LA DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA |
❍ La concezione cristiana dei
rapporti economici
❍ Le origini del
cattolicesimo sociale. Il movimento cristiano sociale di fine ottocento
❍ Il cattolicesimo
sociale del primo e del secondo dopoguerra. Il personalismo
❍ LA CONCEZIONE CRISTIANA DEI RAPPORTI ECONOMICI.
● La
Chiesa ha spesso sostenuto lo stato e le sue leggi (comprese quelle sulla
proprietà) perché lo Stato è considerato dal pensiero cristiano come un
importante mezzo per poter attuare il regno di Dio.
Già Dante sosteneva che
l'autorità civile ha un proprio ruolo moderatore degli egoismi individuali.
● Deve
esistere una autorità religiosa o ispirata alla religione che faccia presenti
agli uomini i principi cristiani. Tale autorità non deve essere ostacolata
dallo Stato.
Nella concezione cattolica
tradizionale il fatto che esistessero principi, basati sul vangelo, dell'agire
giusto che andavano ricordati agli uomini comportava un preciso ruolo sociale
della Chiesa.
Nel pensiero della Chiesa
medioevale, questo comportava una posizione di predominio della Chiesa. Al
vertice, vi doveva essere il potere religioso, da cui traeva riconoscimento
quello politico e, sotto si trovavano i poteri economici, dotati di maggior
riconoscimento se accompagnati da un titolo di potere politico (come nei
proprietari terrieri feudali) e di minor riconoscimento se puramente economici
(come nei commercianti, artigiani e banchieri borghesi e nei semplici
lavoratori). Questa struttura soffocava lo sviluppo economico capitalistico.
Nel moderno Stato laico, la
Chiesa afferma che i suoi principi hanno un valore preminente rispetto a quelli
dello Stato, e che è lecito ribellarsi agli stati che vanno contro i principi
di Cristo o che ostacolano il magistero della Chiesa.
● L'utilitarismo
liberale conduce all'egoismo e allo sfrenamento delle passioni.
La Chiesa contesta
l'utilitarismo. Manzoni, fervente cattolico, scrisse un trattatello contro
Bentham, famoso utilitarista inglese, per mostrarne la incompatibilità col
pensiero cristiano.
● Gli
scambi debbono avvenire secondo giustizia: le due prestazioni debbono essere
equivalenti e nessuno deve approfittare della sua posizione di forza. I
contratti debbono avere il giusto prezzo, e in particolare i prestiti debbono
avere il giusto interesse.
Secondo tale dottrina bisogna
distinguere ricchezze guadagnate e non gudagnate e considerare equi i compensi
di chi non abusa di situazioni monopolistiche, di privilegi o di posizioni di
rendita, offerti da circostanze fortunate, dal possesso di beni scarsi di cui
vi è gran richiesta ma che non sono costati particolarmente ecc...
● La
proprietà è accettabile se è diffusa e ben distribuita. Essa rappresenta in tal
caso una base insostituibile per la libertà e lo sviluppo della persona.
Il concetto secondo cui la
proprietà è accettabile se è ben distribuita, se è diffusa - che troviamo nella
dottrina cristiana - corrisponde ovviamente alla concezione della
giustificazione della proprietà nel lavoro, da un lato; alla preoccupazione che
i beni terreni non distraggano gli uomini dai valori extraterreni; al motivo
della equità nei contratti (perché essa è garanzia di equilibrio sociale) e
soprattutto al concetto che la proprietà debba accettarsi, in questo mondo
imperfetto, come strumento per un equilibrato rapporto fra uomini e natura e
quindi come modo per assicurare al maggior numero di persone una giusta parte
di beni materiali e una difesa della loro persona e della loro famiglia dal
bisogno e dalle minacce di sfruttamento di parte degl altri, a cui si predica
il dovere di carità, ma dei cui egoismi è doveroso tenere conto nell'organizzazione
sociale.
● La
dottrina cristiana ripudia la violenza nei rapporti tra gli uomini.
La Chiesa ripudia ogni tipo di
violenza nei rapporti politici, e caldeggia la persuasione, le armi incruente
della predicazione del dovere cristiano, dell'esempio, dell'ammonimento o della
preghiera.
La preghiera era ritenuta
importantissima dalla Chiesa, che per questo era bersaglio dei marxisti quando
essi parlavano della religione come "oppio dei popoli": ai
disgraziati si suggerisce di attenuare le proprie sofferenze terrene pregando;
ai ricchi si suggerisce di aiutare i derelitti pregando per loro e di
purificare il proprio animo, contaminato dal peccato, pregando; ai conventi di
pregare per gli uni e gli altri e perché proseguano le donazion dei ricchi a
loro favore, in vista di tale missione. In tal modo le cose possono rimanere
come prima senza che la ricchezza e la diseguaglianza ostacolino lo sviluppo
spirituale delle persone.
● La
sola proprietà che si giustifica è quella meritata con il lavoro e la fatica.
La dottrina medioevale afferma
che la sola proprietà che si giustifica è quella accompagnata da fatica, non
basata sullo sfruttamento delle condizioni di bisogno altrui, non fondata su
pretese immoderate di arricchimento.
● La
proprietà delle organizzazioni religiose (conventi, monasteri ecc.) che attuano
la perfezione della vita evangelica tra i loro membri, le opere di carità e
l'apostolato è giustificata e inviolabile. Essa è la base della indipendenza e
libertà della
Chiesa e mezzo di sviluppo
spirituale.
● Il
lavoro, il mestiere è un "ministerium", una missione, una attuazione
del precetto di amore per il prossimo.
● La
organizzazione sociale ha dei difetti che non sono realisticamente eliminabili.
L'uomo è imperfetto, e il rispetto della libertà degli individui impone di
accettare tali imperfezioni (il profitto dell'imprenditore; l'interesse di chi
presta; la proprietà privata; ecc.).
La chiesa riconosce la libertà
delle persone di sbagliare. La libertà è un elemento fondamentale della
condizione umana.
Bisogna eliminare però i fatti
più gravi, modificabili con un intervento dello Stato.
La dottrina economico-sociale
cristiana è, essenzialmente, una dottrina di conciliazione, di compromesso.
Come eredità della Bibbia ha anche la concezione della imperfezione dell'uomo
(peccato originale e cacciata dallo stato perfetto del paradiso nella vita
imperfetta della Terra).
Da ciò una valutazione
pessimistica sulle possibilità dell'organizzazione sociale: la perfezione, per
quanto sia un ideale cui si deve mirare, non è di questa terra. Quindi la
Chiesa ha un disegno di organizzazione sociale che sebbene ispirato al meglio,
tuttavia riconosce le imperfezioni, in particolare l'egoismo umano e quindi
tende al compromesso.
● Le
ricchezze materiali sono accettabili solo come un mezzo, ma giammai come un
fine. In particolare è vietata l'avidità.
Dio dice ad Adamo di usare
della terra e sottometterla. La proprietà è uno strumento per realizzare la
benevolenza e la benedizione di Dio.
Le ricchezze debbono per quanto
possibile servire per l'elevazione dell'uomo a Dio. Il cristiano non vede con
sfavore la proprietà, ma il cattivo uso della proprietà consistente nel riporre
la propria fiducia nei beni piuttosto che in Dio.
La validità della proprietà
deriva dall'assegnazione che Dio fa delle cose del mondo agli uomini. La
proprietà permette di godere ordinatamente le cose del mondo, purché non si
pervertisca: a) strumento di esclusione di altri; b) strumento di oppressione e
violenza ad altri; c) strumento e occasione di peccato e corruzione; d) causa
di perdita della fiducia in Dio
La Chiesa vieta il suicidio e
considera peccatore l'uomo che non si preoccupa della sua esistenza e la mette
a rischio. L'esistenza è un bene che Dio ci ha dato e che non possiamo gettare
via. La proprietà assolve quindi il compito di preservare il dono
dell'esistenza.
Dio vieta di accumulare la
manna: non bisogna chiedere oltre le nostre necessità, perché questo spesso
porta ad offendere gli esseri viventi, la natura e il prossimo, a saccheggiare,
offendere, deturpare la natura, che è pur sempre un dono di Dio da preservare.
Dio ammette che sacrifichiamo
animali e cose per noi, ma il sacrificio è accetto a Dio in quanto questi
animali e queste cose col loro sacrificio ci aiutano a crescere. La distruzione
della vita deve portare ad una crescita di amore e di vita.
Altrimenti è distruzione di
vita.
Dio ci nutre (=ci fa crescere)
in molti modi misteriosi e non solo col cibo. La nostra crescita spirituale
dipende dalla Provvidenza, che crea occasioni.
I nostri sforzi possono
produrre effetti contrari al nostro bene e non essere sufficienti. Solo la
provvidenza divina fa sì che essi arrivino ad effetto.
L'accumulazione di ricchezze
non deve procedere sproporzionatamente alle necessità, la proprietà privata è
ammessa (in relazione alla fragilità umana) ma deve essere il più possibile
distribuita e i poteri nella società debbono rispettare una gerarchia di
valori, in cui quelli economici non sono al vertice, ma quelli della dignità,
libertà, sicurezza dell'individuo.
● La
proprietà crea un obbligo di aiuto verso il prossimo.
La proprietà privata crea in
chi la possiede un obbligo di aiuto verso il prossimo bisognoso; in generale
chi ha, è tenuto ad aiutare chi non ha
Obbligo di dare in prestito il
denaro senza pretendere, in contraccambio, in aggiunta alla restituzione della
somma, anche un interesse.
Nei contratti si deve far
pagare un prezzo "giusto" il quale va calcolato in modo da consentire
la copertura di costi per mezzi materiali e un ragionevole compenso per il
lavoro svolto senza approfittre delle condizione di bisogno in cui possa
trovarsi la controparte.
Il concetto, della dottrina
cristiana medioevale, che la ricchezza e la proprietà in genere creino, in chi
li possiedono, un obbligo di aiuto verso gli altri, contiene "in
nuce" il principio della solidarietà sociale, dell'assistenza sociale e
quindi della garanzia a ogni uomo di un sostentamento da parte della
collettività.
● La
dottrina del giusto prezzo e dell'usura è stata vista come anticipatrice della
teoria del plusvalore marxista. Tuttavia vi sono significative differenze tra
le due concezioni.
● In
generale i cristiani hanno rivendicato il merito di aver predicato molti dei
principi socialisti ben prima del marxismo.
● Molti
cristiani dichiarano di poter essere contemporaneamente marxisti e cristiani.
Ma Marx disse chiaramente che
secondo lui "La religione è l'oppio dei popoli" e "Dio è stato
inventato allo scopo di tenere buoni gli oppressi e ingannarli con il miraggio
di una vita ultraterrena affinché non si ribellassero alle ingiustizie della
vita terrena".
In queste condizioni, molti
cristiani ritengono impossibile essere contemporaneamente anche marxista.
● Il
cristianesimo non è a favore del collettivismo. Per collettivismo si intende la
espropriazione di tutti i beni e la attribuzione in proprietà allo stato o a
collettività di lavoratori o a collettività locali.
Esiste un comunismo tra monaci
e monache, ma per la Chiesa questa è una strada che può essere percorsa con
profitto solo da coloro che hanno la vocazione, e che farebbe più male che bene
a persone di virtù ordinaria: non si può elevare una persona al disopra di
quanto gli consentono le sue capacità senza grave danno per la sua anima e
rischio di tentazione e peccato.
Esiste invece un socialismo non
collettivista che si può derivare dalle dottrine cristiane (vedi i paragrafi
sul cristianesimo sociale).
● La
dottrina secondo cui le ricchezze materiali sono un mezzo e non un fine è
simile alla dottrina marxista della mercificazione e della alienazione: della
critica, cioè al capitslismo per la sua strumentalizzazione della condizione
umana al lucro e ai beni materiali.
● Nella
concezione della Chiesa vi è un sospetto nei riguardi del progresso materiale,
una diffidenza verso la civiltà industriale, mentre in Marx vi è l'opposto
atteggiamento.
Nella dottrina cattolica
medioevale la critica al culto della ricchezza si accompagna a una critica alla
contaminazione che la ricchezza reca all'uomo. Invece per Marx, mutati i
rapporti di classe, la ricchezza sarà uno strumento di liberazione umana e una
meravigliosa forza positiva per l'obbiettivo del comunismo.
● Mentre
i cristiani si dolevano poco che la mancanza di profitto comportasse minore
sviluppo economico (la povertà era per loro una virtù), i marxisti erano
sensibili a questo aspetto, e ne facevano anzi un argomento di critica al
saggio di profitto, che avrebbe condotto al ristagno degli investimenti.
Per la dottrina cattolica la
ricchezza ha in sé qualcosa del peccato originale, rappresenta un elemento
pericoloso per il vero fine dell'uomo, che è quello ultraterreno.
La ricchezza assorbe
l'attenzione dell'uomo, rende inquieta la sua anima.
La Chiesa, secondo i marxisti,
non riconosce sufficientemente il rapporto tra ricchezza materiale e sviluppo
della personalità umana: non per niente, secondo i marxisti, Cristo disse
"beati i poveri"
● Il
concetto cristiano di carità portava alla assistenza e alla beneficenza, perché
ricchezza e proprietà creano, in chi li possiedono, un obbligo di aiuto verso
gli altri.
Vi è da dire però che la
dottrina cristiana dell dovere di assistenza ai poveri si basa su un concetto quello
della "carità" che, nella sua originaria versione individuale, si
differenzia considerevolmente da quello del puro diritto all'assistenza.
I marxisti sostengono che
l'assistenza cristiana è volontaria, affidata alla "carità" della
persona abbiente, non organizzata su base nazionale, non costituente un vero e
proprio diritto (come dovrebbe essere) e che in ultima analisi è vista
principalmente come perfezionamento spirituale del ricco invece che come
strumento per risollevare le condizioni materiali del povero.
Ancora più grave è, secondo i
marxisti, il fatto che la carità verso il povero sia servita come
giustificazione della proprietà del benestante.
I dottori medievali della
Chiesa ritenevano che la sete di arricchirsi e il desiderio di beni materiali
non fossero un elemento degno di trovare posto, sul terreno morale e pertanto
affermavano che essi sono irrilevanti per stabilire l'equivalenza nel contratto
di prestito, mentre si preoccupavano di tutelate il debitore dallo sfruttamento
che dei suoi bisogni poteva fare l'usuraio. Non volevano che il denaro si
moltiplicasse nelle mani di chi giò ne aveva; ritenevano che egli dovesse
ritenersi pago di esso e che dovesse astenersi dall'arricchirsi troppo o,
almeno, accompagnare con la propria fatica un ulteriore arricchimento.
Le condizioni in cui essi
elaborarono la loro teoria, in effetti erano quelle di una società scarsa di
capitali finanziari, in cui i debitori appartenenti per lo più al mondo rurale
e al piccolo artigianato, erano alla mercé dei creditori, appartenenti alla
classe ricca.
Gli economisti classici e neoclassici
fecero una importante scoperta, che cambiò completamente la impostazione del
problema dell'usura.
Essi si resero conto che il
denaro è un bene scarso, e che normalmente, il numero delle persone disposto a
chiedere un prestito è superiore alla quantità di moneta disponibile.
In queste condizioni DEVE
esistere un meccanismo per stabilire chi otterrà il prestito e chi non lo
otterrà.
Lo stesso problema si pone per
i beni di consumo: il meccanismo del prezzo che si forma a seguito della
domanda ed offerta ha lo scopo di scegliere le persone a cui distribuire i beni
prodotti. Questo meccanismo (detto "meccanismo del mercato" o
“meccanismo di mercato") attribuisce i beni agli individui disposti a
pagare il prezzo più alto.
Gli alti interessi sui prestiti
non sono quindi altro che un meccanismo per decidere chi otterrà il
finanziamento, e sono dovuti alla scarsità della moneta disponibile. I
moralisti possono smettere dunque di interrogarsi, secondo gli econonomisti
classici e neoclassici, sulla "moralità" di alti interessi.
Naturalmente, vi sono
meccanismi alternativi per distribuire i beni. Lo studente dovrebbe leggere, su
tutta la questione, le pagine 170-174 del libro di R.G.Lipsey
"Introduzione all'economia" (vedi fotocopie).
Nell'Ottocento si cercava ancora
di giustificare l'interesse cul capitale come un premio per il sacrificio
dell'astinenza. Ma è evidente che un benestante non ha in questo modo un
particoalre sacrificio di astinenza e che un avaro ne ha uno ancora minore.
L'unica vera giustificazione del tasso di interesse è, come abbiamo detto, che
il denaro è "scarso".
La Chiesa ammorbidì in seguito
la sua posizione nei confronti dell'usura. Le leggi morali potevano intralciare
l'attività economica, che portava in fin dei conti benessere alle persone, e di
fronte a questo si cedette alle ragioni dell'egoismo.
Si ammise l'interesse per
ritardo, per perdite subite o mancati guadagni, per prestito ipotecario
riguardante la terra (fruttifera), derivante da quote di compagnie. Si ammise
infine, da parte di una scuola teologica, la liceità dell'interesse tutte le
volte che si potesse adoperare l'argomento che i beni presenti hanno più valore
materiale di quelli futuri.
❍ LE ORIGINI DEL CATTOLICESIMO
SOCIALE. IL MOVIMENTO CRISTIANO SOCIALE DI FINE OTTOCENTO.
Ci fu un "socialismo
cristiano" nell'Ottocento, di cui Marx parlava sarcasticamente, legato
alla vita e ai valori delle campagne, di ispirazione agricola, che è giunto via
a presentarsi come movimento dei piccoli proprietari, contro i grandi; e poi
come movimento dei mezzadri braccianti per la redistribuzone di terre a loro
favore.
Negli anni 1860 in Germania
sorse un movimento cristiano sociale guidato dal vescovo cattolico von
Ketteler, che scrisse un opuscolo "La questione operaia e il
cristianesimo".
Von Ketteler era influenzato
dagli autori socialisti che erano convinti che la legge bronzea dei salari fosse
una realtà, che era il lavoro contenuto nei beni ad originare il loro valore e
che il sistema capitalistico avesse la tendenza a cadere in periodiche crisi
economiche, e che per evitare tutto questo necessitasse l'intervento dello
Stato (socialismo di stato).
Il Papa, nell'enciclica
"Quod apostolici muneris" del 1878, condannò il socialismo, il
comunismo e l'anarchismo, perché erano movimenti atei (affermavano che la
religione era un inganno).
I cristiano sociali reagirono
eliminando il termine "socialismo" dai loro scritti e discorsi e
attenuarono le loro posizioni riformiste, pur continuando a proporre delle
leggi a favore dei lavoratori (cosiddetta "legislazione sociale").
I cristiano sociali austriaci e
francesi erano antiliberali, antisemiti, antidemocratici.
Attaccavano il capitalismo per
i suoi soprusi ma propugnavano un movimento sindacale basato non sul potere ai
lavoratori, ma sul potere a corporazioni formate, con l'approvazione dello
Stato, mediante la associazione fra datori di lavoro e lavoratori.
Nel 1891, tredici anni dopo
l'enciclica "Quod apostolici muneris" fu promulgata l'enciclica
"Rerum novarum" che si occupa delle condizioni delle classi
lavoratrici e propone innovazioni sociali, sia pure cautamente. Il socialismo
cattolico poteva ora trovare una esplicita (anche se prudente e esitante)
autorevole convalida. Essa non si opponeva ai principi democratici, ma
all'attività economica senza controllo.
Il partito popolare cattolico
fondato in Italia da don Sturzo fu il frutto più notevole della "Rerum
Novarum".
Mentre il movimento cristiano
sociale di fine ottocento era antidemocratico, il socialismo cattolico
dell'inizio del Novecento, col sostegno dell'enciclica "Rerum
novarum", anche se non poteva menzionare la parola "socialismo",
poteva far rivivere la dottrina originaria della Chiesa, combattendo i liberali
non per i loro principi democratici, ma per i principi liberisti di una
economia senza controllo; e quindi potevano nascere movimenti politici
cattolici ispirati a idee di democrazia economica e politica.
❍ IL CATTOLICESIMO SOCIALE DEL
PRIMO E DEL SECONDO DOPOGUERRA. IL PERSONALISMO.
Nel primo e secondo dopoguerra,
un movimento che si ispirava al cattolicesimo sociale, molto attivo in Francia
e diffuso anche tra gli uomini della Democrazia Cristiana italiana prendeva il
nome di personalismo. Il movimento personalista era, per certi aspetti,
contrario sia alle dottrine liberali che a quelle marxiste.
Contro le dottrine liberali
sosteneva che non basta prcclamare a parole la dinità e la libertà dell'uomo,
come idea astratta, e disinteressarsi delle condizioni materiali in cui gli
uomini vivono. Occorre invece promuovere la giustizia sociale e l'uguaglianza,
in modo che la dignità e la libertà umana siano per tutti una realtà e non
vuote parole.
Contro le dottrine marxiste,
sosteneva che la persona non è riducibile alla sua sola dimensione
economico-materiale ma è un essere eminentemente spirituale. Per questo,
occorregarantire la libertà, che è l'alimento dello spirito.
I punti importanti di questa
dottrina erano i seguenti:
● In
primo luogo, i diritti fondamentali della persona, che si richiamano alla
tradizione liberale iniziata con la Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo e del cittadino del 1789
● In
secondo luogo, la democrazial in quanto unico sistema politico conforme alla
dignità delle personel poiché non le riduce a oggetti nelle mani altrui
● In
terzo luogo, l'impegno per una politica a favore delle classi più deboli e
contro le ingiustizie sociali, da cui deriva la concezione dello Stato
interventista, autore delle riforme sociali necessarie (attraverso gli
interventi nell'economia, la programmaziona, la sicurezza sociale, la politica
per la piena occupazione e la tutela dei lavoratori ecc.
● Infine,
la subordinazione dei diritti economici (la priprietà, l'iniziativa economica)
agli interessi di tutta la collettività. Tali diritti furono ancora
riconosciuti ma v ennero, per così dire, "affievoliti" di fronte
all'interesse generale.
● Da
ultimo, lo Stato che governa i processi economici e limita e indirizza i diritti
economici dei privati (la proprietà e l'iniziativa economica), quei diritti che
il secolo prEcedente aveva proclamato inviolabili e la nostra Costituzione
vuole invece che siano subordinati agli interessi generali. Tutto ciò si
esprime in una formula di sintesi: lo "Stato interventista".
Gli anni dal 1945 al 1960 hanno
visto la definitiva accettazione del principio di democrazia politica; quelli
successivi con le enticliche "Mater et magistra" e "Populorum
progressio" la ripresa dell'originario pensiero sociale cattolico.