L A
S E T T A |
John
Templeton Jr. era molto soddisfatto di sé. Aveva appena acquistato a prezzo
d'occasione una casa signorile della metà del Settecento nei pressi di
Trafalgar Square, a pochi minuti a piedi dalla City. Era separata dalla strada da
un ampio giardino, quasi un bosco, che la isolava dalle abitazioni intorno,
garantendo una completa privacy. Il proprietario, che viveva all'estero, aveva
venduto in blocco, e i Templeton avevano ereditato mobili sontuosi e una
ricchissima biblioteca.
Un
mese dopo l'acquisto potevano riposarsi dalle fatiche del trasloco. La casa era
stata ridipinta. Un giardiniere era stato assunto per rimettere ordine nel
giardino incolto. Esther, sua moglie, aveva cambiato le tende e le tappezzerie.
L'impianto idraulico e l'impianto elettrico, in cattivo stato, erano stati
rimodernati. Il tutto aveva richiesto qualche spesa, ma ne era valsa la pena.
John
Templeton, quel pomeriggio, si era concesso il lusso di curiosare nella
biblioteca, che, come scoprì, era ancora più vasta di quello che aveva valutato
a prima vista. Comprendeva strani testi del Seicento e del Settecento, ed opere
che lui non aveva mai sentito nominare: le Quartine
di Omar Khayyam, il Necromicon di
Abdul Al-Ahzred, Hecate's Fountain del
reverendo Kenneth Grant, il Picatrix,
la Clavicula Salomonis, La Filosofia Occulta di Cornelio Agrippa
von Nettesheim, il Rituale della Messa al
Nostro Signore di Don Etienne Guibourg, Der
Schwarze Messe di Gerhard Zacharias e molti altri che non aveva sentito
nominare.
La
sua attenzione fu attratta da un volume sottile senza dicitura sul dorso,
incuneato tra gli altri titoli, e lo
estrasse. Era in realtà un diario, rilegato in cuoio nero, e scritto con una
grafia elegante ed antica. Cominciò a leggerlo e si convinse che fosse uno
scherzo, una esercitazione letteraria. Descriveva cerimonie con sacrifici
animali, riti stranissimi, invocazioni ai demoni delle stelle.
Si
interrompeva bruscamente ad una data: 13 Settembre 1760. Guarda caso, quel
giorno era proprio il 13 settembre 1901. Se lo portò in camera e lo mise sul
comodino. Lui ed Esther avevano stanze separate, cosicché poteva leggere o
lavorare fino a notte tarda seduto sul letto.
La
sera del giorno dopo, quando riprese in mano il diario, rimase stupito: ora l'ultima
pagina riportava l'intestazione "14 settembre", che il giorno prima
era sicuro non comparisse. Sotto la data, senza anno, erano riportate solo due
frasi: "Secreta servanda sunt", conserva
i segreti, e sotto: "Crux removenda est", getta la croce.
John
Templeton aveva un crocifisso antico sopra la testiera del letto. Lo staccò
dalla parete e lo mise nella sua cartella di cuoio. L'indomani la gettò in un
fosso, andando al lavoro.
Nei
giorni successivi si scordò del diario, preso com'era da nuove iniziative che
aveva deciso di intraprendere e che esigevano la sua attenzione. Alla fine
della settimana trovò riportata la data di quel giorno, 19 settembre, e sotto
una nuova annotazione: "Canem occide", uccidi il cane. I Templeton avevano un vecchio labrador, chiamato
Keeper, con cui Rachel, che ora aveva nove anni, aveva giocato da piccola.
La
mattina successiva, domenica, John Templeton uscì dalla casa ancora
addormentata poco prima delle sette e, senza che lo vedessero i domestici,
slegò Keeper e lo portò a passeggiare nel parco vicino. Aveva con sé la
doppietta. Non era raro che fossero trovati animali uccisi. Rientrò senza il
labrador. Rachel pianse e furono intraprese delle ricerche nel quartiere, ma
dopo una settimana la famiglia se ne fece una ragione.
Intanto
gli affari alla City andavano veramente bene a John Templeton. I suoi colleghi
non riconoscevano più il vecchio e flaccido agente di borsa che non aveva mai
corso un rischio in vita sua. Sino ad allora si era limitato a gestire una
clientela estremamente tradizionalista, che non voleva rischi, ereditata per la
quasi totalità da suo padre.
John
Templeton aveva investito nei pozzi di petrolio di Nuova Baku, nelle miniere
peruviane di rame, nelle società canadesi di taglio del legname e in molte altre
iniziative imprenditoriali in Europa e in America. Le azioni che sceglieva
invariabilmente salivano di valore. La sua ricchezza stava cominciando ad
aumentare.
Il
sabato successivo, riprese in mano il diario e lesse la nuova annotazione,
sotto la data di quel giorno, 26 settembre: "Infantem occide", uccidi il bambino. Quella notte si alzò
e silenziosamente si recò in bagno. Prese un pesante asciugamano e lo mise
sotto il rubinetto, poi lo strizzò appena perché non gocciolasse. Si diresse
alla camera del bambino di quattro mesi, che dormiva pacifico nel lettino.
Chiuse
la porta. La stanza di Esther era all'altro capo del corridoio, ma non voleva
correre rischi. JohnTempleton III aveva un sonno di piombo. Con infinita
delicatezza, per non svegliarlo, applicò il panno intriso d'acqua sul volto,
occludendo naso e bocca. Tenne premuto il tessuto con la mano. Dopo cinque
minuti il bambino smise di respirare. Ritornò silenzioso in camera sua e si
mise a dormire.
La
scoperta della tragedia sconvolse Esther Templeton, ma il medico scosse la
testa e disse che non era la prima volta che un bambino moriva nel sonno per marasma, una sindrome che bloccava i
centri del respiro e provocava la morte dei neonati. Lunedì, John Templeton si
recò al lavoro come al solito e ricevette le condoglianze dei colleghi. Le
telescriventi avevano battuto le quotazioni sui principali mercati. I suoi
investimenti stavano rendendo il trecento per cento. Era diventato enormemente
ricco.
Quella
sera Esther, sconvolta, era in biblioteca. Aveva bisogno di rimanere sola col
proprio dolore. Sedette alla grande finestra che dava sul giardino e rimase a
lungo a guardare fuori le ombre della sera invadere il viale e le aiole. Il
marito la chiamò ma non rispose. Il tempo passò. Era notte, e la luce della
luna penetrava dall'esterno, facendo luccicare un oggetto su uno degli ultimi
ripiani della libreria. Senza sapere neanche lei perché, Esther salì sulla
scala di legno che serviva per raggiungere i libri più in alto e lo prese.
Era
una piccola scatola di ferro laccato, con delle borchie. Conteneva una collana
di pietre dure, legate da fili d'oro intrecciati in modo molto complicato. Il
fermaglio metallico aveva la forma di una testa di serpente. Le pietre erano di
tre tipi: onice, giada, lapislazzuli. Erano lavorate in modo da presentare una
superficie piatta ovoidale su cui erano incisi dei pentacoli.
Si
accorse che sul fondo della scatola erano scritte delle parole: "Hic est
malleus daemonum, invisibilis agentibus obscuritatis", qui è custodito il martello dei demoni,
invisibile agli occhi degli emissari dell'oscurità. Senza sapere il motivo
per cui lo faceva, uscì dalla biblioteca e si recò in camera della figlia. La
bimba dormiva. Le mise la collana intorno al collo, poi tornò nella sua stanza
e si coricò, presa da un'improvvisa e mortale stanchezza, come se avesse dovuto
nuotare contro una violenta corrente contraria.
John
Templeton aveva chiamato la moglie, ma poi aveva rinunciato, e si era fatto
servire la cena nel suo studio. Aveva subito aperto il diario e vide la data,
"Lunedì 28 settembre" e sotto, scritto con la consueta brevità,
"Puellam occide", uccidi la
bimba. Ma c'era anche un'altra annotazione sottolineata: "Cave
monilem", stai attento alla collana.
Rimase
perplesso solo un attimo, poi cominciò a pensare a come avrebbe potuto uccidere
Rachel senza destare sospetti. Non gli venne nessuna idea. Si sentì spinto ad
uscire nel corridoio e a recarsi nella camera della figlia. Una volta lì
avrebbe saputo cosa fare, gli suggeriva una voce nella sua testa.
Aprì
la porta della camera, e vide che la domestica aveva lasciato la lampada a
petrolio sul comodino vicino al letto. Rachel si era addormentata senza
spegnerla. Sarebbe bastato che fosse caduta sulle coperte e queste avrebbero
preso fuoco. Si avvicinò. In quel momento, scorse un movimento intorno alla
testa della figlia, gli sembrò che un serpente avesse strisciato intorno al suo
collo e ora stesse srotolandosi sinuoso nella sua direzione. Arretrò. Le voci
nella sua testa gli sibilarono furiosamente di fuggire, ma troppo tardi.
Il
mattino dopo John Templeton fu trovato ai piedi del letto di Rachel, con la
faccia gonfia e la lingua nera che sporgeva fuori della bocca, come se fosse
stato strangolato da un laccio. L'assassino non fu mai trovato. Esther mise il
lutto e cominciò a riordinare le cose di suo marito. In biblioteca trovò una
scatola di ferro laccato chiusa da una serratura che non riuscì ad aprire. Non
si ricordava di averla vista in passato. La ripose su uno degli ultimi ripiani
della libreria, che recava sopra l'incisione di un cherubino con la spada
sguainata.
Il
diario era sparito. Alla City fece notizia per breve tempo il collasso delle
iniziative commerciali del defunto John Templeton. I colleghi scossero la
testa: dopotutto, le miniere di rame del Perù e le ferrovie siberiane erano
trappole da cui era meglio stare alla larga.
Esther vendette la casa e un anno
dopo si risposò. Il nuovo marito era un patrigno affettuoso, a cui Rachel si
affezionò. Arrivò un maschietto, che chiamarono Tobias, come il giovane ebreo
salvato dall'angelo. Non sapeva neanche lei perché, ma Esther si era fermamente
rifiutata di dargli il nome del precedente marito.