Il pensiero economico di John Maynard Keynes |
❍ Vita e opere di John Maynard Keynes
❍ Il ruolo del
pensiero economico keynesiano nel ‘900
❍ Descrizione della crisi del
1929
❍ Le cause della
caduta della domanda che fu alla base della crisi del 1929
❍ Come reagirono le
autorità alla crisi del 1929
❍ Cosa fece capire
la crisi del 1929 ad economisti ed uomini politici
❍ Quali scuole
economiche tramontarono e quali nacquero con la crisi del 1929
❍ Il consumo
secondo i neoclassici e secondo Keynes. La funzione del consumo keynesiana
❍ L’equilibrio
keynesiano in un sistema chiuso e senza investimenti
❍ I presupposti
dell’analisi keynesiana
❍ L’equilibrio nel
caso di sistema in stato di piena occupazione delle risorse
❍ Le componenti
autonome della spesa aggregata e il loro grafico
❍ Il
moltiplicatore in una economia chiusa e senza imposte
❍ La formula del
moltiplicatore con ∆I e ∆G insieme
❍ La formula del moltiplicatore con
C0, I, G
❍ Il moltiplicatore delle
entrate
❍ I grafici
keynesiani in una economia aperta e senza imposte
❍ Il meccanismo
dell’”acceleratore”
❍ Il mercato dei
capitali secondo i neoclassici
❍ Le critiche di
Keynes alla curva di domanda di capitali dei neoclassici
❍ Le critiche di
Keynes alla curva di offerta di capitali dei neoclassici
❍ Il mercato del
lavoro secondo i neoclassici
❍ Le critiche di Keynes
al funzionamento del mercato del lavoro secondo i neoclassici
❍ L’eccesso di offerta di moneta
❍ I tipi di scorte
monetarie di una famiglia o una impresa
❍ Cosa succede
quando famiglie e imprese cercano di liberarsi dalla moneta in eccesso secondo
Keynes
❍ La domanda di
scorte speculative e il comportamento dello speculatore
❍ Come
utilizzavano i neoclassici lo strumento della politica monetaria contro le
crisi economiche
❍ Vita e opere di John Maynard Keynes
John Maynard Keynes (Cambridge
1883 - Firle Beacon, Sussex, 1946) fu un genio versatile che si distinse nella
matematica, filosofia e letteratura. Inoltre, trovò il tempo per far parte
della delegazione che negoziò a Versailles le condizioni della pace
all'indomani della prima guerra mondiale, per dirigere una grande compagnia di
assicurazioni, per essere consigliere del Tesoro britannico, per dirigere una
rivista economica di fama mondiale, per collezionare oggetti d'arte moderna e
libri rari, per patrocinare spettacoli di balletti e di prosa, per sposare una
ballerina dei suddetti balletti, per gestire una fattoria modello, e da ultimo
(reso quasi invalido da un infarto) per elaborare un progetto di sistema
monetario mondiale. Egli era un economista che sapeva far denaro, sia per se
stesso che per il King's College di Cambridge.
Il suo libro "The General
Theory of Employement, Interest and Money", uscito nel 1936, ebbe grande
risonanza nel pensiero economico del secolo ed è probabile che sopravviva a
lungo come opera classica e parte integrante della formazione culturale degli
statisti dei nostri tempi.
❍ Il ruolo del pensiero economico
keynesiano nel ‘900
Con la crisi
del 1929 trionfò l’idea keynesiana che il sistema economico non è in grado,
come volevano i neoclassici, di riprendersi da solo da situazioni di crisi
(perché la prudizione non produce automaticamente la domanda in grado di
assorbirla: legge degli sbocchi di Say), ma dipende dalla domanda aggregata (C
+ I + G * E – M), che può rimanere depressa indefinitamente, specie nelle
economie più ricche, dove le famiglie preferiscono risparmiare e non spendere. Gli
uomini politici accettarono l’idea keynesiana che lo Stato deve intervenire con
la spesa pubblica per sostenere la domanda aggregata (stato interventista).
❍ Descrizione della crisi del 1929
● Le imprese USA stavano attraversando una crisi
dovuta a caduta della domanda
● Contemporaneamente, grazie a prestiti bancari
a buon mercato, tutti cominciarono ad investire in borsa aspettandosi dalle
azioni forti rendimenti. In realtà il valore reale delle azioni era basso,
perch‚ le imprese americane stavano attraversando una crisi e non riuscivano a
vendere i propri prodotti. L'accresciuta domanda di titoli spinse troppo in
alto il loro valore. Quando il periodo di ottimismo passò, il prezzo dei titoli
crollò al suo valore reale. I risparmiatori videro ridotti della metà e oltre i
risparmi che avevano investito in borsa. Milioni di persone passarono dalla
sicurezza economica alla povertà
● Il sistema bancario non possedeva dei
meccanismi e degli accordi tra banche per venire in aiuto ad una banca nel caso
in cui i clienti, presi dal panico, avessero deciso di ritirare tutti i loro
depositi. Per una banca, anche sana, è praticamente impossibile restituire
immediatamente tutti i depositi, perch‚ essa normalmente ne tiene una gran
parte investiti o prestati. Da qui il fallimento a catena delle banche assaltate
dai risparmiatori
● Dagli USA, che erano allora i maggiori
produttori mondiali, la crisi si diffuse a tutti i paesi industrializzati: il
crollo della domanda USA riguardò infatti anche la domanda di beni stranieri, e
fece così crollare la domanda anche negli stati che prima esportavano verso gli
USA materie prime o prodotti finiti.
❍ Le cause della caduta della
domanda che fu alla base della crisi del 1929
● Negli USA la ricchezza era concentrata in mano
a un numero ristretto di soggetti. Le spese di questi soggetti erano in gran
parte per generi voluttuari. Quando iniziò la crisi della borsa questi soggetti
smisero di spendere per generi voluttuari, aggravando la crisi delle imprese.
● Le imprese stentavano a vendere la propria produzione
anche perché‚ non riuscivano a vendere sui mercati esteri: infatti ogni paese
aveva adottato una politica protezionistica di forti barriere doganali. Ma
questi provvedimenti erano sbagliati: invece di favorire le proprie imprese
essi impedivano loro di esportare i propri prodotti
● Tra il 1929 e il 1933 la quantità di moneta in
circolazione ("offerta di moneta") diminuì di un terzo: ma una
economia che si espande ha bisogno di moneta per effettuare tutti gli scambi e
i pagamenti, sia tra imprese che tra imprese e consumatori. Gli studi economici
della “scuola monetarista" (Milton Friedman) e della scuola della
"sintesi neoclassica" (John Hicks) mostrano che una quantità di
moneta troppo scarsa può rallentare gli scambi, far innalzare il saggio di
interesse e provocare una depressione)
● Esportazioni e importazioni erano rese
difficili dalla mancanza di moneta di pagamento internazionale. Il dollaro non
era ancora una moneta di pagamento accettata a livello internazionale: sia gli
USA che gli altri paesi dovevano servirsi di oro e sterline, la cui quantità
era insufficiente, anche a causa della politica monetaria della Banca di
Inghilterra. In mancanza di oro e sterline un paese poteva importare prodotti
di un altro paese solo se questo gli concedeva prestiti nella propria moneta.
Ma una simile politica di prestiti non venne attuata da nessuno stato
● Per consumatori e imprese divenne estremamente
difficile ottenere denaro per finanziare le proprie spese, a causa del
fallimento delle banche e della politica monetaria restrittiva, che aveva
diminuito la quantità di moneta in circolazione. Questo provocò un ulteriore
crollo della domanda di investimenti da parte delle imprese e di beni di
consumo da parte delle famiglie.
● Durante la prima guerra mondiale le imprese
dovettero raddoppiare la loro produzione ed assumere manodopera minorile e
femminile, non bastando quella maschile. Grazie ai salari pagati si diffuse una
certa ricchezza anche tra le classi meno abbienti e molte imprese si
specializzarono nella produzione di beni di consumo durevoli per tali famiglie.
Ma alla fine della guerra, la cattiva distribuzione del reddito, concentrato in
mano a poche ricchissime famiglie, impedì alle imprese che fabbricavano beni di
consumo (ad es. alla Ford) di trovare uno sbocco per i beni di consumo
durevoli. Inoltre, la vendita di beni di consumo durevoli (auto, elettrodomestici
etc.) ha un rimpiazzo molto lento, e una volta che le (non numerose) famiglie
che potevano permetterseli li ebbero comperati, la domanda crollò.
● Un'altra causa della crisi fu la prima guerra
mondiale. Enormi risarcimenti di guerra furono richiesti a Germania, Austria e
agli altri paesi usciti sconfitti. Questo distrusse la loro economia. I paesi
sconfitti, così impoveriti, non erano in grado di acquistare i prodotti dei
paesi vincitori, che furono quindi privati di importanti mercati di sbocco.
❍ Come reagirono le autorità alla
crisi del 1929
● Le autorità vararono politiche di lavori
pubblici
● Lo stato aumentò le sue spese per sostenere la
domanda aggregata attraverso il meccanismo del moltiplicatore
● Tutti i paesi svalutarono la propria moneta
nella illusoria speranza di vendere di più all'estero
● Furono aumentati i salari e ridotte le ore di
lavoro nell'industria ("lavorare meno per lavorare tutti")
● Furono eliminate le restrizioni ai sindacati
operai, che erano importanti strumenti per ottenere retribuzioni più alte e
migliori condizioni di lavoro
● La borsa fu posta sotto il controllo di enti
governativi
● Furono varate misure a favore dell'agricoltura
● Lo stato concesse numerosi aiuti all'industria
privata per farla risollevare (mutui etc.)
● Le spese per investimenti pubblici (ponti,
strade ecc.) aumentarono la domanda aggregata tramite il meccanismo del
moltiplicatore
● In paesi come la Germania nazista l'aumento
delle spese militari aiutò l'industria privata a riprendersi e la produzione a
decollare.
❍ Cosa fece capire la crisi del
1929 ad economisti ed uomini politici
Con la crisi
del 1929 trionfò l’idea keynesiana che il sistema economico non è in grado,
come volevano i neoclassici, di riprendersi da solo da situazioni di crisi
(perché la prudizione non produce automaticamente la domanda in grado di
assorbirla: legge degli sbocchi di Say), ma dipende dalla domanda aggregata (C
+ I + G * E – M), che può rimanere depressa indefinitamente, specie nelle
economie più ricche, dove le famiglie preferiscono risparmiare e non spendere.
Gli uomini politici accettarono l’idea keynesiana che lo Stato deve intervenire
con la spesa pubblica per sostenere la domanda aggregata (Stato interventista).
❍ Quali scuole economiche
tramontarono e quali nacquero con la crisi del 1929
La scuola neoclassica tramontò.
Essa aveva affermato che il sistema capitalistico, affidato alla libera
iniziativa privata e senza intervento dello stato è in grado di raggiungere da
s‚ la piena occupazione delle risorse e di garantire un costante sviluppo
economico; secondo i neoclassici le crisi economiche erano di lieve entità e
destinate a durare poco. In realtà la crisi del 1929 mostrò che il sistema
capitalistico poteva essere soggetto crisi da carenza di domanda, crisi che non
erano né‚ lievi né‚ passeggere.
La ricetta dei neoclassici era:
● Ridurre il deficit pubblico
Ma questo portò ad una
diminuzione della spesa pubblica e quindi ad una ulteriore diminuzione della
domanda aggregata, che mise ancor più in difficoltà le imprese
● Ridurre i salari
I neoclassici erano convinti
che la domanda di lavoratori da parte delle imprese fosse inversamente
proporzionale al salario richiesto dai lavoratori; lasciando pertanto scendere
i salari a causa della disoccupazione essi ritenevano che le imprese avrebbero
ricominciato ad assumere manodopera.
In realtà la diminuzione dei
salari provocò un ulteriore impoverimento delle famiglie dei lavoratori e
quindi una ulteriore caduta della domanda di beni di consumo da parte di tali
famiglie, che aggravò le difficoltà delle imprese
● Ridurre i prezzi
Secondo i neoclassici, poichè
la domanda di un bene è inversamente proporzionale al suo prezzo, una
diminuzione dei prezzi avrebbe stimolato una maggiore domanda e quindi una
ripresa economica.
In realtà la diminuzione dei
prezzi ebbe come effetto di impoverire gli imprenditori diminuendone i
profitti. Le famiglie degli imprenditori diminuirono le loro spese per consumi
aggravando la caduta della domanda. Inoltre gli imprenditori divennero ancora
più pessimisti sulle prospettive di un investimento, e quindi diminuì anche la
domanda di beni di investimento
● Ridurre i saggi di interesse
Secondo i neoclassici gli
investimenti degli imprenditori dipendevano dai saggi di interesse: se il
denaro era a buon mercato (saggi di interesse bassi) essi avrebbero chiesto
prestiti per acquistare beni di investimento.
Secondo gli economisti
neoclassici, se la scarsa spesa delle famiglie era dovuta ad eccessivo
risparmio il saggio di interesse sarebbe crollato, producendo due conseguenze
che avrebbero consentito la ripresa del sistema:
● le
famiglie, scoraggiate dai bassi saggi di interesse, avrebbero rinunciato a
risparmiare e ripreso a consumare;
● le
imprese, invogliate dai bassi saggi di interesse, avrebbero aumentato i propri
investimenti
In realtà i fatti dimostrarono
che gli imprenditori, nel decidere gli investimenti, erano più sensibili alle
aspettative di profitto che al saggio di interesse: se un imprenditore vede i
prezzi crescere e la domanda aumentare egli farà investimenti anche se i saggi
di interesse sono alti; se un imprenditore vede i prezzi e la domanda diminuire
egli prudentemente rinuncerà a fare investimenti anche se il saggio di
interesse è molto basso
I fatti diedero ragione a
Keynes, secondo il quale l'investimento dipende dall'ottimismo degli
imprenditori, le cui aspettative di profitto diventano favorevoli quando essi
notano un aumento di domanda aggregata.
● Trionfò la scuola keynesiana, che sosteneva
che la produzione, l'occupazione e il reddito dipendono dalla domanda; che lo
stato deve intervenire per sostenere tale domanda nei momenti di crisi,
attraverso spese pubbliche; che ridurre il deficit pubblico, i salari e i
prezzi può solo aggravare la crisi, poiché priva le famiglie e le imprese del
potere di spesa e toglie il sostegno delle spese pubbliche.
● La crisi del 1929 mostrò che lo stato doveva
intervenire, soprattutto con la spesa pubblica, nelle fasi di depressione, per
evitare una eccessiva caduta della domanda
Osserviamo la figura 1, con lo schema dei rapporti tra famiglie e imprese in
un sistema economico semplificato:
L’impresa Alfa produce
automobili, utilizzando lamiere che paga lire 150 all’impresa Beta.
L’impresa Beta produce lamiere,
utilizzando minerale che paga lire 50 all’impresa Gamma
L’impresa Gamma produce
minerale senza utilizzare beni strumentali acquistati da altre imprese
I beni finali prodotti dal
sistema economico consistono in auto per un valore di 300 lire, che
costituiscono l’incasso dell’impresa Alfa (freccia verticale dalle famiglie
all’impresa Alfa)
Ciascuna impresa, una volta
pagato il valore dei beni intermedi utilizzati, distribuisce tutto il rimanente
alle famiglie che hanno preso parte alla produzione, sotto forma di flusso W+P
di salari, profitti, stipendi, royalties (compensi per i brevetti utilizzati),
rendite (compenso ai proprietari dei terreni, delle miniere e delle altre
risorse naturali utilizzate). Tra le famiglie che hanno preso parte alla
produzione includiamo ovviamente anche quelle degli imprenditori.
Possiamo subito vedere che i
flussi W+P dalle imprese alle famiglie sono pari a 150+100+50 = 300, e cioè
hanno lo stesso valore del prodotto finale, costituito da automobili (300).
In sintesi, tutto il valore dei beni finali prodotti
dalle imprese nell’unità di tempo (mese, anno, etc.) viene distribuito alle
famiglie sotto forma di flusso W+P di salari, stipendi, profitto, royalties,
rendite.
Questo fatto risulta ancor
meglio da uno schema che riunisce in un unico gruppo le famiglie e in un unico
gruppo le imprese:
Osservando questo schema
notiamo che i salari e gli stipendi W+P distribuiti il 27 di ogni mese
finanziano le spese di consumo C delle famiglie fino al 27 del mese successivo,
quando i soldi sono rientrati tutti nelle casse delle imprese e il ciclo si
ripete.
Possiamo dire che le famiglie
acquistano i beni con gli stessi soldi che sono stati dati loro dagli
imprenditori per produrli. Questo fatto colpì l’economista classico
Jean-Baptiste Say (la scuola classica è la scuola di pensiero economico
dominante tra il 1790 e il 1850 circa, e comprende economisti come Say, Smith,
Ricardo, Marx), che formulò la legge
degli sbocchi nella sua prima forma (dovuta a Say): L’offerta (cioè
la produzione) crea la sua domanda; in altre parole gli imprenditori non hanno
ragione di preoccuparsi che rimangano merci invendute, perché è lo stesso
denaro che essi distribuiscono alle famiglie che consentirà ad esse di
acquistarle.
Gli economisti neoclassici (la
scuola neoclassica è la scuola di pensiero economico dominante tra il 1850 e il
1930 circa) perfezionarono l’analisi di Say considerando anche la possibilità
che le famiglie potessero risparmiare. Essi misero a punto lo schema di figura 3 di un sistema economico
con famiglie, banche e imprese:
In questo schema tutto il
denaro risparmiato dalle famiglie (100) viene depositato nelle banche e poi
preso in prestito dagli imprenditori per acquistare beni strumentali durevoli e
scorte di beni strumentali non durevoli (flusso orizzontale I di investimenti
tra banche e imprese). In questo modo, le 300 lire distribuite dalle imprese il
27 del mese, alla fine del mese successivo ritornano nelle loro casse sotto
forma di flusso C+I, e il ciclo si ripete invariato. In questo caso si dice che
il sistema è in equilibrio.
Come possono essere sicuri i
neoclassici che tutte le somme risparmiate dalle famiglie torneranno alle
imprese sotto forma di investimenti? La risposta a questa obiezione è contenuta
nella legge degli sbocchi nella sua
seconda forma (dovuta ai neoclassici): Se le famiglie risparmiano più
di quanto gli imprenditori intendono investire, allora l’interesse offerto sui
capitali risparmiati si abbasserà e questo avrà l’effetto di far risparmiare
meno le famiglie, che aumenteranno le spese di consumo e di far aumentare gli
investimenti agli imprenditori. In tal modo, si raggiunge il punto in cui gli
imprenditori investono esattamente quanto le famiglie risparmiano. Anche in
questo caso, tutta la produzione ha trovato il suo sbocco, cioè è stata
acquistata o dalle famiglie o dagli imprenditori.
▸ Osserviamo ancora la seguente figura:
Nel circuito superiore le
famiglie risparmiano 50 e le imprese investono 25: siamo in una situazione di
eccesso di offerta, che nel grafico corrisponde ad un saggio di interesse i1;
l’eccesso di offerta di moneta, per una nota legge economica, ne fa scendere il
prezzo, cioè il saggio di interesse, fino al livello di equilibrio ieq;
mano a mano che il saggio di interesse scende il risparmio delle famiglie
diminuisce (50 → 35), il consumo delle famiglie aumenta (50 → 65),
la domanda di moneta per investimenti da parte delle imprese aumenta (25
→ 35) in modo che al livello di equilibrio ieq domanda ed
offerta di moneta si equilibrano. Questo corrisponde alla situazione mostrata
nel circuito inferiore.
❍ Il consumo secondo i neoclassici e secondo Keynes. La
funzione del consumo keynesiana
Osserviamo la FIGURA 4, che
illustra il funzionamento del mercato dei capitali secondo i neoclassici. Se il
saggio di interesse si abbassa, scendendo da i0 ad i1, le
famiglie troveranno meno conveniente offrire denaro in prestito e decideranno
di destinarlo al consumo; se invece il saggio di interesse sale, passando da i0
ad i2, le famiglie diminuiranno i consumi perché troveranno più
conveniente dare denaro in prestito.
Quindi, secondo i neoclassici è
il saggio di interesse che determina in ultima analisi la spesa di consumo
delle famiglie.
Secondo i neoclassici le famiglie
avevano solo due scelte: consumare o risparmiare. I neoclassici non ammettevano
una terza possibilità: che le famiglie tenessero denaro improduttivo sotto il
materasso (o in conti bancari a vista, non produttivi di interessi
significativi). Secondo loro questo violava il principio di razionalità
nell’agire del consumatore. Alcuni neoclassici ammettevano la presenza di
scorte, ma ritenevano che la loro quantità non variasse, e che quindi il saggio
di interesse era pur sempre il principale fattore che incluenzava la spesa C.
Keynes propose invece che il
consumo dipende dal reddito, ed elaborò la sua famosa funzione del consumo
keynesiana.
Osserviamo la FIGURA 6 della funzione di consumo keynesiana:
Essa si riferisce ad una
economia chiusa (che non ha rapporti con l'estero): infatti non compaiono né
importazioni né esportazioni In orizzontale abbiamo il reddito Y. Il grafico si
può riferire al reddito di una sola famiglia, o al reddito di tutte le famiglie
(in tal caso si tratterà del Reddito Nazionale). In verticale è misurato il
consumo della famiglia (o dell'intero paese). Noi scegliamo di considerare Y
come reddito nazionale e C come consumo di tutte le famiglie
La funzione ci dice che con un
reddito zero le famiglie consumano tuttavia beni per l'importo OE. Il segmento
verticale OE rappresenta quindi il consumo di sussistenza, che viene indicato
nei testi col simbolo C0.
Per ogni livello di reddito Y,
il rapporto tra l’ultima porzione di consumi e l’ultima porzione di reddito
esprime la frazione consumata dell’ultimo aumento di reddito, e viene chiamata propensione marginale al consumo “c”.
“c” è un valore percentuale
compreso tra zero (0% dell’incremento di reddito destinato a consumo) ed uno
(100% dell’incremento di reddito destinato a consumo).
Ad esempio, se consideriamo un
reddito pari al segmento OD, la propensione marginale al consumo è pari a:
propensione
marginale al consumo con un reddito OD =
Se invece consideriamo un
reddito pari ad OB allora avremo:
propensione
marginale al consumo con un reddito OB =
La funzione ci dà una
importante indicazione sull’andamento della propensione marginale al consumo
all’aumentare del reddito: possiamo osservare che, passando da un reddito più
basso, OA, ad un reddito più alto, OD,
diminuisce il valore del numeratore della propensione al consumo, perché
il segmento IH è più corto del segmento FG. Questo vuol dire che la
propensione marginale al consumo diminuisce all’aumentare del reddito: in
altre parole, più una famiglia è ricca, minore è la frazione destinata a
consumo di un ulteriore aumento di reddito.
Definiamo propensione media al consumo relativa ad un
dato reddito il rapporto tra l’intero consumo e l’intero reddito.
Ad esempio, se consideriamo un
reddito pari al segmento OD, la propensione media al consumo è pari a:
propensione
media al consumo con un reddito OD =
Se invece consideriamo un
reddito pari ad OB allora avremo:
propensione
media al consumo con un reddito OB =
Il reciproco della propensione
marginale al consumo viene chiamato propensione
marginale al risparmio “s”. Si tratta di un valore percentuale compreso
tra zero e uno che rappresenta la parte dell’ultimo incremento di reddito che
la famiglia risparmia:
propensione
marginale al risparmio = s = (1-c)
Poiché la propensione al
consumo decresce all’aumentare del reddito, anche la propensione media
decresce all’aumentare del reddito.
Nei testi di economia viene in
realtà utilizzata una versione
semplificata della funzione keynesiana del consumo, quella mostrata in figura 7:
In questa forma semplificata la
funzione di consumo può essere espressa da una semplice equazione matematica:
C = C0 + c · Y
Sia il grafico che l’equazione
ci dicono che esistono due componenti del consumo: le famiglie, oltre al
consumo di sussistenza C0, effettuano una spesa aggiuntiva c·Y che ovviamente
aumenta all'aumentare del reddito. Come si vede, in prossimità del reddito OA
noi possiamo scomporre la spesa di un gruppo di famiglie che riceve un reddito
OA in una spesa di sussistenza C0 (segmento AB) e in una spesa c·Y
che dipende dal reddito (segmento BC)
❍ L’equilibrio keynesiano in un
sistema chiuso e senza investimenti.
Consideriamo
il grafico di figura 10, che ci
consente di confrontare, per ogni livello di reddito, il consumo C (domanda)
con la produzione Y (offerta):
Oltre
alla funzione C, nel grafico è riportata una linea con inclinazione di 45°, che
consente di riportare in verticale i segmenti orizzontali che rappresentano il
reddito
Ad
esempio il segmento OD, che rappresenta sull'asse orizzontale un certo reddito
Y, ha la stessa lunghezza del segmento verticale DF.
Possiamo
quindi leggere in verticale il reddito Y = DF e confrontarlo con il consumo C =
DE.
Vediamo
immediatamente che il reddito supera il consumo di una quantità EF: in altre
parole abbiamo un eccesso di offerta, dovuto all'elevato risparmio delle
famiglie: in altre parole ancora, il reddito OD distribuito nel corso dell'anno
ritorna alle imprese (come spesa C) solo per la parte DE, mentre la parte EF
viene risparmiata
Questa
situazione è tipica dei paesi ricchi, dove i consumatori non hanno normalmente
bisogno di spendere l'intero reddito per soddisfare le proprie necessità
Consideriamo,
sempre nello stesso grafico, un caso differente: al livello di reddito Y = OA
la domanda AG supera la offerta (produzione) AH di un ammontare HG, che
possiamo considerare risparmio negativo, o eccesso di domanda.
Questa
situazione è tipica di molti paesi sottosviluppati: la produzione nazionale è
insufficiente a coprire le necessità della popolazione. Evidentemente, un consumo
C superiore a quanto è stato prodotto sarà effettuato importando beni
dall'estero o usufruendo di prestiti internazionali.
Una
situazione come quella che si ha con un reddito Y = OD, superiore alla domanda di consumo C = DE, è
chiamata vuoto deflazionistico.
Gli effetti del “vuoto deflazionistico" sono molto semplici: le imprese,
accortesi di aver accumulato scorte invendute pari ad EF, l’anno successivo
diminuiranno la produzione. Se anche l’anno successivo accumulano scorte
invendute esse ridurranno ancora la produzione. In tal modo il reddito si
sposta verso il reddito di equilibrio OB.
Una
situazione come quella che si ha con un reddito Y = OA, inferiore alla domanda
di consumo C = AG, è chiamata vuoto
inflazionistico. Gli effetti del vuoto inflazionistico sono contrari a
quelli del vuoto deflazionistico: la scarsità di beni di consumo fa aumentare i
prezzi ed invoglia gli imprenditori a produrre di più. Il reddito Y si sposta
così verso destra, cioè verso il reddito di equilibrio OB.
Quando
Y = OB non ci sono più spostamenti: infatti tutto quello che le imprese
producono viene acquistato dalle famiglie: si parla in questo caso di equilibrio keynesiano del reddito.
Nel
punto P di intersezione è verificata la seguente equazione:
Y
= C
❍ I presupposti dell’analisi keynesiana
I
grafici elaborati da Keynes mostrano normalmente grandezze reali. Keynes
ricavava le grandezze reali deflazionando i valori monetari col dividerli per
il saggio di salario. Oggi gli economisti preferiscono pensare le grandezze
reali ottenute deflazionando i valori monetari con il dividerle per il livello
generale dei prezzi.
Keynes
sviluppò le sue teorie partendo da presupposti che contraddicono quelli dei
neoclassici:
● Il
consumo è influenzato dal reddito e non dal saggio di interesse.
I neoclassici
sostenevano che un saggio di interesse alto induce le famiglie a risparmiare di
più e consumare di meno, mentre un saggio di interesse basso le induce a
consumare di più e risparmiare di meno. Per Keynes il ruolo del saggio di
interesse è marginale, e il fattore che influenza il consumo delle famiglie è
il loro reddito. Per portare a zero il risparmio delle famiglie è quindi
necessario che il reddito si riduca: non è in altre parole possibile mantenersi
ad un livello di reddito elevato cercando di abbassare (ad es. mediante manovre
delle autorità) il saggio di interesse
● Le
imprese, di fronte ad un eccesso di offerta non reagiscono abbassando i prezzi
e mantenendo la produzione invariata, come ritenevano i neoclassici, ma
piuttosto diminuendo la produzione e lasciando i prezzi invariati.
I neoclassici pensavano che le
imprese fossero perlopiù concorrenziali e che il sistema fosse sempre in stato
di piena occupazione delle risorse (reddito potenziale). In queste condizioni
era logico aspettarsi che aumenti/diminuzioni della domanda facessero
aumentare/diminuire i prezzi.
Ma Keynes fece notare tre cose:
● I mercati moderni sono più spesso
oligopolistici che concorrenziali. Le grandi imprese oligopolistiche che
dominano i mercati moderni sono in grado di manipolare i prezzi, e li
modificano con molta lentezza, e raramente verso il basso.
● Un'altra ragione per cui le imprese non
diminuiscono i prezzi è che esse, per la presenza dei sindacati dei lavoratori,
che si oppongono a diminuzioni salariali, non riescono a scaricare sui salari e
gli stipendi una diminuzione dei prezzi
● Il sistema economico è normalmente in una
situazione di disoccupazione delle risorse piuttosto che in una situazione di
piena occupazione (vedi punto successivo): in queste condizioni esse possono
scegliere di aumentare la produzione e lasciare i prezzi invariati (ciò che
effettivamente fanno).
● Il sistema si trova normalmente in stato di
non piena occupazione delle risorse (cosiddetto reddito potenziale).
Se il sistema
si trova in stato di parziale disoccupazione delle risorse le imprese
reagiscono ad un aumento della domanda con un aumento della produzione e
lasciando invariati i prezzi.
Se il sistema
invece si trovasse in stato di piena occupazione delle risorse, ad una
variazione della domanda seguirebbe una variazione dei prezzi e rimarrebbe
invariata la produzione
❍ L’equilibrio nel caso di sistema
in stato di piena occupazione delle risorse
Come si è detto, Keynes
sviluppò la sua analisi per un sistema in stato di sotto-occupazione delle
risorse.
In tale sistema, esistendo
delle risorse inutilizzate e pronte ad essere impiegate dalle imprese, la
produzione è in grado di adeguarsi immediatamente agli aumenti di domanda, e
questo evita che gli aumenti di domanda provochino scarsità di offerta con
conseguenti aumenti dei prezzi.
Keynes si sofferma poco ad
analizzare questi che gli economisti chiamano "aggiustamenti tramite
prezzi": ben presto, nella "Teoria generale" abbandona la
trattazione "inflazionistica" di breve periodo che si può trovare in
opere precedenti, concentrandosi piuttosto sui cosiddetti "aggiustamenti
tramite quantità", realisticamente più vicini alla situazione economica
dei suoi tempi.
Cosa succederebbe, nel grafico
di FIGURA 12, se ci si trovasse in una situazione di piena occupazione o vicina
alla piena occupazione, con la domanda superiore al reddito, e cioè a sinistra
del punto P di equilibrio?
Come sappiamo, questo è
possibile perché oltre al reddito dell’anno, le famiglie spendono anche una
ricchezza C0 accumulata negli anni precedenti.
La prima cosa che si può notare
è che la produzione non può aumentare; pertanto, qualcuno dei soggetti da cui
proviene la domanda (Stato, Imprese, famiglie) dovrà subire una diminuzione
indesiderata dei beni richiesti.
Questo avverrà tramite
inflazione: i prezzi cresceranno e “bruceranno” la ricchezza accumulata che i
soggetti utilizzano per domandare una quantità di beni superiore al reddito.
Se guardassimo il grafico con
le grandezze reali (Y reale, consumi reali etc.) non si noterebbe nulla.
Se guardassimo il grafico con
le grandezze monetarie noteremmo che il reddito Y aumenta fino ad arrivare al
punto di equilibrio P.
❍ Le componenti autonome della
spesa aggregata e il loro grafico
Osserviamo dapprima la figura 8 , la figura 8bis, la figura 8
ter e la figura 8 quater: esse mostrano
l'investimento, la spesa pubblica e le esportazioni in funzione del reddito:
poiché non c'è nessuna
relazione tra investimento, spesa pubblica, esportazioni da un lato, e reddito
dall’altro, le funzioni sono parallele all'asse orizzontale.
Le componenti della domanda
aggregata che non dipendono dal reddito e hanno questo grafico (I, G, E) sono
dette “componenti autonome della domanda aggregata. Ad esse va aggiunto anche
il consumo di sussistenza C0 (vedi figura 9)
Osserviamo ora la figura 9, in cui abbiamo sommato la
funzione del consumo e quella dell'investimento, aggiungendo, per ogni livello
di reddito (Y1, Y2, Y3) sempre lo stesso
investimento "I":
La linea C slitta
parallelamente a se stessa e si trasforma nella linea C+I, che non è più la
"funzione del consumo", ma la "funzione della DOMANDA
AGGREGATA" (simbolo della domanda aggregata è "AD"), che ora
comprende la domanda C di beni di consumo e la domanda I di beni di
investimento.
Nella
figura 11 abbiamo aggiunto alla
spesa di consumo C anche la spesa per investimenti I degli imprenditori e la
spesa pubblica G dello Stato:
Come
si vede, aggiungendo al consumo C dapprima gli investimenti I e poi la spesa
pubblica G il reddito di equilibrio si sposta, passando da Y1 ad Y2
ad Y3
Nel
punto P1 si verifica un equilibrio basato sulla eguaglianza:
Y
= C
Nel
punto P2 si verifica un equilibrio basato sulla eguaglianza:
Y
= C + I
Nel
punto P3 si realizza un equilibrio basato sulla eguaglianza:
Y
= C + I + G
La
spesa per investimento e la spesa pubblica hanno quindi l’effetto positivo di
far aumentare il reddito nazionale. Questo si verifica attraverso il meccanismo
del moltiplicatore della spesa autonoma,
che esamineremo tra breve.
❍ Il moltiplicatore in una
economia chiusa e senza imposte.
Cerchiamo
di analizzare cosa succede quando nel sistema si verifica un aumento di una
cosiddetta “componente autonoma della spesa aggregata”.
Le
“componenti autonome della spesa aggregata” sono quelle che non dipendono dal
reddito: la spesa per investimenti I; la spesa pubblica G; le esportazioni E,
il consumo di sussistenza C0.
Il
grafico della loro dipendenza dal reddito è simile a quello degli investimenti:
una linea parallela all’asse orizzontale (vedi sopra).
A
questo scopo possiamo considerare sia una componente autonoma sia la spesa C
dipendente dal reddito
Possiamo
fare l’ipotesi che una qualsiasi di queste spese subisca una variazione e
vedere l’effetto sul reddito nazionale.
Chiameremo
∆I la variazione delle
spese per investimenti da parte degli imprenditori
Chiameremo ∆G la
variazione della spesa pubblica da parte dello Stato
Chiameremo ∆E la
variazione della spesa dei consumatori esteri per merci nazionali
Chiameremo
∆Y la variazione del
reddito (=prodotto) nazionale che rappresenta la conseguenza di ∆I o di
∆G o di ∆E
Consideriamo
il caso di ∆G:
supponiamo
che lo stato, a metà dell'anno, decida di fare una ulteriore spesa pubblica ∆G = 1.000.000.000 per l’acquisto di
autocarri per l’Esercito
Una
volta effettuato l'acquisto da parte dello stato, il miliardo speso dallo stato
passa nelle mani delle famiglie che lavorano nelle imprese che producono
autocarri.
Supponendo
che tutte le famiglie della nazione abbiano una propensione marginale al
consumo c = 0,8, avremo entro breve termine un ulteriore spesa di £.
800.000.000 (= 1.000.000.000 · 0,8)
che finirà nelle mani di altre famiglie: famiglie proprietarie di bar (se le
famiglie produttrici di autocarri consumano dei pasti al bar); famiglie che
producono generi alimentari (se le famiglie che producono autoracci acquistano
generi alimentari); ecc.
Dopo
lo stato e dopo le famiglie che lavorano alla produzione di autocarri, un terzo
gruppo di famiglie si vede in questo modo trasferire una parte del denaro:
queste ultime famiglie, a loro volta ne spenderanno una somma pari a
800.000.000 · 0,8 =
640.000.000, risparmiandone il rimanente.
Il
processo continua indefinitamente: ogni famiglia riceve una somma e ne spende
l’80% presso imprese dove lavorano altre famiglie.
Nel
corso della seconda metà dell'anno avremo quindi un aumento della spesa, cui
corrisponde un aumento del reddito nazionale pari a:
∆Y = 1.000.000.000 + (1.000.000.000 · 0,8) + (640.000.000 · 0,8) + …
e cioè:
∆Y = 1.000.000.000 + (1.000.000.000 · 0,8) + (640.000.000 · 0,8 ·
0,8) + …
e cioè:
∆Y = ∆G + ∆G · c + ∆G · c · c + ...
e
cioè
∆Y = ∆G + ∆G · c + ∆G · c2 + ∆G ·
c3
+ ...
e
cioè
Nella formula:
La
quantità
è
chiamata "moltiplicatore (della spesa)". Possiamo notare che, quanto
più è alto “c” (cioè la propensione marginale al consumo), tanto più alto è il
moltiplicatore, e quindi l’effetto moltiplicativo delle spese pubbliche.
Il
primo membro, ∆Y,
è la variazione della produzione (reddito nazionale)
Il secondo membro:
rappresenta
la variazione della domanda aggregata ∆AD
a seguito di una variazione della spesa pubblica ∆G.
La
formula del moltiplicatore può anche essere scritta come:
dove
s = (1 –
c )
è
chiamata "propensione marginale al risparmio"
Notiamo
che, il moltiplicatore agisce nei due sensi: come amplifica un effetto di una
nuova spesa pubblica ∆G, così amplifica l’effetto della
diminuzione di una spesa pubblica: in questo caso ∆G
avrebbe segno negativo e si innesca il processo del “demoltiplicatore”: la
diminuzione del reddito ∆Y è maggiore della diminuzione della spesa
∆G.
❍ La formula del moltiplicatore
con ∆I e ∆G insieme
Il moltiplicatore compare anche
nella formula
Che si ricava con facili
passaggi, dalle identità già note:
e cioè:
da cui:
Questa formula non vuol dire
altro che una variazione del reddito può essere provocata sia da una variazione
dell’investimento ∆I che da una variazione della spesa pubblica ∆G,
amplificate dal moltiplicatore 1/(1–c)
❍ La formula del moltiplicatore con C0, I, G
Il moltiplicatore compare anche
nella formula
Che si ricava con facili
passaggi, dalle identità già note:
Questa formula
mostra che la domanda aggregata (membro di destra):
è funzione delle componenti
autonome C0, I, G e del moltiplicatore
Il membro di sinistra (Y) e
cioè la produzione o reddito, è quindi a sua volta funzione delle componenti
autonome della domanda aggregata.
In questa formula, il primo addendo:
che ha segno positivo,
rappresenta gli effetti della variazione della spesa pubblica ∆G, mentre il secondo addendo:
che ha segno negativo,
rappresenta gli effetti della variazione del prelievo pubblico ∆T
In una economia aperta le
famiglie e le imprese possono rivolgere la loro spesa anche all’estero, secondo
la formula:
M
= m · Y
dove 0 ≤ m
≤ 1 è la “propensione marginale alle importazioni”.
In tali condizioni è facile
verificare che la formula che lega la variazione ∆Y alla
variazione ∆G delle spese pubbliche è:
e il moltiplicatore varrà:
Tutto questo può essere
ricavato da facili passaggi partendo dalla identità del reddito:
❍ Il moltiplicatore delle entrate
Supponiamo che lo stato
diminuisca il prelievo fiscale di € 1.000
La variazione delle entrate da
imposte sarà pari a:
∆T = +1.000
Supponiamo per semplicità che
la propensione marginale al consumo delle famiglie che fruiscono della
riduzione di imposte e la propensione sia identica alla propensione al consumo
marginale della collettività complessivamente presa, e pari a 0,8.
La variazione ∆C dei
consumi delle famiglie che fruiscono della riduzione di imposta sarà di:
∆C = - (c · ∆T) = -
(0,8 ·(-1.000)) = + 800
Come sappiamo, in base alla
formula del moltiplicatore (in cui applichiamo la propensione cm) si
avrà allora:
Possiamo anche scrivere
un'unica formula riassuntiva:
e cioè:
[Tittarelli-Cernesi>Econ.fin.pubbl.
e normativa trib.>1996 237] Paragonando il moltiplicatore delle entrate a
quello delle spese si può notare come, partendo da una situazione di pareggio
di bilancio, un dato aumento ∆Y del reddito nazionale ottenuto con un
aumento delle spese non coperto con un aumento delle entrate, produce un
deficit minore che non l’aumento di ∆Y ottenuto con una diminuzione delle
entrate non coperta da una corrispondente diminuzione delle spese.
❍ I grafici keynesiani in una
economia aperta e senza imposte
La domanda aggretata è pari a:
AD = C0 + cY + G + I + E – mY
Nel punto di intersezione con la linea a
45° e la linea della domanda aggregata (quella più alta) è verificata
l’eguaglianza:
La FIGURA 12
mostra come, a destra del punto P di equilibrio, l’equazione:
Y = C + I + G
+ (E – M)
sia ancora
vera, ma con una importante differenza: mentre nel punto di equilibrio si ha:
Y = C + Ivolontari
+ G + (E – M)
a destra del
punto di equilibrio le imprese fanno investimenti involontari, consistenti
nella quantità di scorte di beni invenduti che accumulano. La formula Y = C + I
+ G + (E – M) dovrà pertanto leggersi come:
Y = C + Ivolontari
+ Iinvolontari + G + (E – M)
A sinistra del
punto di equilibrio si hanno invece disinvestimenti involontari: le imprese,
visto che la domanda è superiore alla produzione, attingono alle scorte di
prodotti finiti, che si riducono (supponiamo che non vi sia aumento dei
prezzi).
La eguaglianza
del reddito sarà pertanto ancora verificata, ma dovrà leggersi come:
Y = C + Ivolontari
+ Iinvolontari + G + (E – M)
dove, questa
volta, Iinvolontari avrà segno negativo
Gli economisti
scandinavi parlano di grandezze “ex ante”, o “programmate” e definiscono:
● Domanda “ex ante” la domanda programmata da famiglie, imprese
e stato
● Consumi “ex ante” la domanda di consumo
programmata dalle famiglie
● Investimenti “ex ante” gli investimenti
programmati (volontari) delle imprese
● Spesa pubblica “ex ante” la spesa pubblica
programmata dallo Stato
Essi
contrappongono alle grandezze “ex ante” le grandezze “ex post” o “effettive”:
● Domanda “ex post” è la domanda che
effettivamente è stata registrata alla fine dell’anno
● Consumi “ex post” sono i consumi che le
famiglie hanno effettivamente effettuato nell’anno
● Investimenti “ex post” sono gli investimenti
che le imprese hanno effettivamente effettuato, comprensivi anche di quelli
involontari
● Spesa pubblica “ex post” è la spesa
effettivamente effettuata dallo stato.
Utilizzando
questo linguaggio, e considerando la FIGURA 12, possiamo dire che:
● Nel punto di equilibrio grandezze “ex ante” e
grandezze “ex post” coincidono
● A destra del punto di equilibrio
l’investimento “ex post” risulta maggiore dell’investimento “ex ante” perché
sono stati fatti investimenti non programmati (involontari)
● A sinistra del punto di equilibrio,
l’investimento “ex post” risulta minore dell’investimento “ex ante”, perché
sono stati effettuati dei disinvestimenti non programmati (involontari)
❍ Il meccanismo dell’”acceleratore”
Accanto al meccanismo del
moltiplicatore agisce un altro meccanismo distinto, chiamato dell’acceleratore:
in base a questo meccanismo, ogni aumento dei consumi ∆C provoca un investimento delle imprese,
che per far fronte all’aumento della domanda acquistano nuovi impianti per un
valore:
∆I = k · ∆C
dove k è appunto chiamato acceleratore
❍ Il mercato dei capitali secondo
i neoclassici
Osserviamo la figura 4, che illustra il funzionamento del
mercato dei capitali:
La domanda di capitali proviene
dalle imprese, che li impiegano per fare investimenti (acquisto di beni
strumentali durevoli e non durevoli), mentre l'offerta di capitali proviene dal
risparmio delle famiglie. La curva di offerta di capitali è ascendente: più
alto è il saggio di interesse "i" più le famiglie sono invogliate a
risparmiare. La curva di domanda di capitali è discendente: più alto è il
saggio di interesse, più le imprese trovano costoso imprestarsi denaro e
limitano i prestiti. Il saggio di equilibrio iEQ è quello al quale
la domanda di capitali coincide con l'offerta: risparmiatori e imprese hanno
trovato un accordo. Al disopra del saggio di interesse di equilibrio si ha
eccesso di offerta di capitali da parte delle famiglie (saggio i1) ;
al disotto del saggio di equilibrio si ha scarsità di capitali o eccesso di
domanda da parte delle imprese (saggio di interesse i2)
Come abbiamo già detto, il
funzionamento del mercato dei capitali assicura la validità della legge degli
sbocchi (“tutta la produzione viene acquistata”); infatti, la situazione in
cui le famiglie risparmiano più di quanto gli imprenditori investono è la
situazione che si ha al saggio i2, con un eccesso di offerta di
moneta pari al segmento AB. Questo eccesso di offerta spingerà il saggio di interesse
al livello Ieq, corrispondente al punto P. Come si vede osservando
l’andamento della curva di domanda nel tratto AP e l’andamento della curva di
offerta nel tratto BP, menter il saggio di interesse scende, gli investimenti
degli imprenditori aumentano (gli imprenditori trovano che il costo del denaro
è diminuito sono più invogliati ad investire) mentre l’offerta di moneta da
parte delle famiglie diminuisce (le famiglie trovano meno conveniente
risparmiare e aumentano i loro consumi). Alla fine domanda ed offerta
coincideranno nel punto P
❍ Le critiche di Keynes alla curva
di domanda di capitali dei neoclassici
Osserviamo di nuovo la FIGURA 4: La curva di domanda di capitali nel
grafico, dovuta agli economisti neoclassici. Essa mostra che bassi saggi di
interesse stimolano la domanda di prestiti e quindi gli investimenti da parte
delle imprese. Secondo Keynes ciò non è vero. Le decisioni di investimento di
un imprenditore non sono (solo) dovute al basso saggio di interesse: se il
denaro è a buon mercato, ma vi sono scarse prospettive di vendita del prodotto,
l'imprenditore è pessimista e non investe; se invece il tasso di interesse è
alto, ma l'imprenditore si aspetta di fare alti profitti, e cioè una grande
richiesta del suo prodotto, egli farà alti investimenti e chiederà alte somme
di denaro in prestito.
❍ Le critiche di Keynes alla curva
di offerta di capitali dei neoclassici
Secondo Keynes è falsa anche la
curva di offerta di capitali da parte delle famiglie indicata nella FIGURA 4.
Secondo i neoclassici, cui essa è dovuta, se gli imprenditori hanno bisogno di
denaro, basterà che offrano un saggio di interesse più alto per invogliare le
famiglie ad offrirlo in prestito: in realtà, come vedremo, il risparmio di una
famiglia non è dovuto al saggio di interesse, ma al suo reddito. Se i redditi
delle famiglie sono bassi, anche se il saggio di interesse è alto, esse
risparmieranno poco e offriranno pochi capitali alle imprese
❍ Il mercato del lavoro secondo i
neoclassici
Osserviamo la FIGURA 5 che illustra il funzionamento del
mercato del lavoro secondo i neoclassici:
Come si vede dal grafico la
domanda di lavoro (che proviene dalle imprese) e l'offerta di lavoro (che
proviene dai lavoratori) dipendono entrambe dal saggio di salario w (cioè dalla
retribuzione oraria o giornaliera). Più alto è il saggio di salario, più alta è
l'offerta di lavoro da parte dei lavoratori. Più alto è il saggio di salario,
più bassa è la domanda di lavoro da parte delle imprese. Al saggio di salario
di equilibrio wEQ la domanda e l'offerta di lavoro si eguagliano:
lavoratori e imprenditori hanno trovato un accordo. Al disopra del salario di
equilibrio si ha eccesso di offerta di lavoro (salario w1). Al
disotto del salario di equilibrio si ha eccesso di domanda di lavoro (salario w2)
❍ Le critiche di Keynes al funzionamento del mercato
del lavoro secondo i neoclassici
Secondo Keynes, nel mercato
reale del lavoro il salario non è libero di salire, spinto in alto da un
eccesso di domanda di lavoro da parte delle imprese, né di scendere, spinto in
basso da un eccesso di offerta di lavoro da parte dei lavoratori. Il salario,
nelle moderne economie, è "rigido": esso viene contrattato dalle
associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro e rimane
contrattualmente fissato per un periodo variabile da due a 4 anni. Inoltre, le
associazioni dei lavoratori, per mantenere alti i salari, spingono i propri
aderenti a non offrire lavoro al disotto del salario che esse reputano
soddisfacente. Infine, la legislazione sociale fissa spesso salari minimi al
disotto dei quali gli imprenditori non possono scendere. Se un salario è
rigido, poniamo al livello w1 (vedi di nuovo la FIGURA 5), si ha un
eccesso di offerta, e cioè lavoratori disoccupati: ma, poiché il salario non
scende, la disoccupazione non può venir riassorbita, come pensavano invece i
neoclassici.
Un
abbassamento dei salari in situazione di depressionie economica, anziché
stimolare una maggiore produzione da parte degli imprenditori, come pensavano i
neoclassici, potrebbe deprimere ulterioremente la domanda e di conseguenza la
produzione. Infatti, se in un primo momento gli imprenditori, invogliati dai
salari più bassi di cui si accontentano i disoccupati, assumeranno più
lavoratori, si accorgeranno ben presto di non poter vendere la produzione per
mancanza di compratori: il reddito delle famiglie di tutti i lavoratori è ora
infatti diminuito.
❍ L’eccesso di offerta di moneta
Moneta, o
“stock di moneta”, “quantità di moneta dell’economia” è l’insieme dei mezzi di pagamento
universalmente accettati, che comprendono:
● Moneta legale
● Depositi a vista presso le banche (moneta
bancaria)
Per "offerta di
moneta" gli economisti intendono "stock di moneta esistente nel
sistema", e cioè normalmente l'insieme di banconote, monete metalliche e
depositi bancari a vista che costituiscono i mezzi di pagamento accettati da
tutti i soggetti del sistema.
Si tratta della situazione in
cui lo stock di moneta legale e bancaria in circolazione - cioè presente nei
portafogli di famiglie e imprese - è superiore a quello da esse desiderato.
In tale
situazione esse cercheranno di liberarsi della moneta in eccesso.
Agli inizi del 1900 Irving
Fisher, ispirandosi alle idee dell'autore seicentesco David Hume elaborò nella
sua forma matematica la "Teoria quantitativa della moneta",
introducendo l'identità:
M · v = P
· Q
dove M è l'offerta di moneta o
quantità di moneta presente nei portafogli di famiglie e imprese; P è la media
ponderata dei prezzi (i “pesi” sono costituiti dalle quantità scambiate q1,…,qn
di ogni singolo bene):
e Q è la somma di tutte le
quantità di beni scambiate nel sistema:
Q = q1 + … + qn
P · Q è quindi il valore in moneta di tutti gli
scambi avvenuti nel sistema (beni di consumo contro prezzo; lavoro contro
salario; fattori produttivi contro remunerazioni dei fattori; beni all'ingrosso
contro prezzo; beni strumentali durevoli e non durevoli contro prezzo; ecc.)
tra famiglie e famiglie, imprese e imprese, imprese e famiglie, imprese e
Stato, famiglie e Stato. Il valore monetario di tutti gli scambi è infatti pari
a:
“v" è la "velocità di
circolazione della moneta", data dal rapporto tra volume complessivo degli
scambi e quantità di moneta in circolazione:
in pratica, v indica il numero
di volte che una unità di moneta è stata usata. Infatti, se sono avvenuti
scambi per 100 milioni, ma la quantità di moneta utilizzata è stata di 10
milioni, è evidente che ogni lira è stata in media riusata dieci volte (ad es.
dapprima per l'acquisto di carne del sig. Rossi presso il macellaio sig. Verdi;
poi per l'acquisto di benzina da parte di Verdi presso il benzinaio Bianchi;
poi da Bianchi per l'acquisto di altri beni presso Neri... ecc. Nella formula:
M · v
= P · Q
sia Q che v sono invariabili. Q
è invariabile perché secondo Hume e i neoclassici il sistema viaggia sempre a
livello di piena occupazione delle risorse, e quindi si può ulteriormente
aumentare il volume degli scambi per produrre nuovi beni. "v" è
invariabile perché dipende dalle abitudini di pagamento dei soggetti e da altri
fattori istituzionali che non mutano facilmente. Ad es. se gli operai venissero
pagati ogni 30 giorni e non ogni 15 giorni v aumenterebbe, perché le imprese
avrebbero bisogno di più moneta per fare i pagamenti mensili; se aumentassero
le fusioni tra banche e tra imprese v diminuirebbe, perché molti pagamenti tra
banche e imprese fuse sarebbero sostituiti da semplici passaggi interni di beni
e servizi. Le uniche grandezze che possono variare nella formula sono M
a sinistra e P a destra: il che vuol dire che se aumenta M
aumenta anche P
Secondo i neoclassici, che
hanno fatto propria la teoria di Hume, le famiglie e le imprese si liberano
della moneta in eccesso acquistando beni di consumo o investendo in borsa in
modo da finanziare nuovi investimenti da parte delle imprese. Un aumento di M
aumenterebbe quindi la domanda C di beni di consumo e la domanda I di beni di
investimento, ma, poichè il sistema produce già la massima quantità di beni
possibile, l'unica cosa che potrà aumentare saranno i prezzi.
❍ I tipi di scorte monetarie di
una famiglia o una impresa
Sebbene già i neoclassici
parlavano di scorte precauzionali e transattive, fu Keynes il primo a
distinguere con chiarezza le scorte precauzionali da quelle transattive e ad
introdurre e studiare le scorte speculative.
Secondo K. le famiglie
detengono tre tipi di scorte:
● Scorte transattive: una famiglia o una
impresa deve tenere scorte per effettuare i pagamenti
● Scorte precauzionali: è la quantità di moneta
tenuta per le spese impreviste
● Scorte speculative: è la moneta tenuta per
speculare sulla vendita e l’acquisto dei titoli
I neoclassici ritenevano che
l’unico motivo per detenere scorte monetarie fosse quello transattivo (essi
prestavano poca attenzione al motivo precauzionale) e che nessuno avrebbe
accumulato volontariamente scorte monetarie oziose (precauzionali o
speculative).
La quantità di scorte
transattive è quella necessaria per gli scambi che si verificano nel sistema
economico, è quindi determinata dal reddito Y, e non varia apprezzabilmente nel
tempo.
Anche Keynes pensava che il
reddito contribuisse a determinare la domanda di moneta (egli infatti
riconosceva l’esistenza di scorte transattive), ma riteneva che l’influenza del
reddito fosse meno importante di quella di fattori quali il saggio di interesse
Egli infatti introdusse le
“scorte oziose”, la cui quantità non è collegata al reddito nazionale Y ma al
saggio di interesse i
Anche i neoclassici ammettevano
che le scorte transattive e precauzionali fossero influenzate dal saggio di
interesse, ma davano scarsa importanza a questo collegamento, che per Keynes è
invece molto importante.
Secondo Keynes, sia le scorte
transattive che quelle precauzionali che quelle speculative aumentano al
diminuire del saggio di interesse e diminuiscono all’aumentare del saggio di
interesse:
Secondo gli studiosi
neoclassici della Scuola di Cambridge (primi decenni del 1900) la equazione di
Fisher andava riformulata così:
M = k · (P · Q)
che si legge: "La quantità
di moneta M presente nel sistema rappresenta una frazione k del volume
monetario P · Q degli
scambi; precisamente quella frazione che famiglie e imprese, in relazione al volume
degli scambi e ad altri fattori (primo fra tutti il saggio di interesse)
desiderano tenere sotto forma di scorte transattive, precauzionali e
speculative". Una forma lievemente diversa della formula di Cambridge è:
M = k ·( P · Y)
dove P · Y non è più il volume di TUTTI gli scambi, ma
solo il valore monetario del reddito nazionale. Le conclusioni della Scuola di
Cambridge rimasero sostanzialmene simili a quelle di Fisher e di Hume: il
valore di k è stabile nel tempo, perciò, quando la quantità M è superiore
alla frazione k desiderata, famiglie e imprese si liberano dalla moneta in
eccesso facendo aumentare C, I
e per questa via i prezzi o la produzione.
Se il sistema è in una
situazione di piena occupazione delle risorse, Q non può aumentare, perciò
aumenta P
Se il sistema è in una
situazione di parziale occupazione delle risorse, allora aumenta la produzione
Q mentre i prezzi P rimangono invariati.
I neoclassici ammettevano che
il sistema andasse incontro nel breve periodo a temporanee situazioni di sotto
occupazione delle risorse, ma la consideravano una ipotesi eccezionale e
limitata al breve periodo: quindi, per loro, l’ipotesi normale era quella di
aumento dei prezzi P
❍ Cosa succede quando famiglie e
imprese cercano di liberarsi dalla moneta in eccesso secondo Keynes
Gli effetti di un aumento della
quantità di moneta sono esaminati da Keynes in un grafico che riporta, in
funzione del saggio di interesse, sia la domanda che l’offerta di moneta:
Nel grafico, la quantità di
moneta nel portafoglio delle famiglie passa da M1 ad M2;
se le famiglie erano in equilibrio con la quantità M1, esse
cercheranno di eliminare l’eccesso di moneta. Tutto questo provocherà la
discesa del saggio di interesse da i1 ad i2
Secondo Keynes, le famiglie non
si liberano dell’eccesso di moneta mediante una spesa C, ma mediante acquisto
di titoli (azioni e obbligazioni)
Si crea quindi un eccesso di
domanda di titoli che, per un ben noto meccanismo, spinge in basso il saggio di
interesse.
Ma quando il saggio di
interesse scende, famiglie, imprese e speculatori aumenteranno le loro scorte:
alla fine essi accetteranno di tenere la quantità M2
Secondo Keynes l’unico effetto
dell’aumento della quantità di moneta non sarà stato l’aumento della
produzione, ma la diminuzione del saggio di interesse. La produzione non
aumenta perché le famiglie non utilizzano moneta per finanziare spese C di
consumo; ma non aumenta neanche quando le famiglie acquistano azioni e
obbligazioni. Secondo Keynes, infatti, il denaro delle famiglie non va che in
minima parte a finanziare nuovi investimenti, perché il “flottante”, cioè la
quantità di titoli già emessi, e che non corrisponde più a nuovi investimenti,
è enormemente maggiore della quantità di titoli di nuova emissione. Gli
acquisti delle famiglie si scaricano quindi sul “flottante”, e non danno luogo
che in misura irrilevante a nuovi investimenti.
Il rapporto tra moneta e
investimenti è, per Keynes, come vedremo, più complesso, e passa attraverso la
diminuzione del saggio di interesse.
❍ La domanda di scorte speculative
e il comportamento dello speculatore
Osserviamo il
grafico di FIGURA 13, che mostra la curva di domanda di moneta speculativa ( Md
) di un solo speculatore in funzione del saggio di interesse ( i ).
Il valore iatteso
è molto importante per lo speculatore: è il saggio di interesse che egli si
aspetta a più o meno breve termine sul mercato.
Possiamo
notare come per un qualsiasi valore i1 del saggio di interesse di
mercato al disotto di iatteso lo speculatore terrà tutta la sua
ricchezza in forma di moneta liquida (scorte oziose, pari a M1).
Questo perché
egli si attenderà che il saggio di interesse di mercato risalga verso iatteso,
e, per una nota legge economica, se aumenta il saggio di interesse il valore
dei titoli diminuisce. Lo speculatore evita pertanto di tenere titoli nel suo
portafoglio, dal momento che avrebbe delle perdite per la loro diminuzione di
valore.
Al disopra del
saggio di interesse atteso, ad es. al livello i2, lo speculatore si
attenderà una discesa i2 à iatteso e quindi un aumento del valore dei titoli
(sempre per la legge già esposta che se i diminuisce il valore del titolo
aumenta e viceversa).
Perciò egli si
affretterà ad acquistare titoli, e nel grafico si può notare che la sua
liquidità sopra iatteso è pari a zero.
Perché esiste
un rapporto inverso tra saggio di interesse e valore del titolo?
Consideriamo
per capirlo una obbligazione, emessa per il valore di 100 € (“valore nominale”)
e che reca scritta la promessa di pagare annualmente 10 € (“interesse
nominale”: 10%)
Cosa succede
se il saggio di interesse di mercato (“tasso effettivo”) passasse dal 10% al
20%? Sicuramente nessuno vorrebbe acquistare l’obbligazione al prezzo di 100 €,
per avere solo 10 € di interessi: dato che il tasso di mercato è del 20% sarà
infatti sempre possibile dare in prestito la somma in modo da avere 20 €. Lo
sfortunato proprietario della obbligazione potrà quindi al massimo venderla a
50 €, perché in tal modo essa offrirebbe un interesse del 20%, e sarebbe presa
in considerazione dagli acquirenti.
Se invece il
saggio di interesse scende dal 10% al 5% il proprietario dell’obbligazione
capisce che può venderla a 200 €: infatti 10 € rappresentano un interesse del
5% su 200 € e gli acquirenti non troverebbero nel mercato condizioni
esattamente eguali.
Osserviamo ora
il grafico di FIGURA 14, che mostra il comportamento di 4 speculatori, ciascuno
dei quali ha un diverso saggio di interesse atteso: il saggio atteso del
primo speculatore è i1, quello del secondo è 12, quello
del terzo è i3, quello del quarto è i4.
Quando il
saggio di interesse supera il livello i1 il primo speculatore decide
di ritirare i suoi fondi (la sua moneta liquida) dai depositi a vista in banca
e investire (egli infatti si attende a questo punto una discesa del saggio e un
aumento del valore dei titoli che acquista): la quantità di moneta complessiva
è ora M2.
Quando il
saggio di interesse supera il livello i2 il secondo speculatore
decide di ritirare i suoi fondi dai depositi a vista in banca e di investire:
la quantità di moneta complessiva è ora M2.
Quando il
saggio di interesse supera il livello i3 il terzo speculatore decide
di ritirare i suoi fondi dai depositi a vista in banca e di investire: la
quantità di moneta complessiva è ora M3.
Quando il
saggio di interesse supera il livello i4 il quarto speculatore
decide di ritirare i suoi fondi dai depositi a vista in banca e di investire:
la quantità di moneta complessiva è ora pari a zero.
Se aumentiamo
il numero degli speculatori la curva diventa quella di FIGURA 15:
Come si vede,
mano a mano che il numero dei soggetti aumenta, la curva diviene sempre più
liscia, fino ad arrivare, nel caso di decine di migliaia di speculatori, alla
forma comunemente mostrata dai libri di testo:
Quando la quantità di moneta
immessa nel sistema è tale che il saggio di interesse sia diventato
estremamente basso, ogni tentativo delle autorità di abbassarlo ulteriormente
fallisce: infatti tutti gli speculatori sono a questo punto convinti che il
tasso risalirà e terranno tutta la moneta che continua ad entrare nei loro
portafogli in forma liquida: in questo modo non si verificano altri acquisti di
titoli, e il valore del saggio di interesse non scende.
Questo fenomeno è noto come
“trappola della liquidità” e fu messo in evidenza per la prima volta da Keynes.
❍ Come utilizzavano i neoclassici
lo strumento della politica monetaria contro le crisi economiche
I neoclassici affermavano che
il sistema economico possedeva una serie di meccanismi automatici (cosiddetta
“mano invisibile”) in grado di assicurare nel medio-lungo periodo:
● La piena occupazione delle risorse
● La migliore allocazione possibile delle
risorse
● La migliore distribuzione possibile del
prodotto ottenuto con l’impiego delle risorse
Tuttavia essi, di fronte
all’evidenza dei fatti, non potevano negare che il sistema economico andasse
incontro a crisi economiche, caratterizzate da sotto-occupazione delle risorse,
discesa dell’occupazione, dei prezzi, della produzione e degli investimenti.
I neoclassici ritenevano che
tali crisi fossero:
● Occasionali (non cicliche o regolari)
● Di piccola intensità
● Di breve durata
● Dovute a shock esterni che venivano a colpire
il sistema economico (scioperi, carestie, guerre etc.)
● Destinate ad estinguersi da sole nel
medio-lungo periodo
In questi casi essi si
limitavano a consigliare di non turbare con attività sindacali il mercato del
lavoro, in modo che l’abbassamento dei salari favorisse il riassorbimento della
manodopera disoccupata.
Inoltre, poiché ammettevano che
il sistema poteva incontrare disoccupazione delle risorse, essi consigliavano
anche una manovra di politica monetaria espansiva, consistente nell’aumentare
la quantità di moneta in circolazione, facendo sì che famiglie e imprese si
liberassero delle scorte di moneta eccedente facendo aumentare la spesa di
consumo C o acquistando titoli (azioni e obbligazioni) emessi dalle imprese, e
per questa via facendo aumentare anche gli investimenti. A tale scopo le
autorità erano solite rimuovere i vincoli al credito bancario e fornire alle
banche liquidità aggiuntiva in modo che
aumentasse il credito disponibile per gli operatori economici.
I saggi di interesse troppo
alti erano considerati un impedimento alla espansione del credito e quindi le
autorità dovevano adoperarsi per favorire il loro abbassamento. Questo
obiettivo sarebbe stato anch’esso raggiunto aumentando la quantità di moneta in
circolazione.
Le opinioni di Keynes possono
essere riassunte nei seguenti punti:
● Un aumento della offerta di moneta Mo
(cioè della moneta M presente nel portafoglio di famiglie e imprese o, come si
dice, “in circolazione”) non provoca un aumento della spesa C di consumo
Infatti, per Keynes, le
famiglie non si liberano della moneta in eccesso con una spesa C, bensì
acquistando titoli (azioni e obbligazioni)
● Un aumento della offerta di moneta Mo
non sempre provoca il tentativo delle famiglie di liberarsene, perché la
preferenza per la liquidità (cioè l’ammontare delle scorte liquide che gli
operatori economici desiderano tenere) varia in dipendenza da molteplici
fattori:
● Le
scorte, specie quelle speculative, sono molto sensibili al saggio di interesse
Se il saggio di interesse
inizia a diminuire a seguito dei tentativi delle famiglie di liberarsi delle
scorte, questo può bloccare i tentativi delle famiglie di liberarsi delle
scorte
● La
moneta ha tre funzioni: mezzo di scambio, riserva di valore e misura di valore.
Per ciascuna di queste funzioni essa ha dei surrogati (ad esempio, come riserva
di valore essa è in concorrenza con i beni durevoli). Quando, per cause
eccezionali, essa perde la capacità di svolgere una di queste funzioni, si
verifica la “fuga dalla moneta”, verso i suoi sostituti, e le scorte monetarie
si riducono al minimo indispensabile.
Ad esempio, in momenti di forte
inflazione, la moneta perde la sua funzione di riserva di valore e di misura di
valore, e i soggetti fuggono dalla moneta, rivolgendosi ai suoi sostituti, i
cosiddetti beni-rifugio: terreni, edifici, beni durevoli, beni di lusso etc.
Ad esempio, in momenti di forte
insicurezza economica (momenti di depressione economica, di prospettive incerte
di guadagno per gli imprenditori, di guerra imminente ecc.) i soggetti
liquidano le proprie attività commerciali, riducono le scorte di moneta e si
rivolgono ai beni-rifugio o alle scorte necessarie per la sopravvivenza
● Famiglie
e imprese tengono la loro ricchezza distribuita in un “portafoglio” di attività
economiche con vario grado di liquidità: moneta, titoli a breve termine, titoli
a lungo termine, beni durevoli, ecc.
Con una certa frequenza esse
rivedono le loro preferenze e ridistribuiscono la ricchezza tra le varie
attività. Questo provoca spesso anche un cambiamento della preferenza della
liquidità, cioè della quantità di ricchezza che esse tengono investita in
moneta
● Poiché la preferenza per la liquidità di famiglie
e imprese potrebbe variare improvvisamente, l’effetto sul saggio di interesse
di un aumento della quantità di moneta non è sicuro. Si possono avere tre
possibilità:
● La
preferenza per la liquidità di famiglie e imprese non varia quando le autorità aumentano
la offerta di moneta
Famiglie e imprese cercano
allora di disfarsi della moneta e il saggio di interesse diminuisce
● La
preferenza per la liquidità di famiglie e imprese diminuisce proprio nel
momento in cui le autorità aumentano l’offerta di moneta
Anche in questo caso le
famiglie si libereranno di moneta e il saggio di interesse scenderà
Nella formula della teoria
quantitativa questo significa che nel membro di sinistra è aumentato M, ma nel
membro di destra non è variato P o Q, ma è aumentato k, che è collegato alla
preferenza per la liquidità
● La
preferenza per la liquidità di famiglie e imprese aumenta proprio nel momento
in cui le autorità aumentano l’offerta di moneta (“trappola della liquidità”)
Se la preferenza per la
liquidità aumenta, le famiglie terranno tutta la moneta sotto forma di scorte
liquide e non cercheranno di liberarsene: perciò il saggio di interesse non
scenderà.
Si parla in questo caso di
“trappola della liquidità”.
Un caso tipico di trappola
della liquidità, esaminato da Keynes, si ha quando la discesa del saggio di
interesse i si blocca perché tra gli speculatori si diffonde l'idea che il
saggio di interesse sia già arrivato troppo in basso e sia destinato ad
aumentare. In tale situazione, essi preferiscono, anziché liberarsi della
moneta acquistando titoli, trattenerla sotto forma di scorta liquida
speculativa, in attesa del rialzo del saggio di interesse.
Secondo Keynes non è il saggio
di interesse a determinare gli investimenti.
Egli notava le seguenti cose:
● La domanda di moneta per investimenti da parte
degli imprenditori dipende dal "saggio di efficienza marginale del
capitale" ("e"), calcolato risolvendo rispetto ad "e"
l'equazione:
dove “I” è la somma che
l’imprenditore progetta di spendere per l’investimento ed R1,…,Rn
sono le somme che l’imprenditore si aspetta di guadagnare negli anni 1,…,n
prima che l’investimento cessi di essere produttivo di reddito.
In pratica, “e” è il profitto
percentuale annuo atteso dall’investimento della somma
Consideriamo due casi distinti:
● Imprenditori
che non abbiano capitali propri da investire, e si debbano rivolgere alla
banca, pagando un interesse annuo.
Se “e” (percentuale di profitti
atteso dall'investimento) è superiore ad "i" (interesse che
l'imprenditore deve pagare alla banca) l'imprenditore non realizzerà
l'investimento: infatti dovrebbe pagare ogni anno alla banca una somma
superiore a quella che ottiene come profitto dall’investimento
Se "e" (percentuale
di profitti atteso dall'investimento) è inferiore ad "i" (interesse
che l'imprenditore deve pagare alla banca) l'imprenditore realizzerà
l'investimento: infatti, una volta pagati gli interessi annuali alla banca,
rimane un profitto residuo di cui potrà appropriarsi.
● Imprenditori
che hanno capitali propri da investire
Anche essi confronteranno
l’efficienza marginale del capitale col saggio di interesse.
Infatti, se il saggio di
interesse è eguale all’efficienza marginale del capitale essi preferiranno
acquistare obbligazioni che danno lo stesso rendimento di un investimento senza
dover sopportare i rischi di una attività produttiva.
Solo quando l’efficienza. Al
limite, essi potrebbero acquistare azioni di imprese già esistenti, invece di
crearne delle nuove (per effetto dei meccanismi di borsa i rendimenti delle
azioni tendono a livellarsi ai rendimenti delle obbligazioni, con uno scarto
positivo dovuto al rischio dell’investimento azionario).
Solo se l’efficienza marginale
del capitale sarà superiore al saggio di interesse gli imprenditori saranno
indotti a rischiare i propri capitali in un’attività produttiva, e quindi ad
investire.
Keynes faceva notare che “e”
non è un valore oggettivo ed esatto, ma esprime piuttosto l’ottimismo o il
pessimismo dell’imprenditore (quelli che Keynes chiamava gli “animal spirits”
dell’imprenditore)
Non bisogna dimenticare che
"e" dipende da "R1", "R2",...,"Rn"
che sono le somme che l'imprenditore si aspetta di guadagnare
dall'investimento. Cosicché in definitiva "e" dipende dalle aspettative
dell'imprenditore. Se le aspettative sono ottimistiche, "R1",...,
"Rn" saranno molto elevati, e quindi "e" sarà
molto elevato: l'imprenditore farà l'investimento anche se "i" è
molto alto. Se invece le aspettative sono basse, "R1",...,"Rn"
saranno bassi, "e" sarà basso e l'imprenditore non farà
l'investimento anche se "i" sarà molto basso. In sintesi: anche se a
prima vista un tasso di interesse basso dovrebbe invogliare gli imprenditori a
imprestarsi denaro e a fare investimenti, in realtà sono le aspettative, gli
"animal spirits" degli imprenditori a dire l'ultima parola.
● Infine, gli investimenti sono condizionati
dalla quantità di investimenti già effettuata. La spesa per investimento, a
differenza della spesa di consumo, ha un importantissmo effetto: quello di
aumentare la capacità produttiva delle imprese. Se per diversi anni gli
investimenti delle imprese sono stati elevati, alla fine del periodo le imprese
si troveranno con un eccesso di capacità produttiva e di produzione che
bloccherà per un certo tempo ulteriori investimenti, anche se il saggio di
interesse rimane basso.