
sua volta della moneta, scatenando un’altra ondata di acqusiti, e così di
seguito.
● Keynes
aveva probabilmente sovrastimato le potenzialità di espansione produttiva del
sistema economico. Egli riteneva che nei paesi industrializzati il reddito
effettivo fosse sempre largamente al disotto del reddito potenziale (=reddito
ottenibile con l’impiego al 100% di tutti i fattori produttivi), ma
probabilmente egli era stato influenzato in senso pessimistico dalla crisi tra
le due guerre.
I monetaristi, rifacendosi alle
vecchie analisi neoclassiche, rivalutano tutta una serie di fattori, trascurati
da Keynes, e diversi dalla carenza di domanda aggregata, che limitano per un
sistema economico, la possibilità di andare oltre un certo grado di
sfruttamento delle risorse.
Tra questi fattori essi
menzionano:
· La “disoccupazione strutturale” dovuta a
mancanza di impianti sufficienti per assumere forza lavoro.
Questa argomentazione potrebbe
essere avvicinata oggi alla constatazione che il continuo sviluppo delle
tecniche produttive rende possibile produrre sempre di più con una frazione
sempre più piccola di lavoratori.
· La “disoccupazione volontaria” dei
lavoratori che non sono disposti a lavorare per saggi di salario non di loro
gradimento
· La forza contrattuale dei sindacati, che
talvolta perseguono una politica di alti redditi per gli occupati, impedendo di
fatto agli imprenditori di assumere lavoro straordinario, lavoro temporaneo,
lavoro a cottimo, lavoro non specializzato sottopagato
· La “disoccupazione frizionale” dei
lavoratori temporaneamente in cerca di lavoro
· Lo stesso equilibrio nel mercato dei beni:
la argomentazione di Keynes secondo cui nei paesi ricchi i consumatori
raggiungono l’equilibrio ottimale dei consumi senza spendere tutto il loro
reddito viene ribaltata dai monetaristi per mostrare che è vano cercare di
spingersi oltre quel punto.
In sostanza, mentre Keynes
riteneva che il principale fattore di disoccupazione delle risorse fosse la
“carenza di domanda” e che questa potesse essere superata con una politica di
spesa pubblica, o di alti redditi ai lavoratori, i monetaristi fanno notare che
si tratta invece di una situazione di
equilibrio, dovuta a fattori complessi, molteplici e non modificabili,
perlomeno nel breve periodo.
Essi chiamano questa condizione
“tasso naturale di disoccupazione delle risorse”, che le autorità non
dovrebbero cercare di abbassare con politiche keynesiane di aumento della spesa
pubblica o con politiche monetarie espansive, perché in tal modo
provocherebbero solo inflazione.
In particolare, per quanto
riguarda l’occupazione lavorativa, l’inflazione ridurrebbe il potere d’acquisto
dei salari dei lavoratori e i lavoratori marginali, che avevano offerto il loro
lavoro a seguito degli ultimi aumenti salariali, si ritirerebbero dal mercato
facendo ritornare il tasso di disoccupazione ai livelli precedenti
● Compito
delle autorità monetarie è quindi quello di fornire la quantità di moneta M che
il sistema richiede, cercando di evitare di creare una quantità eccessiva di
moneta, che provocherebbe il tentativo
di famiglie e imprese di disfarsene con acquisto di beni e avrebbe solo il
risultato di far aumentare i prezzi (inflazione)
● Nell’attuare
politiche di spesa pubblica per garantire occupazione e servizi alle classi
meno abbienti occorre tenere d’occhio la capacità di crescita del sistema
economico: le politiche keynesiane di spesa sociale provocano un aumento della
quantità di moneta nel portafoglio delle famiglie, e se la spesa che ne
consegue supera le capacità produttive del sistema, ne segue solo inflazione, e
non aumento del tenore di vita e del benessere.
Friedman propone le sue misure
frenanti sul credito e la creazione di moneta per mantenere un ritmo eguale tra
l’aumento della massa monetaria e della domanda che ne deriva e l’aumento
dell’offerta di beni e servizi. Al di fuori di questo equilibrio, tutto ciò che
potrebbe stimolare i prestiti bancari, la creazione di moneta e di domanda,
dovrebbe essere soggetto a severi controlli. Questa sarebbe la chiave del
mantenimento della stabilità dei prezzi.
Nel complesso i monetaristi
appaiono dare un po’ più di importanza alla competitività e alla salute del
sistema economico, e quindi al pareggio del bilancio pubblico e alle politiche
monetarie austere contro l’inflazione di quanto non abbiano fatto molti
keynesiani preoccupati principalmente di estendere benessere ed occupazione
anche alle classi meno abbienti.
● Esiste
una interessante correlazione tra tasso di crescita della offerta di moneta M e
tasso di crescita dell’economia: se le autorità monetarie faranno crescere la
quantità di moneta M al tasso di crescita normale del sistema economico (che
nei paesi più industrializzati oscilla tra il 2% e il 5%), ne seguirà una
analoga crescita percentuale del PIL e del reddito nazionale
I neoclassici sbagliavano nel
ritenere che un aumento della quantità di moneta portasse il più delle volte
inflazione: esiste un certo grado di quantità produttive non sfruttate, che
l’espansione della offerta di moneta può favorire.
● Un
aumento della quantità di moneta in circolazione si riflette lentamente sui
prezzi e sui salari e sull’inflazione, anche se l’occupazione non può
ulteriormente crescere perché è al suo livello naturale (disoccupazione
frizionale). Nel breve periodo aumenta la spesa aggregata che questi avevano
assunto, e di conseguenza fa ritornare al livello precedente produzione
occupazione. Ma nel lungo periodo la scarsità di lavoro innalza i salari e
spinge gli imprenditori a licenziare i lavoratori che essi avevano assunto,
facendo ritornare la produzione al livello iniziale. Tutto questo è confermato
dalla curva di Phillips, che mostra che nel medio periodo aumenta
l’occupazione, sia pure mentre i salari iniziano anch’essi a salire. Ma la
legge indicata dalla curva di Phillips non è, secondo Friedman, destinata a
durare: una volta che i lavoratori e le imprese abbiano imparato che un certo
tasso di inflazione e di aumento di salari è normale e riporta i salari reali e
i profitti reali al livello di partenza, essi, a quel tasso di inflazione, non
varieranno né l’offerta né la domanda di lavoro. Occorrerà di anno in anno la
immissione di una quantità maggiore di moneta, che provocherebbe una inflazione
crescente.
❍ Le critiche dell’economista John Kenneth Galbraith ai
monetaristi
E’ vero che la politica
monetaria è efficace contro l’inflazione. Se la Banca Centrale dà al credito un
giro di vite sufficiente a ridurre i fondi che possono essere prestati dalle
banche commerciali, e se le obbliga ad aumentare i tassi di interesse, gli
investimenti delle imprese e le spese dei privati ne risentiranno. Ma il
maggior costo e la maggiore rarità del denaro
colpiranno in primo luogo l’edilizia, le piccole imprese impossibilitate
a rinnovare magazzino e macchinario, e i privati che non possono più comprare a
credito automobili ed elettrodomestici; per la semplice ragione che tutte
queste attività sono finanziate dal credito. E se le misure restrittive vengono
spinte abbastanza avanti perché i depositi bancari non siano più investiti e
reinvestiti, verranno a capo dell’inflazione.
Gli effetti di queste
costrizioni penalizzano le parti sociali in modo immancabilmente molto
ineguale. La portata della politica monetaria è la compressione della capacità
generale di spesa di imprese e famiglie, che gli economisti chiamano domanda
globale o domanda aggregata. La sua caduta non costringerà la
General Motors, né la Exxon, né la Renault o la Shell, né alcuna corporation
gigante a frenare l’aumento dei propri prezzi. I primi colpi di freno saranno
per la produzione e la vendita. Infatti, le corporation hanno il potere
contrastare la tendenza alla diminuzione dei prezzi e di mantenere i prezzi che
desiderano. E’ per poter fare questo che sono divenute sempre più grandi. Hanno
la possibilità di assorbire l’aumento dei salari o di qualunque altro costo di
produzione aumentando i prezzi. E possono decidere di tenerli stabili e
resistere agli aumenti salariali solo di fronte a un’altissima capacità di
produzione inutilizzata. Allora il tasso di disoccupazione sarebbe tale che i
sindacati modererebbero le loro rivendicazioni. Nel settore delle grandi corporation
la politica monetaria agisce quindi creando o aggravando la disoccupazione. E’
questa la triste ed evidente lezione che si deve trarre dalle prime
applicazioni in grande stile degli anni ’70 della politica monetarista.
Ma la politica monetaria ha un
altro effetto altrettanto discriminatorio a vantaggio dei potenti. Abbiamo
visto che la corporation dispone di una fonte di autofinanziamento
indipendente dalle risorse bancarie. Potendo attingere ai propri profitti, si sottrae ai decreti
della Banca centrale e alle restrizioni del credito delle banche commerciali.
Poi, le corporation sono i clienti privilegiati delle banche, le prime
ad essere servite quando si libera qualche disponibilità di credito. E poiché
hanno il controllo dei loro prezzi, possono ripercuotere un aumento dei tassi
di interessi sui prezzi imposti ai consumatori. Sono quindi più che armate
contro gli inconvenienti della politica monetaria.
Le cose vanno in modo ben
diverso per l’agricoltore, per il piccolo commerciante che ha bisogno di
liquidi per ricostituire gli stock, e prima di tutto per l’edilizia, che lavora
con capitali presi a prestito e con clienti che dipendono anch’essi dai
prestiti per la casa. Le prime vittime della politica monetaria saranno questi
rami. Quindi le sue conseguenze sono chiare: crea disoccupazione, ha riguardo
dei grandi e dei potenti e penalizza i piccoli.
Secondo Galbraith, i
monetaristi, Milton Friedman in testa, sono di opinioni politiche
conservatrici, e tendono quindi a non preoccuparsi eccessivamente degli
effettivi una politica che favorisce la grande impresa a spese della piccola o
che aggrava la disoccupazione. Friedman è rimasto fedele più di altri ad una
visione di una società in cui famiglie e imprese obbediscono agli stimoli della
concorrenza e del mercato. Per lui l’economia della libera concorrenza è ancora
viva e presente: la grande corporation non ha un posto di grande rilievo
nelle sue ricerche. Se si ammette questa idea che esiste un mercato con molte
imprese in concorrenza tra loro, si può anche pensare che gli effetti della
politica monetaria si distribuiscono più o meno uniformemente su un insieme di
aziende concorrenziali. E se queste subiscono più o meno allo stesso modo le
leggi impersonali della concorrenza, una restrizione del credito bancario e
della domanda globale le obbligherà ad abbassare i prezzi o almeno a rinunciare
ad aumentarli. La disoccupazione è una conseguenza solo accessoria.
In sintesi, la restrizione del credito
bancario non colpisce le grandi corporations e non le induce a diminuire
i propri prezzi. Colpisce invece duramente il settore dell’economia di mercato.
E se colpisce l’insieme dell’economia è per aggravare la disoccupazione.
▸ Si ha inflazione da domanda quando la domanda di beni e servizi è
superiore all’offerta di piena occupazione delle risorse
▸ Una inflazione da domanda può essere provocata
da un aumento della quantità di moneta in circolazione.
Infatti, secondo le scuole neoclassica e
monetarista, un aumento della quantità di moneta si scarica sempre in una
domanda aggiuntiva sul mercato dei beni e servizi. A questo proposito Keynes
ammette solo che a certe condizioni il tentativo delle famiglie di liberarsi
dell’eccesso di moneta può far aumentare la domanda per investimenti.
In particolare, se il reddito è già al
livello del reddito potenziale, un aumento della domanda provocherà inflazione.
Ma anche una politica keynesiana che mira
ad aumentare la domanda globale ad esempio aumentando la spesa pubblica G, se
condotta nel momento sbagliato (piena occupazione delle risorse, momento
ascendente del ciclo economico) può creare inflazione.
▸ Si parla di “vuoto inflazionistico” per
indicare la differenza tra la domanda aggregata di un periodo e la produzione
disponibile di beni e servizi.
▸ Secondo i monetaristi, i continui tentativi
delle autorità di far scendere la disoccupazione al disotto del tasso naturale
di disoccupazione delle risorse provocano un condizionamento delle aspettative,
per cui all’atto della stipulazione dei nuovi contratti di lavoro si prevede
che si verificherà la stessa inflazione che si è verificata sotto il vigore del
contratto precedente.
In queste condizioni si crea una sorta di
“profezia auto-avverantesi” e le politiche delle autorità per far diminuire
l’inflazione divengono inefficaci. In particolare, i soggetti economici sono
poco portati a prestar fede agli annunci da parte delle autorità di imminenti
politiche rigorose di contenimento dell’inflazione.
▸ Si ha inflazione da costi quando i costi di
produzione aumentano determinando una pressione sui prezzi.
▸ Un caso tipico di inflazione da costi si ha
quando i prezzi internazionali delle materie prime aumentano a causa di
nazionalizzazioni, guerre, politiche di cartello degli stati produttori ecc.
Il nascere di forti organizzazioni
sindacali provoca un aumento del costo del lavoro e può innescare una
inflazione da costi.
▸Un caso
tipico di inflazione da costi è la inflazione scatenata da rivendicazioni
salariali, in particolare la spirale prezzi-salari.
▸L’aumento
dei prezzi causa un aumento della domanda di scorte monetarie da parte dei
soggetti economici. Secondo i monetaristi questo offre una possibilità di
controllo dell’inflazione: se le autorità rifiutano di assecondare la maggiore
domanda di moneta le famiglie cercheranno di ottenerla vendendo titoli. Questo
fa diminuire il prezzo dei titoli, aumentare il saggio di interesse e
quindi fa diminuire gli investimenti, in
tal modo riducendo la domanda aggregata.
▸Esiste
anche una inflazione da squilibri settoriali dal lato dei costi e dal lato
della domanda.
Gli squilibri settoriali dal lato dei costi
si verificano quando gli aumenti salariali concessi nei settori più dinamici
dell’economia, che in tali settori non provocano aumenti dei prezzi perché si
verificano in presenza di alti profitti ed aumenti di produttività, vengono
estesi ai settori più arretrati, che non potendo contare su un aumento dei
profitti o della produttività sono costretti a fronteggiare l’aumento dei
salari con un aumento dei prezzi.
▸Gli
squilibri settoriali dal lato della domanda sono determinati da fattori (nuove
mode, importazione di modelli di consumo da altri paesi ecc) che possono
determinare una concentrazione della domanda in alcuni settori più che in
altri. La pressione dell’eccesso di domanda fa aumentare i prezzi in questi
settori; d’altronde è noto che i prezzi
al consumo sono caratterizzati da una certa vischiosità, cioè dalla
lentezza a scendere, in casi di eccesso di offerta. Perciò i prezzi dei settori
la cui domanda è diminuita non caleranno altrettanto rapidamente di quelli che
sono cresciuti. Da tutto questo possono risultare, nel complesso, tendenze
inflazionistiche.
❍ Gli indici Paasche e Laspeyres dei prezzi
Per "livello generale dei
prezzi" o "indice dei prezzi" o "numero indice dei
prezzi" relativo all’anno m si intende il valore di una formula del tipo:
o del tipo:
dove:
n è il numero di beni considerati
p
i (t=m) è il
prezzo dell'i-esimo bene nell'anno m-esimo contato a partire dall'anno 0, cioè
a partire dall'anno preso come inizio della serie ("anno base")
q
i (t=m) è la
quantità prodotta e scambiata dell'i-esimo bene nell'anno m-esimo della serie
p
i (t=0) è il
prezzo del bene i-esimo nell'anno base
q
i (t=0) è la
quantità prodotta e venduta del bene i-esimo nell'anno base.
Le quantità servono per
attribuire dei pesi ai prezzi nel caso di indici dei prezzi: il prezzo di un
bene avrà tanto più peso nella media quanto maggiore è la quantità prodotta e
venduta di quel bene. I prezzi servono per attribuire dei pesi alle quantità
negli indici delle quantità: una quantità avrà tanto più peso nella media
quanto maggiore è il prezzo (e quindi l'impiego di risorse) collegato al bene
cui la quantità si riferisce.
La prima formula, che utilizza
come pesi dei prezzi le quantità dell’anno m è detta “Indice Paasche”
La seconda formula, che
utilizza come pesi dei prezzi le quantità dell’anno 0 (anno base) è detta
“Indice Laspeyres”
❍ Il Reddito o PNL reale e il Reddito o PNL nominale
Gli economisti definiscono "PNL reale
dell'anno m" il valore dato dalla formula:
dove:
m è il numero di beni considerati
p
i (t=0) è il
prezzo del bene i-esimo nell'anno base
q
i (t=m) è la
quantità prodotta e venduta del bene i-esimo nell'anno m-esimo
Contrariamente a quanto potrebbe
aspettarsi lo studente il PNL "reale" non esprime quantità fisiche
(semmai valori monetari). L'aggettivo "reale" vuole indicare il fatto
che tale valore consente il confronto delle grandezze reali (produzione fisica)
relative ad anni diversi.
Capita talvolta che certi
testi, anche universitari, definiscano affrettatamente "reddito
reale" il rapporto Y/P, senza precisare quale nozione di reddito (PIL?,
PNL?) e di livello dei prezzi (indici Paasche? Indici Laspeyres? Media pesata?)
si debba adottare.
E' bene, per abituarsi ad una
maggiore precisione, interpretare il "reddito reale" così
genericamente indicato come "PNL reale", secondo la definizione che
ne abbiamo qui dato.
Il "PNL nominale (o
monetario) dell'anno m" è dato invece dalla formula:
dove:
m è il numero di beni considerati
p
i (t=m) è il
prezzo dell'i-esimo bene nell'anno m-esimo contato a partire dall'anno 0, cioè
a partire dall'anno preso come inizio della serie ("anno base")
q
i (t=m) è la
quantità prodotta e scambiata dell'i-esimo bene nell'anno m-esimo della serie
Questa formula non è altro che
un valore monetario risultante dalla moltiplicazione delle quantità prodotte
nell'anno m-esimo per i prezzi dell'anno m-esimo.
Il "numero indice dei
prezzi impliciti" o "deflatore del PNL" non è altro che l'indice
Paasche dei prezzi (vedi sopra). Viene chiamato "deflatore" perché,
moltiplicando il suo inverso per il PNL o PIL monetario si ottiene un valore
che contiene (o dovrebbe contenere) le sole variazioni dovute ad aumento di
produzione.
Il PIL reale è una misura con cui si cerca
di isolare le variazioni della produzione fisica del sistema economico da un
periodo ad un altro, valutando tutti i beni prodotti nei due periodi agli
stessi prezzi ovvero a lire costanti.
Per capire come l'indice
Paasche possa funzionare da "deflatore" (che letteralmente significa
"sgonfiatore"), cioè possa eliminare gli effetti degli incrementi del
reddito monetario dovuti all'aumento dei prezzi (lasciando quelli dovuti
all'aumento della produzione), proviamo a moltiplicare il suo inverso per il
PNL nominale:
In tale moltiplicazione la
quantità:
è l’inverso dell’indice Paasche
dei prezzi, mentre la quantità:
è il PIL nominale o monetario
dell’anno m
Semplificando il denominatore
col PNL monetario si ottiene infine:
Che non è altro che la formula
del PNL reale dell’anno m e cioè, come sappiamo, il valore dei beni finali
prodotti nell’anno, valutati però al prezzo dell’anno-base.
Facendo questa operazione per
ciascun anno si otterranno i valori dei redditi nazionali dei vari anni valutati
però sempre ai medesimi prezzi (quelli dell'anno-base), e quindi si potranno
confrontare i soli aumenti dovuti a crescita della produzione e non a crescita
dei prezzi.
In base alle definizioni date, lo studente
può verificare che il deflatore implicito può anche essere definito come:
Deflatore
del PNL = =
Il tasso di inflazione (che è il tasso di
crescita del deflatore del PNL) può essere approssimato dalla formula:
Tasso di crescita del deflatore del PNL =
Tasso di crescita del PNL nominale - Tasso di crescita del PNL reale
Il deflatore del PIL può essere visto come
una media ponderata dei prezzi dei beni commerciabili e non commerciabili.
❍ PIL
reale e PIL nominale. Il deflatore del PIL
Vedi
quadro su indice generale dei prezzi
❍ Le conseguenze negative dell’inflazione
▸Si
creano discriminazioni tra i titolari dei vari redditi: i titolari dei redditi
monetari che variano solo a intervalli relativamente lunghi per effetto della
contrattazione con la controparte sono più penalizzati di coloro che possono
ritoccare al rialzo i loro redditi monetari.
In genere vengono danneggiati maggiormente
i percettori di redditi fissi rispetto ai percettori di redditi variabili.
Tra gli stessi lavoratori le categorie di
lavoratori più forti, in condizione di inflazione, riescono ad ottenere aumenti
salariali, le altre no
▸Diminuzione
del risparmio a favore del consumo
Quando il reddito nominale si riduce le
famiglie tentano di mantenere i consumi precedenti diminuendo il risparmio
piuttosto che diminuire i consumi.
Questo effetto è però controbilanciato dal
fatto che la redistribuzione di ricchezza dalle famiglie meno abbienti a quelle
più abbienti aumenta la propensione al consumo della collettività.
▸Si
verifica una redistribuzione di ricchezza dai titolari dei redditi fissi ai
titolari dei redditi variabili
All’aumentare del valore monetario del
reddito nazionale, alcune categorie aumentano i propri redditi individuali,
altre no: questo porta le prime ad avere una percentuale più alta di reddito
nazionale. In particolare il primo effetto dell’inflazione è far aumentare i profitti
degli imprenditori prima dei salari.
▸Vengono
favoriti i debitori a scapito dei creditori, che si vedono pagare con moneta
svalutata
▸I
prodotti nazionali diventano meno competitivi e compare uno squilibrio nella
bilancia dei pagamenti
▸Si crea
incertezza sui prezzi e in genere sul costo dei fattori, e questo può frenare
gli investimenti
▸Si
modifica la struttura degli investimenti: vengono privilegiati gli investimenti
a breve termine, perché, in una condizione di incertezza, sono più sicuri di
quelli a lungo termine.
▸Il
potere di acquisto del reddito delle famiglie diminuisce
▸In un
sistema fiscale con imposte progressive si verifica il fenomeno del “fiscal
drag”: l’aumento del reddito nominale fa scattare aliquote più elevate, anche
se il reddito reale rimane lo stesso.
▸Una
perdurante inflazione può generare nei soggetti economici (imprenditori e
lavoratori) aspettative inflazionistiche. In una situazione di aspettative
inflazionistiche i contratti stipulati dalle organizzazioni sindacali
presuppongono la presenza di inflazione futura e sono essi stessi
inflazionistici, creando i presupposti per la spirale prezzi-salari. Inoltre,
in queste condizioni, è difficile per le autorità utilizzare con successo
politiche antinflazionistiche.
▸Sebbene
da un lato si deve considerare che lo Stato, debitore delle somme mutuate con i
titoli del debito pubblico è avvantaggiato dall’inflazione, dall’altro è
inevitabile che l’inflazione faccia aumentare le spese della Pubblica
Amministrazione, col rischio di aggravare il deficit pubblico.
▸Gli
aumenti salariali dei lavoratori comprimono i margini di profitto degli
imprenditori: il prezzo di ogni unità di prodotto venduta copre infatti sia i
vari tipi di costi (del lavoro, delle materie prime, dei servizi, degli
ammortamenti...) sia la quota di profitto dell'imprenditore. Se aumenta la
parte di costo e il prezzo rimane invariato, deve diminuire la quota di
profitto su ogni unità venduta.
▸Per
salvare i propri margini di profitto gli imprenditori normalmente, se le
autorità non intervengono, aumentano i prezzi, scatenando la spirale
inflazionistica nota come "prezzi-salari-prezzi": l'aumento dei
prezzi dei prodotti fa sì infatti che il costo della vita aumenti e presto
annulli i benefici degli aumenti di salario. Inizierà così di nuovo il ciclo: i
lavoratori chiederanno nuovi aumenti salariali, che gli imprenditori
neutralizzeranno con nuovi aumenti dei prezzi
▸In
sintesi: una delle principali ragioni per cui i lavoratori chiedono aumenti
salariali è appunto il "recupero dell'inflazione", cioè l’aumento
delle retribuzioni necessario per far ritornare il loro potere d’acquisto come
era prima che esso fosse diminuito dall’inflazione. Ma se le richieste sono
eccessive, con gli aumenti viene prodotta nuova inflazione: quando i lavoratori
ottengono aumenti di salario gli imprenditori vedono ridursi i profitti e
aumentano i prezzi dei prodotti; questo provoca un aumento del costo della vita
dei lavoratori che chiedono un nuovo aumento di salario, e così avanti
all'infinito ("spirale prezzi-salari")
▸La
teoria che vede la principale causa di aumento dei prezzi in una inflazione da
costi scatenata dall’aumento dei salari presuppone la teoria del mark-up circa
la determinazione del prezzo da parte degli imprenditori.
Secondo questa teoria il prezzo di vendita
non si determina dall’incontro della domanda e dell’offerta. Soprattutto nei
moderni mercati oligopolistici, dove le grandi imprese sono in grado di
controllare il prezzo, questo viene fissato aggiungendo ai costi una quota di
ricarico (“mark-up”) a titolo di profitto.
▸La
curva di Phillips, tracciata nel 1960 da economisti anglosassoni sulla base
della osservazione dell’economia britannica dal 1961 al 1957, mostra una
relazione inversa tra tasso di disoccupazione e tasso di inflazione:
Come si può vedere, ad es. ad un tasso di
disoccupazione del 3% il tasso di inflazione (cioè il tasso di crescita annua
del livello generale dei prezzi) è del 5%, mentre ad un tasso di disoccupazione
dell’1,5% l’inflazione è raddoppiata. La spiegazione più diffusa è che, col
diminuire della disoccupazione la difficoltà di reperire lavoratori da parte
delle imprese mette in grado questi ultimi di chiedere aumenti salariali, che a
loro volta si riflettono sui prezzi, spiegando l’inflazione. Viceversa, quando
la disoccupazione è alta (ad es. al 7% nel grafico) il potere contrattuale dei
lavoratori è molto basso, i salari non crescono e l’inflazione è pari a zero; o
addirittura i salari diminuiscono (disoccupazione 10%) e quindi i prezzi
diminuiscono (–1%).
▸Le
analisi statistiche più recenti effettuate nei paesi industrializzati non hanno
confermato la validità della curva di Phillips ed hanno anzi dimostrato che le
retribuzioni (e quindi l’inflazione) aumentano anche in presenza di una elevata
disoccupazione (situazione tipica della stagflazione).
▸I
monetaristi criticano la curva di Phillips sostenendo che essa vale solo nel
breve periodo: esiste un tasso di disoccupazione naturale al quale il sistema
economico tende a tornare nel lungo periodo. Se nel breve periodo si registrano
una crescita dei salari e dei prezzi i lavoratori saranno indotti ad offrire
più lavoro e gli imprenditori ad assumere più lavoratori. Ma nel lungo periodo
i lavoratori che avevano cercato impiego si rendono presto o tardi conto che
l’aumento dei prezzi ha riportato il loro salario reale al livello di partenza
e cessano di cercare impiego, mentre gli imprenditori che avevano assunto
lavoratori aggiuntivi si rendono conto che gli aumenti dei ricavi, in presenza
di aumenti dei prezzi, sono solo fittizi, e licenzieranno nuovamente
(cosiddetta “disillusione monetaria”).
❍ La “politica dei redditi” contro l’inflazione e la
spirale prezzi-salari
▸La
“politica dei redditi” è l'intervento dello Stato per evitare che i salari e i
profitti crescano eccessivamente provocando inflazione.
Uno dei principali pericoli è l’inasprirsi
della conflittualità sindacale. Le autorità intervengono cercando di promuovere
un accordo sui salari che eviti scioperi e paralisi dell'economia con scioperi
ripetuti.
Un secondo grande pericolo è che si
inneschi la cosiddetta “spirale salari-prezzi” (vedi più avanti di cosa si
tratta).
▸Per
evitare questi pericoli e in generale che i prezzi dei prodotti crescano, lo
stato propone a imprenditori e lavoratori un "patto sociale" di cui
egli si fa garante: gli imprenditori non aumenteranno i prezzi e i lavoratori
non chiederanno aumenti dei salari. E’ importante che ciascuna delle due parti
mantenga il patto: gli aumenti salariali dei lavoratori comprimono i margini di
profitto degli imprenditori, spingendoli ad aumentare i prezzi dei prodotti. A
sua volta, se gli imprenditori aumentassero i prezzi dei prodotti, i lavoratori
vedrebbero aumentare il costo della vita e chiederebbero aumenti di stipendio.
▸Lo
stato, da parte sua, si impegna ad effettuare tutta una serie di interventi che
rendano più facile agli imprenditori tenere bassi i prezzi ed aumentare i
margini di profitto e ai lavoratori contenere i salari:
● Lo
stato interviene per mantenere bassi i redditi dei proprietari di appartamenti
in modo che il lavoratore non debba pagare affitti troppo alti
● Lo
stato interviene per mantenere bassi i costi dei trasporti pubblici, del gas,
dell’elettricità, dell’acqua, che costituiscono altrettante spese per le
famiglie dei lavoratori. Lo Stato può ottenere questo principalmente
controllando le imprese pubbliche che forniscono servizi alla collettività
● Per
determinati prodotti (medicinali ecc.) lo Stato instaura un regime di prezzi
controllati
● Lo
stato può cercare di alleggerire alcuni costi delle imprese:
● [Tittarelli-Cernesi>Econ.finanziaria
pubbl. e normativa trib.>1996 220] Lo stato può attuare la “fiscalizzazione
degli oneri sociali” (cioè può accollarsi in tutto o in parte i versamenti dei
contributi previdenziali e assistenziali obbligatori che i datori di lavoro
sono tenuti ad effettuare)
● Lo
stato può concedere agevolazioni, ad esempio tributarie alle imprese, specie a
quelle in difficoltà
● Lo
stato può concedere alle imprese incentivi monetari
● Lo
stato può concedere mutui a tasso agevolato
● Lo
Stato può potenziare le infrastrutture (reti di trasporto, porti, dogane ecc.)
e rendere più efficienti gli uffici della Pubblica Amministrazione che si
occupano dei rapporti con le imprese, in modo che le imprese, riuscendo a
produrre in modo più veloce ed efficiente, possano tenere bassi i costi
● Lo
stato può incentivare la ricerca scientifica e la innovazione, in modo che
processi produttivi più efficienti abbassino i costi degli imprenditori
▸In occasione
della contrattazione collettiva tra sindacati dei lavoratori e dei datori di
lavoro il ministro del lavoro prende parte alla trattativa allo scopo di
favorire l'accordo delle parti sociali.
▸Lo
stato ha poi un potente strumento per contenere i salari e gli stipendi:
infatti è esso stesso un datore di lavoro, e può cercare di limitare gli
aumenti salariali dei dipendenti pubblici, in modo da non scatenare “rincorse”
da parte dei lavoratori dell’industria privata
❍ La stagflazione e le sue cause
▸La
stagflazione è una situazione caratterizzata contemporaneamente da inflazione e
da depressione (cioè da ristagno dell'attività economica). La stagflazione è un
fenomeno relativamente recente, sconosciuto agli economisti della prima metà di
questo secolo, quando una scarsità della domanda e un ristagno produttivo si
accompagnavano non a prezzi crescenti, ma a prezzi in diminuzione. La
stagflazione ha investito le economie capitalistiche avanzate negli anni '70.
▸Tra le
cause della stagflazione vi sono:
● L'incertezza
provocata tra gli imprenditori dalla inflazione da costi fa diminuire gli
investimenti
Come è stato detto, l’aumento
dei salari, non collegato agli aumenti di produttività del lavoro, provoca
inflazione.
Di fronte alle continue
rivendicazioni salariali che fanno aumentare i loro costi, gli imprenditori si
fanno più cauti: alcuni sanno di essere ben piazzati sul mercato e quindi di
poter assorbire l'aumento dei costi del lavoro con un aumento dei prezzi; ma
molti altri non sono sicuri che il mercato consentirà loro di aumentare i
prezzi per assorbire la continua spinta salariale.
Fino agli anni '70 gli
imprenditori sapevano che una situazione di scarsa domanda, che rende loro
difficile aumentare i prezzi, provocava però anche disoccupazione, e quindi
contrastava l'aumento dei salari. Ma dagli anni '70 in poi, grazie alla forza
delle organizzazioni sindacali, gli aumenti salariali non sono più collegati
alla situazione di occupazione o disoccupazione.
Il risultato di tutto questo è
che gli imprenditori si fanno più cauti, ridimensionano i progetti di
investimento.
● Le
politiche monetarie restrittive poste in essere dalle autorità aumentano
l’incertezza e il timore tra gli imprenditori e frenano gli investimenti
Di fronte ad una situazione di
inflazione, facilmente le autorità adottano una politica monetaria restrittiva,
che provoca una scarsità di capitali e un aumento del costo del denaro (saggio
di interesse). Questo fa ulteriormente diminuire gli investimenti degli
imprenditori ed aumenta la situazione di incertezza e di timore da parte loro
● La
carenza di investimenti rende il sistema fragile e non in grado di assorbire
con aumenti di produttività l’aumento del costo del lavoro
Abbiamo visto che in una
situazione di inflazione può facilmente verificarsi una diminuzione degli
investimenti.
Ma un sistema che non investe a
sufficienza è un sistema fragile, in cui la produttività non aumenta nella
misura necessaria per compensare la richiesta di aumenti salariali
In una situazione del genere
gli imprenditori, non potendo assorbire gli aumenti del costo del lavoro mediante
aumenti di produttività del lavoro, sono costretti sistematicamente ad
aumentare i prezzi, innescando la spirale prezzi-salari-prezzi
● Aumento
del prezzo delle materie prime
A partire dagli anni ’70 i
paesi produttori di materie prime, in particolare petrolifere, attraverso una
aggressiva politica di nazionalizzazioni e di accordi di cartello tra
produttori, sono riusciti ad aumentare sensibilmente il prezzo delle loro
esportazioni. Questo ha scatenato nei paesi occidentali una ondata di
inflazione da costi.
● La
spesa pubblica indiscriminata può provocare “colli di bottiglia” in grado di
far esplodere l’inflazione anche in condizioni di disoccupazione non grave
delle risorse.
In condizioni di disoccupazione
non grave la spesa pubblica può provocare inflazione senza far aumentare la
produzione In caso di disoccupazione grave, che colpisca tutti i settori
produttivi, lo stato può aumentare la sua spesa pubblica senza timore che
questo provochi inflazione, e sperando anzi che faccia aumentare la produzione
e l'occupazione. Ma nelle economie del secondo dopoguerra le politiche
economiche messe in atto dagli stati hanno avuto come effetto di mantenere il
sistema in uno stato di disoccupazione lieve, con alcune imprese che producono
sfruttando quasi completamente le proprie capacità produttive e altre che
producono sfruttando solo parzialmente le proprie capacità produttive. In
questa situazione, se la spesa pubblica non è ben indirizzata alle imprese in
condizione di disoccupazione, ma a quelle che già stanno sfruttando tutta la
propria capacità produttiva, si producono con estrema facilità dei "colli
di bottiglia" ("bottlenecks"), delle strozzature, che fanno
crescere i prezzi senza che vi sia un apprezzabile effetto sulla occupazione e
le quantità prodotte. In queste condizioni la spesa pubblica andrebbe ridotta e
soprattutto meglio indirizzata a sfruttare le capacità produttive inutilizzate.
❍ Qual è la politica delle autorità di fronte alla
stagflazione?
▸Una
politica keynesiana che contrasti l'inflazione può aggravare la depressione e
una politica keynesiana che contrasti la depressione può aggravare
l'inflazione.
▸La
stagflazione rappresenta un problema molto difficile per le autorità. Se esse
intervengono per far diminuire i prezzi e quindi l'inflazione mediante una
diminuzione della domanda aggregata ottenuta con una riduzione delle spese
pubbliche o un aumento delle entrate pubbliche, esse rischiano di aggravare la
depressione.
▸Se
viceversa intervengono contro la depressione aumentando la domanda aggregata
tramite un aumento delle spese pubbliche o una riduzione delle entrate
pubbliche, esse rischiano di far aumentare i prezzi e quindi di scatenare
l'inflazione.
▸In
genere le autorità cercano di risanare il bilancio pubblico e di incoraggiare
gli investimenti da parte degli imprenditori.
Risanare il bilancio pubblico, come già
detto, vuol dire diminuire il deficit annuale e il debito pubblico complessivo,
e, insieme, migliorare la qualità della spesa pubblica, evitando le spese
improduttive e che non creano investimenti e crescita di produttività. In una
situazione di incertezza quale è quella stagflazionistica, si crea una
situazione di timore che frena gli investimenti degli imprenditori. Le autorità
debbono cercare di incoraggiare gli investimenti con provvedimenti a favore
delle imprese (sgravi fiscali, incentivi e contributi, manovre della banca
centrale per far diminuire il costo del denaro, ecc.) che ristabiliscano la
fiducia degli operatori economici e rilancino l'economia.
❍ Il mercato monetario e la borsa
(1) Che differenza c’è
tra mercato monetario e finanziario?
Che tipo di
titoli viene normalmente negoziato nel mercato monetario e che tipo di titoli
viene normalmente negoziato nel mercato finanziario?
(2) Cosa sono le
obbligazioni?
Cosa sono i
titoli del debito pubblico?
Cosa sono le
azioni?
(3) Cosa significa
“emissione sopra la pari” o “emissione sotto la pari” di un titolo?
I titoli possono essere emessi
alla pari (cioè ad un prezzo pari al loro valore nominale) o sotto la pari
(ossia ad un prezzo inferiore al loro valore nominale) o sopra la pari (cioè ad
un prezzo superiore al loro valore nominale)
(4) In quale luogo
avvengono le contrattazioni del mercato monetario?
In quale luogo avvengono le
contrattazioni del mercato finanziario?
Le contrattazioni del mercato
monetario avvengono principalmente nelle banche
Le contrattazioni del mercato
finanziario avvengono principalmente nelle borse valori
(5) Cosa si intende per
“valore nominale” di un titolo?
Cosa si intende per “valore
reale” o “valore intrinseco” di un titolo?
Cosa si intende per “valore di
mercato” o “prezzo di mercato” di un titolo?
Il “valore nominale” è quello
impresso sul titolo
Per le azioni si parla di “valore
intrinseco o reale”, che si ottiene dividendo il valore del patrimonio della
società per il numero delle azioni emesse.
Il “valore di mercato” di un
titolo è il prezzo al quale viene scambiato in borsa
(6) Per quale ragione se
il saggio di interesse praticato nel mercato finanziario (es. quello per le
nuove emissioni di obbligazioni) scende il valore di mercato o prezzo del
titolo di vecchia emissione diminuisce, e viceversa?
Se un titolo di vecchia
emissione reca scritto “10 €” come interesse annuale, il suo valore sarà
capitalizzato al tasso di interesse attuale, mediante il rapporto:
e cioè
come si vede, se il saggio di
interesse sale, il prezzo di mercato scende, e viceversa.
Il saggio di interesse potrebbe
salire perché le autorità aumentano il saggio di risconto alle banche e queste
sono costrette a loro volta a praticare un interesse più alto alla clientela.
Oppure perché le autorità annunciano che venderanno titoli del debito pubblico
ad un interesse più alto di quello corrente. Oppure in genere perché fanno
diminuire lo stock di moneta in circolazione (offerta di moneta).
(7) Per quale ragione,
se il prezzo o valore di mercato di un titolo aumenta a seguito di un eccesso
di domanda (es. perché le famiglie tentano di liberarsi delle scorte di moneta
acquistando titoli) il saggio di interesse diminuisce?
Se, prima dell’aumento di
valore, un titolo di vecchia emissione con valore di mercato di 100 € dava un
interesse annuo di 10 € una famiglia poteva cedere il suo denaro alle imprese
ottenendo non meno del 10% di interesse (diversamente essa avrebbe acquistato
il titolo di vecchia emissione), dopo l’aumento (es. raddoppio) di valore dei
titoli, per ottenere 10 € occorrerà sborsare 200 € (il titolo che valeva 100 €
è raddoppiato di valore): questo vuol dire che esistono famiglie disposte a
dare in prestito il proprio denaro al 5% e quindi che nessuna impresa emetterà
titoli con un saggio di interesse superiore al 5%.
(8) Come viene attuata
una speculazione al rialzo mediante un contratto di compravendita di titoli a
termine?
Se lo speculatore ritiene che
il valore del titolo aumenterà egli acquisterà titoli a termine, impegnandosi a
pagarli, il mese successivo, al loro valore attuale, poniamo di 100 €
Se, al momento della esecuzione
del contratto (mese successivo) il valore del titolo è effettivamente aumentato
da 100 a 150 €, tutto quel che deve fare lo speculatore è farsi consegnare i
titoli, rivenderli a 150 €, pagare 100 € al venditore e tenersi la differenza.
(9) Come viene attuata
una speculazione al ribasso mediante un contratto di compravendita di titoli a
termine fermo?
Se lo speculatore ritiene che
il valore del titolo diminuirà egli venderà titoli a termine, impegnandosi a
consegnarli, il mese successivo, in cambio del loro valore attuale, poniamo di
100 €
Se, al momento della esecuzione
del contratto (mese successivo) il valore del titolo è effettivamente diminuito
da 100 a 50 €, tutto quel che deve fare lo speculatore è farsi dare il
corrispettivo di 100 €, acquistare sul mercato il quantitativo pattuito
sborsando 50 €, consegnare i titoli all’acquirente e tenersi la differenza di
50 €.
(10) Esponi la
classificazione dei contratti di borsa.
● Contratti
(di compravendita) a pronti
● Contratti
(di compravendita) a termine
● Contratti
a termine fermo
● Contratti
a premio
● Contratto
dont
Il compratore si riserva la facoltà di non
dare esecuzione al contratto pagando un premio consistente in una determinata
somma per titolo
● Contratto
put
Il venditore si riserva la facoltà di non
dare esecuzione al contratto pagando un premio consistente in una determinata
somma per titolo
● Contratto
noch
Il contraente, pagando un premio, si
riserva la facoltà di vendere o comperare un quantitivo di titoli multiplo
(doppio, triplo ecc.) rispetto a quello pattuito
● Contratto
stellage
Il contraente che paga il premio si riserva
la facoltà di dichiararsi, nel giorno di
risposta premi, compratore o venditore del titolo. Il contratto di stellage non
comporta diritto di recesso, perché il contratto deve essere comunque eseguito.
● Contratti
di riporto
● Contratto
di riporto
Un soggetto (riportatore) ottiene da un
altro (riportato) la disponibilità di una quantità di denaro per un determinato
periodo in cambio della consegna di una data quantità di titoli.
Al termine del periodo il riportatore
restituisce al riportato, in cambio dei titoli, una somma maggiore di quella che aveva ricevuto
● Contratto
di deporto
Un soggetto (riportato) ottiene da un altro
(riportatore) la disponibilità di una quantità di titoli per un determinato
periodo in cambio della consegna di una data quantità di denaro.
Al termine del periodo il riportato
restituisce al riportatore i titoli, in cambio di una somma minore di quella che aveva pagato.
(11) Come può essere
utilizzato un contratto di riporto per prolungare una operazione di
speculazione al rialzo (in gergo: mantenere la posizione rialzista)?
Se alla fine del mese non si
verifica il rialzo che lo speculatore aveva sperato, questi, che aveva
contrattato a termine come acquirente, può farsi consegnare i titoli, darli a
riporto con scadenza al mese successivo, ottenendo dal riportato la somma
necessaria per pagare l’acquisto e liquidare il vecchio contratto, sia pure con
una perdita. Se al momento di restituire il denaro al riportatore in cambio dei
titoli il valore di questi avesse subito un rialzo, lo speculatore venderebbe i
titoli e con la differenza tra prezzo da restituire al riportatore e prezzo di
mercato dei titoli conseguirebbe un guadagno che potrebbe essere maggiore della
perdita subita il mese precedente.
Si consideri ancora il seguente
esempio:
1° Gennaio Quotazione azioni Fiat: 1 €
Tizio acquista 1000 azioni Fiat a termine 1 mese
Prezzo: 1 €
1° Febbraio La quotazione non è cambiata: 1 €
Tizio prende a riporto le 1000 azioni acquistate
al prezzo di 1 € con premio di 0,50 € per azione ed ha così soldi per pagare il
contratto. Dovrà restituire la somma maggiorata di 0,10 € per azione
1° Marzo La quotazione è cambiata: 2 €
Tizio si fa riconsegnare le azioni dal
riportatore, le rivende a 2 € per azione; paga 1,10 € per azione al riportato e
si tiene la differenza
(12) Come può essere
utilizzato un contratto di riporto per prolungare una operazione di
speculazione al ribasso (in gergo: mantenere la posizione ribassista)?
Se alla fine del mese non si
verifica il ribasso che lo speculatore aveva sperato, questi, che aveva
contrattato a termine come venditore, può farsi consegnare il denaro, darlo al
riportato con scadenza al mese successivo, ottenendo da questi i titoli da consegnare per liquidare il
vecchio contratto, sia pure con una perdita. Se al momento di restituire i
titoli al riportato in cambio del denaro ricevuto il valore di questi avesse
subito un ribasso, lo speculatore, fattosi consegnare il denaro, acquisterebbe
i titoli da restituirgli e, con la differenza tra quanto ricevuto dal riportato
e quanto sborsato per i titoli (che nel frattempo è ribassato) conseguirebbe un
guadagno che potrebbe essere maggiore della perdita subita il mese precedente.
Si consideri ancora il seguente
esempio:
1° Gennaio Quotazione azioni Fiat: 1 €
Tizio vende 1000 azioni Fiat a termine 1 mese
Prezzo: 1 €
1° Febbraio La quotazione non è cambiata: 1 €
Tizio, che sperava fosse ribassata, prende a
deporto 1000 azioni e le consegna al compratore; riceverà una somma minore di
quella consegnata: 0,10 € in meno per azione
1° Marzo La quotazione è cambiata: 0,50 €
Tizio si fa restituire 0,90 € per azione dal
riportato; acquista 1000 azioni a 0,50 € e le dà al riportato (deportato)
tenendosi la differenza di 0,40 €
(13) Cos’è lo “stripping”?
La banca Alfa ha acquistato CCT
quinquennali ad un’asta del Tesoro pagandoli 10 milioni di euro. Il saggio di
interesse nominale è del 10%. Se il saggio di interesse di mercato sale al 20%
prima che la banca Alfa possa piazzare i CCT presso i risparmiatori, essa si
vedrà costretta a piazzarli a 5 milioni di euro.
Per non dichiarare in bilancio
una conseguente perdita di 5 milioni di euro si attua lo stripping: la banca
mantiene la proprietà dei titoli e vende separatamente il diritto a riscuotere
le cedole. Questa procedura presenta il vantaggio che la banca recupera
liquidità per 5 milioni di euro e non realizza alcuna perdita sul capitale
perché alla scadenza lo Stato rimborserà esattamente 10 milioni di euro (di cui
5 milioni vanno restituiti agli obbligazionisti cui è stato venduto il diritto
di riscuotere le cedole).
(14) Cos’è la Federal
Reserve ? (detta anche FED)
La Federal Reserve (abbreviata
usualmente in Fed) è la Banca Centrale USA, il cui presidente è Alan Greenspan.
Essa governa la quantità di moneta in circolazione ed è in grado, con la sua
manovra (soprattutto con la manovra del saggio di sconto) di influenzare il
saggio di interesse praticato dalle banche ordinarie.
(15) In che modo una
famiglia può contrattare una pensione privata?
Come vengono
gestiti i premi che essa paga?
In che modo il
meccanismo assicurativo garantisce un trattamento teoricamente migliore di
quello ottenuto investendo i propri risparmi in fondi di investimento o in
titoli pubblici o in beni-rifugio?
Una famiglia contratta una
pensione privata stipulando con una società di assicurazione un contratto
assicurativo che, dietro pagamento di un premio mensile per un dato numero di
anni, garantisce, al termine di quel periodo o un capitale o una rendita
destinata a durare fino alla morte del beneficiario.
Le assicurazioni investono
normalmente i premi nel mercato immobiliare o in borsa (le assicurazioni sono i
principali clienti dei fondi di investimento), cercando di ottenere degli
interessi e comunque di non perdere il capitale fino al momento in cui il
corrispettivo dovrà essere versato all’assicurato.
Talvolta le somme sono gestite
dalla stessa azienda (fondi pensione aziendali).
Nulla garantisce che questi
fondi non vadano persi in operazioni speculative errate. In questo caso
l’assicurazione fallisce e l’assicurato non ottiene nulla.
Il meccanismo assicurativo si
fonda su principi statistici. Ad esempio la percentuale di persone che rimane
in vita dopo i 65 anni varia di pochissimo, come pure quella delle persone che
rimangono in vita dopo i 70 anni, quella delle persone che rimangono in vita
dopo i 75 anni ecc.
I gestori dei fondi pensione
possono così offrire ai sopravvissuti una pensione più alta di quello che essi
hanno versato.
Supponiamo ad esempio che un
gestore di fondi pensione pattuisca di pagare, dopo i 75 anni, a coloro che
avranno versato per quella data 20 anni di contributi mensili, una pensione di
1000 € al mese. Supponiamo che tutti coloro che iniziano a pagare i contributi
a 40 anni li paghino per 20 anni e che nessuno di loro muoia prima di aver
completato il pagamento dei contributi, a 60 anni.
Se il gestore delle pensioni sa
che di 10 persone in vita a 60 anni dopo i 75 anni rimangono in vita solo 5
persone, e dopo gli 85 anni non rimane in vita più nessuno, egli dovrà al più
pagare:
1000 · 12 (mesi) · 5 (persone)
· 10 (anni) = 600.000 €
Pertanto egli chiederà a
ciascuna delle 10 persone di pagare mensilmente:
60.000/(20 anni *12 mesi * 10
persone) = 250 €
contro i 500 € che avrebbe
chiesto se avesse considerato una sopravvivenza del 100% tra i 75 e gli 85
anni.
La legge dei grandi numeri gli
assicura che ciò che è avvenuto in passato (il numero dei sopravvissuti) non
cambierà in futuro, a patto che egli gestisca le pensioni di un gran numero di
persone.
Ma attenzione: la legge dei
grandi numeri non funziona se il numero delle persone che si assicurano presso
il gestore è molto basso: le statistiche dei sopravvissuti sono infatti stabili
perché si riferiscono a centinaia o migliaia di persone, altrimenti non lo
sono. Questa è una delle ragioni per cui nell’Ottocento fallirono i tentativi
di creare delle “società di mutuo soccorso” tra operai di una fabbrica, che
versavano dei contributi per prelevare poi in vecchiaia una pensione: il numero
estremamente basso (al massimo un centinaio) di persone che partecipavano a
questi fondi faceva sì che vi fossero grandi oscillazioni: era sufficiente che
per dieci anni il numero dei sopravvissuti dopo i 75 anni fosse molto alto, e
il fondo si trovava a dover pagare cifre molto alte per le pensioni. Questa
condizione di incertezza impediva ai
gestori delle società di mutuo soccorso di sfruttare la legge dei grandi
numeri, che invece poteva essere sfruttata dalle grandi compagne assicurative
private o dallo stato: per poter garantire una pensione fissa, essi erano
costretti a chiedere somme molto più alte delle società private o dello stato,
perché i margini di incertezza erano più alti.
(16) Cos’è l’arbitraggio?
L’arbitraggio è una
speculazione che punta a guadagnare nei due seguenti modi:
● Sul
diverso valore di uno stesso titolo (o valuta) in due borse diverse
Se una obbligazione Fiat è quotata 1 € alla
Borsa di Milano e 5 € alla Borsa di Francoforte, l’arbitraggista la acquista a
Francoforte e poi la vende a Milano. Così facendo, per la legge della domanda e
dell’offerta, il prezzo di Milano diminuisce e quello di Francoforte aumenta.
● Sul
diverso rendimento di due titoli aventi lo stesso rischio
Se due obbligazioni, della società Alfa e
della società Beta, hanno stesso rischio e rendimenti rispettivamente del 5% e
del 10%, l’arbitraggista acquista una obbligazione con rendimento 10% (spesa 10
€) e la rivende a 15 € al soggetto che aveva acquistato l’obbligazione con
rendimento 5%, guadagnando 5 €. L’arbitraggista fa allora da intermediario
nella vendita delle obbligazioni al 5%
(17) Da quali leggi è
stata attuata la riforma della Borsa italiana?
Legge 2 Gennaio 1991 n. 1
Decreto Legislativo 23 Luglio
1996 n. 415
(18) Cosa sono la
“concentrazione degli affari nella borsa” e la “trattazione telematica”
introdotti dalla riforma della borsa?
Tutti coloro che ricevono dal
pubblico incarichi o proposte di acquisto o di vendita di valori mobiliari sono tenuti ad eseguire le operazioni sui
mercati ufficiali (cioè regolamentati), attraverso gli intermediari a ciò
autorizzati e secondo le modalità fissate dalla legge.
Gli ordini di acquisto e
vendita dei titoli sono effettuati attraverso un circuito telematico, con un
sistema di trattazione continua cui gli operatori si collegano tramite
workstation e che collega le dieci borse italiane.
(19) Quali sono i soggetti
a cui la legge italiana consente di operare come intermediari di borsa?
▸ Società di intermediazione immobiliare (s.i.m.)
italiane, che sostituiscono gli agenti di borsa.
▸ Imprese di investimento comunitarie che devono
avere ottenuto l’autorizzazione dell’autorità di vigilanza del loro paese di
origine
▸ Imprese di investimento extracomunitarie
autorizzate dalla CONSOB
▸ Banche (italiane, comunitarie ed
extracomunitarie), che possono operare in borsa direttamente o mediante la
creazione di una s.i.m.
▸ Altri intermediari finanziari iscritti in un
elenco speciale tenuto dalla Banca d’Italia.
(20) Che cos’è il “nuovo
mercato”?
il 28.01.1999 ha preso il via
il “nuovo mercato”, ossia il listino di borsa delle piccole e medie imprese. Vi
sono ammesse società italiane ed estere con delibera di Borsa italiana s.p.a.
che abbiano un capitale minimo, abbiano emesso azioni per almeno una parte del
capitale sociale ed adottino la certificazione di bilancio.
(21) Chi sono gli
investitori istituzionali del mercato finanziario?
Gli investitori istituzionali
sono organismi pubblici o privati che, per effetto della loro natura giuridica,
dei loro statuti e dei loro atti costitutivi, investono le disponibilità
liquide che possiedono in titoli del mercato finanziario:
▸ Banche
▸ Istituti di assicurazione
▸ Fondi comuni di investimento (Investment
trusts)
I fondi di investimento si sostituiscono al
singolo risparmiatore nell’acquisto dei titoli, che sceglie accuratamente
secondo i criteri della redditività e della crescita di valore. Consentono alle
famiglie di imiegare anche modeste somme, limitando i rischi connessi alle
oscillazioni dei valori finanziari
▸ Fondi chiusi
Fanno capo a società in tutto simili a
quelle che amministrano i fondi comuni di investimento. Sono fondi ad
accumulazione, nel senso che i proventi ricavati dagli utili e dividendi vanno
ad accumularsi al valore delle quote (il cui taglio minimo è piuttosto
elevato). Si chiamano chiusi perché: a) Il capitale può essere ritirato solo
alla fine della vita del fondo (5-10 anni); b) Il fondo è mirato a finanziare
le imprese di un determinato settore produttivo.
▸ Società finanziarie
Hanno lo scopo di acquisire il controllo
del pacchetto azionario di società quotate per amministrarne la gestione
attingendo a fondi propri o a quelli del gruppo cui appartengono.
▸ S.i.ca.v. (Società di intermediazione a
capitale variabile)
Sono assai simili ai fondi comuni:
raccolgono il risparmio presso il pubblico e lo impiegano sul mercato
finanziario. Presentano però la particolarità che le risorse raccolte
confluiscono nel loro capitale sociale. In pratica, i risparmiatori che
aderiscono alle s.i.ca.v. sottoscrivono le azioni da queste emesse e ne
diventano pertanto azionisti.