INTRODUZIONE AL DIRITTO

 

 

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Nozioni  generali e fondamentali. Convivenza, coesistenza, cooperazione. Cenni sullo Stato

I bisogni individuali

La coesistenza e la convivenza

I conflitti di interessi

I bisogni sociali

La cooperazione

La convivenza organizzata. Gli organi e gli uffici.

I fenomeni associativi e la nascita spontanea del diritto

Le società sono fenomeni associativi in cui la cooperazione non è temporanea ma stabile

La nozione di “politica”

Lo Stato

Lo “Stato di diritto”

Lo Stato centrale

Il “potere legislativo”

Il “potere esecutivo”

Il Governo e i ministri

Il potere giudiziario (“i giudici”)

Il Presidente della Repubblica

Le autorità regionali, provinciali e comunali

Le  norme giuridiche. L’interpretazione

Le prescrizioni

I vari tipi di prescrizioni

Le prescrizioni giuridiche

I vari gruppi di prescrizioni giuridiche

Le norme giuridiche

Il meccanismo di funzionamento delle norme giuridiche

I vari tipi di sanzioni negative

Le forme in cui può essere espressa una prescrizione giuridica

Norme speciali ed eccezionali

L’ordinamento giuridico

Diritto e morale. Diritto naturale e diritto positivo.

I significati della parola “legge”

I significati della parola “diritto”

L’interpretazione

Le  fonti del diritto. Le branche del diritto

Nozione di “fonte del diritto”

Atti che creano prescrizioni giuridiche ma non sono fonti

La Costituzione

Le leggi costituzionali

Come si indica una legge costituzionale

Le leggi ordinarie del Parlamento

Come si indica una legge ordinaria del Parlamento

Le leggi regionali e gli statuti regionali

Come si indica una legge regionale

I regolamenti della Unione Europea. Le direttive della Unione Europea.

I decreti legislativi

I decreti-legge

Il referendum abrogativo

L’uso del termine “decreto” per indicare una fonte

Come si indica un decreto-legge

Come si indica un decreto legislativo

I regolamenti: I soggetti che possono emanarli

La potestà normativa del Governo

I regolamenti: La procedura di emanazione

I regolamenti: I vari tipi

I regolamenti: Come si indica un regolamento

I regolamenti: Diversi significati della parola “regolamento”

Le consuetudini

La pubblicazione delle fonti del diritto

I vari tipi di rapporti tra le fonti del diritto

Il rapporto di gerarchia tra le fonti del diritto: Il rapporto tra fonti superiori e inferiori

Il rapporto di gerarchia tra le fonti del diritto: Il rapporto tra le fonti di pari grado e il criterio dell’abrogazione

Fonti primarie e fonti secondarie

La "delegificazione"

Il rapporto di competenza esclusiva tra fonti del diritto

Le riserve di legge

Il rapporto di competenza ricorrente o ripartita tra fonti del diritto

Il rapporto di delega

L’efficacia della legge nel tempo: retroattività e irretroattività del diritto

Il controllo sulle fonti

Il problema del fondamento del diritto

L’applicazione dell’ordinamento giuridico: gli atti dei privati, della pubblica amministrazione, dei giudici

Le partizioni del diritto

Norme imperative, dispositive, suppletive

Il diritto internazionale privato.

Il diritto internazionale vero e proprio. Le fonti straniere e quelle europee. Il diritto internazionale privato

L’ordine pubblico

La procedura di stipulazione dei trattati internazionali

Il codice civile italiano

Fatti,  atti, negozi giuridici

Fatti, atti, negozi giuridici

Fatti naturali e fatti umani

Gli atti giuridici

La classificazione degli atti giuridici

I negozi giuridici

La classificazione dei negozi giuridici

Le  situazioni giuridiche soggettive in generale. Il rapporto giuridico. I beni

Gli interessi considerati dal diritto

Il meccanismo tipico della norma giuridica (ripasso)

Le situazioni giuridiche soggettive in generale

Le situazioni giuridiche possono essere attive o passive

I vari tipi di situazioni giuridiche attive

I vari tipi di situazioni giuridiche passive

Il rapporto giuridico di diritto privato

Gli elementi costitutivi del rapporto giuridico

I vari significati del termine “oggetto” nel linguaggio giuridico

Le principali distinzioni nell’ambito dei diritti soggettivi

I diritti su beni immateriali

I beni

Le principali distinzioni nell’ambito dei beni: Beni immobili, beni mobili e beni mobili registrati

Le principali distinzioni nell’ambito dei beni: Beni fungibili e infungibili

Le principali distinzioni nell’ambito dei beni: Beni consumabili e inconsumabili

Le principali distinzioni nell’ambito dei beni: Le pertinenze e i frutti

Vicende del rapporto giuridico. Acquisto e perdita dei diritti.

Terminologia

I soggetti di diritto

La capacità giuridica e la nozione di soggetto

La capacità di agire

L’incapacità legale: Premessa

L’incapacità legale: La minore età

L’incapacità legale: L’interdizione

L’incapacità legale: L’inabilitazione e l’emancipazione

L’incapacità naturale

I diritti della personalità: Premessa

I diritti della personalità: Il diritto alla vita e all’integrità fisica

I diritti della personalità: Il diritto all’onore e alla reputazione

I limiti alla libertà di manifestazione del pensiero

I diritti della personalità: Il diritto alla riservatezza

I diritti della personalità: Il diritto al nome e all’immagine

I diritti della personalità: Il diritto all’identità personale

I diritti della personalità: Il diritto all’identità sessuale

Domicilio, residenza, dimora

Scomparsa, assenza, morte presunta

Le organizzazioni collettive e la nozione di persona giuridica

L’autonomia patrimoniale

Le persone giuridiche e i loro organi

La classificazione delle organizzazioni collettive private

Istituzioni e fondazioni

Le associazioni

Le associazioni non riconosciute

Le fondazioni

I comitati

Gli enti pubblici e I loro organi

“Ente” vuol dire “Persona giuridica”

Cosa si intende per "ente pubblico"?

Cosa vuol dire che un ente pubblico ha (normalmente) una "doppia capacità", di diritto privato e di diritto pubblico?

Quali sono le principali categorie di enti pubblici?

I tipi di persone giuridiche pubbliche: Gli enti pubblici economici

Gli organi o uffici

La differenza tra “organo” e rappresentante”

Sono considerati organi anche alcuni uffici che svolgono esclusivamente attività interna

I vari tipi di organi

I gruppi di organi dello Stato. I “poteri”

Unità operative e organizzazioni che svolgono esclusivamente attività materiali

Il rapporto tra gli agenti e l'organo

Il rapporto tra gli atti del funzionario e la persona giuridica

I “rapporti interorganici”

Un organo non ha personalità giuridica


 

 

I bisogni individuali

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Tutti gli individui provano dei bisogni. Un bisogno è una situazione di insoddisfazione e di disagio da cui l'individuo si libera tenendo determinati comportamenti legati alla propria sopravvivenza.

Possiamo anche definirlo come la percezione o sensazione di mancanza di qualcosa che ci è utile o necessario.

Un individuo isolato da tutti gli altri può avere solo i bisogni detti individuali. I bisogni individuali si distinguono in bisogni speciali, che non sono necessariamente sentiti da tutti gli individui, (esempio: bisogno di tatuarsi, di dipingere) e bisogni comuni, che sono i bisogni fondamentali della natura umana, sentiti necessariamente o quasi sempre da tutti gli individui (fame, sete,bisogno di vestirsi).

 

 

La coesistenza e la convivenza

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Nel caso di due o più individui che vivano nello stesso tempo, anche se magari ciascuno in luoghi diversi si parla di "coesistenza". Nel caso di due o più individui che vivano nello stesso tempo e nello stesso luogo, in modo che le attività, i bisogni e gli interessi dell'uno possono interferire con le attività, i bisogni e gli interessi dell'altro si parla di "convivenza".

 

 

I conflitti di interessi

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Con la convivenza nascono quelli che vengono chiamati "conflitti di interessi". Un interesse è ciò che una persona vuole ottenere, un vantaggio che essa si prefigge come scopo. Si ha conflitto di interessi quando due o più persone vogliono ottenere la stessa cosa e il vantaggio di uno non è compatibile con il vantaggio dell'altro. Ad es. si ha conflitto di interessi tra persone che desiderano coltivare lo stesso terreno; non si ha conflitto di interessi tra persone che vogliono godere del medesimo paesaggio o percorrere la stessa strada (se questa è sufficientemente larga).

I conflitti di interessi possono essere risolti pacificamente (tramite regole o accordi) o con la forza; possono essere risolti con il sacrificio totale di un interesse a favore dell'altro (si parla di "subordinazione di un interesse all'altro": il genitore si priva del cibo per darlo al figlio) o con parziale sacrificio di entrambi (il genitore divide il cibo con il figlio).

 

 

I bisogni sociali

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Con la convivenza e la cooperazione nascono i "bisogni sociali", che riguardano tutte le esigenze che nascono dalla presenza dell'altro: bisogno di protezione della propria persona e dei propri beni dall'aggressione altrui; bisogno di Tribunali; bisogno di polizia; bisogno di un soggetto che crei regole di condotta e le faccia rispettare; bisogno di una organizzazione che svolga compiti comuni (es. costruzione delle strade, istruzione, difesa) ecc.

 

 

La cooperazione

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Nel caso che due o più individui non si limitino a convivere, ma ciascuno utilizza l’attività degli altri  affinché l’interferenza non solo non sia dannosa, ma riesca vantaggiosa, si ha la “cooperazione”. Sono esempi di cooperazione lo scambio, le attività svolte in comune per gli interessi di tutti (difesa, ordine pubblico, sanità ecc.)

 

 

La convivenza organizzata. Gli organi e gli uffici.

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Quando gli individui attribuiscono ad alcuni di loro dei compiti da svolgere per la soddisfazione di bisogni comuni o collettivi si dice che “organizzano” la convivenza, o che la convivenza è “organizzata”.

Quando queste attività diventano stabili nel tempo si parla di “uffici” e talvolta di “organi”.

Un ufficio o organo è un insieme di persone e di compiti fissi. Un altro modo di definirlo è “unità operativa che svolge dei compiti fissi e predeterminati”. Gli "organi" o "uffici" possono essere visti come "ruoli" simili a quelli degli attori, che assegnano a determinate persone dei compiti fissi da svolgere a vantaggio di tutti.

Così, l'Ufficiale giudiziario è l'organo che nel comune ha il compito di vigilare sulla salute dei residenti; l'Ufficiale dell'anagrafe è l'organo che ha il compito di mantenere aggiornate le liste dei cittadini residenti, di annotare nascite, morti, matrimoni e rilasciare i relativi certificati; il parlamento è l'organo che fa le leggi; il Tribunale è l'organo che giudica certi tipi di reati ecc.

Gli organi non sono posseduti solo dallo Stato. Qualsiasi gruppo organizzato di persone (una associazione calcistica, una società per azioni, un sindacato, un condominio ecc.) ha degli organi che svolgono le principali funzioni: prendere le decisioni (assemblea), eseguirle e tenere i rapporti d'affari (amministratore) ecc. Persino in una classe scolastica si possono creare degli organi: il capoclasse, il tesoriere, i gruppi che debbono svolgere delle ricerche ecc.

I ruoli più importanti e più frequenti sono quelli del legislatore (= colui che stabilisce le regole) e quello del giudice (= colui che risolve le liti), ma vi possono essere innumerevoli altri organi, con ruoli molto varii: capoclasse, tesoriere, amministratore, tutore, rappresentante sindacale ecc.

L’insieme degli uffici e organi creati per rendere possibile la convivenza e la cooperazione prendono il nome di “istituzioni”

Questa parola ricorre di frequente nel linguaggio dei mass-media per indicare gli organi e gli uffici più importanti (Presidente della Repubblica, Parlamento, Tribunali, Pubblica Amministrazione): "Le brigate rosse attentano alle istituzioni"; "bisogna salvare le istituzioni dalla corruzione"; "Bisogna avere fiducia nelle istituzioni"; "Le istituzioni democratiche sono nate dalla lotta contro il fascismo" ecc.

 

 

I fenomeni associativi e la nascita spontanea del diritto

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Quando più individui convivono e cooperano secondo determinate regole di condotta si parla di "fenomeno associativo".

La vita ci offre l'esempio di innumerevoli fenomeni associativi: la coda presso uno sportello bancario; un corteo di manifestanti; la folla che è allo stadio; la famiglia; una società per azioni; lo stesso Stato.

Nel momento in cui più individui si trovano insieme per un certo tempo, quasi istintivamente gli uomini creano delle regole comuni di comportamento. Basta osservare le regole che immediatamente vengono osservate durante la coda ad uno sportello bancario, o quelle che si creano all'interno di un gruppo di ragazzi, ecc.

I romani dicevano: "Ubi societas ibi ius, ubi ius ibi societas": "dove c'è un fenomeno associativo c'è anche diritto ( = insieme di norme); dove c'è diritto c'è anche un fenomeno associativo"

 

 

Le società sono fenomeni associativi in cui la cooperazione non è temporanea ma stabile

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Mentre la coda presso uno sportello bancario, il corteo di manifestanti, la folla allo stadio sono forme di convivenza e cooperazione temporanea, una famiglia, una società per azioni, lo Stato si riferiscono a forme di cooperazione stabile. Si parla allora non più solo di "fenomeni associativi", ma di "società", per indicare tali forme di cooperazione stabili, che presentano cioè  relazioni permanenti tra i membri.

 

 

La nozione di “politica”

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L'aggettivo "politico" si riferisce a qualsiasi attività, ideologia, disciplina di studio, che riguardi la "polis", la società formata dai cittadini, la sua conservazione, il suo benessere: in altre parole gli interessi generali della collettività.

Tra i vari tipi di società, le più importanti sono gli “enti politici”, detti anche "società politiche", "organizzazioni politiche", "forme politiche", "società a fini generali", "ordinamenti politici".

Stato, Regione, Provincia e Comune sono enti politici.

Gli enti politici sono detti "a fini generali e indeterminati" perché, accanto agli scopi fondamentali ed irrinunciabili, come la difesa, la giustizia e l'ordine pubblico, molti altri obiettivi possono essere liberamente assunti da un ente politico: assistenza sanitaria, istruzione, servizi sociali minimi (trasporti pubblici, asili nido, mense...), sviluppo della cultura ecc. 

Si parla poi ancora di "ideologia politica", "attività politica", "lotta politica", "potere politico", ecc. Per "ideologia politica" si intende l'insieme di idee su come dovrebbe essere l'organizzazione politica della collettività e su quali valori (libertà, eguaglianza, benessere materiale, ordine, progresso, famiglia, Stato), debbano venire prima di altri.

Per "potere politico", in contrapposizione al potere economico e al potere ideologico e al potere religioso, si intende il potere di influenzare le scelte politiche della collettività (ad esempio i sindacati posseggono potere politico nella misura in cui possono influenzare le scelte del governo o dei partiti).

Il potere politico consiste nel definire i fini della "polis", nello scegliere perciò fra gli interessi in gioco quelli prioritari e nello scegliere i modi per farli meglio valere.

Per "sistema politico" si intendono tutti i soggetti che organizzano interessi sociali, che effettuano per ciò stesso mediazioni e compensazioni tra gli interessi organizzati, che li fanno valere in tutte le sedi, comprese quelle pubbliche dalle quali possono ottenere appagamento e i rapporti che tra questi soggetti si instaurano. I partiti, i sindacati, i gruppi di pressione, organi estranei al potere legislativo come il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, fanno parte del sistema politico.

Per "potere economico" si intende invece il potere che proviene dal possesso della ricchezza o che consiste nel controllo delle attività economiche.

Per "potere ideologico" si intende il potere di influenzare tramite idee presentate in maniera particolarmente convincente, diffuse dai mass-media o in altre forme attraverso altri strumenti particolarmente efficaci.

Col termine "potere politico" si indica anche, in un senso del tutto differente, l'autorità che esercita i poteri sovrani sui cittadini.

Per "lotta politica" si intende la competizione per la conquista del potere politico.

 

 

Lo Stato

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La parola "Stato" ha quattro significati:

   Stato-apparato

E’ l’insieme delle strutture politiche che esercitano poteri sovrani. In altre parole, è l’insieme degli enti pubblici che esercitano poteri di imperio (può essere visto anche come il complesso degli organi di questi enti). Normalmente si ritiene che lo Stato apparato sia costituito dagli enti pubblici territoriali (Stato, Regioni, Province, Comuni), perché gli altri enti esercitano solo marginalmente significativi poteri di imperio

   Stato-comunità

E’ l’insieme di popolo, territorio e autorità (stato-apparato): una popolazione stanziata su un territorio e organizzata politicamente.

   Stato-ordinamento

E’ l’insieme delle organizzazioni pubbliche, centrali e decentrate: in sostanza l’insieme degli enti pubblici

   Stato centrale (Stato-persona)

E’ l’organizzazione pubblica centrale, escluse quelle decentrate

Lo Stato-persona è composto di tre grandi "poteri": il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario.

Lo Stato-persona è un apparato, cioè  un complesso ordinato e stabile di uomini dotato di mezzi materiali adeguati per esercitare una serie di compiti e perseguire una serie di obiettivi previamente delimitati.

Nelle seguenti frasi la parola Stato assume ora l'uno ora l'altro di questi significati:

"Lo Stato, in caso di mancato pagamento delle tasse, espropria il debitore dei beni e li vende per ottenere quanto gli è dovuto" (Stato-apparato)

"Lo Stato italiano si formò nell'ottocento" (Stato-comunità); 

"Lo Stato italiano fa parte della Comunità Europea" (Stato-comunità); 

"I soldati difendono lo Stato" (Stato-comunità); 

"Il parlamento è un organo dello Stato" (Stato-apparato); 

"I funzionari dello Stato sono assunti per concorso" (Stato-apparato).

 

 

Lo “Stato di diritto”

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L'attività di tutti gli organi dello Stato-apparato è regolata da norme giuridiche primarie o super-primarie, per evitare soprusi ed ingiustizie. Uno Stato in cui tutte le attività sono regolate dal diritto si dice "Stato di diritto". Abbiamo visto che il funzionamento e i poteri degli organi del governo e del potere esecutivo sono regolati da leggi emanate dal Parlamento. L'elezione, il funzionamento e i poteri del Parlamento sono a loro volta regolati dalla Costituzione.

 

 

Lo Stato centrale

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Lo Stato-centrale o Stato-persona, è una persona giuridica.

Le sue caratteristiche principali sono quindi:

·    Sovranità

·    Regolamentazione secondo diritto

·    Personalità giuridica

Esso è composto di tre grandi "poteri": il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario, a loro volta composti da numerosi organi.

 

 

Il “potere legislativo

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Il potere legislativo è formato dagli organi che hanno il potere di creare norme giuridiche. In passato gli organi erano due: il re e il parlamento. Nel nostro Stato vi è solo un organo che può creare le leggi: il Parlamento, composto a sua volta da due organi, la camera e il senato, che a loro volta sono composti da deputati, senatori, presidenti della Camera e del Senato, capigruppo ecc.

Il Parlamento è l'organo più importante per la vita dello Stato. E' formato dalla Camera e dal Senato. Ciascuno dei 630 deputati della camera e dei 315 senatori viene eletto dai cittadini ogni cinque anni, a suffragio universale (cioè  sono ammessi al voto tutti i maggiorenni, che siano uomini o donne, sprovvisti o provvisti di titoli di studio ecc.).

Camera e Senato, di comune accordo, votando ciascuna a maggioranza, votano le leggi che poi sono promulgate dal Presidente della Repubblica.

 

 

Il “potere esecutivo

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Gli organi del potere esecutivo sono numerosissimi. Al vertice del potere esecutivo c'è il Governo. Ciascuno dei ministri del governo è a capo di un ministero che a sua volta è costituito da numerosi organi centrali (direzioni generali, provveditorati generali ecc.) e periferici (intendenze, uffici locali ecc.) Il potere esecutivo, detto anche "Pubblica Amministrazione" (abbreviato "P.A.") si occupa dell'esecuzione delle leggi create dal parlamento: attraverso le forze di polizia si occupa di controllare l'osservanza delle leggi da parte dei cittadini, di ricercare i colpevoli di inosservanza, di portarli dai giudici e di eseguire le sentenze dei giudici. Attraverso altri ministeri si occupa di controllare il commercio, la circolazione delle merci e in genere le attività della vita di ogni giorno (controlli bancari, delle dogane ecc.). Attraverso altri ministeri ancora si occupa di provvedere ai bisogni di istruzione, cure mediche, assistenza in caso di vecchiaia, invalidità ecc. dei cittadini, cioè  fornisce loro dei "servizi pubblici", gratuiti o semigratuiti. Anche in questo modo il potere esecutivo "esegue" i compiti che gli sono stati affidati dal Parlamento con le leggi (legge sul servizio sanitario nazionale, legge sulla istruzione obbligatoria ecc.). E' infatti il Parlamento che stabilisce il numero, i compiti, i poteri degli organi del potere esecutivo (e anche del potere giudiziario).

Al di sotto dei Ministri e dei Ministeri, detti "organi centrali" (perché risiedono al "centro", nella Capitale), si hanno gli "organi periferici" che da essi dipendono (perché risiedono alla periferia, nei singoli comuni, nelle singole province o regioni): Intendenze di finanza, Uffici provinciali delle imposte, Provveditorato provinciale agli studi ecc.)

Presidente del Consiglio, Ministri, ministeri e organi periferici formano nel loro insieme il "Potere esecutivo" o "Pubblica Amministrazione".

Tutti gli organi della Pubblica Amministrazione sono legati tra loro da un rapporto detto di gerarchia, che li pone su una linea verticale lungo la quale si hanno organi inferiori e superiori: il Ministro è l'organo superiore del sovrintendente regionale, che a sua volta è l'organo superiore del provveditore e così via.

Ciascun organo superiore ha il potere di dare istruzioni all'organo inferiore, di controllarlo, di annullarne gli atti, di sostituirsi ad esso nello svolgimento di una attività. Questo rapporto di potere tra superiore e inferiore si chiama appunto "rapporto gerarchico".

Invece, tra gli organi del potere legislativo e tra quelli del potere giudiziario non c'è un rapporto tra superiore e inferiore, ma un rapporto da pari a pari (le due camere del Parlamento hanno eguali poteri; ogni giudice giudica in piena indipendenza da altri giudici ecc.).

 

 

Il Governo e i ministri

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Il Governo è formato da Ministri scelti dal Presidente del Consiglio, che riceve l'incarico dal Presidente della Repubblica. Una volta formato il Governo, questo deve avere l'approvazione (che si chiama "voto di fiducia") del parlamento.

In qualsiasi momento, anche dopo il voto di fiducia, il Parlamento può cambiare idea e "votare la sfiducia" al governo, che è così costretto a dimettersi. In tal caso, il Presidente della Repubblica dà l'incarico di formare un nuovo governo ad un altro Presidente del Consiglio. Se nessuno degli incaricati riesce a formare un governo che incontri la fiducia del Parlamento, al Presidente della Repubblica non resta che sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni.

Il Presidente del Consiglio può scegliere i ministri tra i parlamentari, ma anche tra i comuni cittadini. Ogni ministro è a capo di un ministero, cioè  di un insieme di organi del potere esecutivo che si occupa di curare determinati interessi della collettività. Abbiamo così i ministeri che si occupano di mantenere l'ordine e di garantire la difesa e i rapporti con gli altri stati (Ministero dell'interno, Ministero della difesa, Ministero degli Esteri, il Ministero di Grazia e Giustizia). Abbiamo i Ministeri che si occupano della gestione della ricchezza dello Stato e del suo patrimonio (ministero delle finanze, Ministero del Tesoro, Ministero del bilancio e della programmazione economica). Molto importanti sono il Ministero delle Finanze, che si occupa di riscuotere i tributi, e il ministero del Tesoro, che si occupa di gestire le somme così incassate di effettuare i pagamenti per conto dello Stato e di trovare il denaro che eventualmente manchi allo Stato attraverso l'emissione di BOT (buoni ordinari del tesoro) e di altri titoli del debito pubblico). Abbiamo i ministeri che si occupano dello sviluppo economico e produttivo (Ministero dell'industria, Ministero del commercio con l'estero). Abbiamo i ministeri che si occupano del territorio e dell'ambiente (Ministero dei lavori pubblici, Ministero dei beni culturali e ambientali, Ministero dell'ambiente). Abbiamo i ministeri che forniscono i servizi pubblici (Ministero delle Poste, Ministero della pubblica istruzione, Ministero dei trasporti, Ministero del lavoro, Ministero della sanità).

 

 

Il potere giudiziario (“i giudici”)

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Il potere giudiziario è composto da numerosi organi: Pretori, Tribunali ordinari, Tribunali militari, Tribunali amministrativi, Tribunale delle acque pubbliche, Corti d'appello, Corti d'assise, Corti d'assise d'appello, Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti ecc. Tutti questi organi sono incaricati di emettere sentenze che applicano le norme generali ai casi concreti.

I giudici non sono sottoposti ai ministri, vengono scelti per concorso pubblico e la loro assunzione, la loro retribuzione, la loro carriera è gestita da organi indipendenti dal potere politico, il più importante dei quali è il Consiglio Superiore della Magistratura, i cui membri vengono eletti in parte dal Parlamento, in parte dagli stessi giudici. Il Consiglio superiore della Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica.

 

 

Il Presidente della Repubblica

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Il Presidente della Repubblica non appartiene a nessuno dei tre poteri, ma ha una funzione di rappresentanza del Paese e di controllo e di garanzia: che tutte le attività degli organi pubblici rispettino la Costituzione e non mettano in pericolo la democrazia. Convoca, presiede o nomina una parte dei membri di molti importanti organi costituzionali. Inoltre rappresenta l'Italia ufficialmente mediante viaggi all'estero, ricevimento dei rappresentanti diplomatici ecc.

 

 

Le autorità regionali, provinciali e comunali

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Accanto allo Stato-apparato vi sono altre autorità che governano la vita dei cittadini: le regioni, le province e i comuni

Anche la parola "Regione" (o "Provincia" o "Comune") ha i due tipi di significato che si sono visti per lo stato:

Nel primo significato "Regione" significa "Comunità di persone residente in un determinato territorio, retto da un insieme di norme giuridiche proprie oltre che da quelle statali, e sottoposto, oltre che all'autorità dello Stato, ad una propria autorità, eletta dalla Comunità"

Nel secondo significato "Regione" significa "Autorità che, insieme allo stato, si spartisce la sovranità sulla comunità regionale, e a cui i cittadini residenti nella regione debbono ubbidire"

Lo stesso duplice significato hanno le parole "Provincia" e "Comune": così la parola "Provincia" può indicare una popolazione su un territorio (come nella frase "La Provincia di Torino è molto popolosa") o un apparato, cioè  un insieme di uffici (come nella frase "La Provincia ha emanato delle disposizioni severe contro i danni ambientali")

Tutti e tre gli apparati che funzionano da autorità nella Regione, nella Provincia o nel Comune, hanno una notevole somiglianza con lo Stato: sono composti da organi eletti dai cittadini (Consiglio regionali, provinciali e comunali) che hanno potere di emanare norme giuridiche. Hanno organi, simili al Governo statale, che si occupano di eseguire le leggi e i regolamenti (giunta regionale, giunta provinciale e giunta comunale), ma non organi giudicanti. Possono avere dei corpi di polizia locale (vigili urbani, guardie forestali ecc.).

Le regioni possono creare leggi di valore pari a quelle del parlamento, cioè  norme primarie (ma solo in materie di interesse regionale: turismo, navigazione locale, caccia e pesca ecc.).

Regioni, Province e Comuni possono creare anche norme secondarie simili a quelle create dal Governo o dai Ministri. Si possono avere Regolamenti regionali, provinciali e comunali in materie di interesse locale. Regioni, Province, Comuni hanno quindi, esattamente come lo Stato, degli organi che producono norme giuridiche.

Regioni, Province e Comuni sono regolati dalla Costituzione e da leggi apposite del Parlamento, ma possono completare la propria organizzazione creando essi stessi una parte delle proprie norme di funzionamento tramite gli "Statuti".

 

 

Le prescrizioni

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E' evidente che le "regole" sono importanti per la convivenza e la cooperazione. Una regola non è altro che il modello, la descrizione di un comportamento che un individuo deve o può tenere. Per indicare le regole di comportamento si usa anche la parola "prescrizioni". A voler essere precisi, non si devono confondere le "regole" o "prescrizioni"con i "comandi". Le prescrizioni possono essere espresse in forma di comandi ("fai questo", "devi fare questo"), ma anche di divieti ("non fare questo", "è vietato fare questo"), di permessi ("puoi fare questo", "è permesso fare questo", "hai diritto di fare questo") o di regole organizzative ("La Corte Costituzionale è composta di quindici giudici").

Si parla di prescrizioni per indicare regole di condotta, giuridiche o non giuridiche. Vi sono molti tipi di "prescrizioni": prescrizioni tecniche (che non sono obbligatorie, ma vengono seguite perché assicurano un certo risultato, ad es. le regole della medicina), prescrizioni morali (che ci provengono da Dio o dalla nostra coscienza), prescrizioni del costume o del galateo, prescrizioni giuridiche

 

 

I vari tipi di prescrizioni

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Vi sono molti tipi di "prescrizioni". Tutta la nostra vita si svolge seguendo delle "prescrizioni", cioè  delle ben precise regole. Nel momento in cui ci vestiamo seguiamo la regola di mettere prima la biancheria intima poi i vestiti più esterni; nel momento in cui prepariamo il pasto seguiamo precise regole di cucina; nel momento in cui saliamo sull'autobus che ci porta a scuola seguiamo precise regole (cenno al conducente, salita e presentazione della tessera o del biglietto ecc.); nel momento in cui parliamo con gli amici seguiamo le innumerevoli regole della grammatica e della sintassi; in classe seguiamo altre precise regole per parlare con l'insegnante, con i compagni, per andare in bagno, per chiedere in prestito una penna, ecc.

Esistono dunque vari tipi di prescrizioni:

   Prescrizioni del costume

Altre prescrizioni provengono dall'ambiente in cui viviamo: sono le prescrizioni del costume o del galateo ("lascia il posto sui mezzi pubblici alle persone anziane"; "saluta tu per primo la persona più anziana"; "mantieni fede alle promesse"; "non bestemmiare"; "non dir male del prossimo in sua assenza... e possibilmente neanche in sua presenza", "Non ubriacarti pubblicamente", "non gridare quando sei con altre persone", "non fare rumori che disturbino il vicino" ecc.).

   Prescrizioni morali

Altre prescrizioni sono definite "morali" perché ci provengono da Dio o dalla nostra coscienza, e noi le osserviamo solo se siamo intimamente convinti della loro bontà, a differenza ad esempio delle leggi dello Stato, che ci provengono dall'esterno. Così la prescrizione "ama il tuo prossimo", "non desiderare la donna d'altri" ecc. sono prescrizioni morali.

   Prescrizioni tecniche

Molte prescrizioni sono definite "tecniche", perché non sono obbligatorie, ma vengono seguite perché assicurano un certo risultato. Così, le prescrizioni del medico, le regole per la medicazione delle ferite, le regole per cucinare i cibi vanno seguite se si vuole ottenere la guarigione, la preparazione del cibo, ecc. ma non sono obbligatorie.

   Prescrizioni giuridiche

 

 

Le prescrizioni giuridiche

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Le prescrizioni giuridiche hanno in comune il fatto che provengono dalla autorità che nel gruppo detiene la sovranità (cioè non riconosce altri sopra di sé e detiene il supremo potere di comando su tutti gli altri soggetti) e che minaccia delle sanzioni a chi non le osserva. Questa autorità può essere lo stesso popolo (si pensi alle consuetudini dei pastori, degli ateniesi dell'antichità ecc.) o un soggetto che sia investito di un apposito potere. Le prescrizioni, insomma, provengono sempre dallo Stato o da una autorità dello Stato. Le prescrizioni giuridiche hanno in comune lo scopo di influenzare i comportamenti dei cittadini al fine di coordinarli evitando conflitti violenti di interessi

Le prescrizioni giuridiche hanno certe qualità o caratteri o caratteristiche che mancano alle prescrizioni non giuridiche (morali, sociali, tecniche).

Questi caratteri sono:

   IMPERATIVITA': La forma della prescrizione giuridica, a differenza da quella della prescrizione tecnica, è quella del comando senza condizioni: "devi fare questo" anziché: "devi fare questo se vuoi guarire, cucinare,fabbricare... ecc."

   INTERSOGGETTIVITA': Le prescrizioni giuridiche sono destinate a risolvere conflitti tra due o più persone che convivono. Se vi è una sola persona o non vi è convivenza le prescrizioni giuridiche, a differenza di quelle morali e di quelle tecniche, sono inutili e senza senso. Ad esempio Adamo prima della creazione di Eva non aveva bisogno di prescrizioni giuridiche sulla proprietà (non c'erano altri a spartirsi la terra) né sul matrimonio (non era ancora stata creata la donna), ma aveva bisogno di prescrizioni su come curarsi, e aveva ricevuto da Dio delle prescrizioni morali ("non toccare l'albero della conoscenza"; "non avrai altro dio al di fuori di me" ecc.).

   COATTIVITA': Le prescrizioni giuridiche sono le uniche la cui esecuzione sia garantita da una sanzione (= punizione, conseguenza sfavorevole) stabilita da altre regole. Così, la prescrizione di pagare il proprio debito è garantita dalla minaccia della sanzione consistente nel privare il debitore dei suoi beni; la prescrizione di non rubare è garantita dalla sanzione della prigione ecc.

Tra le sanzioni, le più importanti sono quelle che consistono nell'uso della forza (incarcerazione, espropriazione e vendita dei beni, distruzione della casa abusiva ecc.). E' la minaccia dell'uso della forza che spesso convince le persone ad obbedire. Non bisogna però credere che le prescrizioni giuridiche, per funzionare, abbiano bisogno dell'uso continuo della forza: le condanne penali, le espropriazioni ecc. sono solo le misure estreme, a cui si ricorre (fortunatamente di rado) quando tutti gli altri mezzi di persuasione (minaccia dell'uso della forza; disapprovazione sociale; regole morali;persuasione mediante ragionamento) sono fallite.

 

 

I vari gruppi di prescrizioni giuridiche

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Vi sono vari tipi di prescrizioni giuridiche:

   Prescrizioni del potere legislativo (“leggi”)

Abbiamo in primo luogo le prescrizioni del potere legislativo: Costituzione, leggi del Parlamento, leggi delle Regioni, Regolamenti del governo o dei Ministri, Regolamenti Regionali, provinciali, comunali.

   Prescrizioni del potere esecutivo (“provvedimenti”)

·    Gli ordini (dei poliziotti, dell'ufficiale sanitario)

·    I permessi (del prefetto che concede il porto d'armi, del sindaco che concede le licenze edilizie commerciali)

·    Le punizioni o "sanzioni" (ad es. del vigile urbano)

·    Le ammissioni (ammissione ad un concorso, ammissione al prestito per la prima casa, ammissione tra coloro che hanno diritto di case popolari)

·    Gli esoneri (dalle tasse scolastiche, dal servizio militare)

·    gli espropri

·    Gli incentivi (premi alle imprese che si trasferiscono nel Mezzogiorno)...

   Prescrizioni del potere giudiziario (“sentenze”)

·    Sentenze dei giudici

·    Decreti dei giudici

·    Ordinanze dei giudici

   Prescrizioni che i privati danno a se stessi (“regole dell’autonomia privata”)

·    Promesse giuridicamente valide (ad es. quella di donare una cosa)

·    Regole dei contratti che ci impegniamo a rispettare

   Prescrizioni che si formano spontaneamente (“consuetudini”)

Abbiamo poi le prescrizioni che ci vengono dalle consuetudini che sono considerate obbligatorie: consuetudini commerciali, consuetudini nei rapporti tra proprietari della terra e contadini ecc. Nell'antica Roma quasi tutte le prescrizioni giuridiche si erano formate per consuetudine, e la vita veniva regolata quasi completamente dalla consuetudine. Oggi la situazione si è capovolta: quasi tutti i rapporti sono regolati da una legge dell'autorità e le consuetudini sono ammesse solo quando non contraddicono la legge (consuetudini "secundum legem") o quando regolino un rapporto non regolato dalla legge (consuetudini "praeter legem").

Alle prescrizioni che provengono dal potere esecutivo si dà il nome di provvedimenti. Alle prescrizioni che provengono dal potere giudiziario si dà il nome di sentenze. Alle prescrizioni che i privati si danno da sé si dà il nome di regole dell’autonomia privata. Alle prescrizioni giuridiche che provengono dal potere legislativo si dà il nome di norme giuridiche.

Si parla di "violazione", "inosservanza", "trasgressione" di una prescrizione giuridica o di una norma giuridica ogni volta una persona non tiene il comportamento che la norma gli dice di tenere.

 

 

Le norme giuridiche

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Le norme giuridiche sono le prescrizioni giuridiche più importanti, sulle quali tutte le altre in un certo senso si basano. L'insieme delle prescrizioni del potere legislativo, cioè  le norme giuridiche, formano quell'insieme di regole che si chiama ordinamento giuridico, o "legge" o "diritto".

Le norme giuridiche hanno il carattere della generalità, dell’astrattezza e della novità. Noi tutti siamo in grado di immaginare cosa ordinerà un vigile in una certa situazione, cosa stabilirà il giudice in una certa lite, come risponderà un funzionario alla richiesta di un certificato. Infatti, tutte queste persone non creano regole nuove, ma si limitano a rifarsi, ad adattare al caso particolare delle regole generali che già esistono. La prescrizione giuridica di un vigile, di un prefetto, di un giudice, non aggiunge perciò nuove regole a quelle esistenti. Invece la prescrizione giuridica del potere esecutivo (= la norma giuridica) costituisce una regola nuova, che si va ad aggiungere alle altre esistenti o che va a modificarle. E' questo che noi chiamiamo "novità" della norma giuridica. Ogni norma giuridica è un comando nuovo: o perché regola materie che prima non erano regolate; o perché cambia regole precedenti.

All’interno dell’ordinamento giuridico si distinguono norme super-primarie (sono le norme di rango costituzionale), norme primarie (la legge e gli atti aventi forza di legge) e norme secondarie o sub-primarie (regolamenti ed atti equiparati). La importante differenza tra norme primarie e secondarie risiede nel fatto che il giudice ordinario deve applicare le norme primarie senza poterle contestare, mentre può disapplicare o addirittura annullare (giudice amministrativo) le norme secondarie.

Le norme giuridiche, cioè  le prescrizioni giuridiche create dal potere legislativo, hanno delle caratteristiche molto precise. Alcune di queste caratteristiche permettono di distinguerle con sicurezza dalle altre prescrizioni giuridiche:

   INTERCONNESSIONE: le norme giuridiche sono collegate l'una all'altra in almeno tre modi:

·    vi sono norme che si applicano in caso di violazione di altre norme e che formano catene anche molto lunghe. Ad esempio, la violazione della norma che obbliga il debitore al pagamento del debito fa intervenire la norma che obbliga il debitore in ritardo col pagamento a pagare i danni; la violazione della norma di pagare i danni e il debito fa intervenire la norma che prevede la espropriazione e la vendita dei beni; la violazione della norma che prevede la espropriazione e la vendita (il soggetto si oppone all'ingresso in casa dell'ufficiale giudiziario) fa intervenire la norma che prevede la prigione per resistenza a pubblico ufficiale; la evasione dalla prigione fa intervenire la norma sul reato di evasione ecc.

·    la validità di una norma dipende sempre da un'altra norma. Ad esempio la validità della norma che ci vieta di usare il clacson in città deriva dalla validità della norma del parlamento che ha autorizzato il governo ad emanare il codice della strada; la validità della norma del parlamento che ha autorizzato il governo ad emanare il codice della strada deriva dalla validità della norma della Costituzione che autorizza il Parlamento a fare leggi su qualsiasi materia ecc.

·    non è possibile in pratica interpretare una norma senza l'aiuto di numerose altre. Ad esempio la norma che dice "ai figli legittimi spetta un terzo dell'eredità" richiede la conoscenza della norma che dice "sono figli legittimi quelli nati dopo 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio ed entro 300 giorni dal suo annullamento"; per capire quest'ultima, occorre conoscere gli articoli che parlano della celebrazione del matrimonio... e così via.

   CERTEZZA O IDENTITA' O INDEFORMABILITA': Mentre chiunque può interpretare liberamente le prescrizioni tecniche e quelle morali, le norme giuridiche possono essere validamente interpretate solo dal giudice, il quale deve seguire delle precise regole descritte nel codice civile. Se le norme giuridiche potessero essere interpretate da ciascuno come gli fa più comodo, o da ciascun giudice come meglio crede, non ci sarebbero più regole certe, e non potrebbe nascere una coesistenza pacifica, perché si moltiplicherebbero ben presto le liti e l'uso della forza. Per poter funzionare tra due contendenti, una regola deve poter essere interpretata sempre allo stesso modo. Se una regola fosse interpretata da soggetti diversi o da giudici diversi in modo diverso, non solo non si avrebbe certezza del diritto, ma neanche giustizia: una persona sarebbe trattata in modo diverso da un'altra, pur trovandosi nella stessa situazione.

Un concetto collegato a quello della certezza del diritto è quello della certezza della sanzione, o almeno della ragionevole probabilità che una sanzione sia applicata. Se il rischio di essere scoperti è basso, le violazioni saranno frequenti. A meno che i cittadini non osservino la norma spontaneamente, per convinzione, tradizione o altro.

   GENERALITA’: generali sono quelle che non si rivolgono a questo o quell'individuo particolare, ma che si rivolgono a tutti gli individui che si trovano nella stessa situazione. Così, il codice civile non dice: "Caio deve rispettare il contratto di vendita" o "tizio deve rispettare il contratto di vendita", ma: "il venditore (che può essere Tizio, Caio, o chiunque altro si trovi a vendere) deve rispettare il contratto di vendita". In questo modo si creano regole che non cambiano da un individuo all'altro e che perciò sono certe e giuste.

   ASTRATTEZZA: astratte sono quelle che non si riferiscono a questa o a quella situazione particolare, ma che regolano tutte le situazioni di un certo tipo. Così, il codice civile non dice: "nel caso di morte di Tizio i parenti ereditano i suoi beni" o: "nel caso di morte di Caio i parenti ereditano i suoi beni", ma: "in caso di morte di una persona (che può essere la morte di Tizio, la morte di Caio, ecc.) i parenti ereditano i suoi beni". Anche in questo caso si ottengono norme che non cambiano da un caso all'altro, e perciò sono certe e giuste. Le altre prescrizioni giuridiche sono particolari e concrete: si rivolgono cioè  a questa o quella persona che si trova in questa o quella situazione determinata (si pensi ai provvedimenti amministrativi).

   NOVITA' Noi tutti siamo in grado di immaginare cosa ordinerà un vigile in una certa situazione, cosa stabilirà il giudice in una certa lite, come risponderà un funzionario alla richiesta di un certificato. Infatti, tutte queste persone non creano regole nuove, ma si limitano a rifarsi, ad adattare al caso particolare delle regole generali che già esistono. La prescrizione giuridica di un vigile, di un prefetto, di un giudice, non aggiunge perciò nuove regole a quelle esistenti. Invece la prescrizione giuridica del potere esecutivo (= la norma giuridica) costituisce una regola nuova, che si va ad aggiungere alle altre esistenti o che va a modificarle. E' questo che noi chiamiamo "novità" della norma giuridica. Ogni norma giuridica è un comando nuovo: o perché regola materie che prima non erano regolate; o perché cambia regole precedenti.

   COERCIBILITA’

La coercibilità è la possibilità che i singoli siano costretti a subire materialmente le conseguenze negative previste per il caso di violazione del diritto

Ad esempio un soggetto che ha compiuto un reato viene condannato a una pena detentiva. Siccome è improbabile che si presenti spontaneamente in carcere, la polizia ce lo condurrà con la forza.

Qual è l'importanza di classificare una prescrizione come norma giuridica o meno? Alle norme (e non alle altre prescrizioni giuridiche) si applicano alcuni principi:

   "Ignorantia legis non excusat"

   "Jura novit curia"

   Vengono applicate le regole sull'interpretazione

   La violazione delle norme legittima la ricorribilità per Cassazione

Il diritto vigente in Italia come nei paesi dell’Europa continentale ha i seguenti caratteri:

   E’ diritto scritto

   E’ diritto prodotto da autorità pubbliche attraverso i loro organi e non diritto consuetudinario

   E’ completo, nel senso che forma un insieme di regole che disciplinano tutti i casi e i fatti rilevanti nella nostra società (nell’antichità le regole scritte erano molto poche, e si doveva ricorrere non di rado alla consuetudine e alla sapienza degli anziani o “prudentes”)

   E’ diritto (almeno le norme di rango più elevato) parlamentare, cioè creato da organi rappresentativi dei cittadini

   E’ diritto di natura legislativa e non diritto giurisprudenziale: è emanato cioè da appositi organi legislativi distinti dal potere giudiziario, che non ha il potere di creare norme. Nel sistema italiano, i giudici sono “soggetti solo alla legge” (art. 101 Cost.) e non alle precedenti decisioni dei loro colleghi

   E’ coerente: non vi sono norme contraddittorie. Eventuali conflitti sono risolti eliminando una delle norme o interpretando le norme in conflitto in modo da eliminarne il contrasto

   E’ ordinato: le norme sono collegate tra loro: gerarchicamente (esistono norme superiori e norme inferiori che da esse traggono legittimità); attraverso il meccanismo della sanzione (esistono norme che prevedono una regola e norme che stabiliscono la sanzione per la violazione di quella regola); attraverso il meccanismo del processo e della interpretazione (esistono norme che si occupano dei procedimenti per interpretare le altre norme e dei procedimenti per dichiarare qual è la giusta interpretazione per il caso singolo); attraverso la regolazione della produzione del diritto (esistono norme che regolano la produzione di norme, e sono dette “norme sulla produzione” e norme che stabiliscono diritti ed obblighi per i cittadini e sono dette “norme di produzione del diritto”)

Il diritto consuetudinario è quello che si forma lentamente e spontaneamente nel corso dei secoli. Le società regolate dal diritto consuetudinario erano quelle anteriori alla Rivoluzione Francese. La consuetudine è tipica di società statiche e tradizionali, che cambiavano poco o nulla nel corso dei secoli. Oggi le società sono soggette a cambiamenti rapidissimi, e il diritto consuetudinario non è più in grado di regolare il loro funzionamento.

Il diritto giurisprudenziale (che nei paesi anglosassoni prende il nome di “common law”) non nasce da un atto del legislatore ma dalla decisione di un giudice: la soluzione di un caso deve nascere in concreto, dalla discussione delle buone ragioni dei litiganti. Esso è basato sulla regola del “precedente vincolante” (detta anche regola dello “stare decisis” = “attenersi alle decisioni già pronunciate”): i giudici, nella decisione, dovevano attenersi alle sentenze che avessero già risolto casi analoghi (chiamati “precedenti”). Questo sistema può sembrare rigido, ma in realtà gli organi giudiziari più elevati non sono vincolati dai precedenti dei giudici inferiori e neanche dai propri e inoltre, di fronte alla varietà dei casi c’è spesso la possibilità di dimostrare che il caso che si deve decidere è diverso da quello precedente. In questo modo i “precedenti” possono essere adeguati alla varietà dei casi della vita.

La quantità e il tipo di azioni che il diritto sottrae alle motivazioni individuali e regola con norme uniformi, non è sempre la stessa. Essa dipende da fattori storici e politici, che cambiano e seconda dei tempi e dei luoghi

In generale, il minimo di diritto (in pratica la difesa nazionale e la tutela dell’ordine pubblico) fu l’aspirazione del liberalismo del secolo scorso; il massimo di diritto per regolare ogni aspetto della vita dell’uomo è il traguardo delle società totalitarie.

Il diritto nella società democratica attuale è in una posizione complessa. Ad esso infatti si chiede di rispettare la libertà degli individui a anche di promuoverla e proteggerla. Ciò significa che la tutela dell’ordine pubblico è indispensabile ma non basta. Infatti devono essere sottoposte a regole giuridiche anche tutte quelle attività (soprattutto economiche) che possono creare privilegi a vantaggio di pochi e ingiustizie a danno di molti.

 

 

Il meccanismo di funzionamento delle norme giuridiche

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Molte norme giuridiche sono nella forma "se... allora..." (esempio: "Se una persona uccide un'altra persona sarà incarcerata")

Queste norme sono composte di due parti:

Una parte chiamata "fattispecie", che contiene la descrizione di un fatto (ad esempio: "mancato pagamento da parte del debitore")

Una parte chiamata "sanzione", che stabilisce la conseguenza collegata al verificarsi della fattispecie (ad esempio: "obbligo del debitore di risarcire i danni provocati al creditore col proprio mancato pagamento")

L'effetto che una norma giuridica prevede nella sanzione consiste sempre e solo nella nascita o nella modificazione o nella estinzione di una situazione giuridica soggettiva attiva o passiva per uno o più soggetti.

Esempio di fattispecie: assenza del professore per malattia

Esempio di sanzione collegata a tale fattispecie: 

·    Nascita di un obbligo di segnalazione e di un obbligo di giustificazione (invio del certificato medico) da parte del professore

·    Nascita del diritto del professore a rimanere a casa a curarsi;

·    Nascita dell'obbligo del Preside di sostituire il professore;

·    Nascita dell'obbligo della segreteria di annotare il numero di giorni di assenza.

Il meccanismo di funzionamento delle norme giuridiche è sempre lo stesso: la norma stabilisce che al verificarsi di un dato fatto (chiamato "fatto giuridico") si verifichi una delle seguenti conseguenze:

·    nascita di una situazione giuridica soggettiva nuova (es. nascita di un diritto);

·    estinzione di una situazione giuridica soggettiva già esistente (es. estinzione di un diritto);

·    trasformazione di una situazione giuridica esistente (es. un diritto di proprietà si trasforma in un diritto di usufrutto).

 

 

I vari tipi di sanzioni negative

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Il termine “sanzione” è frequentemente usato nel senso più ristretto di “sanzione negativa”. Per evitare la violazione delle norme giuridiche, è il diritto stesso a occuparsi di tale caso, prevedendo che si producano certi effetti negativi per coloro che le hanno violate. Queste conseguenze negative si denominano sanzioni e sono anch’esse stabilite  da norme giuridiche . Le sanzioni servono a scoraggiare quanti intendono agire diversamente da quel che il diritto prescrive: servono quindi a renderlo obbligatorio.

Le sanzioni sono di vari tipi:

   Sanzioni penali

Nel diritto penale per i reati sono previste pene detentive (che consistono nella privazione della libertà) e pene pecuniarie (che comportano un pagamento, cioè una privazione di beni) oltre a pene, dette accessorie, che si aggiungono alle precedenti in determinati casi

   Sanzioni amministrative

Nel diritto amministrativo il cittadino che viola i suoi doveri sarà obbligato a pagare multe o ammende. Contro il pubblico dipendente che viola i suoi doveri (per esempio risulta assente ingiustificato dal lavoro) potranno essere adottate sanzioni disciplinari (riduzione dello stipendio, destituzione ecc.)

   Sanzioni tributarie

Nel diritto tributario il contribuente che non paga le tasse dovrà pagare  in più delle sovrattasse (e, nei casi più gravi, incorrerà anche  in sanzioni penali)

   Sanzioni civili

Nel diritto privato la violazione dei diritti altrui attraverso un atto illecito comporta fondamentalmente l’obbligo del risarcimento del danno (ad esempio, nel caso di un tamponamento automobilistico, l’investitore che ha guidato con imprudenza deve risarcire la vittima del danno provocato). Le sanzioni di questo tipo tendono però, più che a punire, a riparare le violazioni del diritto e ad evitare che chi agisce contro il diritto possa trarre vantaggi dai propri atti

   Può essere considerata una specie di sanzione anche l’invalidità che è prevista nel caso in cui si compiano degli atti violando determinate prescrizioni giuridiche. L’effetto negativo consiste nella impossibilità di raggiungere lo scopo che ci si riprometteva compiendo quel certo atto

Una persona desidera acquistare un bene (una casa, un quadro d’autore, ecc.) che il proprietario non vuol vendere. Quella persona allora formula minacce contro di lui o la sua famiglia per spaventarlo e così convincerlo. Però una regola giuridica stabilisce che i contratti sono invalidi quando il consenso è stato estorto con la violenza. Quindi quella persona (oltre a rispondere del reato di estorsione) non riuscirà a ottenere la proprietà del bene.

Un elettore va a votare ma non segue le regole stabilite (per esempio non usa la scheda apposita ma un qualunque pezzo di carta): il suo voto è invalido e quindi non ha valore

La legge, invece di minacciare effetti negativi, può proporre premi a coloro che si comporteranno secondo le indicazioni del diritto. Ad esempio per indurre gli imprenditori a effettuare investimenti o assunzioni di lavoratori si promettono loro degli incentivi (finanziamenti agevolati, diminuzioni delle imposte, ecc.). Dal campo economico questa tecnica è passata ad altri settori per la verità più delicati. Ad esempio, per indurre gli imputati di reati mafiosi a collaborare con il giudice, si promette loro uno sconto di pena se denunciano coloro che fanno parte dell’organizzazione criminale.

Nei casi in cui è prevista una pena o una sanzione il dovere di obbedire alla norma è assoluto.

Nei casi in cui è prevista l’invalidità c’è un dovere  meno intenso. La norma dice: “se vuoi compiere un atto valido (contratto, voto ecc.) devi comportarti in questo modo”

 

 

Le forme in cui può essere espressa una prescrizione giuridica

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Non si devono confondere le regole o prescrizioni con i "comandi". Le prescrizioni possono essere espresse in molte forme, non necessariamente di comando:

·    Comandi ("fai questo", "devi fare questo")

·    Divieti ("non fare questo", "è vietato fare questo")

·    Permessi ("puoi fare questo", "è permesso fare questo", "hai diritto di fare questo")

·    Ipotesi ("Se farai questo, allora accadrà quest'altro")

·    Norme di struttura ("I deputati sono seicentotrenta")

·    Norme di qualificazione ("E' figlio legittimo chi è nato da genitori legalmente sposati")

·    Principi ("L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro")

·    Attribuzione di poteri ("Il Questore può ordinare ad un corteo di sciogliersi")

Le prescrizioni giuridiche hanno in comune il fatto che provengono dalla autorità che detiene il potere sovrano, e che minaccia delle sanzioni a chi non le osserva. Questa autorità può essere lo stesso popolo (si pensi alle consuetudini dei pastori, degli ateniesi dell'antichità ecc.) o un soggetto che sia investito di un apposito potere. Le prescrizioni, insomma, provengono sempre dallo Stato o da una autorità dello Stato.

Le prescrizioni giuridiche hanno in comune lo scopo di influenzare i comportamenti dei cittadini al fine di coordinarli evitando conflitti violenti di interessi

 

 

Norme speciali ed eccezionali

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La generalità porta con sé l’uniformità di trattamento e quindi l’uguaglianza di tutti di fronte alle norme giuridiche

L’astrattezza comporta la stabilità del diritto nel tempo (fino a quando quella norma giuridica non sarà sostituita da un’altra)

La generalità può talora cedere il passo a norme speciali che riguardano non tutti ma solo alcuni tra gli appartenenti alla società. Le norme speciali servono quando occorra una differenziazione di trattamento. L’esigenza di distinguere è frequente nell’attuale momento storico, in cui il diritto è divenuto uno strumento di riforma sociale. Esso serve per realizzare una maggior giustizia nella società, per favorire i più deboli e limitare il potere dei più potenti.

Ad esempio, nel diritto del lavoro, la legge non tratta allo stesso modo lavoratori e datori di lavoro. Essa distingue la posizione degli uni e degli altri perché si propone di sostenere i più deboli (i lavoratori che vivono dello stipendio o del salario ricevuto, di fronte ai più forti (i datori di lavoro che presumibilmente hanno maggiori risorse.

Lo stesso avviene in materia di affitto della abitazioni, nei rapporti tra proprietari e inquilini, ecc.

In questi casi la generalità non scompare ma viene per così dire, a suddividersi, sempre però in base a criteri obiettivi. All’interno delle categorie così individuate (per esempio datori di lavoro e lavoratori) continuerà a operare  l’uniformità di trattamento e cioè il principio della generalità. Quindi ciò che il diritto del lavoro stabilisce per i datori di lavoro si applicherà a tutti i datori, ciò che stabilisce per i lavoratori a tutti i lavoratori.

Anche l’astrattezza delle norme giuridiche può subire delle attenuazioni. Ciò accade nei momenti di emergenza, quando si emanano norme giuridiche eccezionali, destinate cioè a valere in una concreta situazione storica e a scomparire non appena quella situazione è superata. E’ però un brutto segno se si emanano norme eccezionali di frequente: ciò significa che la vita sociale procede più rapidamente del diritto e che questo deve rimediare a situazioni di fatto non previste, che si sono sviluppate in assenza di regole giuridiche.

Sono esempi di norme eccezionali tutte quelle  con le quali vengono “sanati” comportamenti contrari al diritto: le amnistie che cancellano certi reati; i condoni fiscali che permettono a chi ha evaso le imposte di mettersi in regola pagando meno del dovuto; i condoni edilizi che, a pagamento, regolarizzano le costruzioni abusive, ecc.

Altri esempi sono rappresentati dalle norme dettate di tempo in tempo per combatter con particolare efficacia il terrorismo oppure la mafia e le altre organizzazioni criminali. Tali norme eccezionali sono ammissibili se servono per affrontare e risolvere situazioni di emergenza, quindi se operano per un tempo limitato

Sono norme eccezionali quelle destinate a regolare situazioni temporanee, e quindi che rimangono in vigore per un tempo limitato.

 

 

L’ordinamento giuridico

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Le norme giuridiche sono le prescrizioni giuridiche più importanti, sulle quali tutte le altre in un certo senso si basano. L'insieme delle prescrizioni del potere legislativo, cioè  le norme giuridiche, formano quell'insieme di regole che si chiama "ordinamento giuridico", o "legge" o "diritto".

 

 

Diritto e morale. Diritto naturale e diritto positivo.

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Le norme del diritto possono contrastare col sentimento morale. E’ il caso del diritto ingiusto, nel quale si pone il problema della disobbedienza (spesso si parla a questo proposito di disobbedienza civile). Si crea allora un conflitto tra il dovere giuridico e il dovere morale, tra cui i singoli debbono scegliere.

Nel concetto di disobbedienza civile o resistenza al diritto ingiusto è compresa l’assunzione a viso aperto delle conseguenze dei propri atti. Si tratta perciò di comportamenti responsabili (e molto rispettabili anche da parte di chi non li condivide), tenuti con l’intenzione di testimoniare i valori in cui si crede o di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica allo scopo di promuovere una presa di coscienza che porti al mutamento della legge.

Secondo il positivismo giuridico non c’è altro diritto che quello posto dallo stato con le sue leggi. Pertanto lo stato nel creare il diritto è onnipotente, poiché non incontra alcun limite.

Secondo il giusnaturalismo invece, esiste un diritto più alto di quello scritto dagli uomini nelle leggi: un diritto corrispondente all’idea di giustizia e di morale che il diritto stabilito dagli uomini deve rispettare.

Secondo il giusnaturalismo, se c’è contrasto tra diritto naturale e il diritto positivo occorre obbedire al primo e disobbedire al secondo. Il diritto naturale rappresenta quindi un limite all’onnipotenza del legislatore e un fattore di trasformazione del diritto positivo.  Al diritto naturale si sono sempre appellati infatti, coloro che hanno cercato di rendere più giusto il diritto del loro tempo. In particolare, nel 1600 il diritto naturale fu un’arma formidabile nella lotta contro gli arbitri del sovrano assoluto. I teorici del diritto naturale asserirono che esistevano dei diritti naturali della persona che anche il sovrano doveva rispettare.

Quali siano i contenuti del diritto naturale è da sempre oggetto di discussione. Al di là dei diritti fondamentali della persona, ad esempio, i liberali considerano la proprietà un diritto naturale, mentre i socialisti lo considerano il massimo dell’immoralità.

 

 

I significati della parola “legge”

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La parola “legge” può avere diversi significati

   In frasi come: "la legge (= l'insieme delle norme giuridiche) è uguale per tutti"; "Il diritto degli antichi romani (= l'insieme delle norme giuridiche degli antichi romani) veniva osservato in tutto il Mediterraneo"; "L'ordinamento giuridico italiano (= l'insieme delle norme giuridiche italiane) non conosce la pena di morte" le parole "legge", "diritto" e "ordinamento" significano "insieme di norme giuridiche", cioè  "insieme di regole di condotta".

   In frasi come “la legge n. 234 del 3 luglio 1990 regola la materia degli appalti” la parola “legge” indica un insieme di norme, che però non sono l’intero ordinamento

   In frasi come “la legge del Parlamento prevale sui regolamenti del Governo” la parola “legge” significa “fonte del diritto”, cioè “atto che crea norme giuridiche” o, come anche si dice, “fonte di produzione” del diritto

   In frasi come “devo leggere la legge per vedere quali sono i miei diritti” la parola “legge” significa “documento contenente il testo delle norme”, o, come anche si dice “fonte di cognizione” del diritto

 

 

I significati della parola “diritto”

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La parola “diritto” può assumere diversi significati

   La parola "diritto" significa "giusta (cioè  legittima) pretesa", nelle frasi: "Ho diritto di manifestare la mia opinione", "I genitori debbono riconoscere i diritti dei figli" ecc.

   La parola “diritto” può indicare l’intero ordinamento giuridico (“il diritto dei romani si diffuse in tutto il mediterraneo”)

   In frasi come “il diritto penale italiano non prevede la pena di morte” la parola “diritto” indica un complesso di norme meno vasto dell’ordinamento giudico (in questo caso l’insieme delle norme del codice penale)

 

 

L’interpretazione

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Si dice che il giudice applica le norme giuridiche al caso che ha davanti,emettendo una sentenza. Per poter far questo egli deve compiere tre distinte operazioni.

   La prima operazione è quella della ricostruzione dei fatti. Il giudice stabilisce come si sono svolti i fatti sentendo i testimoni, valutando le prove, prendendo visione dei documenti. In questa prima fase egli agisce come uno storico: cerca di ricostruire come si sono svolti fatti del passato.

   La seconda operazione è quella della ricerca della regola da applicare. Il giudice deve trovare la norma giuridica da applicare ai fatti che ha ricostruito. Per far questo egli deve anzitutto leggere il testo delle norme che si occupano di quella particolare materia (codice civile, codice penale, raccolta delle leggi amministrative) e interpretarlo, cioè  dare ad esso un significato.

Questa è la fase della interpretazione delle norme.

Successivamente egli confronta le fattispecie astratta delle norme che ha interpretato con la fattispecie concreta (il fatto che ha ricostruito) e trova la norma che descrive esattamente quel fatto.

Si dice “fattispecie astratta” la descrizione, contenuta nella legge, di un fatto

Si dice “fattispecie concreta” il fatto effettivamente accaduto, che il giudice deve giudicare

Questa è la fase della individuazione della norma rilevante.

   La terza operazione consiste nel collegare al caso la conseguenza prevista dalla norma giuridica pronunciando la sentenza. Questa è la fase della applicazione della norma.

 

Ci occuperemo qui di seguito dei problemi della INTERPRETAZIONE.

Dare un significato alle parole di cui sono composte le norme non è sempre facile. Facciamo un esempio. Nel diritto italiano il furto viene vietato attraverso la seguente disposizione: "chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da lire 60.000 a 1.000.000" (articolo 624 del codice penale). In base a questa disposizione possono essere considerati come "furti" e quindi puniti a norma dell'art. 624 del codice penale soltanto quei comportamenti che rientrano in quella definizione. In apparenza la definizione è chiara e non ha bisogno di particolari spiegazioni: se una persona penetra abusivamente nel mio appartamento e mi ruba l'impianto stereo è abbastanza evidente che ci troviamo di fronte a un caso concreto che corrisponde a quello descritto dalla legge, ossia a un furto. Ma si possono verificare casi particolari in cui l'applicazione di quella norma può suscitare dubbi. Osserviamo questi tre casi: 1) un bambino di 5 anni porta via un giocattolo a un suo compagno di giochi; 2) una persona allaccia abusivamente il suo impianto elettrico al contatore del vicino sottraendogli l'energia elettrica; 3) il cassiere di una banca sottrae alla cassa, che egli stesso maneggia, alcuni milioni di lire. Questi fatti sono da considerare come furti? Tutto dipende dal significato che si attribuisce alle parole usate dal legislatore nell'art. 624. Per quanto riguarda il primo esempio occorre decidere il significato della parola "chiunque": essa comprende anche i bambini? Per il secondo esempio occorre decidere il significato della parola "cosa mobile": essa comprende anche l'energia elettrica? Per il terzo esempio occorre decidere il significato dell'espressione "sottraendola a chi la detiene": se detenere significa possedere, sicuramente il cassiere può essere accusato di furto perché quel denaro non apparteneva a lui ma alla banca, ma se detenere significa avere la disponibilità materiale della cosa, il cassiere non può essere accusato di furto, perché egli aveva già la diretta disponibilità del denaro che ha sottratto (ma può essere eventualmente accusato di un altro reato).

Qualsiasi norma, per quanto sia formulata in modo chiaro e univoco, può presentare incertezze di fronte alla molteplicità dei casi concreti. Non è quindi possibile applicare una norma se prima non la si interpreta, ossia se non si definisce esattamente il suo significato.

 

Secondo l’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”

Vediamo quindi che il legislatore indica due tipi di interpretazione:

   Interpretazione letterale (“l'interprete deve basarsi innanzi tutto sul "significato proprio delle parole secondo la connessione di esse")

   Interpretazione basata sull’intenzione del legislatore o teleologica  (l’interpretazione deve basarsi "sull'intenzione del legislatore")

 

L'interpretazione letterale consiste nel comprendere il significato delle parole e delle frasi, muniti di dizionario e vedere se si riesce a dare loro un senso. Per poter interpretare letteralmente una norma è indispensabile conoscere il linguaggio giuridico, che è un linguaggio tecnico, in cui le parole della lingua italiana assumono un significato più preciso e talvolta differente che nell'ordinaria conversazione, e sono anche presenti parole non usate normalmente nella lingua corrente. Per esempio le parole: "parente", "affine", "impresa", "bene", "errore", "violenza", "possesso" e moltissime altre hanno nel linguaggio giuridico un significato tecnico rigoroso che non va confuso con il significato usuale di questi termini. Esistono poi termini che il linguaggio corrente non usa, o usa molto raramente, come "obbligazione", "usucapione", "rescissione", "impugnazione", "delibazione", "gravame" ecc. Occorre inoltre tenere conto delle regole della grammatica e della sintassi,dei segni di punteggiatura ecc. Si confrontino ad es. queste due diverse frasi: "I ragazzi che non conoscevano Paolo lo hanno trovato simpatico" e "I ragazzi,che non conoscevano Paolo, lo hanno trovato simpatico". Nel primo caso si vuol dire che solo una parte dei ragazzi (quelli che non lo conoscevano ancora) ha trovato Paolo simpatico; nel secondo caso si vuol dire che tutti i ragazzi (nessuno dei quali lo conosceva) hanno trovato Paolo simpatico.

Per l'interpretazione letterale non è sufficiente conoscere il linguaggio giuridico, ma occorre anche utilizzare eventualmente le altre norme che stabiliscono il significato dei termini che si leggono. Per esempio, l'art. 566 del codice civile stabilisce che "al padre e alla madre succedono i figli legittimi e naturali in parti eguali". Per stabilire cosa il codice intenda per "figli legittimi" occorre leggere l'art. 231, che stabilisce che il figlio legittimo è quello concepito durante il matrimonio. Per capire cosa intenda il codice con "concepito durante il matrimonio" si dovrà poi andare a leggere l'art. 232 e così di seguito.

 

Ogni norma nasce con uno scopo, cioè mira a un risultato concreto. Secondo l’art. 12 delle Disposizioni occorre badare all’intenzione del legislatore. Esistono due nozioni di “intenzione del legislatore”: a) intenzione effettiva dei soggetti che hanno approvato la legge (intenzione soggettiva); b) intenzione che muoverebbe il legislatore se la legge venisse approvata nel momento in cui la si deve applicare (intenzione oggettiva)

In genere si accoglie la seconda nozione, e si ricerca l’intenzione oggettiva del legislatore.

Si parla di interpretazione basata sull’intenzione del legislatore o teleologica

Facciamo un esempio di interpretazione teleologica. Se una norma dice che "debbono essere messi in quarantena e vaccinati tutti i cittadini che hanno pericolose malattie contagiose" non c'è dubbio che occorre estendere il significato della parola "cittadini" fino a comprendervi tutte le persone, anche prive di cittadinanza, che soggiornano in Italia, perché lo scopo della norma è evidentemente quello di evitare il diffondersi di epidemie pericolose, e non si può raggiungere tale scopo se non applicandola anche a non-cittadini.

Ma non basta ricostruire la funzione originaria della norma ai tempi in cui fu emanata. L’interprete deve piuttosto chiedersi a che cosa può servire una certa norma OGGI.

Facciamo un esempio in cui la ratio attuale è diversa dalla ratio  originaria Il divieto di sciopero nei pubblici servizi era una norma che nell’ordinamento fascista serviva ad assicurare il massimo della produzione e della ricchezza per la collettività, reprimendo (insieme alla analoga norma sullo sciopero nel settore privato) qualsiasi tentativo di interruzione della produzione di beni e servizi. Oggi, essa serve a tutelare i diritti fondamentali degli individui (si pensi a cosa succederebbe nel caso di sciopero della polizia) e a far sì che un minimo di servizi pubblici essenziali non venga mai meno. Si dice che l’interprete cerca la ratio  attuale della norma.

Facciamo un altro esempio in cui la ratio attuale è diversa dalla ratio  originaria. In Italia esiste un monopolio pubblico della radio (e televisione) nato sotto il fascismo. L'intenzione del legislatore fascista era di fare della radio uno strumento di propaganda per la diffusone delle idee del regime e di "fascistizzazione" della popolazione. Con la nuova Costituzione, basata sui principi di libertà,pluralismo ideologico e culturale, ecc. ci si è chiesti se il monopolio statale avesse ancora ragione d'essere. Se si fosse interpretata la norma secondo l'intenzione originaria certamente no. Invece, ci si è liberati da essa e si è ricercata una ragione attuale della norma. Allora, si è riposto che il monopolio serve come garanzia che l'informazione non cada nelle mani di pochi privati. Si è così convertita l'intenzione iniziale in una più attuale,sottoponendo la norma sul monopolio statale ad una nuova interpretazione.

Naturalmente, da questa operazione sono derivate conseguenze importanti: secondo l'impostazione iniziale, i servizi radio (televisivi) dovevano essere sotto il controllo del Governo; oggi devono essere sotto il controllo più ampio possibile (del Parlamento), per consentire il massimo di pluralismo,completezza, imparzialità ecc.

 

Una interpretazione come quella dell’esempio indicato, che adegua il significato della norma alla situazione attuale, prende il nome di interpretazione evolutiva, perché cerca di adeguare il diritto ai bisogno sociali staccandolo dalle sue ragioni di origine.

 

Talvolta l’interpretazione letterale porta ad attribuire a certi termini un significato più ristretto o più ampio in seguito alla lettura di altre norme. Per esempio la norma che vieta l'omicidio è così formulata: "chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno" (articolo 575 del codice penale). A una prima lettura il significato di questa disposizione appare chiaro, ma essa non può essere effettivamente compresa se non facendo riferimento agli articoli 85 e seguenti del codice penale: da essi si ricava infatti che i minori di 14 anni e gli incapaci di intendere e di volere non possono comunque essere punibili. Ecco quindi che il significato della parola "chiunque" va opportunamente ristretto.

Altre volte è l’interpretazione teleologica che porta ad estendere o restringere il significato di un termine. E’ questo il caso della norma di uno degli esempi precedenti, secondo cui "debbono essere messi in quarantena e vaccinati tutti i cittadini che hanno pericolose malattie contagiose", in cui il significato della parola "cittadini" viene esteso fino a significare “persone che si trovano in Italia”

In entrambi questi casi l’interpretazione letterale o quella teleologica hanno prodotto una interpretazione restrittiva (primo caso) o una interpretazione estensiva (secondo caso)

 

Abbiamo già visto che sovente, per poter stabilire il significato letterale di una norma occorre rifarsi ad altre norme. Questo è un caso particolare di un fenomeno più generale: ogni volta che una norma, da sola, non basta ad indicare la disciplina di un caso concreto o addirittura quando manchi una norma per un caso concreto, si deve ricorrere alla interpretazione coordinata di una o più altre norme. In questo caso si parla di interpretazione sistematica.

Vi sono diversi tipi di interpretazione sistematica:

   Il caso più semplice è quello che abbiamo visto, in cui si utilizzano altre norme che definiscono il significato dei termini contenuti in quella da interpretare ("figlio legittimo", "matrimonio", "possesso" ecc.).

   Un altro caso si ha quando si mette a confronto la norma da interpretare con una norma che pare stabilire una regola contraria. Queste situazioni di apparente contrasto si dicono ANTINOMIE.

Da una antinomia può nascere una interpretazione anche molto differente da quella letterale.

Consideriamo qualche esempio. L'art. 27 della Costituzione dice che "la responsabilità penale è personale", cioè  non è colpevole di reato colui che non ha commesso il fatto personalmente. Tuttavia, l'articolo 57 del codice penale dice che "il direttore del giornale è responsabile dei reati commessi col mezzo della stampa dai suoi collaboratori" (per esempio un giornalista, ad insaputa del direttore,scrive e fa pubblicare un articolo in cui insulta un privato cittadino). Si tratta di due articoli rivolti ai giudici, il primo dei quali può essere formulato in questo modo: "i giudici non devono condannare chi non abbia commesso personalmente il fatto"; il secondo dei quali può essere formulato in questo modo: "i giudici devono condannare qualcuno (il direttore) anche se non ha personalmente commesso il fatto".

Una prima soluzione è quella di ritenere che la norma della Costituzione prevale su quella del codice penale e considerare quest'ultima abrogata (si avrà allora interpretazione abrogativa).

Ma il giudice può modificare l'interpretazione letterale della PRIMA norma. Egli allora stabilisce che il divieto della Costituzione non è assoluto, ma tollera delle eccezioni, e quindi salva entrambe le norme, leggendo quella della Costituzione così: "I giudici non debbono condannare chi non abbia commesso il fatto salvo che non si tratti del direttore di un giornale". Oppure il giudice può modificare l'interpretazione letterale della seconda norma. Egli stabilisce che l'articolo 57 del codice penale non aveva voluto dire che il direttore è responsabile anche se l'articolo viene pubblicato a sua insaputa e senza sua colpa, ma che egli è responsabile perché deve vigilare sugli articoli dei giornalisti, e può essere condannato quindi solo per negligenza. Se il giornalista pertanto gli ha presentato con l'inganno un articolo con un testo diverso da quello che ha dato poi per la stampa il direttore non sarà condannabile. L'art. 57 si dovrà quindi leggere non più come se significasse: "i giudici devono condannare qualcuno (il direttore) anche se non ha personalmente commesso il fatto", ma come se significasse: "i giudici devono condannare qualcuno (il direttore) se non ha commesso materialmente il fatto, ma tuttavia è Stato negligente".

   Un altro caso di interpretazione sistematica si ha quando manca la norma per il caso che il giudice ha dinanzi ma esiste una norma per un caso simile. Si ricorre allora a quel particolare tipo di interpretazione sistematica che è l'interpretazione analogica .

Si ha interpretazione analogica quando si utilizza per il caso privo di regola la norma che la legge ha stabilito per un caso simile. In questo caso non si potrebbe parlare propriamente di interpretazione di una norma esistente, quanto piuttosto di creazione di una norma che non c'è. Il giudice può creare addirittura una norma nuova perché è autorizzato a ciò dall'articolo 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, che dice: "Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe".

Il legislatore pone precisi limiti all'impiego dell'analogia: l'analogia non è possibile rispetto alle leggi speciali o eccezionali né  rispetto alle leggi penali. In altre parole, il giudice non può ricavare una regola contenuta in una legge penale, speciale o eccezionale ed applicarla ad un caso simile.

Facciamo un esempio di "interpretazione" analogica. Nella nostra legislazione non trova disciplina il "leasing", cioè  quel contratto col quale un soggetto conferisce a un altro l'uso di un bene, dietro il pagamento di una certa somma a scadenze fisse, con il diritto di questi, se lo ritiene, di acquistare il bene scalando dal prezzo le somme già pagate. Si tratta di un contratto nuovo e molto usato ma che, al tempo in cui fu fatto il codice civile, non era conosciuto. Questo contratto presenta analogie con il contratto di affitto e con la vendita a rate nella quale il proprietario iniziale trasmette la proprietà solo al momento del pagamento dell'ultima rata (vendita con patto di riservato dominio). I giudici, in effetti, per analogia si ispirano a questi altri due contratti, disciplinati espressamente dalla legge, per ricavare le norme relative al leasing.

   Un altro caso si ha quando manca la norma per il caso che il giudice ha davanti e non esiste una norma che disciplina casi simili. In tale situazione si utilizzano i principi generali dell'ordinamento giuridico.

I principi generali dell'ordinamento giuridico sono delle norme molto generali ma NON SCRITTE. Questo procedimento è autorizzato sempre dall'articolo 12 delle disposizioni preliminari, nel caso che l'interpretazione analogica fallisca. E' come se il legislatore ci dicesse che esistono, accanto alle che egli ha scritto anche norme che egli non si è preoccupato di scrivere, limitandosi ad applicarle ai casi che gli sembravano più importanti, e lasciando al giudice il compito di applicarle agli altri casi. Come si possono trovare queste norme non scritte? Le leggi contengono molte norme simili, che sembrano esprimere una idea comune di come debbano essere regolati certi aspetti dei rapporti umani. Si può cercare di risalire da queste norme particolari alla idea che sembra avere ispirato il legislatore nello scriverle.

Consideriamo il seguente esempio. Molto poche sono le norme che stabiliscono che gli atti giuridici debbono avere una determinata forma. Quindi si può concludere che l'idea del legislatore fosse che la forma degli atti dovesse essere libera, tranne casi eccezionali.

Consideriamo, come altro esempio, le seguenti norme: art. 1189 codice civile:

·    "Il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche. è liberato se prova di essere Stato in buona fede (cioè  di essere caduto in errore senza colpa)";

·    art. 1445 codice civile: "L'annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento";

·    art. 1415: "La simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti né dagli aventi causa o ai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquiStato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione";

·    art. 1396 codice civile: "Le modificazioni e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. In mancanza, esse non sono opponibili ai terzi, se non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione del contratto".

Da tutti questi articoli emerge una idea comune: che gli atti (contratti, pagamenti ecc.) chele persone compiono in buonafede, cioè  facendo affidamento su quella che a chiunque sarebbe apparsa la effettiva situazione, debbono essere considerati validi a tutti gli effetti. Altrimenti, se ogni volta si facesse valere la vera situazione, le persone avrebbero paura di contrattare, per timore di vedersi togliere all'improvviso i diritti acquistati, e questo costituirebbe un ostacolo ai traffici e all'attività economica.

Consideriamo come terzo esempio le seguenti norme:

·    Art. 1174 codice civile: "la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore"

·    Art. 833 codice civile: "il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri".

Da questi due articoli si può dedurre che il legislatore non vede di buon occhio coloro che abusano del proprio diritto senza un reale interesse, e questo principio può essere applicato per risolvere altri casi che il legislatore non ha regolato espressamente.

Altri principi generali ricavabili dall'ordinamento giuridico sono:

·    Il principio che fa divieto a tutti (individui, Stato e suoi organi) di danneggiare il prossimo.

·    Il principio secondo il quale i contratti sono validi solo se le obbligazioni alle quali le due parti si sottomettono (compiere una certa attività, scambiarsi beni o scambiare denaro in cambio di attività o di altri beni) abbiano un valore economico proporzionato; 

·    il principio di buona fede o di lealtà nei rapporti reciproci, che vale sia nei rapporti tra i privati che in quelli tra apparati pubblici (per es. tra lo Stato e le Regioni);

·    Il principio secondo cui tutto ciò che non è vietato è permesso, valido nel diritto privato e non nel diritto pubblico, dove esiste l’opposto principio che è permesso solo ciò che è consentito dalla legge;

·    Il principio della motivazione, secondo cui tutti gli atti della pubblica amministrazione che limitano i diritti dei privati (es. la revoca di una licenza, un atto di esproprio, ecc.) devono essere motivati.

Si faccia attenzione alla differenza tra la interpretazione che ricorre alla analogia o ai principi generali e la interpretazione estensiva: nel caso della interpretazione estensiva la norma esiste e viene soltanto modificato il suo significato; nel caso dell'analogia e dei principi generali, la norma non esiste e viene ricavata da altre norme esistenti.

Può darsi che la norma esista ma il giudice non la conosca (in Italia esistono 150.000 leggi!). Tuttavia, fin dai tempi degli antichi romani si diceva: "iura novit curia", "il giudice (deve) conosce(re) le leggi". Pertanto il giudice sarebbe condannato per cattivo esercizio del suo ufficio e la sua sentenza sarebbe annullabile.

   Ma può anche capitare che malgrado tutti gli sforzi del legislatore, sia difficilissimo trovare una norma, se non a costo di deformare e stravolgere il senso delle leggi. In qualche caso il giudice può ancora emettere la sentenza ragionando così: se non c'è una norma vuol dire che il legislatore ha voluto dichiarare inapplicabili al caso in questione tutte le norme esistenti.

Si consideri il seguente esempio. In uno Stato monarchico manca una disposizione che regoli la successione al trono nel caso di estinzione della famiglia reale. A chi spetta la corona nel caso in cui tutti i membri della famiglia reale, compresi i parenti più remoti, sono morti? In base al ragionamento che abbiamo indicato, un giudice risponderà che poiché il caso non trova nell'ordinamento nessuna norma che lo riguardi, è evidente che non si sono volute porre norme riguardanti la forma di governo al di fuori del caso di esistenza della famiglia reale. Pertanto la Corona non spetta a nessuno, vale a dire: lo Stato e i sudditi sono liberi da qualsiasi limitazione, la quale sia relativa all'esistenza di un re, e quindi avranno il diritto di respingere la pretesa di chiunque volesse farsi riconoscere come re.

Ma se non vuole accogliere questo ragionamento piuttosto complicato, potrà il giudice rifiutarsi di deformare e stravolgere le leggi per trovare una risposta? Nient'affatto. Vale per l'ordinamento italiano quel che stabilisce il codice civile francese: "Il giudice che ricuserà di giudicare, sotto pretesto del silenzio, dell'oscurità od insufficienza della legge, potrà essere processato come colpevole di denegata giustizia". Cioè  egli deve comunque trovare una norma: solo in casi molto particolari, come nell'art. 1226 del codice civile il legislatore riconosce che non esistono norme e consente al giudice di giudicare "secondo equità", cioè  come meglio gli sembra.

 

Malgrado tutte le norme sulla interpretazione, è pur sempre possibile che due giudici, chiamati a giudicare cause simili, emettano sentenze diverse. Poiché però non è ammissibile che ciascun giudice interpreti il diritto a suo piacimento, esiste un organo (la Corte di Cassazione) al quale le parti del processo che si sono viste dar torto possono rivolgersi come ultima possibilità. A tale organo è attribuito il compito di rendere uniformi le interpretazioni. Ciò è possibile perché esso ha il potere di annullare (cassare) le sentenze basate su interpretazioni diverse da quella che considera esatta.

 

L’interpretazione dottrinale è quella proposta dagli studiosi del diritto (complessivamente indicati come “la dottrina”). La dottrina non vincola nessuno, ma può essere un aiuto importante per i giudici.

 

L’interpretazione amministrativa è quella che viene data dalla pubblica amministrazione alle legge che deve eseguire. La Pubblica Amministrazione ha una struttura piramidale (o gerarchica) con al vertice un capo. Quando esistono problemi interpretativi, vengono emanate dall’alto (cioè dai ministeri) della circolari interpretative. L’interpretazione che esse contengono vincola tutti i subordinati. I cittadini invece non ne sono vincolati: se la ritengono erronea possono rivolgersi al giudice il quale non è vincolato dalla circolare.

 

L’interpretazione giudiziaria è quella che è adottata dai giudici nelle loro sentenze. Essa vale esclusivamente nei confronti delle parti del giudizio, i soggetti cioè che vi sono direttamente coinvolti.

L’insieme delle sentenze costituisce la giurisprudenza. Se è conforme, cioè tutta orientata nello stesso modo ha particolare peso. Infatti, pur non essendo obbligatoria, i giudici tenderanno ad adeguarsi ad essa per non vedere le loro sentenze probabilmente annullate in caso di ricorso

Esistono due importanti principi relativi alla interpretazione giudiziaria:

   L’interpretazione del giudice ha “autorità di cosa giudicata nella controversia particolare”

Quando sono stati esauriti tutti i mezzi di riesame della sentenza (appello, ricorso per cassazione), o quando sono scaduti i termini per utilizzare questi mezzi, la sentenza acquista "efficacia di cosa giudicata": in altre parole, non è più modificabile né rivedibile, e le parti non possono più chiedere una nuova sentenza sullo stesso caso

   L’interpretazione del giudice “ha autorità non oltre il caso concreto”

Vuol dire che la regola stabilita dal giudice si applica solo al caso che gli è stato presentato. Eventuali altri casi identici che si verifichino successivamente o tra altri soggetti debbono essere nuovamente giudicati, eventualmente da un altro giudice, perché non si può semplicemente estendere ad essi la sentenza emessa per il primo.

 

L’interpretazione autentica è quella che viene fornita dallo stesso legislatore. Quando una legge è poco chiara e le interpretazioni date dalla giurisprudenza sono contraddittorie, il Parlamento può approvare una nuova legge, in cui precisa il significato della legge anteriore. L’interpretazione autentica è vincolante per tutti. Essa è anche retroattiva, poiché si considera che l’interpretazione imposta dal legislatore sia quella che avrebbe dovuto essere data alla legge fin dalla sua entrata in vigore

 

 

Nozione di “fonte del diritto”

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Le norme giuridiche sono create dalle fonti del diritto. Le fonti del diritto sono quegli atti di comando o quei fatti come la consuetudine attraverso i quali vengono create norme giuridiche.

Si dice anche che l'ordinamento giuridico è creato dalle fonti del diritto. Possiamo quindi definire le fonti del diritto come quegli atti o quei fatti che possono creare, modificare o estinguere le norme di un ordinamento giuridico

Quando si leggono i termini "Costituzione", "Legge", "Regolamento" ecc. si deve stare attenti al contesto: essi possono significare sia "insiemi di norme", sia "atti che creano norme". Così, se io dico: "La legge del Parlamento è una fonte del diritto" è come se dicessi: "L'atto di comando del Parlamento è una fonte del diritto"; se io dico: "La Costituzione è una fonte superiore a tutte le altre" è come se dicessi: "L'atto di comando dell'Assemblea Costituente prevale su tutti gli atti di comando delle altre autorità (Parlamento ecc.)"; se io dico: "I regolamenti governativi possono disciplinare l'organizzazione dei ministeri" è come se dicessi: "Gli atti di comando del Governo possono creare norme che regolano il funzionamento dei ministeri". 

 

 

Atti che creano prescrizioni giuridiche ma non sono fonti

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Occorre fare bene attenzione a chiamare "fonti del diritto" solo gli atti che creano norme giuridiche. Gli atti che creano prescrizioni giuridiche diverse da norme giuridiche non sono "fonti del diritto"

Così, ad esempio, un ordine della Polizia o del Prefetto non è una fonte del diritto, perché è un atto che crea prescrizioni che non sono norme giuridiche L'atto del giudice non è una fonte del diritto, perché crea una sentenza, che non è una norma giuridica, ma una prescrizione diversa da una norma. Un contratto tra privati cittadini non è una fonte del diritto, perché non crea norme giuridiche.

 

 

La Costituzione

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La Costituzione della Repubblica Italiana è composta da 139 articoli, che si occupano:

   dei diritti fondamentali dei cittadini (libertà personale, di pensiero, di associazione ecc.);

   delle regole del funzionamento degli organi dello Stato-apparato, specie del parlamento e del Governo e della Magistratura (ma un po' anche della Pubblica Amministrazione);

   dei principi che debbono regolare i rapporti con la chiesa e con gli altri stati;

   dei principi fondamentali che debbono essere alla base della vita sociale e che le leggi del Parlamento debbono contribuire a realizzare: eguaglianza, solidarietà, aiuti ai bisognosi, sviluppo della cultura, tutela della famiglia, tutela dei lavoratori, sviluppo dell'attività economica ecc.;

   dei principi che in particolare debbono essere alla base dei rapporti economici tra le persone: funzione della proprietà, rapporti sindacali ecc.

La Costituzione è stata redatta dall'Assemblea Costituente, che fu eletta a suffragio universale il 2 gennaio del 1946, all'indomani della seconda guerra mondiale e della liberazione dall'occupazione tedesca. Contemporaneamente all'elezione dell'assemblea costituente i cittadini furono chiamati a scegliere tra Monarchia e Repubblica, e la forma che prevalse fu la Repubblica.

Dopo un periodo di alcuni mesi in cui fu lasciata in visione presso ogni Comune, la Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio 1948 e l'Assemblea Costituente si sciolse definitivamente per non essere mai più riconvocata.

 

 

Le leggi costituzionali

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Le leggi costituzionali sono approvate dal Parlamento per due scopi:

·    Modificare la Costituzione (leggi di revisione)

·    Aggiungere altre norme alla Costituzione

La Costituzione italiana prescrive nell'art. 138 la procedura per approvare validamente le leggi costituzionali Esse debbono essere approvate mediante una doppia approvazione da parte di ciascuna camera, la seconda delle quali deve cadere non prima di tre mesi dalla precedente. Schematicamente, la sequenza è questa: approvazione di una camera del progetto di legge costituzionale; approvazione quando si vuole (purché prima che le camere siano sciolte) da parte dell'altra camera; seconda approvazione della prima camera a distanza non inferiore a tre mesi dalla sua precedente approvazione; seconda approvazione della seconda camera di nuovo a distanza non minore di tre mesi dalla sua precedente approvazione. Se la seconda volta ambedue le Camere approvano il progetto di legge costituzionale con una maggioranza di due terzi, la legge è perfetta e viene promulgata, pubblicata ed entra in vigore secondo le regole della legge ordinaria. Se la seconda volta le Camere approvano con una maggioranza inferiore a due terzi, la legge non è ancora nata: il Presidente della Repubblica pubblica sulla Gazzetta Ufficiale questo progetto di legge, e da questo momento decorrono tre mesi entro i quali 500.000 elettori oppure cinque consigli regionali oppure un quinto dei parlamentari di ciascuna camera possono chiedere un referendum per approvare tale progetto. Se il referendum approva la legge questa viene promulgata, pubblicata ed entra in vigore Se il referendum boccia la legge, questa non entra più in vigore Se non è richiesto referendum, dopo tre mesi, la legge viene promulgata, pubblicata ed entra in vigore.

In sintesi: ciascuna Camera approva il testo della legge una prima volta. Dopo 3 mesi deve esserci una nuova approvazione da parte di entrambe le Camere. Se in questa seconda votazione non si raggiunge la maggioranza dei 2/3 è possibile abrogare il progetto di legge con un referendum da proporre entro 3 mesi.

 

 

Come si indica una legge costituzionale

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Come le leggi ordinarie, anche le leggi costituzionali vengono indicate attraverso la data della promulgazione e un numero d'ordine, preceduti dalle parole: "legge costituzionale" che permette di individuare la legge e di trovarne il testo sulla "Gazzetta Ufficiale". Per esempio la legge costituzionale che ha modificato l'art. 68 sulle immunità parlamentari viene INDICAta nel seguente modo: "Legge costituzionale 29 ottobre 1993 n. 3"

 

 

Le leggi ordinarie del Parlamento

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Il procedimento di creazione di una legge comprende quattro fasi distinte:

   Fase dell'iniziativa La iniziativa delle leggi, cioè  la presentazione di una proposta di legge, spetta a:

·    50.000 elettori

·    ciascun parlamentare

·    Governo

·    Regioni

·    Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL)

   Fase preparatoria o istruttoria Il progetto di legge viene materialmente presentato alla presidenza di una delle due Camere (poiché il progetto deve esser esaminato dalle due Camere in successione, l'una dopo l'altra, e mai contemporaneamente). Il Presidente, se la Camera non si oppone, può scegliere la procedura normale o quella speciale:

·    Con la procedura normale il progetto viene assegnato ad una commissione di parlamentari, che in questo caso si chiama "commissione referente", il cui compito è quello di esaminare il progetto, eventualmente riscriverlo o fonderlo con altri progetti simili, e riferire alla Camera. Terminato il lavoro della commissione referente il progetto da essa preparato, accompagnato dalla sua relazione, passa all'assemblea: L'assemblea delibera seguendo questo ordine:

   Discussione generale sul progetto di legge (durante essa vengono presentati alla presidenza per iscritto gli "emendamenti", cioè  le "correzioni" che questo o quel parlamentare intendono fare alla legge)

   Discussione e approvazione dei singoli articoli separatamente, compresi gli emendamenti a ciascun articolo

   Votazione finale dell'intero progetto

·    Con la procedura speciale, il progetto non viene portato in Assemblea, ma viene direttamente approvato dalla Commissione, sempre che non venga richiesto dai parlamentari che si passi al procedimento ordinario

   Fase della decisione:

·    la Commissione o l'assemblea approvano la legge articolo per articolo e nel suo testo complessivo

·    Il progetto di legge viene presentato quindi all'altra Camera e iniziano nuovamente la fase preparatoria e quella di decisione:

·    Se la seconda camera approva lo stesso testo approvato dalla prima, allora la legge risulta definitivamente approvata dal Parlamento

·    Se la seconda camera approva un testo diverso da quello approvato dalla prima, il processo ricomincia da capo, e il progetto è presentato alla prima camera per una nuova approvazione

   Fase della integrazione di efficacia:

Il Presidente della Repubblica promulga la legge. La promulgazione consiste in una dichiarazione solenne della legge secondo una formula sacramentale e dà vita all'originale della legge. La formula suona sempre così: "La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato - il Presidente della Repubblica promulga la seguente legge", a cui segue il testo della legge. Alla fine della legge c'è un'altra formula di promulgazione: "La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge dello stato" La promulgazione costituisce l'originale della legge: è il testo promulgato che viene conservato come originale ella legge negli archivi di Stato Mentre l'approvazione è il momento in cui il parlamento VUOLE, la promulgazione è il momento in cui il parlamento incarica il Presidente della Repubblica di MANIFESTARE ( = FAR CONOSCERE) AI CITTADINI TALE VOLONTA'. La data della legge è quella della promulgazione

   Dopo la promulgazione segue la pubblicazione, che consiste nella stampa e messa in vendita del testo promulgato L'art. 73 della costituzione stabilisce che le leggi entrino in vigore (cioè  diventino obbligatorie per i cittadini) il 15° giorno dopo la pubblicazione sulla "Gazzetta Ufficiale" (a meno che la legge stessa non stabilisca termini diversi). L’intervallo tra la pubblicazione e l’entrata in vigore  si denomina “vacatio legis”. Essa serve a consentire ai cittadini (e ai giudici e agli amministratori pubblici) di prendere conoscenza del suo contenuto. In caso di urgenza il Parlamento può eliminare la vacatio legis, e la legge entra in vigore immediatamente. Quando il testo è particolarmente complesso invece, la vacatio legis può essere allungata.

   Dopo la promulgazione di ha l’entrata in vigore. Ciò significa che da quel momento essa diventa obbligatoria per tutti.

 

 

Come si indica una legge ordinaria del Parlamento

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Ogni legge viene identificata attraverso tre elementi: 1) il termine "legge"; 2) la data della promulgazione; 3) un numero, secondo l'ordine della pubblicazione (la numerazione inizia da capo ogni anno a partire dal primo gennaio). Per esempio, la legge che ha introdotto le monete metalliche da mille lire viene indicata nel seguente modo: "legge 7 aprile 1997 n. 96". Questa dizione permette di individuare una legge e di trovarne il testo sulla "Gazzetta Ufficiale". Essa ci dice che si tratta di una legge (e quindi è stata approvata dal parlamento), che è stata promulgata dal presidente dalla repubblica il 7 aprile 1997 e che è il 96° atto normativo pubblicato quell'anno sulla "Gazzetta Ufficiale". La stessa legge potrebbe essere citata anche in forma più breve: per esempio, "legge n. 96 del 1997" oppure "l. 96/1997" Il testo di ogni legge è inoltre preceduto da un titolo (detto "rubrica"). Nel nostro esempio la rubrica è: "Norme in materia di circolazione monetaria". Talvolta nel linguaggio politico e giornalistico si usa citare determinate leggi con il nome del ministro o del parlamentare che le hanno proposte. Per esempio la legge 13 maggio 1982, n. 646, contro la mafia, viene normalmente citata come "legge La Torre" dal nome del deputato che l'ha promossa

 

 

Le leggi regionali e gli statuti regionali

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Le leggi regionali sono deliberate dal Consiglio regionale, promulgate dal Presidente della Regione e pubblicate sul Bollettino Ufficiale .

Le leggi regionali incontrano alcuni limiti:

   La Costituzione

   Vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea

   Vincoli derivanti dagli obblighi internazionali assunti dall’Italia

   La unità e indivisibilità della Repubblica

   Il proprio territorio

   Lo Statuto regionale

   Particolari principi costituzionali (obbligo di copertura finanziaria per le leggi che comportano spese; etc.)

In alcune materie le leggi regionali debbono essere precedute da una legge statale (detta “legge-quadro”) che fissa i principi fondamentali cui esse dovranno ispirarsi. Si parla di potestà legislativa regionale concorrente.

In tutte le materie non indicate come necessitanti di una legge-quadro e non comprese tra quelle riservate allo Stato dall’art. 117, le regioni hanno una potestà legislativa regionale esclusiva.

Le regioni hanno uno statuto regionale cioè una legge fondamentale della loro autonomia.

Gli statuti speciali delle cinque regioni a statuto speciale contengono l’intera disciplina della loro autonomia (rapporti con lo Stato e con gli enti locali; materie attribuite alla cura delle regioni stessa; potestà legislativa e amministrativa, controlli e finanza) e l’organizzazione dei poteri regionali (la forma di governo della regione). Essi sono contenuti in leggi costituzionali e sono dunque atti dello Stato.

Gli statuti ordinari delle regioni a statuto ordinario hanno invece una portata più limitata, poiché la disciplina dell’autonomia delle altre quindici regioni è contenuta una volta per tutte nella Costituzione. Essi si limitano alla organizzazione dei poteri regionali: determinano in armonia con la Costituzione la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento.; regolano il diritto di iniziativa (dei cittadini e degli enti locali) e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. Gli statuti ordinari sono approvati dal Consiglio regionale con una procedura speciale, che comprende tra l’altro maggioranze più elevate e la possibilità per il Governo di rivolgersi alla Corte Costituzionale entro 30 giorni dalla pubblicazione dello Statuto.

 

 

Come si indica una legge regionale

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Le leggi regionali sono facilmente riconoscibili. Esse recano le parole: "legge regionale" seguita dal nome della regione, dalla data della promulgazione e da un numero d'ordine. Per esempio la legge della regione Lombardia sulla caccia intitolata "Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attività venatoria" viene così indicata: "Legge regionale Lombardia 16 agosto 1993 n. 26" Il testo di ogni legge regionale è preceduto dalle seguenti tre frasi rituali: "Il Consiglio regionale ha approvato"; "Il Commissario del Governo ha apposto il visto"; "Il presidente della giunta regionale promulga" Esse testimoniano che la procedura prescritta è stata osservata. In fondo compare la firma del presidente della giunta che l'ha promulgata e il visto del commissario del governo.

 

 

I regolamenti della Unione Europea. Le direttive della Unione Europea.

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Gli organi fondamentali della Comunità Europea sono:

   Il Consiglio dei Ministri, che riunisce periodicamente i ministri competenti per le questioni di cui si deve trattare (ad es. per questioni riguardanti la ricerca industriale si riuniranno i ministri dell'industria) Almeno una volta all'anno, alla riunione non partecipano i ministri ma i capi di stato, e allora esso prende il nome di "Consiglio Europeo"

   Il Parlamento Europeo, eletto direttamente dai cittadini degli stati membri, che non ha poteri legislativi, ma solo consultivi e di controllo (ad es. del bilancio)

   La Commissione Europea, che costituisce l'apparato esecutivo della Comunità, con a capo commissari nominati dai vari governi

I regolamenti della Unione Europea, anche detti "regolamenti comunitari", sono emanati dal Consiglio dei Ministri delle Comunità europee, normalmente su proposta della Commissione. Il parlamento non ha potere legislativo, ma deve essere consultato ogni volta che il Consiglio intenda emanare un regolamento

Secondo l’art. 189 del Trattato istitutivo della CEE (Comunità Economica Europea , e poi semplicemente Comunità Europea  e dal 1993 Unione Europea ), i regolamenti comunitari:

   Hanno portata generale, cioè valgono in tutti gli stati membri

   Sono obbligatori

   Sono direttamente applicabili in ciascuno degli stati membri. Questo significa che non c’è bisogno di trasformarli in norma interna. La loro capacità di imporsi all’interno dello Stato deriva infatti direttamente dalla citata norma del trattato CEE.

   Il diritto comunitario, nelle materie di competenza, prevale su quello nazionale (“primato del diritto comunitario”).Se un giudice del nostro paese si trova dinanzi a un regolamento comunitario e a una norma di diritto italiano  (anche una legge ordinari) deve applicare il primo al posto della seconda, perché così è obbligato a fare dal cit. art. 189 del trattato CEE. Ciò, naturalmente, solo nelle materie che competono all’Unione

Natura diversa dai regolamenti hanno le direttive comunitarie (ad es. in tema di compilazione dei bilanci delle società per azioni o di protezione dell’ambiente). Le direttive non consistono in norme direttamente applicabili all’interno degli stati membri, ma indicano a questi ultimi degli obiettivi obbligatori, che dovranno essere raggiunti attraverso l’emanazione di norme interne adeguate allo scopo, Sono perciò norme che vincolano gli stati ma non i cittadini.

Per provvedere all’esecuzione delle direttive ogni anno viene approvata una legge, detta “legge comunitaria”, che contiene deleghe al Governo a provvedere all’emanazione didecreti legislativi delegati di esecuzione e, quando la materia sia di competenza regionale, detta le norme alle quali le leggi regionali dovranno attenersi.

 

 

I decreti legislativi

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Sono adottati dal governo sulla base di una apposita delega conferita dal parlamento con legge, e sono emanati con un decreto del Presidente della Repubblica.  La legge di delegazione deve definire l'oggetto della delega, stabilire i principi e i criteri direttivi a i quali il legislatore delegato deve attenersi, determinare il tempo entro il quale la delega deve essere utilizzata

 

 

I decreti-legge

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Sono adottati direttamente dal governo, sotto la sua responsabilità, quando si manifestino casi straordinari di necessità e urgenza, nei quali sarebbe difficile l'intervento tempestivo del Parlamento nelle forme ordinarie. Il decreto-legge viene emanato dal Presidente della Repubblica ed entra in vigore immediatamente. Esso però ha una vita precaria perché è destinato a decadere fin dall'inizio, cioè  a essere considerato come mai emanato, se non è convertito in legge entro 60 giorni dal Parlamento.

Decreti legislativi, Decreti-legge, leggi ordinarie del parlamento, referendum abrogativo, costituiscono la categoria degli “atti aventi forza di legge”

 

 

Il referendum abrogativo

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E' una vera e propria fonte, anzi, è un "atto avente forza di legge", cioè  una fonte primaria. Solo che è una fonte "negativa": può abrogare una norma ma non crearne una nuova.

Le leggi e gli atti aventi forza di legge possono essere abrogati, integralmente o parzialmente, per mezzo del referendum. Il referendum può essere richiesto da 500.000 elettori o da 5 consigli regionali e la legge viene abrogata se a favore dell'abrogazione si esprime la maggioranza dei voti validi e se al voto ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto.

 

 

L’uso del termine “decreto” per indicare una fonte

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In generale gli atti del governo che contengono decisioni giuridicamente efficaci assumono la denominazione di decreti. Occorre però notare che il termine "decreto" ha un valore puramente formale: sotto tale denominazione possono essere emanati sia atti aventi forza di legge, sia regolamenti, sia provvedimenti amministrativi (per esempio un decreto di nomina, un decreto di espropriazione). Inoltre il termine "decreto" non viene usato solo per gli atti del governo o dei ministri, ma anche per atti compiuti da altri organi della pubblica amministrazione (per esempio i decreti del prefetto) o dagli enti locali (per esempio i decreti dei sindaci) o dai giudici (nel corso di un processo un giudice può, nei casi stabiliti dalla legge, dare ordini attraverso un proprio decreto)

 

 

Come si indica un decreto-legge

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I decreti-legge vengono pubblicati sulla "Gazzetta Ufficiale" con la denominazione di "decreto-legge", seguita dalla data di emanazione da parte del capo dello stato e da un numero d'ordine. Nel preambolo devono essere indicate le circostanze straordinarie di necessità e urgenza che ne giustificano l'adozione. Per esempio il decreto-legge che ha disposto interventi straordinari per l'afflusso di stranieri provenienti dall'Albania viene indicato: "decreto-legge 20 marzo 1997 n. 60". Quando il decreto-legge viene convertito si usa citare anche la legge di conversione (in questo esempio: legge 19 maggio 1997 n. 128). E' importante fare riferimento anche alla legge di conversione perché questa può aver introdotto alcune modifiche al testo originario del decreto.

 

 

Come si indica un decreto legislativo

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Dal 1989 i decreti legislativi vengono emanati sotto la denominazione di "decreto legislativo". Per esempio il decreto con cui è stato emanato il nuovo codice della strada viene INDICAto: "decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285" Nel preambolo è indicata la legge delega a cui il decreto dà attuazione (in questo caso si tratta della legge 13 giugno 1991 n. 190). Prima del 1989 i decreti legislativi venivano emanati sotto la denominazione di "decreto del presidente della repubblica (spesso abbreviata con la sigla "d.p.r."). Per esempio, il nuovo codice di procedura penale è stato emanato con un decreto legislativo indicato: "d.p.r. 22 settembre 1988 n. 447". Tale denominazione poteva creare confusione perché veniva usata anche per i regolamenti governativi che non hanno forza di legge e per numerosi provvedimenti amministrativi, ed è stata perciò modificata, per permettere di distinguere più facilmente quei decreti del governo che sono emanati su delega del Parlamento e hanno quindi forza di legge

 

 

I regolamenti: I soggetti che possono emanarli

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Con la parola "regolamento" si intende ogni fonte diversa dalla legge e avente una forza inferiore alla legge. Per "regolamento" si intende quindi "fonte secondaria"

Talvolta, invece che di regolamenti, le fonti secondarie prendono il nome di "statuti", quando riguardano la disciplina della organizzazione dell'ente pubblico e del suo funzionamento. Si tenga però presente che nel caso delle Regioni, gli “Statuti” sono norme di livello primario, pari a quello delle leggi regionali.

Il potere di emanare regolamenti, statuti, leggi regionali, quando appartiene non allo Stato, ma ad un ente pubblico diverso dallo Stato, costituisce quella che viene chiamata "autonomia", cioè  la capacità di creare proprie norme giuridiche. E "autonomo" è chiamato l'ente dotato di questa potestà

I regolamenti, in quanto sono fonti secondarie possono essere sottoposti al controllo di un giudice, che può annullarli o dichiarare che non vanno osservati nel caso che sta giudicando

I regolamenti possono essere emanati da molti organi ed enti:

·    Organi centrali del potere esecutivo dello Stato (Governo, Ministri, Presidente del Consiglio)

·    Organi periferici del potere esecutivo dello Stato (ad esempio, il Veterinario provinciale o il Prefetto)

·    Enti pubblici territoriali (Regioni, Province e Comuni)

·    Enti pubblici non territoriali (ad esempio le Camere di Commercio)

Un ente pubblico emana molte prescrizioni che prendono spesso il nome di "regolamenti", che riguardano i servizi da esso forniti (ad esempio regolamento di una biblioteca, di un ospedale), o la propria organizzazione interna (ad esempio le procedure che gli uffici postali debbono seguire per l'invio di denaro). Ma non tutte queste prescrizioni costituiscono regolamenti, anche se hanno questo nome: solo quando una norma primaria attribuisce all'ente il potere di emanare tali prescrizioni esse costituiscono vere e proprie norme giuridiche (secondarie). Negli altri casi si tratta di semplici "norme interne", rivolte agli utenti dei servizi dell'ente o alle persone che lavorano nell'ente, norme che non possono essere fatte valere di fronte al giudice, ma solo autorizzare l'ente ad irrogare una sanzione (multa, ammenda ecc). 

 

 

La potestà normativa del Governo

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Il Governo ha una potestà normativa sia primaria (decreti legge e decreti legislativi) sia secondaria (regolamenti). Ambedue le potestà sono state disciplinate in modo organico dalla legge n. 400 del 1988 la quale ha inoltre definito con precisione le competenze del presidente del consiglio e quelle del Consiglio dei ministri, fino ad allora regolate in modo ambiguo dalle scarne e poco limpide indicazioni fornite dall'art. 95 della Costituzione e da leggi speciali disorganiche, utilizzabili per realizzare modalità di funzionamento del Governo molto diverse tra loro.

 

 

I regolamenti: La procedura di emanazione

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I regolamenti Governativi sono emanati con decreto del presidente della repubblica dopo deliberazione del consiglio dei ministri, sentito il parere del consiglio di stato, e, dopo essere stati sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti, sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale

I regolamenti ministeriali, adottati per regolare materie di competenza del ministro o di autorità a esso sottordinate sono emanati con decreto ministeriale, previo parere del consiglio di stato e, sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti, sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

I regolamenti regionali sono emanati dal consiglio regionale, ad eccezione di Sicilia e Trentino-Alto Adige (dove vengono approvati dalle giunte). Sono promulgati dal Presidente della Regione. La pubblicazione avviene sul bollettino della regione oltre che sulla Gazzetta Ufficiale

I regolamenti di Province e Comuni sono emanati dal consiglio provinciale o dal Consiglio comunale Sono sottoposti al controllo di legittimità da parte di un organo regionale chiamato CORECO (Comitato Regionale di Controllo)

Gli statuti e i regolamenti degli enti pubblici locali non territoriali sono emanati ad opera del massimo organo deliberante dell'ente. Gli statuti degli enti sottoposti a vigilanza dello Stato sono, di regola, approvati con decreto del Capo dello stato, su proposta del ministro competente per materia, sentito il parere del Consiglio di Stato. Sono assoggettati a controlli statali o regionali. Gli statuti sono pubblicati nella "Gazzetta Ufficiale" o nel "Bollettino" della regione, a seconda che l'autorità competente per il controllo sia quella statale o regionale; i regolamenti sono pubblicati, di regola, mediante affissione agli albi dei rispettivi enti. L'entrata in vigore decorre, come norma, dalla data di pubblicazione, salvo che non sia previsto un periodo di "vacatio".

 

 

I regolamenti: I vari tipi

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   Regolamenti esecutivi di leggi o decreti legislativi

·    Regolamenti emanati dal Governo o dai ministri per permettere l'esecuzione e l'attuazione di una legge dello Stato, o dalle regioni per permettere l'esecuzione di una legge regionale.

Nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge, il Governo può disciplinare in dettaglio una materia regolata dalla legge anche senza che tale potere gli sia conferito dal legislatore: infatti tali regolamenti sono spesso previsti dalla stessa legge, ma il potere esecutivo può emanarli anche senza permesso, tranne che non vi sia una riserva di legge.

·    Lo Stato può delegare alla Regione la emanazione di una legge regionale di esecuzione di una propria legge ordinaria.

   Regolamenti organizzativi. Sono emanati per l'organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge:

·    Dal Governo. Stabiliscono le regole che riguardano sia gli organi sia gli uffici della Pubblica Amministrazione.

·    Da enti pubblici diversi dallo Stato. Per quanto riguarda gli enti diversi dallo Stato, gli Statuti di tali enti contengono una parte notevole di norme organizzative del proprio apparato amministrativo.

   Regolamenti delegati.

Emanati dal Governo. La legge abilita il Governo a emanare regolamenti su determinate materie anche in deroga alle disposizioni contenute nelle leggi ordinarie vigenti. Mentre in passato potevano derogare e innovare rispetto alla particolare legge indicata nell'autorizzazione parlamentare, oggi il Parlamento si limita ad indicare l'area in cui essi possono porre norme; in tal modo il loro campo di azione si è molto allargato, ed essi non necessitano di essere autorizzati volta per volta.

   Regolamenti di attuazione di direttive CEE.

Emanati dal Governo. E' stato previsto che l'attuazione di direttive CEE avvenga, invece che con legge, con regolamenti governativi caratterizzati da un procedimento particolare.

   Regolamenti indipendenti.

Emanati dal Governo. Sono regolamenti che pongono norme in materie lasciate vuote dalle fonti primarie

   Regolamenti di attuazione e integrazione.

Emanati dal governo. Sono destinati a sviluppare, fuori delle materie riservate alla competenza regionale, la normazione "di principio" posta da fonti primarie |Con i regolamenti di "attuazione e integrazione" si estende al regolamento lo schema già adottato dall'art. 117 Cost. per la legislazione regionale concorrente: la legge del Parlamento si limita alla semplice posizione dei principi della materia da regolare, mentre la fonte regolamentare si sviluppa in parallelo alla legislazione regionale, pur conservando la sua natura di fonte secondaria.

   Regolamenti di disciplina dei rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base ad accordi sindacali.

Emanati dal Governo, dal Consiglio Regionale, dal Consiglio provinciale, dal Consiglio comunale

   Statuti di enti pubblici

Lo statuto di un ente pubblico riguarda la disciplina della propria organizzazione e del suo funzionamento. La potestà di creare in tutto o in parte il proprio statuto (in parte perché lo Stato può riservarsi di porre le norme più importanti) è tipica di quasi tutti gli enti pubblici

Gli statuti delle Regioni non sono regolamenti (norme secondarie) ma norme primarie di livello pari a quello delle leggi regionali

   Regolamenti con cui Regioni, Province, Comuni e alcuni altri enti pubblici disciplinano lo svolgimento ordinato di attività dei cittadini o coordinano l'azione di altri enti pubblici nei settori di propria competenza

Ad esempio: 

·    Regolamenti edilizi (comuni)

·    Regolamenti sul commercio (comuni o regioni)

·    Regolamenti sulla lotta alle malattie delle piante (camere di commercio)

·    Norme regionali sugli enti locali che operano in materie di loro competenza (ad es. sugli Istituti di beneficenza e assistenza, sugli ospedali ecc.)

   Regolamenti con cui Regioni, Province, Comuni e altri enti pubblici regolano la organizzazione del proprio apparato (amministrativo)

Riguardano criteri e regole per il funzionamento degli uffici, ripartizione delle competenze tra gli uffici, diritti e doveri dei dipendenti, contabilità ecc.

   Regolamenti con cui le regioni disciplinano il proprio potere di controllo sugli enti locali come Province, Comuni, e altri enti locali

   Regolamenti con cui enti locali disciplinano gli organi che consentono la partecipazione e l'accesso dei cittadini alla amministrazione (ad esempio consigli di quartiere)

   Regolamenti con cui Regioni, Province, Comuni e altri enti pubblici disciplinano l'amministrazione e l'uso del proprio patrimonio, anche da parte di terzi a cui sia permesso usarne (es. visita di un parco pubblico regionale)

   Regolamenti con cui un ente pubblico regola i rapporti con coloro che usufruiscono del servizio che esso fornisce. Ad esempio, il regolamento di una biblioteca, di una piscina comunale, di uno stadio comunale.

   Regolamenti con cui l'ente pubblico disciplina l'esercizio di sue pretese nei confronti del cittadino Ad esempio i regolamenti tributari con cui i comuni disciplinano la riscossione dei tributi comunali

 

 

I regolamenti: Come si indica un regolamento

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Tanto i regolamenti governativi quanto quelli ministeriali recano la denominazione ufficiale di "regolamento". I regolamenti governativi sono emanati con "decreto del presidente della repubblica" ("d.p.r."). I regolamenti del presidente del consiglio sono emanati con "decreto del presidente del consiglio dei ministri" ("d.c.p.m."). I Regolamenti ministeriali sono emanati con "decreto ministeriale" ("d.m.")

 

 

I regolamenti: Diversi significati della parola “regolamento”

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Da quanto abbiamo detto sinora, si vede che la parola regolamento è usata in significati del tutto diversi:

   Per indicare fonti primarie (Regolamenti della Comunità Europea; Regolamenti degli organi costituzionali)

   Per indicare fonti secondarie (Regolamenti governativi; Regolamenti ministeriali; Regolamenti del Presidente del Consiglio)

   Per indicare atti amministrativi (ad es. il Prefetto, in caso di pubbliche calamità può emanare dei provvedimenti urgenti chiamati "regolamenti")

 

 

Le consuetudini

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La consuetudine non è la volontà di un organo dello Stato, ma una regola di comportamento che si ricava dall'osservazione dei comportamenti del gruppo dei cittadini. Quando si osserva che un comportamento costante è tenuto per un lungo tempo dalla maggior parte dei membri del gruppo, e che la maggioranza dei membri ritiene tale comportamento obbligatorio e doveroso, anche se esso non è previsto dalla legge, allora nasce una nuova norma giuridica corrispondente a quel comportamento. Le consuetudini sono insomma delle regole di comportamento non scritte, che nascono dai rapporti quotidiani. Le consuetudini non possono andare contro una norma di legge primaria o secondaria, stabilita da un organo dello Stato. Possono regolare anche materie in cui non vi sono norme dello Stato.

 

 

La pubblicazione delle fonti del diritto

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Le leggi e i decreti contenenti atti del Governo che creano norme giuridiche sono di regola inseriti nella "Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica", tenuta dal Ministro di Grazia e Giustizia. In tale raccolta sono inserite tutte le leggi, i decreti contenenti norme necessarie per l'esecuzione delle leggi e quelli la cui integrale conoscenza interessi la generalità dei cittadini. I decreti che non presentino tale interesse, vengono inseriti per sunto o per estratto. Sono esclusi dalla raccolta i decreti che riguardano enti e persone singole, dei quali basta dare diretta comunicazione agli interessati, e inoltre quelli la cui pubblicità potrebbe nuocere agli interessi dello stato.

Gli atti inseriti nella raccolta vengono anche pubblicati nella "Gazzetta Ufficiale della Repubblica"; che costituisce mezzo legale di conoscenza delle fonti dello Stato.

Per le fonti regionali, è prevista la pubblicazione sul "Bollettino ufficiale della regione".

Dalla pubblicazione su questi mezzi a stampa decorrono i termini dell'entrata in vigore delle fonti (normalmente 15 giorni per le leggi, a meno che non si disponga un termine più corto o più lungo).

Sulla Gazzetta Ufficiale sono pubblicati anche gli esiti dei referendum abrogativi

Sulla Gazzetta Ufficiale si trovano inoltre gli atti normativi degli organi delle comunità europee (pubblicati anche a cura delle comunità stesse sulla "Gazzetta delle Comunità Europee") e le sentenze della Corte Costituzionale che dichiarano l'incostituzionalità delle leggi (e la notizia delle sentenze della Corte Costituzionale che respingono le denunce di incostituzionalità)

Delle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, anch'esse importanti, esiste una raccolta ufficiale della Comunità Europea

 

 

I vari tipi di rapporti tra le fonti del diritto

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Esistono quattro principali tipi di rapporti tra fonti:

   Rapporto di gerarchia

Il conflitto tra norme viene regolato secondo il criterio della gerarchia (caso di fonti di grado diverso: la fonte di grado superiore prevale sulla fonte di grado inferiore) e il criterio della abrogazione (caso di fonti di pari grado: la fonte successiva nel tempo prevale sulla precedente), dal principio di riserva di legge

   Rapporto di competenza esclusiva

Il conflitto tra norme viene regolato secondo il criterio di competenza (prevale la fonte che ha la competenza esclusiva a regolare quella materia)

Le leggi regionali esclusive prevalgono sulle leggi statali

   Rapporto di competenza concorrente

   Rapporto di delega

 

 

Il rapporto di gerarchia tra le fonti del diritto: Il rapporto tra fonti superiori e inferiori

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Alcune fonti (non tutte) sono tra loro in un rapporto di gerarchia, che distingue fonti superiori e fonti inferiori.

Le norme create da fonti superiori possono abrogare (eliminare) o modificare le norme inferiori; le norme inferiori non possono abrogare o modificare le norme superiori o essere in contrasto con esse.

Le fonti secondarie possono completare le norme delle fonti primarie, aggiungendosi ad esse, purché:

·    Non siano in contrasto con le norme primarie

·    Rispettino i principi posti dalle norme primarie

·    Vi siano già delle norme primarie che regolano i punti principali della materia

Le fonti sono dunque poste lungo una scala di importanza:

   Fonti "super-primarie" o "costituzionali":

·    Costituzione

·    Leggi costituzionali del Parlamento che modificano o integrano la Costituzione

·    Statuti delle regioni a statuto speciale (sono leggi costituzionali, ma sono stati prima deliberati dai consigli regionali)

·    Norme dei trattati sulla Comunità Europea

   Fonti "primarie":

·    Leggi ordinarie del Parlamento

·    Leggi regionali

·    Leggi regionali a competenza esclusiva

·    Leggi regionali a competenza ripartita o concorrente

·    Leggi regionali a competenza delegata

·    Leggi delle province di Trento e Bolzano

·    Regolamenti della Comunità Europea

·    Decreti-legge del Governo

·    Decreti legislativi del Governo

·    Statuti delle regioni ordinarie

·    Referendum di abrogazione delle leggi 

·    Regolamenti interni degli organi costituzionali 

·    Regolamento della Camera dei Deputati

·    Regolamento del Senato

·    Regolamento della Corte Costituzionale

·    Regolamento della Presidenza della Repubblica

·    Regolamento del Consiglio superiore della Magistratura  Eccetera

   Fonti "sub-primarie" o "secondarie":

·    Regolamenti del Presidente del Consiglio

·    Regolamenti del Governo

·    Regolamenti dei Ministri

·    Regolamenti di autorità del potere esecutivo diverse dal Governo (es. prefetti)

·    Regolamenti delle Regioni, delle Province e dei Comuni

·    Regolamenti degli enti pubblici non territoriali (diversi da Regioni, Province, Comuni) 

   Consuetudini.

Tra le fonti costituzionali e quelle legislative vale il principio di costituzionalità. Esso significa che una legge o un atto con forza di legge  in contrasto con la Costituzione (o con le leggi costituzionali) è incostituzionale e può perciò essere annullata dalla Corte Costituzionale

Tra le fonti legislative e le fonti secondarie vale il principio di legalità. Esso significa che un regolamento in contrasto con la legge (o con un atto avente forza di legge) è illegittimo e perciò può essere annullato dai giudici amministrativi.

Tra le fonti di ciascun gruppo non esiste un rapporto di gerarchia: si dice che esse hanno "pari forza" e nessuna prevale sulle altre. Così, ad esempio, il decreto-legge ha "pari forza" rispetto alla legge del parlamento o al decreto legislativo.

Come si vede, anche il potere esecutivo (Governo) può emanare norme giuridiche attraverso regolamenti del Governo o dei Ministri.

 

 

Il rapporto di gerarchia tra le fonti del diritto: Il rapporto tra le fonti di pari grado e il criterio dell’abrogazione

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Quando due fonti di pari grato (ad es. due leggi ordinarie del Parlamento), una più antica e l’altra più recente, hanno contenuti incompatibili si determina l’abrogazione della prima ad opera della seconda. La seconda cioè cancella e sostituisce la prima.

Questa regola si applica esclusivamente tra fonti che si trovano sullo stesso piano della scala gerarchica, cioè di pari grado (tra legge e legge; tra legge, decreto-legge e decreto legislativo; tra regolamenti; ecc.). Se le fonti sono di grado diverso (es. Costituzione e legge), la regola non vale. L’abrogazione non opera neanche tra fonti che regolano per competenza materie distinte (es. lo Stato non può abrogare norme regionali in materie attribuite alla competenza della regione).

Si possono avere tre tipi di abrogazione:

   Abrogazione espressa: quando la legge successiva espressamente dichiara che quella precedente è abrogata o quando c’è il referendum abrogativo

   Abrogazione implicita: quando la legge successiva regola integralmente la materia regolata da una legge precedente (es. viene approvato un nuovo codice civile che sostituisce il precedente)

   Abrogazione tacita: quando la legge successiva contiene norme incompatibili con quelle contenute in una legge precedente

Con l’abrogazione la legge successiva si sostituisce alla precedente dal momento in cui entra in vigore.

La legge abrogata continuerà a regolare i casi da essa previsti che si sono realizzati prima della abrogazione. La nuova legge, invece, riguarderà soltanto i casi che si realizzano successivamente

 

 

Fonti primarie e fonti secondarie

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Le fonti secondarie provengono da autorità del potere esecutivo o da enti locali

Le fonti secondarie possono essere giudicate dal giudice ordinario e amministrativo. Quelle primarie solo dalla Corte costituzionale.

Le fonti primarie sono anche chiamate "atti aventi forza di legge"

Tra norme primarie e norme secondarie c'è una importantissima differenza: Il giudice dovrà sempre applicare le norme primarie senza poterne contestare la validità, mentre potrà, prima di applicare le norme secondarie, verificare la loro validità, e cioè  la loro conformità alle norme primarie: se è il caso, potrà dichiarare illegittime delle norme secondarie, ma MAI delle norme primarie o super-primarie.

Ad esempio, una fonte secondaria in contrasto con la costituzione sarebbe illegittima e quindi giudicabile dal giudice ordinario, e non dalla Costituzione.

Le norme secondarie sono soggette al principio di legalità, per cui non possono mai contrastare da norme di fonti primarie

 

 

La "delegificazione"

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Una volta che una legge (o altra fonte primaria) ha regolato una materia, per cambiarne i principi occorre un'altra legge.  Questo è molto scomodo in molti casi in cui si ha bisogno che le norme siano sempre aggiornate: l'attesa di una legge del Parlamento può essere troppo lunga. Si è proposto da parte di molti parlamentari di "delegificare" queste materie, stabilendo che da quel momento in avanti le norme saranno poste solo da fonti secondarie.

 

 

Il rapporto di competenza esclusiva tra fonti del diritto

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Tra due fonti può esistere un rapporto di competenza, per cui una fonte (ad es. la legge regionale) ha delle materie riservate a lei e a lei sola, e le altre fonti non possono emanare norme in tali materie. Ecco di seguito i casi principali:

   Esiste un rapporto di competenza tra leggi delle regioni riguardanti certe materie, e altre fonti primarie dello Stato: vedi in proposito quanto detto sulle leggi regionali

   Esiste un rapporto di competenza tra i regolamenti di un ministro e quelli di un altro ministro. In genere, per quanto riguarda le norme emanate da una autorità amministrativa, si applica il principio per cui queste non possono riguardare materie per cui l'autorità stessa non ha competenza.

   Il principio di competenza si applica non soltanto tra fonti del diritto, ma anche tra atti che creano prescrizioni che non sono norme giuridiche, specie tra atti amministrativi.

   Un caso particolare di applicazione del principio di competenza si ha con le "riserve di legge". Si ha una riserva di legge quando la Costituzione riserva la disciplina di una determinata materia alla legge del Parlamento e/o ad altre fonti di pari grado. Le riserve di legge sono previste nelle materie considerate politicamente più importanti, nelle quali si vuole quindi una disciplina dettata dal massimo organo rappresentativo del nostro ordinamento e con le garanzie democratiche che questo consente.

Sono riservate alla legge, per esempio, le regole che toccano le libertà fondamentali, quelle che stabiliscono i reati e le pene o i tributi e altre ancora.

Se la riserva di legge è "assoluta" le norme che regolano la materia debbono provenire esclusivamente dalla legge del Parlamento. Se la riserva di legge è "relativa" è possibile, per le fonti inferiori (secondarie) emanare norme in quella materia, ma solo per completare le norme della legge e rispettando i principi posti da queste

   Un altro caso di competenza è quello dei regolamenti creati dal consiglio dei ministri della Comunità Europea (cosiddetti "regolamenti comunitari"). Il regolamento prevale sulla legge dello Stato ad esso anteriore e non può essere modificato da una legge dello stato successiva, purché le sue norme riguardino le materie che i Trattati di Roma hanno riservato alla Comunità Europea.

   Un altro caso di competenza è quello dei regolamenti degli organi costituzionali (Camera, Senato, Corte Costituzionale) che non possono essere emanati dal Parlamento, ma dai componenti dello stesso organo. Un altro caso di competenza è quello delle intese con confessioni religiose diverse dalla cattolica e del concordato con la Chiesa Cattolica

La competenza della Legge del Parlamento è generale: a parte le materie riservate a fonti diverse (come le leggi regionali), la legge del Parlamento può regolare qualsiasi materia. Altre fonti non hanno competenza generale. Ad esempio i regolamenti del Ministro dell'Industria non potranno riguardare che il campo di azione del suo ministero.

 

 

Le riserve di legge

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In vari casi la Costituzione stabilisce che una determinata materia sia regolata dalla legge e non dal regolamento (riserva di legge).

Ad esempio l’art. 13 della Costituzione stabilisce che la libertà personale può essere limitata “nei soli casi e modi previsti dalla legge”; l’art. 23 Cost. stabilisce che nessuna prestazione personale o patrimoniale (ad es. le imposte e le tasse) può essere imposta “se non in forza di una legge”; l’art. 25 Cost stabilisce che nessuno può essere punito “se non in forza di una legge; l’art. 42 stabilisce che la proprietà privata può essere espropriata “nei casi preveduti dalla legge”.

La ragione della riserva di legge è semplice: il Parlamento è l’organo maggiormente rappresentativo (è eletto a suffragio universale, cioè con il voto di tutti i cittadini, e in esso sono rappresentate tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione) e agisce sotto il costante controllo dell’opinione pubblica; il Governo, viceversa è un organo ristretto che esprima le sole forze della maggioranza e, per di più, i suoi lavori sono riservati e non controllabili dall’esterno. Per queste ragioni di democrazia e di garanzia dei cittadini la costituzione vuole che le materie più importanti siano riservate alla legge e dunque disciplinate dal Parlamento, direttamente o indirettamente

Le materie sottoposte a riserva di legge possono essere disciplinate dalla legge ma anche da un atto avente forza di legge (decreto-legge e decreto-legislativo): anche in queste ipotesi infatti il Parlamento può controllare il contenuto delle norme giuridiche approvate dal Governo

Le riserve di legge assolute sono quelle che impongono al legislatore di regolare integralmente la materia. Di conseguenza sono esclusi tutti i regolamenti tranne quelli puramente esecutivi (che non aggiungono nulla di nuovo alla legge).

Le riserve di legge relative sono quelle che richiedono soltanto che la legge detti i criteri generali mentre la loro realizzazione può avvenire con regolamenti autorizzati

Le riserve di legge rinforzate non ammettono regolamenti ma solo la legge

 

 

Il rapporto di competenza ricorrente o ripartita tra fonti del diritto

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Per determinate materie, è possibile che le norme più importanti (i cosiddetti principi generali o fondamentali) sono riservate ad una fonte, mentre tutte le altre norme, purché non contrastino con i principi generali o fondamentali, sono riservate ad un'altra fonte.

Questo è ad esempio il caso di alcune materie previste dall'art. 117 della Costituzione: esse sono riservate alle Regioni, ma i principi generali sono riservati allo Stato.

 

 

Il rapporto di delega

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Una fonte può delegare un'altra a regolare una certa materia, fissando i principi generali.

Un esempio si ha con i decreti legislativi, che debbono essere autorizzati dal parlamento con una legge di delega che contiene i principi e i criteri direttivi.

Un altro esempio si ha con la delega che una legge del Parlamento fa ad una regione ad emanare norme per l'attuazione di leggi dello Stato.

 

 

L’efficacia della legge nel tempo: retroattività e irretroattività del diritto

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Secondo l’art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale (che sono all’inizio del Codice Civile) la legge non dispone che per l’avvenire, cioè non ha effetto retroattivo. Una legge irretroattiva (irretroattività della legge) si applica invece solo ai casi che si verificano successivamente alla sua entrata in vigore. Una legge retroattiva (retroattività della legge) si applica ai casi già verificatisi, regolati inizialmente da una legge diversa.

L’irretroattività della legge è molto importante. Se non ci fosse, i cittadini sarebbero nelle mani del legislatore, che potrebbe sempre rimetter in discussione i rapporti giuridici passati e non si avrebbe alcuna certezza del diritto: i cittadini non saprebbero come comportarsi per non violare la legge.

La regola della irretroattività della legge è derogabile: poiché il codice civile (che contiene l’art. 11) è stato approvato con decreto legislativo, le sue norme possono essere derogate da norme successive di legge. Se tuttavia una legge tace sulla sua retroattività vale l’art. 11 e la si deve considerare irretroattiva.

L’unico campo in cui la retroattività è vietata dalla Costituzione è la materia penale: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. La irretroattività penale riguarda solo le legge successive meno favorevoli ma non quelle più favorevoli.

 

 

Il controllo sulle fonti

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Il controllo sul rispetto da parte dei regolamenti delle norme dei Trattati della Comunità non spetta alla Corte Costituzionale italiana, ma alla Corte di Giustizia delle Comunità europee

 

 

Il problema del fondamento del diritto

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Sono fonti del diritto quelle previste da altre fonti. Ma queste ultime, per essere fonti, a loro volta devono essere previste da altre fonti precedenti. In questo modo, si apre una rincorsa all’infinito a cui occorre trovare un termine. Questo termine è la fonte più elevata, la quale non si fonda su nessun altra. Questa fonte è la Costituzione. Essa vale di per sé: dà vita alle altre fonti ma non trae vita da nessun’altra fonte. Si potrebbe dire che è la fonte delle fonti .

Questo non significa che la Costituzione non abbia a sua volta un fondamento. Essa vale perché si basa sull’accettazione sociale diffusa. Le forze della società che hanno approvato la Costituzione si riconoscono in essa e questo basta perché essa valga effettivamente come diritto.

Le forze in questione variano storicamente, a seconda dei caratteri del regime politico. La prima costituzione italiana, lo Statuto del Regno d’Italia, fu concessa dal re Carlo Alberto al Piemonte nel 1848 e poi esteso all’Italia unita nel 1861. Le classi dirigenti dell’epoca (la nobiltà e soprattutto la borghesia liberale) si riconoscevano in quel documento. Nei regimi democratici del nostro secolo il potere appartiene a tutto il popolo e questo può esprimerlo eleggendo assemblee costituenti, come è avvenuto all’origine della nostra Costituzione.

 

 

L’applicazione dell’ordinamento giuridico: gli atti dei privati, della pubblica amministrazione, dei giudici

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Le prescrizioni giuridiche ci appaiono legate in tante catene: vediamo ad esempio che sulla base della Costituzione può essere fatta una legge, la legge può autorizzare il governo ad approvare un regolamento per completare la legge; il regolamento di attuazione può rinviare ad ulteriori regolamenti di esecuzione. Vediamo, ad esempio, che sulla base della Costituzione può essere fatta una legge cornice, che pone i principi fondamentali ai quali le regioni devono attenersi; sulla base di tale legge cornice può poi essere fatta una legge regionale; in base alla legge regionale possono infine essere emanati dei regolamenti di esecuzione.

Talvolta, è necessario un ulteriore passo: un provvedimento del potere esecutivo: una ammissione, una concessione, una licenza.

 

 

Le partizioni del diritto

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Le norme giuridiche si possono distinguere, a seconda degli interessi protetti, in:

   Norme di diritto pubblico

Esse tutelano interessi di tuta la collettività, sono inderogabili da chiunque e speciali organi dello stato vigilano sul loro rispetto esercitando la propria autorità.

Il diritto pubblico regola la forma e l’organizzazione dello Stato, delle Regioni, delle Province dei Comuni e degli altri enti pubblici; disciplina anche i rapporti tra cittadini e rispettivamente stato regioni province e comuni. Poiché Stato, Regioni, Province e comuni sono portatori di interessi collettivi, i rapporti fra questi e il singolo cittadino non si svolgono su un piano di parità

Le norme di diritto pubblico si distinguono a loro volta in:

   Norme di diritto costituzionale

che comprendono le norme fondamentali della vita politica, relative allo Stato, alla sua organizzazione (Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica ecc.) e ai rapporti con i cittadini (diritti e doveri, principio di uguaglianza ecc.)

   Norme di diritto amministrativo

che disciplinano l’apparato pubblico, denominato “pubblica amministrazione” (i ministeri, gli enti pubblici, i dipendenti pubblici), il suo funzionamento (i tipi di atti, i procedimenti, i poteri ecc.) e i suoi rapporti con i singoli cittadini

   Norme di diritto penale

che stabiliscono quali sono i reati e le pene previste per coloro che li hanno commessi

   Norme di diritto processuale

che riguardano i diversi procedimenti che si svolgono dinanzi ai giudici, riguardanti le controversie relative all’applicazione del diritto civile, penale e amministrativo

Le norme di diritto processuale si distinguono a loro volta in:

   Diritto processuale civile

   Diritto processuale penale

   Diritto processuale amministrativo

   Diritto processuale tributario

Che regola anch’esso un processo amministrativo: quello dinanzi alle commissioni tributarie nel caso di tributi che si ritengono ingiustamente pagati

   Norme di diritto privato

Che invece tutelano interessi dei singoli e sono spesso derogabili dalla contraria volontà dei soggetti privati (ad esempio le norme che prevedono i singoli tipi di contratti possono essere lasciate da parte dai singoli se vogliono stipulare un contratto diverso, non previsto dalla legge). Della loro osservanza lo Stato (attraverso i suoi giudici) si occupa solo se il singolo privato che ne ha interesse lo richiede.

Il diritto privato regola i rapporti tra i diversi soggetti privati: le persone fisiche, le associazioni, le società ecc. Nella maggior parte dei casi tali rapporti si svolgono su un piano di parità e in essi la libera volontà dei soggetti che hanno rapporti tra loro assumer un’importanza fondamentale: quando non c’è contrasto con un interesse pubblico l’ordinamento giuridico lascia i privati liberi di agire come vogliono, di gestire come preferiscono la propria vita o i propri affari (cosiddetta “autonomia dei privati”). Così il possibile compratore e il possibile venditore di una casa decidono liberamente se accordarsi per un contratto di compravendita di quella casa oppure no; ognuno può decidere se fare testamento, se sposarsi o no e, se sì, con chi. In questi casi la legge stabilisce solo alcune regole che limitano l’autonomia dei privati riguardo aspetti che non sono indifferenti per l’ordine sociale.

Le norme di diritto privato si distinguono a loro volta in più settori, i più importanti dei quali sono:

   Norme di diritto civile

che si occupano delle persone, della famiglia, delle successioni, della proprietà e degli altri diritti reali, delle obbligazioni, dei contratti e della tutela dei diritti

   Norme di diritto commerciale

Che regolano l’impresa e l’imprenditore (individuale e collettivo), i contratti relativi all’attività di impresa, i titoli di credito, il fallimento, i brevetti ecc.

Tra le norme di diritto commerciale ricordiamo:

  Norme di diritto societario

  Norme di diritto fallimentare

   Norme di diritto del lavoro

Che si occupano del rapporto di lavoro dipendente (lavoro subordinato)

   Norme di diritto agrario

   Norme di diritto internazionale privato

Sono le norme dettate da uno stato per casi che coinvolgono un cittadino o un bene straniero o avvengono tra cittadini ma in  territorio straniero (es. un matrimonio, un contratto). In questi casi occorre una norma dello stato per decidere se applicare il diritto nazionale o lasciare che sia applicato il diritto dello stato straniero.

Utilizzando un altro criterio possiamo invece distinguere:

   Norme di diritto interno

Sono le norme prodotte dallo Stato

   Norme di diritto esterno

Le norme di diritto esterno si distinguono a loro volta in:

   Norme di diritto internazionale

che vale nelle relazioni tra gli stati, cioè tra uno stato e un altro (o vari stati)

   Norme di diritto comunitario

Che si applica nel territorio degli stati membri dell’Unione Europea. Esso è un diritto che non proviene dai loro organi, ma da quelli di una speciale comunità di stati di cui fanno parte, che è appunto l’Unione Europea.

 

 

Norme imperative, dispositive, suppletive

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Mentre le norme del diritto pubblico sono tutte imperative, nel diritto privato (ad es. nel Codice Civile) possiamo distinguere le norme imperative (o cogenti, o assolute, o di ordine pubblico in senso lato) dalle altre, dette norme relative. Le norme imperative si impongono in ogni caso: ad es gli articoli 162, 1229, 1613, 1647-1654. Le altre invece sono quelle derogabili dalle parti. Da alcuni, nell’ambito di questa seconda categoria, si suole fare ulteriore distinzione tra norme dispositive che regolano un rapporto, ma poi prevedono che l’espressa volontà delle parti possa disciplinarlo in modo anche diverso (es. art. 1282), e norme suppletive, le quali intervengono a disciplinare tutto un rapporto soltanto in mancanza della volontà delle parti (es. art. 1063 e seguenti). Le prime, dispositive, sono in sostanza ispirate a fini di utilità generale, ma fanno salvo un eventuale prevalente interesse contrario del privato; le seconde sono stabilite nell’interesse del singolo, per supplire a una sua deficiente manifestazione di volontà.

 

 

Il diritto internazionale privato.

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Vi possono essere questioni in cui si intrecciano legislazioni di stati diversi

Si pensi ad un divorzio tra marito e moglie che hanno diversa cittadinanza; all’esecuzione di un contratto concluso in uno stato, tra due soggetti di diversa nazionalità, riguardante un bene che è in uno stato ancora diverso; all’eredità di un cittadino di uno Stato, che ha fatto testamento in un secondo stato a favore di un cittadino avente altra nazionalità, i cui beni sono in un terzo stato ecc.

In questi casi occorre stabilire quale legge deve essere applicata. Ciò avviene rinviando a una delle legislazioni degli stati interessati. In questo modo si dà spazio a un ordinamento e contemporaneamente se ne toglie agli altri determinando l’efficacia dei diversi ordinamenti giuridici nello spazio.

Il rinvio è fatto dalla legge italiana (la materia è disciplinata dalla legge 31 maggio 1995 n. 218), la quale indica quale legislazione potrà essere applicata nei diversi casi. Queste norme di rinvio a legislazioni straniere si denominano “diritto internazionale privato”

Questa formula può trarre in inganno: non si tratta di diritto internazionale vero e proprio, ma di diritto interno. Esso è “diritto privato” perché riguarda solo i rapporti regolati dal diritto privato. Il diritto pubblico applicabile in Italia è solo quello italiano. L’inderogabilità della legge italiana è ad esempio espressamente stabilita per la materia penale e in genere di polizia e sicurezza pubblica. Nel caso delle materie regolate dal diritto pubblico sono in gioco interessi essenziali dello Stato e perciò non si può ammettere una limitazione alla sovranità italiana

 

 

Il diritto internazionale vero e proprio. Le fonti straniere e quelle europee. Il diritto internazionale privato

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Il diritto internazionale nel vero senso del termine (diverso dal diritto internazionale privato) è l’insieme delle norme che regolano i rapporti tra gli stati. Queste norme possono essere o consuetudini internazionali (come le norme sulle immunità degli ambasciatori) o trattati (cioè accordi) tra Stati particolari. L’insieme di queste norme  costituisce l’ordinamento internazionale, distinto da quello (interno) dei singoli stati.

Per quanto riguarda le fonti comunitarie, vedi quanto detto in precedenza

 

 

Lordine pubblico

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Vi sono dei casi in cui il nostro ordinamento ammette l'applicazione del diritto straniero: a) nel caso di una norma di diritto internazionale privato che richiami una norma straniere; b) nel caso di norme della Comunità Europea; c) nel caso di convalida del matrimonio avvenuto secondo le norme del diritto della Chiesa; d) nel caso di società commerciali estere; e in altri casi ancora.

In tutti questi casi il giudice è tenuto a disapplicare le norme straniere se esse violino le norme e i principi più importanti, irrinunciabili, del nostro ordinamento giuridico: ad esempio, il principio della parità tra uomo e donna; le norme del diritto penale; il principio monogamico (un uomo non può sposare più donne); il principio della inviolabilità del domicilio; ecc. Queste norme e principi sono precisamente l'"ordine pubblico internazionale".

L'"ordine pubblico internazionale" e l'"ordine pubblico interno" sono diversi dalle "norme imperative". Le "norme imperative" comprendono TUTTE le norme inderogabili dell'ordinamento italiano, mentre l'"ordine pubblico internazionale" e l'"ordine pubblico interno" comprendono solo le norme più importanti e irrinunciabili. Ad es. la norma che vieta che in una società un socio abbia tutti gli utili o tutte le perdite fa parte delle "norme imperative", ma non dell'"ordine pubblico internazionale".

Pertanto, un giudice ammetterà che una società straniera possa regolarsi in modo diverso. Inoltre, l'"ordine pubblico interno" e l'"ordine pubblico internazionale" comprendono anche i "principi generali dell'ordinamento giuridico".

L'"ordine pubblico interno" è un concetto molto vago: dovrebbe comprendere un maggior numero di norme rispetto all'"ordine pubblico internazionale" e un minor numero di norme rispetto alle "norme imperative"

Una tipica norma che fa riferimento all'"ordine pubblico interno" è l'art. 1343, richiamato dall'art. 1418 del codice civile, che stabilisce che sono nulli per illiceità i contratti contrari "Alle norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume"

 

 

La procedura di stipulazione dei trattati internazionali

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Per essere eseguite all’interno degli Stati le norme internazionali debbono trasformarsi in norme di diritto interno. In linguaggio più tecnico, si dice che il diritto interno deve adattarsi alle norme internazionali.

Di solito si approva una norma contenente il cosiddetto “ordine di esecuzione” che dice “piena e intera esecuzione è data al trattato…” Con questa norma il trattato diventa anche diritto interno.

Più precisamente, le fasi per la introduzione  della norma di un trattato internazionale (che si applicano ancora a tutti gli accordi intergovernativi e ai trattati relativi all’Unione Europea) sono:

·    Stipulazione, ad opera dei rappresentanti diplomatici (organi del ministero degli esteri e, nei casi più importanti, ministri e primi ministri

·    Ratifica da parte del Presidente della Repubblica (per i trattati più importanti  occorre che il Presidente sia autorizzato con legge del Parlamento)

·    Ordine di esecuzione che dà efficacia nell’ordinamento italiano (con decreto del Presidente o nella legge di autorizzazione)

Non occorrono invece ordini di esecuzione particolari per il diritto internazionale consuetudinario (detto anche “generalmente riconosciuto”). L’art. 10 della Costituzione prevede infatti l’adattamento automatico, stabilendo che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.

 

 

Il codice civile italiano

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Il codice civile italiano, emanato nel 1942 mediante decreto legislativo (le sue norme hanno dunque forza di legge ordinaria), contiene 2969 articoli che pongono le norme fondamentali del diritto privato e del diritto commerciale. Ad esso si sono aggiunte nel corso del tempo numerose Leggi speciali  riguardo tutte le materie da esso disciplinate. Abbiamo così leggi speciali sulla locazione, leggi speciali sul fallimento, leggi speciali sulle società ecc.

Il codice civile è suddiviso in sei libri che trattano rispettivamente delle persone e della famiglia (libro primo), delle successioni (libro secondo), della proprietà e dei diritti reali (libro terzo), delle obbligazioni (libro quarto), del lavoro e dell’impresa commerciale e agricola(libro quinto); delle prove nel processo civile, della responsabilità patrimoniale del debitore, delle cause di prelazione e di prescrizione (libro sesto)

Ciascun articolo si suddivide in periodi separati terminanti con un punto e a capo (capoversi) chiamati “commi”. All’interno di un comma si possono distinguere, a seconda dei casi, i periodi (frasi separate da punti), i numeri o le lettere (se il comma contiene degli elenchi numerati o contrassegnati da lettere)

 

 

Fatti, atti, negozi giuridici

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Tutti quei fatti dal verificarsi dei quali una qualsiasi norma giuridica fa dipendere la nascita, la modificazione o la estinzione di una situazione giuridica attiva o passiva o la qualificazione di una persona, di una cosa o di un altro fatto, si dicono "fatti giuridici".

Un fatto giuridico può essere un "evento", che si verifica in un dato istante di tempo (es. terremoto, nascita, morte) o una "situazione", che permane per un certo periodo di tempo o indefinitamente (stato di incapacità di intendere e di volere; stato di pericolo di crollo di un edificio decrepito ecc.).

 

 

Fatti naturali e fatti umani

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I fatti giuridici si dividono in "fatti naturali" (es. crollo di un edificio) e "fatti umani", che consistono in un comportamento consapevole e volontario dell'uomo. Non sono "fatti umani" la nascita, la morte la malattia, il naufragio di una persona, perché non costituiscono "comportamenti" di quella persona: in questi casi ci troviamo di fronte a fatti naturali.

Esistono atti umani consapevoli e volontari che però non determinano una conseguenza giuridica (es. fare una passeggiata, fischiettare, allacciarsi una scarpa, ecc.) e perciò non sono "fatti giuridici" e neanche “fatti umani”, perché non producono una conseguenza giuridica. Si parla in tal caso (impropriamente) di "atti meramente leciti".

 

 

Gli atti giuridici

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Uno stesso "fatto umano" può essere considerato dal diritto come "atto giuridico" o come “fatto giuridico” a seconda delle norme che lo prendono in considerazione.

Si parla di "atti giuridici" quando la norma fa dipendere la conseguenza giuridica da un comportamento solo se questo è volontario e consapevole, cioè si basa su una consapevole rappresentazione della realtà (non è ad es. rappresentazione consapevole una allucinazione) e sia stato effettivamente voluto (non è ad es. voluto il contagio di epatite da parte di un soggetto che ignorava di esserne affetto).

Nel caso invece dei comportamenti da cui la norma lascia nascere una conseguenza giuridica per il solo fatto che si siano verificati, senza prendere in considerazione la circostanza che siano stati o non posti in essere volontariamente (e quindi anche consapevolmente) non si parla di "atti giuridici".

Un omicidio, per il codice penale è un "atto giuridico", perché le conseguenze stabilite dal codice (cattura e reclusione) nasceranno solo se l'omicida era in condizione di intendere e di volere. Un omicidio, per la norma del codice civile che regola la successione ereditaria è un "fatto giuridico ", perché la conseguenza (acquisto del patrimonio dell'ucciso da parte degli eredi) si verifica indipendentemente dal fatto che l'omicida abbia agito coscientemente o meno.

I "fatti naturali" e i "fatti umani" che non costituiscono atti giuridici formano la categoria dei "meri fatti giuridici", in contrapposto agli "atti giuridici".

 

 

La classificazione degli atti giuridici

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Gli atti giuridici si distinguono in "atti dei privati" e "atti di potere pubblico".

Gli atti giuridici si suddividono anche in "atti giuridici leciti" e "atti giuridici illeciti" (es. omicidio, danneggiamento). Gli atti giuridici illeciti si suddividono in "(atti) illeciti civili", "(atti) illeciti penali" e "(atti)illeciti amministrativi" a seconda che siano previsti e sanzionati da una norma di diritto civile, di diritto penale o di diritto amministrativo.

Gli atti giuridici leciti consistono in dichiarazioni con cui il soggetto manifesta all'esterno una propria volontà, un proprio giudizio ecc. Essi si suddividono in "meri atti giuridici" e in "negozi giuridici".

Sono "meri atti giuridici":

   Dichiarazioni di giudizio (es. sentenze dei giudici, decisioni degli arbitri privati, 

   Dichiarazioni di scienza o di verità (es. testimonianza di un testimone,confessione di un imputato, atti di documentazione mediante registrazioni sui libri contabili, certificato di un ente pubblico, denuncia dei redditi ecc.)

   Dichiarazioni di desiderio (es. domanda di un certificato o di un sussidio di disoccupazione da parte di un cittadino, proposta da parte di un organo ad un altro organo ecc.)

   Atti di valutazione o apprezzamento (es. valutazione annuale di servizio dei dirigenti pubblici, pareri ecc.)

   Comunicazioni o denunzie di un determinato fatto. In questo caso si vuole ottenere qualcosa di più che con la dichiarazione di scienza: si vuole che altri sappia qualche cosa, e ci si adopera che questo avvenga (es. notifica al debitore della cessione del credito da parte del creditore; comunicazione della scelta nelle obbligazioni alternative ecc.)

   Altri atti: Intimazioni, promessa di matrimonio, riconoscimento di figlio naturale, destinazione del padre di famiglia per la costituzione della servitù ecc.

Tutti gli atti giuridici, compresi quelli illeciti (e forse esclusa l'ultima categoria), hanno in comune il fatto che sono consentiti dall'ordinamento, che debbono essere voluti dall'agente, che producono conseguenze stabilite esclusivamente dall'ordinamento e non dall'agente (ad es. l'incarcerazione è certamente una conseguenza non voluta dall'autore del fatto illecito).

 

 

I negozi giuridici

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I "negozi giuridici" sono pure essi dichiarazioni, e precisamente dichiarazioni di volontà. Mentre gli effetti degli atti giuridici in senso stretto dipendono da una norma giuridica e non dalla volontà di chi compie l'atto (una testimonianza può anche ritorcersi a danno di chi l'ha fatta), gli effetti dei negozi giuridici dipendono dalla volontà di chi compie l'atto. In altre parole: gli effetti dei negozi giuridici, a differenza che per gli altri atti non negoziali, sono precisamente quelli voluti dal soggetto che li compie.

L'ordinamento giuridico ricollega alla dichiarazione di volontà proprio gli effetti che il soggetto dichiara di voler ottenere (passaggio di proprietà, assegnazione dell'eredità ad un discendente piuttosto che ad un altro ecc.): il negozio giuridico è l'atto di una volontà autorizzata dall'ordinamento a perseguire il suo scopo. Si può anche dire che nel caso dell'atto che non sia un negozio per la legge esiste (= la legge riconosce) la volontà dell'atto ma non del contenuto dell'atto; nel caso dei negozi per la legge esiste la volontà dell'atto e quella del contenuto.

I negozi giuridici possono essere di diritto pubblico o di diritto privato.

Possono essere unilaterali, bilaterali o plurilaterali.

 

 

La classificazione dei negozi giuridici

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I negozi giuridici possono distinguersi in:

·    unilaterali, i quali producono i loro effetti in seguito alla manifestazione di volontà di un solo soggetto, anche se altri soggetti possono essere interessati (es. testamento, rinuncia a un diritto)

·    bilaterali o plurilaterali, i quali producono i loro effetti solo quando vi sia la conforme manifestazione di volontà di due (o più) soggetti. Il caso più tipico è il contratto

I negozi giuridici unilaterali possono distinguersi in:

·    unilaterali ricettivi (o recettizi), che per produrre i loro effetti, debbono essere “ricevuti” da un’altra persona, alla quale perciò l’atto deve essere comunicato (es. la disdetta della locazione di un immobile)

·    unilaterali non ricettizi (o recettizi) che per produrre i loro effetti, non hanno bisogno di essere “ricevuti” da un’altra persona

I negozi giuridici possono anche distinguersi in:

·    patrimoniali, che costituiscono, modificano o estinguono diritti o altre situazioni soggettive patrimoniali

·    non patrimoniali che costituiscono, modificano o estinguono diritti o altre situazioni giuridiche non patrimoniali

Un diritto o un’altra situazione giuridica si dice patrimoniale se ha ad oggetto un bene o un comportamento valutabile economicamente, cioè un comportamento che normalmente può essere acquistato e venduto, che viene considerato dalla coscienza sociale una “merce” vendibile. Così, il proprio lavoro è considerato una “merce” vendibile; persino le proprie prestazioni di strip-tease vengono considerate vendibili, ma non i propri favori sessuali o la fedeltà coniugale.

Sono diritti patrimoniali:

·    I diritti reali

·    I diritti di obbligazione

·    I diritti di sfruttamento economico delle opere dell’ingegno

·    Altri diritti minori, come ad es. il diritto di opzione sulle azioni di una Società per azioni

Tra i principali diritti non patrimoniali abbiamo:

·    I diritti della persona

·    I diritti di natura non patrimoniale nascenti dal matrimonio

·    I diritti dell’autore dell’opera dell’ingegno a vedersi riconoscere la paternità di quanto creato

I negozi  giuridici possono anche distinguersi in:

·    Onerosi, nei quali  tutti i soggetti che vi partecipano si accollano un certo sacrificio (onere) economico per ottenere un (altro) vantaggio (si pensi alla compravendita, in cui l’acquirente acquista la proprietà di un bene, ma paga i prezzo e il venditore riceve il pagamento del prezzo, ma perde la proprietà del bene venduto

·    Gratuiti, in cui solo un soggetto subisce una perdita economica e l’altro (o gli altri) ricevono un beneficio, senza corrispettivo (si pensi per esempio alla donazione)

I negozi giuridici possono anche distinguersi in:

·    tra vivi, quando gli effetti giuridici sono destinati a operare tra persone fisiche tutto va viventi

·    a causa di morte, quando la volontà è destinata a operare al momento della morte di colui che l’ha manifestata (es. testamento)

 

 

Gli interessi considerati dal diritto

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Le possibili valutazioni dei diversi interessi dei singoli espresse dal diritto sono:

   L’indifferenza che si verifica quando manca una norma giuridica (come nella gran parte delle azioni della nostra vita quotidiana, che sono regolate da norme morali, sociali, di buona educazione, ecc, ma non da regole giuridiche

   L’atteggiamento positivo che comporta la protezione di un interesse attraverso il riconoscimento di posizioni (o, come si dice, “situazioni”) giuridiche attive

   L’atteggiamento negativo che comporta invece l’imposizione di posizioni giuridiche passive

Quindi, se le norme giuridiche stabiliscono la preminenza dell’interesse di un soggetto su interessi di altri con cui può entrare in conflitto, il primo soggetto è titolare di una posizione (o situazione) di vantaggio. Se, viceversa, stabiliscono che un certo interesse ha importanza minore rispetto ad altri, il soggetto che ha quell’interesse si troverà in una posizione di svantaggio

 

 

Il meccanismo tipico della norma giuridica (ripasso)

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Molte norme giuridiche sono nella forma "se... allora..." (esempio: "Se una persona uccide un'altra persona sarà incarcerata")

Queste norme sono composte di due parti:

Una parte chiamata "fattispecie", che contiene la descrizione di un fatto (ad esempio: "mancato pagamento da parte del debitore")

Una parte chiamata "sanzione", che stabilisce la conseguenza collegata al verificarsi della fattispecie (ad esempio: "obbligo del debitore di risarcire i danni provocati al creditore col proprio mancato pagamento")

L'effetto che una norma giuridica prevede nella sanzione consiste sempre e solo nella nascita o nella modificazione o nella estinzione di una situazione giuridica soggettiva attiva o passiva per uno o più soggetti.

Esempio di fattispecie: assenza del professore per malattia

Esempio di sanzione collegata a tale fattispecie: 

·    Nascita di un obbligo di segnalazione e di un obbligo di giustificazione (invio del certificato medico) da parte del professore

·    Nascita del diritto del professore a rimanere ia casa a curarsi;

·    Nascita dell'obbligo del Preside di sostituire il professore;

·    Nascita dell'obbligo della segreteria di annotare il numero di giorni di assenza.

Il meccanismo di funzionamento delle norme giuridiche è sempre lo stesso: la norma stabilisce che al verificarsi di un dato fatto (chiamato "fatto giuridico") si verifichi una delle seguenti conseguenze:

·    nascita di una situazione giuridica soggettiva nuova (es. nascita di un diritto);

·    estinzione di una situazione giuridica soggettiva già esistente (es. estinzione di un diritto);

·    trasformazione di una situazione giuridica esistente (es. un diritto di proprietà si trasforma in un diritto di usufrutto).

 

 

Le situazioni giuridiche soggettive in generale

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Esistono tre tipi di condizioni in cui il diritto può porre un individuo:

   Qualità giuridiche

   Capacità (capacità giuridica e capacità di agire)

   Situazioni giuridiche soggettive

 

 

Le situazioni giuridiche possono essere attive o passive

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Si parla di situazioni giuridiche soggettive attive, che recano un vantaggio al soggetto permettendo di realizzare un suo interesse. Si parla di situazioni giuridiche passive che recano uno svantaggio al soggetto sacrificando un suo interesse.

 

 

I vari tipi di situazioni giuridiche attive

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   DIRITTO SOGGETTIVO

Il diritto è la situazione di chi vede protetto in modo completo il proprio interesse contro chiunque possa danneggiarlo. Il proprietario ha un diritto di proprietà che gli assicura che può utilizzare in esclusiva l'oggetto su cui ha interesse. Il creditore ha un diritto nei confronti del debitore che gli assicurerà la realizzazione dell'interesse ad essere pagato.  Si distinguono diritti soggettivi assoluti (esempio proprietà) e relativi (es. diritto del creditore), patrimoniali (esempio diritto del locatore ad avere pagato l'affitto) e diritti non patrimoniali (esempio diritto alla fedeltà coniugale da parte del marito, diritto alla vita ecc.).

"Quando a tutela di un interesse in ordine a un certo bene esista una norma di relazione - vale a dire una norma, la quale, nel consentire al suo titolare, in quanto tale, il vantaggio di certe possibilità (di comportamenti e di pretese) per lui utili (e cioè  nel prevedere un suo agere licere), garantistica e protegga tale interesse, attraverso idonei strumenti, in modo pieno nei confronti di (uno o più o tutti gli) altri soggetti, delimitando le rispettive sfere giuridiche -, allora (e soltanto allora) ci si trova in presenza di un diritto soggettivo. A questa figura è sempre correlativa (nei soggetti nei confronti dei quali il diritto viene riconosciuto dall'ordinamento) una particolare figura di dovere: l'obbligo. Questo è appunto il dovere imposto in corrispondenza di una posizione di vantaggio di un altro soggetto (posizione che assurge alla dignità di diritto, proprio perché ed in quanto ad esso corrispondono uno o più obblighi altrui). Il titolare di un diritto non potrebbe effettivamente considerarsi protetto in tale situazione di vantaggio offertagli dall’ordinamento, ove altri soggetti non fossero tenuti (in base all'ordinamento) ad assicurare (sia pure col solo contegno passivo di chi si astiene o subisce) le condizioni per il godimento di tale posizione di vantaggio. Nella immediata correlazione con uno o più obblighi e nella immediatezza e pienezza della tutela accordata (e cioè  nella possibilità di conseguire una valida soddisfazione ripristinatoria, o quanto meno surrogatoria, dell'interesse eventualmente leso) consiste dunque l'elemento di discriminazione del diritto soggettivo dall'interesse legittimo. Non si è in presenza di n diritto soggettivo infatti in quei casi in cui la tutela che il soggetto riceve discende da norme ordinate (unicamente) a regolare l'esercizio di potestà altrui con le quali la posizione del soggetto sia in qualche modo connessa".

   DIRITTI SOGGETTIVI QUIESCENTI

Si ha quando la posizione soggettiva, a causa di un atto estraneo alla fattispecie che le diede origine, e successivo alla sua venuta in vita (in queste due caratteristiche risiede la diversità dello stato di quiescenza da quello di pendenza), si trovi nella temporanea  impossibilità di spiegare (in tutto o in parte) i suoi effetti. La posizione soggettiva durante lo stato di quiescenza continua dunque a vivere, ma non è (in tutto o in parte) operativa: essa tornerò però ad esserlo automaticamente se la ragione della quiescenza venga a cessare senza o prima che sia intervenuta una causa estintiva della posizione stessa. Gli esempi tipici del fenomeno sono quello della sospensione cautelare dell’impiegato dal rapporto di servizio in corso di procedimento penale o disciplinare, nonché quelli delle posizioni che hanno il loro fondamento in un atto amministrativo la cui esecuzione sia stata sospesa.

   FACOLTA'

Non è una vera e propria situazione giuridica soggettiva; la parola indica i poteri particolari che si attribuisce un diritto. Ad es. si dice che il diritto di proprietà (su un terreno) ci dà la facoltà di coltivare, la facoltà di vendere, la facoltà di recintare ecc. Si dice che un diritto di credito ci dà la facoltà di esigere il pagamento da parte del debitore, la facoltà di rivolgerci al giudice per farlo condannare; la facoltà di far espropriare e vendere i suoi beni ecc. Le facoltà costituiscono insomma i "mattoni" di cui è composto un diritto.

   POTESTA'

Si tratta di un potere attribuito ad un soggetto per proteggere e realizzare un interesse altrui, o comunque un interesse generale. Possiamo avere potestà attribuite dal diritto privato (es. Potestà dei genitori sui figli) e potestà attribuite dal diritto pubblico (es. potestà delle autorità: del prefetto, del sindaco, del pretore...). Le potestà pubbliche consistono nella possibilità di emanare atti che si impongono ai privati cittadini anche contro la loro volontà. Le potestà pubbliche si dividono in legislativa, esecutiva (o amministrativa) e giudiziaria, a seconda che siano esercitate da organi del potere legislativo, esecutivo o giudiziario per gli scopi tipici di tali poteri.

   POTERI UNILATERALI

In certi casi un soggetto, con la propria dichiarazione di volontà, può ottenere un risultato senza che nessuno possa ostacolarlo, creando, modificando o estinguendo situazioni giuridiche, proprie o altrui. Ad esempio, colui che ha stipulato un contratto sotto l'effetto di una droga somministratagli da altri, ha il potere di chiedere l'annullamento del contratto; il coniuge ha il potere di chiedere la separazione; il socio, se non è stato stabilito il termine di scioglimento della società, ha il potere di uscire dalla società (= di sciogliersi dal contratto di società) in qualsiasi momento; ciascuno di noi ha il potere di stabilire la sorte dei suoi beni dopo la propria morte, attraverso il testamento; e così via. Ad alcuni di questi poteri unilaterali è Stato dato il nome di:

  DIRITTI POTESTATIVI

Sono diritti potestativi il diritto di chiedere la separazione coniugale, il diritto di recedere dalla società, quello di chiedere il 50% della proprietà del muro di confine del vicino, anche se questi non voglia cederla ecc. Alcuni diritti potestativi richiedono, oltre alla manifestazione di volontà del soggetto, anche l'intervento del giudice: è questo il caso ad es. della separazione tra i coniugi.

   ASPETTATIVA

Una persona a cui sia Stato promesso un bene o un diritto se si verificherà una data condizione, ha un limitato potere di esercizio e di protezione di questo diritto anche prima di acquistarlo per il verificarsi della condizione. Ad es., se Tizio promette a Caio il proprio cavallo se e quando tornerà la sua nave dall'Asia con le mercanzie raccolte, Caio non acquista immediatamente il diritto di proprietà sul cavallo, e quindi non può impadronirsene e utilizzarlo; tuttavia, in attesa del ritorno della nave, la sua posizione di aspettativa gli consente, sin dal momento della promessa, di vendere il cavallo (ma la vendita avrà effetto solo se la nave tornerà e non se farà naufragio) ed eventualmente di chiedere persino il sequestro del cavallo al giudice, se vi è pericolo che Tizio possa uccidere o dare ad altri la bestia (questi ultimi atti si chiamano "atti conservativi del diritto"). 

   STATUS

Con questa parola si indica un'insieme di situazioni giuridiche soggettive che stabiliscono la posizione di una persona in un gruppo, fissando i suoi diritti, doveri, responsabilità. Si parla ad esempio di "status di cittadino" per indicare il complesso dei diritti e dei doveri del cittadino; si parla di "status di socio" per indicare i diritti e i doveri del socio di una società (semplice, per azioni ecc.); si parla di "status di figlio" per indicare l'insieme dei diritti, dei doveri e delle incapacità del minorenne.

   INTERESSE LEGITTIMO

Ciascun cittadino ha il potere di denunciare al giudice amministrativo irregolarità negli atti della Pubblica Amministrazione, eventualmente approfittando dell'annullamento di tali atti. Ad es. se ho partecipato a un concorso pubblico truccato vinto da altri posso chiedere al giudice amministrativo di annullare il concorso e la nomina dei vincitori, ottenendo il vantaggio personale di poter rifare il concorso; se il provvedimento di espropriazione del mio terreno è Stato emanato in violazione della legge, posso chiederne l'annullamento, col vantaggio di riacquistarne. 

   INTERESSI DIFFUSI

Con questa formula si intende quell'interesse al rispetto della legge che riguarda non solo il singolo, ma una generalità di soggetti. Si pensi, ad es. all'interesse che ciascuno di noi ha, come utente, a che i servizi pubblici (trasporti pubblici, ospedali, scuole...) funzionino bene. Oggi, a differenza del passato, la legge riconosce in molti casi a particolari associazioni (es. associazioni ecologiche, unioni dei consumatori...) il diritto di chiedere al giudice la condanna di colui che ha violato un'interesse diffuso, nel campo in cui tali associazioni operano.

Non necessariamente ad un dovere è collegato ad un vantaggio di altri soggetti. La violazione di certi doveri vulnera l'interesse generale nel suo insieme indifferenziato. Si parla di interessi diffusi o adespoti, che sono interessi di fatto tanto quanto l'interesse di un singolo a godere di buona salute.

Non molto dissimile è l'interesse degli amministrati a che la P.A. agisca secondo regole di buona amministrazione. Si tratta comunque di interessi già differenziati, ma non protetti.

 

 

I vari tipi di situazioni giuridiche passive

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Elenchiamo ora le situazioni giuridiche soggettive passive:

   DOVERE

Di fronte a un diritto soggettivo assoluto (es. proprietà, diritto alla vita) si ha un dovere di rispettarlo, evitando tutti gli atti che potrebbero danneggiare la vita o i beni altrui.

   OBBLIGAZIONE

Di fronte a un diritto di credito (diritto soggettivo relativo) sta l'obbligo di compiere la prestazione dovuta (ad es. il pagamento di una somma di denaro). In questo caso, di fronte ad un creditore c'è un debitore ben definito, che è tenuto a dare, fare, non fare o lasciar fare qualcosa.

Si sogliono distinguere gli obblighi di dare, fare, non fare, sopportare.

   SOGGEZIONE

Si parla di soggezione anzitutto quando si subisce l'esercizio di un diritto potestativo da parte di altri o un provvedimento dell'autorità senza che si possa fare nulla per impedirne gli effetti. Ad es. si subisce lo scioglimento di un contratto quando non si adempie ai propri obblighi; il proprietario del terreno deve lasciare la proprietà a colui che coltiva la terra (enfiteuta) se costui dichiara di volerla acquistare pagando un valore pari a 10 canoni annuali; Tizio chiede di acquistare la comproprietà del mio muro di confine pagandone il corrispondente valore e io non posso fare niente per oppormi. Ma si parla di soggezione anche in un altro caso: quando la legge intende raggiungere i suoi scopi con o senza la nostra collaborazione, addirittura con l'eventuale impiego della forza fisica. Così, il responsabile di un delitto è in una situazione di soggezione: la legge intende catturarlo e sottoporlo a detenzione sia nel caso che egli collabori, sia nel caso che tenti di fuggire. Così, il debitore che dopo ripetute intimazioni non paga, si vedrà espropriare i beni e venderli all'asta, che egli collabori o no. La persona che ha costruito abusivamente sul suolo pubblico vedrà radere al suolo la costruzione senza poter o dover far nulla. La differenza tra soggezione e obbligazione si può capire meglio confrontando la situazione dell'uomo libero con quella degli schiavi dell'antichità. Gli schiavi erano in una condizione simile alla soggezione: essendo (per la legge romana) degli oggetti piuttosto che delle persone, non veniva richiesta la loro collaborazione, ma venivano direttamente obbligati fisicamente a compiere il loro lavoro. L'uomo libero, invece, non può essere costretto fisicamente, tranne rari casi, a tenere un comportamento che non vuole tenere. Tuttavia, se insiste nella violazione della legge, verrà trattato come un oggetto.

   RESPONSABILITA'

E' la situazione di chi ha degli speciali obblighi, violando i quali subirà delle sanzioni (civili, penali, amministrative). Ad esempio, gli amministratori di una società per azioni saranno responsabili verso i loro soci se provocano illegittimamente una diminuzione del patrimonio della società.

   ONERE

Il codice civile conosce due significati della parola "onere":

Incombenza affidata alla persona a cui si lascia per testamento o si dona qualcosa. Esempio: "Ti dono un miliardo, ma hai l'onere (= il compito) di erigermi una statua nel giardino della villa che ti ho donato". Oppure: "Ti lascio in eredità un miliardo con l'onere (= il compito) di provvedere al mio gatto per tutta la sua vita".

Si parla anche di onere per indicare qualcosa che il diritto indica si debba fare se si vuole raggiungere un certo scopo. Ad esempio, chi ha acquistato una merce difettosa ha l'onere (non il dovere) di denunciare prontamente i difetti al venditore. In mancanza, non avrà alcuna sanzione ma perderà il diritto di chiedere lo scioglimento del contratto o la diminuzione del prezzo.

 

 

Il rapporto giuridico di diritto privato

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Il diritto regola dunque interessi che si intrecciano, cioè posizioni reciproche dei diversi soggetti.

A ogni posizione di vantaggio corrisponde una posizione di svantaggio e viceversa.

In questo modo, in ogni singolo caso, si stabilisce un rapporto tra due (o più) soggetti regolato dal diritto: il rapporto giuridico. Il rapporto giuridico è quel rapporto tra due o più soggetti in cui uno, detto soggetto attivo, ha per legge un potere sull’altro, detto soggetto passivo; a tale potere corrisponde un dovere del soggetto passivo verso il soggetto attivo.

 

 

Gli elementi costitutivi del rapporto giuridico

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Il rapporto giuridico è costituito da tre elementi:

   I soggetti: attivo e passivo

   Il contenuto, cioè il potere che il soggetto attivo può, in base alla legge, esercitare sul soggetto passivo, costringendolo a tenere un certo comportamento. A tale potere corrisponde sempre un dovere in capo al soggetto passivo di tenere quel certo comportamento

   L’oggetto cioè il bene o l’utilità derivante dal comportamento che il soggetto passivo deve tenere a vantaggio del soggetto attivo

I soggetti del rapporto giuridico sono detti anche “parti”. Tutti coloro che non sono parti del rapporto sono detti terzi.

 

 

I vari significati del termine “oggetto” nel linguaggio giuridico

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Qui di seguito sono raggruppate le espressioni in cui la parola “oggetto” compare:

   “L’oggetto del contratto di compravendita è lo scambio di cosa contro prezzo”

In questa espressione “oggetto del contratto” equivale a causa del contratto ( = operazione economico-sociale tipica che è svolta dal contratto)

   “Oggetto di questo contratto di compravendita è l’appartamento appartenente al sig. Rossi e ubicato in via Verdi n° 8 a Torino”

In questa espressione “oggetto del contratto” significa “bene cui si riferisce il contratto”

   “Un contratto con oggetto impossibile è nullo”; “Un contratto con oggetto illecito è nullo”

In questa espressione “oggetto del contratto” significa “prestazione o prestazioni previste dal contratto” (ad es. una delle due prestazioni è illecita perché è una prestazione sessuale o una prestazione di uccidere)

   “Questo contratto è nullo per mancanza di oggetto”

In questa espressione “oggetto del contratto” significa che in particolari contratti, come quello di compravendita, la mancanza della cosa (che per esempio è andata distrutta prima della stipulazione del contratto) rende il contratto nullo.

   “Il presente contratto ha ad oggetto i diritti di uso della sorgente denominata ‘sorgente Rocciaviva’ sita nel comune di Garessio, provincia di Cuneo”; “La prova per testimoni nei contratti non è ammessa quando il valore dell’oggetto eccede gli € 2,582”

In queste espressioni “oggetto del contratto” significa “diritti o facoltà o vantaggi cui si riferisce il contratto”

   “Questa prestazione di dare ha ad oggetto una somma di denaro”

In questa espressione “oggetto della prestazione” è il bene cui si riferisce la prestazione di dare, fare etc.

   “L’oggetto di un diritto reale (o del rapporto giuridico che nasce da un diritto reale) è un bene; l’oggetto di un diritto di credito (o di un rapporto di obbligazione) è il comportamento del debitore (prestazione) o il suo risultato utile”

In questa espressione “oggetto del diritto” o “oggetto del rapporto” è il bene (caso del diritto reale), vantaggio, comportamento altrui o risultato utile (caso del diritto di credito) che il diritto ci consente di ottenere, ci assicura.

   “L’oggetto sociale è il commercio di prodotti alimentari”

In questa espressone “oggetto sociale” è l’attività svolta dalla società

 

 

Le principali distinzioni nell’ambito dei diritti soggettivi

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Nella categoria dei diritti soggettivi si distinguono:

   Diritti assoluti e diritti relativi

   I diritti assoluti sono quelli che valgono “in assoluto”, cioè nei confronti di tutti, di qualsiasi altro soggetto. Si pensi al diritto all’integrità fisica, al diritto di proprietà, al diritto all’onore. Tutti sono tenuti a non violare la persona, la proprietà, l’onore altrui

Il diritto assoluto (pensiamo al diritto di proprietà) può essere usato in molti modi dal suo titolare: il proprietario di un terreno può coltivarlo, può giocarci a calcio, può passeggiarvi col cane ecc. Un diritto assoluto non è che un insieme di facoltà, cioè di possibilità di utilizzazione.

Di fronte al diritto assoluto, di fronte cioè alle innumerevoli facoltà del titolare, stanno i doveri di astensione (di non violare, di non impedire nessuna possibilità di utilizzazione) che riguardano tutti gli altri soggetti

   I diritti relativi sono quelli protetti solo nei confronti di specifici altri soggetti di diritto

Ad esempio, l’affittuario ha diritto ad avere dal proprietario la disponibilità dell’appartamento affittato (e solo di quello); il creditore ha diritto al pagamento da parte del debitore (e solo da lui), ecc.

Al diritto relativo corrisponde l’obbligo specifico di chi è tenuto a un particolare comportamento per soddisfare l’interesse del titolare del diritto. Per esempio, di fronte al coniuge separato che pretende il mantenimento nella misura stabilita dal giudice o dalle parti, c’è l’altro coniuge che è tenuto a darglielo; di fronte all’inquilino che paga c’è il proprietario che deve dargli l’appartamento

Sono diritti assoluti:

·    I diritti della personalità (vita, integrità fisica, onore, nome ecc.)

·    I diritti reali (proprietà, servitù, usufrutto ecc.)

·    I diritti sui beni immateriali (il diritto di autore, il diritto sulle invenzioni ecc)

Sono diritti relativi fra gli altri:

·    I diritti di credito (es il diritto al pagamento della merce venduta, il diritto alla restituzione della somma data in prestito ecc.)

   Diritti patrimoniali e non patrimoniali

   I diritti patrimoniali sono quelli che attribuiscono al titolare un vantaggio di tipo economico. In altri termini: il bene che costituisce l’oggetto di tali rapporti giuridici è dato da somme di denaro o da altri beni, utilità, vantaggi valutabili in denaro

I diritti patrimoniali comprendono tra gli altri i diritti di credito e i diritti reali

   I diritti non patrimoniali sono quelli che attribuiscono al titolare un vantaggio che non può essere espresso in denaro. Ad es. col matrimonio i coniugi acquistano il diritto alla fedeltà dell’altro coniuge, alla coabitazione, alla collaborazione nell’interesse della famiglia, all’assistenza morale. Si tratta di diritti in cui il vantaggio non è patrimoniale, in quanto non può essere valutato in denaro

   Diritti reali e diritti di credito

Sia i diritti di credito che i diritti reali sono diritti patrimoniali

   I diritti reali sono patrimoniali e assoluti: essi riguardano un bene e consistono nel potere di escludere le ingerenze su quel bene di qualsiasi altro soggetto. Al titolare del diritto reale è quindi riservato l’esercizio di quella serie di facoltà che costituisce il contenuto di quel diritto.

Uno dei caratteri dei diritti reali è l’immediatezza: al titolare di un diritto reale spetta di utilizzare direttamente la cosa, il bene oggetto del diritto, senza la collaborazione di altri soggetti

   I diritti di credito (o diritti di obbligazione o obbligazioni) sono patrimoniali e relativi: essi concedono al loro titolare un potere su un solo altro soggetto ben determinato (o su più soggetti, comunque determinati). Tale soggetto, e lui solo, dovrà tenere un determinato comportamento. Così, se una banca ha prestato la somma di 5.000 euro al sig. Rossi, potrà pretenderne la restituzione soltanto da quest’ultimo e non da altri. Essi sono inoltre privi dell’immediatezza: mentre il titolare di un diritto reale (es. il proprietario) ha la facoltà di utilizzare direttamente i beni che formano l’oggetto del proprio diritto, il creditore ha sempre bisogno, per soddisfare il proprio interesse, della collaborazione del debitore.

 

 

I diritti su beni immateriali

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Abbiamo la seguente classificazione:

   Diritti su beni immateriali

   Diritti sulle opere dell’ingegno

·    Diritto d’autore

·    Diritto di brevetto

·    Diritto di brevetto sulle invenzioni industriali

·    Diritto di brevetto sui modelli di utilità

·    Diritto di brevetto sui disegni ornamentali

   Diritti sui segni distintivi

·    Diritto sulla ditta

·    Diritto sull’insegna

·    Diritto sul marchio

Per ciascun diritto su un’opera dell’ingegno distinguiamo in generale:

·    Un diritto patrimoniale sull’opera dell’ingegno, che comprende le facoltà di sfruttamento economico

·    Un diritto morale sull’opera dell’ingegno, che comprende la facoltà di farsi riconoscere autore dell’opera, di impedire le altrui modificazione dell’opera, di ritirarla dalla circolazione a proprie spese

 

 

I beni

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Con il termine “bene” si indica l’oggetto del rapporto giuridico. L’art. 810 c.c. stabilisce: “sono beni quelle cose che possono formare oggetto di diritti”. Per “cose” si devono intendere tutti gli oggetti materiali, che sono percepibili con i sensi (libro, casa, campo, acqua) o anche solo con particolare strumenti (energia elettrica, raggi X, ecc.)

Perché una cosa possa formare oggetto di diritti sono necessari due requisiti:

   La cosa deve avere un valore d’uso (anche se minimo), cioè deve essere adatta all’utilizzazione da parte dell’uomo

   Essa deve inoltre essere presente in natura in quantità relativamente limitate, in maniera tale che ogni soggetto abbia interesse a impossessarsene per un uso esclusivo

Si pensi all’acqua del mare o all’aria atmosferica: entrambe queste entità sono certamente “cose” in senso materiale, ma non sono ritenute “beni” in senso giuridico, in quanto esse sono così abbondanti che nessuno ha interesse ad appropriarsene (si parla in tali casi anche di “cose comuni a tutti”)

In realtà non possono però escludersi casi in cui anche queste cose diventano “beni”, nel senso inteso dall’art. 810 c.c.: in un sottomarino o nello spazio, l’aria diviene un “bene” perché è scarsa e il suo ricambio non avviene naturalmente, ma è frutto di tecnologie che hanno un loro costo in termini economici. Così pure, mentre l’acqua di mare oggi non è un bene, l’acqua potabile e l’acqua per irrigazione sono certamente dei beni e procurarseli ha un costo.

La definizione di “bene” dell’art. 810 va corretta se si vuole includervi alcune entità immateriali che il diritto considera veri e propri “beni immateriali”, che possono essere oggetto di diritti: diritto di autore, diritto di brevetto ecc. Se Tizio è autore di un certo romanzo, egli non è proprietario delle copie del medesimo che vengono prodotte dall’editore, ma può vantare sul romanzo un diritto morale d’autore, cioè il diritto di essere riconosciuto  pubblicamente come l’autore di quell’opera, e quindi fra l’altro di non essere copiato, e il diritto a trarne un utile economico, cosa che avviene stipulando un contratto di edizione con un editore

Quanto alle energie (elettrica, termica etc. ) esse sono considerate “beni mobili”

 

 

Le principali distinzioni nell’ambito dei beni: Beni immobili, beni mobili e beni mobili registrati

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Beni immobili sono:

·    Il suolo

·    Le sorgenti e i corsi d’acqua

·    Tutto ciò che è naturalmente (es. gli alberi) o artificialmente (es. gli edifici) incorporato al suolo, anche se in modo transitorio (art. 812 c.c.)

·    I mulini, gli stabilimenti balneari e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alle rive o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione

La legge detta una disciplina specifica per i beni immobili, tra cui vi sono le seguenti norme:

·    I contratti di trasferimento di beni immobili vanno fatti per iscritto

·    Gli atti di trasferimento di beni immobili vanno iscritti in pubblici registri

Beni mobili sono tutti i beni non immobili

I “Beni mobili registrati” sono beni mobili di particolare valore, iscritti in pubblici registri:

·    Le navi

·    Gli aerei

·    Le auto

Le “universalità di mobili” sono quegli insiemi di cose mobili che appartengono a un unico proprietario e hanno una destinazione unitaria (una collezione di monete, una raccolta di quadri, una biblioteca, un gregge, una mandria)

 

 

Le principali distinzioni nell’ambito dei beni: Beni fungibili e infungibili

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Sono beni fungibili quelli che possono essere sostituiti gli uni agli altri. Essi sono solitamente indicati con riferimento al loro peso, al loro numero o ad una certa misura: le derrate alimentari e i prodotti agricoli; i prodotti industriali di serie; il denaro

Infungibili sono invece tutti gli altri beni: un quadro, una statua, un immobile sono solitamente infungibili, in quanto opere uniche

 

 

Le principali distinzioni nell’ambito dei beni: Beni consumabili e inconsumabili

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Sono beni consumabili quelli che si distruggono con un solo atto di utilizzazione (es. cibo, bevande, denaro)

Sono inconsumabili invece quelli che possono essere usati ripetutamente:si pensi ad un mobile, a un alloggio, a un’auto

 

Le principali distinzioni nell’ambito dei beni: Le pertinenze e i frutti

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Le pertinenze sono le cose destinate in modo durevole al servizio o all’ornamento di un’altra cosa da parte del proprietario di quest’ultima (art. 817 c.c.). Le pertinenze sono dunque delle cose accessorie rispetto ad una cosa principale. Per es. le porte e le finestre, il garage, il giardino sono pertinenze rispetto alla casa; le scialuppe di salvataggio sono pertinenze rispetto alla nave

Per legge, quando la cosa principale viene trasferita a terzi, anche le sue pertinenze subiscono la stessa sorte, a meno che non risulti la volontà delle parti in senso opposto.

I frutti sono i beni prodotti da altri beni. Essi si distinguono in:

·    Frutti naturali: i prodotti dell’agricoltura, dell’allevamento, delle miniere, cave e torbiere

·    Frutti civili: il corrispettivo che il proprietario trae dalla cosa quando ne ha concesso il godimento ad altri (es. gli interessi sulle somme concesse a mutuo o il canone di locazione corrisposto dall’inquilino)

 

 

Vicende del rapporto giuridico. Acquisto e perdita dei diritti.

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Il rapporto giuridico nasce quando il soggetto attivo lo acquista a titolo originario, cioè senza derivarlo da alcun altro soggetto.

Ad es., con la nascita la persona fisica acquista i diritti della personalità; con l’usucapione (cioè per effetto del possesso protratto per un certo numero di anni) un soggetto acquista il diritto di proprietà.

L’estinzione del rapporto è invece la perdita del potere da parte del soggetto attivo, cui non corrisponde l’acquisto da parte di un terzo.

Sono ad esempio cause di estinzione comuni a tutti i rapporti:

·    La rinunzia da parte del titolare del potere

·    L’impossibilità di esercitare il diritto (es. perché il bene è andato distrutto)

·    La prescrizione estintiva, che determina la perdita di un diritto perché il suo titolare non lo ha esercitato per un certo periodo stabilito dalla legge

L’acquisto dei diritti può avvenire:

·    a titolo originario (es l’acquisto della proprietà per occupazione o per usucapione)

·    a titolo derivativo (Tizio acquista da Caio un quadro con un contratto di compravendita)

L’acquisto a titolo originario si verifica senza rapporto con un diritto altrui sulla cosa (es. ritrovamento di una cosa da altri smarrita o abbandonata) o senza che esista un precedente diritto sulla cosa (es. cattura di un animale selvatico).

L’acquisto a titolo derivativo presuppone sempre due soggetti:

·    Il dante causa cioè colui che era in precedenza titolare del diritto

·    L’avente causa, cioè il nuovo titolare del diritto

Visto dal lato del dante causa il fenomeno esaminato è detto anche alienazione e il dante causa è chiamato anche alienante.

Il principio fondamentale dell’acquisto a titolo derivativo è che nessun soggetto può trasmettere a un altro un diritto che non ha o maggiore di quello che ha. Così, se io vendo a Tizio un bene che non mi appartiene, Tizio non acquista la proprietà

Nell’ambito degli acquisti a titolo derivativo possiamo ancora distinguere:

·    Acquisti tra vivi (es. Tizio vende o dona a Caio) oppure per causa di morte (Tizio diventa erede di Caio)

·    Acquisti a titolo particolare (cioè in un preciso rapporto giuridico e solo in quello: ad es. la proprietà di un appartamento) oppure a titolo universale (cioè in tutto il patrimonio di un certo soggetto: ad esempio l’erede universale che acquisisce tutto il patrimonio del defunto)

 

 

Terminologia

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   Prestazione

Nel senso più ristretto è il comportamento a cui è tenuto il debitore nel rapporto obbligatorio: di fare, non fare, dare, permettere.

In senso ampio indica qualsiasi cosa o diritto scambiati in un contratto (ad es. nell’espressione “contratti a prestazioni corrispettive”)

   Oggetto (di un diritto, di un contratto, di una prestazione)

Vedi paragrafo dedicato a questo termine

   Titolo di un diritto

E’ l’atto o il fatto in forza del quale abbiamo acquistato il nostro diritto (es. un contratto, una eredità etc.), il fondamento della nostra pretesa

   Titolare, titolarità

E’ titolare (ha la titolarità) di un diritto colui cui il diritto spetta

   Legittimato, legittimazione

E’ legittimato all’esercizio di un diritto qualsiasi persona possa esercitarlo, indipendentemente dal fatto che ne sia titolare o meno: così il padre è legittimato ad esercitare i diritti dei figli per loro conto, ma non ne è titolare.

   Contenuto (di un diritto, di un rapporto giuridico)

E’ l’insieme dei poteri (detti tecnicamente “facoltà”) che un diritto ci attribuisce, che possiamo esercitare nel quadro del rapporto

Qualche volta, impropriamente, si trova utilizzato nel senso di “oggetto”, ad es. nella frase: “il contenuto del diritto di obbligazione è la prestazione, mentre il contenuto del diritto reale è il bene”.

   Facoltà

Vedi la definizione di “contenuto”

 

 

La capacità giuridica e la nozione di soggetto

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“Soggetto” o “soggetto di diritto” o “persona” è qualsiasi entità cui l'ordinamento riconosca volontà, diritti e doveri, patrimonio: si dice che in tal caso il diritto attribuisce la "capacità giuridica" (vedi più oltre per il significato di questa espressione) Una organizzazione collettiva (cioè  un gruppo stabilmente organizzato di persone) che il diritto riconosce come persona è appunto "persona giuridica". Gli uomini singoli sono invece chiamati "persone fisiche".

La capacità giuridica è la capacità di essere parte di un rapporto giuridico, sia attivo che passivo. Detto in altre parole: è la possibilità di essere titolare di diritti e di doveri.

Capacità di essere titolare non significa però necessariamente titolarità effettiva: così, per esempio, un bambino ha la capacità giuridica anche se non è proprietario di alcun bene, proprio perché, in quanto essere umano vivente, potrebbe diventarlo (qualora per esempio i genitori effettuassero acquisti in nome e per conto suo).

Per possedere la capacità giuridica non occorre dunque essere effettivamente titolari di qualche diritto ma è sufficiente trovarsi nella situazione di poterlo essere.

La capacità giuridica spetta in generale a tutti gli individui dal momento della nascita a quello della morte (art. 1 c.c.). Essa compete però anche ad altre entità che non sono persone fisicamente determinate ma società, associazioni, ecc. Per distinguerle esse sono dette “persone giuridiche”.

Soggetti del diritto sono quindi:

   Le persone fisiche

   Le persone giuridiche

La legge attribuisce in determinate situazioni particolari, una limitata capacità giuridica alla persona fisica non ancora nata, a condizione però che nasca viva. Così il nascituro già concepito è ammesso alla successione ereditaria, come se fosse già nato al momento in cui la successione si apre. Il nascituro non ancora concepito può essere istituito erede per testamento, purché sia figlio di persona vivete alla morte del testatore. Lo stesso vale per la capacità di ricevere per donazione.

 

 

La capacità di agire

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Essere titolare di diritti è cosa diversa dal poterne liberamente disporre. Per poter disporre validamente dei diritti di cui si è titolari occorre possedere la capacità di agire

Capacità di agire è la possibilità di esercitare in prima persona il diritto, anche di fronte al giudice, e di compiere in prima persona atti di disposizione del diritto (vendita, donazione, testamento, distruzione della cosa oggetto del diritto, rinunzia) o comunque atti che comportino la modifica dei propri diritti e doveri o la nascita di nuovi diritti e doveri (es. i contratti)

La capacità di agire si acquista nel momento in cui si acquista la (piena) capacità di intendere e di volere.

La “capacità di intendere e di volere” è costituita da:

·    Capacità di intendere le conseguenze materiali e psicologiche dei propri atti

·    Capacità di intendere i valori morali e di valutare alla luce di essi le conseguenze dei propri atti

·    Capacità di volere: cioè possesso di una volontà stabile (che rispetta i patti e i contratti), non influenzabile da altri e sottoposta alla ragione e agli imperativi morali fondamentali

La regola pratica stabilita da molti ordinamenti (tra cui quello italiano) è che la capacità di agire si acquista con il raggiungimento della maggiore età, che oggi è fissata dalla legge al compimento del diciottesimo anno (art. 2 c.c.)

 

 

L’incapacità legale: Premessa

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Viene indicato come incapace quel soggetto che non ha la capacità di agire. L’incapacità è posta dalla legge a tutela di coloro che – si pensa – non sono in grado di rendersi perfettamente conto delle conseguenze delle proprie azioni o manifestazioni di volontà.

Si distinguono in proposito l’incapacità legale da quella naturale.

L’incapacità legale si ha in tutte quelle situazioni in cui la legge presume che un certo soggetto non abbia quel grado di maturità tale da consentirgli di disporre dei propri diritti. Questa presunzione non ammette prova contraria. Ciò significa che, per esempio, la vendita di una casa conclusa da un minorenne sarà annullabile, anche se si dimostra che questo ragazzo era particolarmente maturo e in grado di rendersi ben conto di ciò che faceva.

Si trovano in stato di incapacità legale i minorenni, gli interdetti, gli inabilitati e i minori emancipati

 

 

L’incapacità legale: La minore età

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Ogni essere umano dal momento della nascita al compimento dei diciottesimo anno di età si trova per legge privo della capacità di agire. Gli atti giuridici eventualmente compiuti dai minori potranno dunque essere annullati.

Questi atti possono essere validamente compiuti soltanto dai legali rappresentanti del minore che sono di regola i genitori esercenti la potestà (o, eventualmente, il solo genitore che esercita la potestà). Nel caso di morte o di decadenza di entrambi i genitori esiste un apposito giudice detto giudice tutelare, che nomina un tutore (artt. 343 ss. c.c.); il tutore potrà compiere in nome e per conto del minore tutti gli atti necessari o utili sul patrimonio del minore stesso

E’ importante la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. Gli atti di straordinaria amministrazione sul patrimonio del minore sono quelli che hanno una maggiore importanza economica e che modificano in modo apprezzabile la composizione del suo patrimonio (es. la vendita di un alloggio) Essi possono essere compiuti dai genitori o dal tutore soltanto se sono autorizzati dall’autorità giudiziaria (giudice tutelare o tribunale a seconda dei casi). Gli atti di ordinaria amministrazione sono quelli economicamente meno importanti (es. l’impiego di denaro del minore per l’acquisto dei suoi vestiti, del cibo, dei libri scolastici ecc.) e possono essere compiuti da ciascun genitore senza alcuna autorizzazione

Ricordiamo tra le incapacità dei minori:

   Il consumo di particolari beni dannosi alla salute fisica o psichica (tabacchi, alcolici, materiali pornografici etc.)

   I diritti di elettorato attivo e passivo

   La amministrazione dei propri beni

   La facoltà di scegliere la propria residenza (il minore deve risiedere per legge nella residenza dei genitori)

   L’acquisto di beni (il minore non può acquistare nulla in quanto non ha la capacità di stipulare contratti: si finge che tutto quello che acquista sia acquistato in rappresentanza dei genitori)

   I processi civili

   Il lavoro (il lavoro non è consentito ai minori di 15 anni)

   Le pene (oltre i 14 e fino ai 18 anni sarà il giudice a stabilire se il minore è capace di intendere e di volere in relazione al reato commesso, e in caso negativo egli sarà inviato ad un istituto di correzione e non al carcere minorile)

   La gestione di una impresa commerciale (è concessa solo ai minori emancipati al compimento del sedicesimo anno)

L’incapacità del minore non riguarda tutti gli atti giuridici. Egli può infatti, se è un lavoratore subordinato (l’età minima di legge per prestare  lavoro è di regola quindici anni), esercitare tutti i diritti e le azioni che dipendono dal contratto di lavoro. Inoltre al minore che abbia compiuto il sedicesimo anno di età è consentito compire una serie di atti giuridici familiari: può sposarsi, se autorizzato dal tribunale, può riconoscere un figlio naturale, può prestare il proprio consenso a essere riconosciuto da un genitore naturale

Quando un minore acquista beni di consumo, generi alimentari, capi di abbigliamento tali atti si ritengono validi in quanto compiuti come rappresentante dei genitori.

 

 

L’incapacità legale: L’interdizione

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Nel caso di un maggiorenne che si trova abitualmente in uno stato di infermità mentale così grave da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi, la legge prevede che si debba procedere all’interdizione con la pronuncia di una sentenza da parte del Tribunale.

Il procedimento può essere messo in moto, oltre che dal pubblico ministero, anche dai familiari più stretti

All’interdetto viene nominato un tutore che provvede all’amministrazione del patrimonio in base alle stesse norme (es. necessità di autorizzazione da parte della autorità giudiziaria nei casi di straordinaria amministrazione) richieste al tutore del minore.

Chi è stato condannato alla pena della reclusione  per un periodo non inferiore a cinque anni si trova, durante la pena, in stato di interdizione. Tale interdizione è detta interdizione legale poiché è disposta automaticamente  dalla legge, per distinguerla da quella dell’infermo di mente, che è detta interdizione giudiziale in quanto è disposta con sentenza di un giudice (il Tribunale).

 

 

L’incapacità legale: L’inabilitazione e l’emancipazione

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L’interdetto e il minore di età sono in stato di incapacità assoluta, mentre l’inabilitato e il minore emancipato sono in stato di incapacità relativa. Interdetto, minore di età, inabilitato e minore emancipato sono tutti in stato di incapacità legale.

Quando lo stato di infermità mentale non è talmente grave da dar luogo all’interdizione, può essere pronunciata una sentenza di inabilitazione.

La legge dice che si può pronunciare l’inabilitazione in quattro casi:

·    Per coloro che si trovano in una condizione di abituale malattia di mente non così grave da procedere all’interdizione

·    Per coloro che per prodigalità (cioè per non conoscere il valore del denaro) espongono sé o la propria famiglia a gravi pregiudizi economici

·    Per coloro che per abuso di bevande alcoliche o di stupefacenti, espongono sé o la propria famiglia a gravi pregiudizi economici

·    Per il sordomuto e il cieco dalla nascita che non abbiano ricevuto una educazione sufficiente

La differenza tra interdizione e inabilitazione, oltre che nella diversa gravità dell’infermità mentale che vi ha dato luogo sta nella condizione in cui interdetto e inabilitato si vengono a trovare. Mentre l’interdetto non può validamente compiere alcun atto, l’inabilitato può compiere da solo tutti gli atti di ordinaria amministrazione e di carattere strettamente personale come il matrimonio, il riconoscimento di figli naturali, il testamento.

Gli atti di straordinaria amministrazione sono compiuti dall’inabilitato con l’assistenza di un curatore, nominato dall’autorità giudiziaria, il quale aggiunge il suo consenso alla manifestazione di volontà dell’assistito. In altre parole, per ogni atto di straordinaria amministrazione saranno necessarie due manifestazioni di volontà: una dell’inabilitato e l’altra del suo curatore, altrimenti l’atto sarà annullabile.

Sostanzialmente nella stessa condizione degli inabilitati si trovano gli emancipati. Essi sono i minori con più di sedici anni che abbiano, autorizzati dal tribunale, contratto matrimonio. In tal caso essi cessano di essere sottoposti alla potestà dei genitori e divengono capaci di compiere da soli tutti gli atti di ordinaria amministrazione. Per quelli di straordinaria amministrazione sarà invece necessario l’intervento del curatore.

 

 

L’incapacità naturale

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Può darsi che un soggetto che non è stato dichiarato incapace legale (maggiorenne e non interdetto né inabilitato) si venga a trovare in una situazione di incapacità di intendere e di volere. Si parla in questi casi di incapacità naturale per distinguerla da quella legale. SI pensi al caso di un malato di mente che non sia stato interdetto perché nessuno ha richiesto al Tribunale la pronuncia di interdizione, oppure a una persona perfettamente sana di mente ma che al momento della conclusione di un contratto era in stato di ubriachezza.

L’atto compiuto dall’incapace naturale è annullabile

 

 

I diritti della personalità: Premessa

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I diritti della personalità sono quei diritti che la legge attribuisce a ogni soggetto che sia persona fisica, sin dalla nascita e fino al momento della morte. Essi sono: a) non patrimoniali; b) assoluti.

Il loro elenco è ricavabile, oltre che dal Codice Civile, anche dalla Costituzione, dal Codice penale e da altre leggi. Ricordiamo i diritti principali:

·    Diritto alla vita e all’integrità fisica

·    Diritto di libertà personale

·    Inviolabilità del domicilio

·    Inviolabilità della corrispondenza

·    Diritto alla riservatezza

·    Diritto all’onore e alla reputazione

·    Diritto al nome e all’immagine

·    Diritto all’identità sessuale

·    Diritto all’identità personale

·    Diritto di libera manifestazione del pensiero (che include la libertà di stampa)

·    Diritto di riunione

·    Diritto di associazione

·    Diritto di professare liberamente la propria religione

·    Diritto di circolazione e soggiorno

 

 

 

I diritti della personalità: Il diritto alla vita e all’integrità fisica

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Il diritto alla vita e all’integrità fisica e più in generale alla salute dell’individuo è tutelato da una serie di norme del codice penale e della Costituzione, alcune delle quali puniscono anche penalmente chiunque causa la morte di una persona o gli provochi lesioni personali. Tali fatti costituiscono anche illeciti civili e obbligano chi li commette a risarcire il danno.

Una persona non può dare il permesso ad una lesione: chi arreca la lesione viene punito come se avesse aggredito una persona non consenziente. L’unica eccezione si ha nel caso in cui dalla lesione derivi una diminuzione soltanto temporanea dell’integrità fisica.

Per quanto riguarda i trattamenti sanitari, essi possono essere attuati senza il consenso dell’interessato? I giudici solitamente non richiedono il consenso nel caso sia in pericolo la vita del soggetto (ad. es. trasfusione di sangue a testimoni di Geova); nel caso di incoscienza del soggetto; nel caso il trattamento sia necessario per evitare danni ad altri soggetti (es. quarantena e vaccinazioni per evitare contagi)

 

 

I diritti della personalità: Il diritto all’onore e alla reputazione

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Per onore si intende la consapevolezza che una persona ha della propria dignità, mentre la reputazione è la considerazione sociale di cui la persona gode nell’ambito della cerchia dei propri conoscenti.

Questi diritti possono essere lesi mediante i reati di ingiuria o di diffamazione. Si parla di ingiuria quando una persona rivolge direttamente a un’altra (soggetto leso) espressioni offensive. Si ha invece diffamazione quando tali espressioni sono comunicate a più persone e il soggetto leso non è presente

L’art. 21 Cost. garantisce però a tutti il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni con la parola o con lo scritto. I giudici ritengono lecita la diffusione di notizie lesive della reputazione altrui a tre condizioni:

·    Quando queste notizie siano vere

·    Purché vengano espresse in maniera “civile”

·    Purché sussista un interesse della collettività a conoscerle

In altre parole, la diffusione di notizie diffamatorie, anche se vere, può costituire illecito solo quando sia stata fatta all’unico scopo di esporre una persona al disprezzo, al ridicolo o all’umiliazione

 

 

I limiti alla libertà di manifestazione del pensiero

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Pur trattandosi di una libertà fondamentale, la manifestazione del pensiero incontra dei limiti necessari a salvaguardare esigenze altrettanto importanti. La loro violazione può dar luogo, a seconda dei casi, al risarcimento del danno a favore della persona offesa o anche alla sanzione penale (nel caso dei c.d. “reati di opinione).

·    Non si può offendere la dignità di altre persone e pertanto il codice penale punisce l'ingiuria e la diffamazione.

·    Non si può violare il diritto alla riservatezza, diffondendo notizie che riguardano gli aspetti privati della vita di altre persone (sempreché non si tratti di “persone pubbliche”, come uomini politici, gente di spettacolo, ecc., le quali, per l'attività che hanno scelto, si trovano esposte alla curiosità dell'opinione pubblica). Poiché la memorizzazione e il trattamento dei dati personali attraverso calcolatori e la loro diffusione attraverso i mass media determinano pericoli per la privacy un tempo inimmaginabili, il legislatore è intervenuto con la legge n 675 del 1996. Essa mira a garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche, con particola­re riferimento alla riservatezza e all'identità personale. I dati non pos­sono essere raccolti senza il preventivo consenso dell'interessato, che ha il diritto di rettificarli e di opporsi alla loro utilizzazione. Particolari precauzioni sono previste per il trattamento dei cosiddetti «dati sensibili», cioè quelli idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche, le opinioni politiche, I'adesione a partiti, sindacati, associazioni politiche, nonché quelli idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale delle persone.

L’organo chiamato ad applicare la legge sulla privacy, al quale tutti i cittadini che si ritengano lesi possono rivolgersi, è il Garante per la protezione dei dati personali, dotato di vastissimi poteri di accertamen­to, di denuncia, proibizione e controllo.

Rientra nel rispetto della riservatezza il segreto professionale, cioè l'obbligo dei medici e degli avvocati di mantenere il segreto sulle notizie che apprendono sui loro clienti.

·    Non si possono inoltre rivelare le notizie segrete, la cui divulgazione nuocerebbe alla sicurezza dello Stato e al buon funzionamento dei suoi organi Si tratta del segreto di Stato e del segreto d'ufficio

Il segreto di Stato è particolarmente rischioso per la democrazia. Esso può essere usato per impedire che vengano diffuse notizie negative suI governo e le forze politiche di maggioranza. In tal caso la vita democratica sarebbe colpita.

La Corte  costituzionale, prima, e poi la legge n 801 del 1977 hanno stabilito che il segreto può riguardare solo gli atti, i documenti, le notizie la cui diffusione può nuocere alla integrità dello Stato democratico (per es. mettendone in pericolo la sicurezza internazionale), non gli interessi di partiti o uomini politici, e che comun­que mai si devono nascondere dietro il segreto fatti eversivi della Costituzione

I segreti d'ufficio riguardano i pubblici dipendenti, che non devono rivelare il contenuto dei loro atti, quando ciò possa danneggiare l'attività dell'ufficio di cui fanno parte.

Il più importante è il segreto istruttorio che riguarda le indagini compiute dal giudice penale È chiaro che le fughe di notizie possono pregiudicare l'accerta­mento della verità e l'individuazione dell'imputato. Peraltro, si deve considerare anche l'esigenza che l'opinione pubblica possa controllare l'opera dei giudici, e ciò può farsi solo a condizione di conoscere quello che stanno facendo. Il nuovo codice di procedura penale stabilisce che il segreto istruttorio duri solo per il tempo strettamente necessario per il compimento degli atti del processo, dopo di che questi devono essere conosciuti.

·    In generale, non si può incitare a commettere reati: questa è istigaz­ione a delinquere, non manifestazione del pensiero. Quindi non è protetta dall'art 21 della Costituzione e il codice penale può punirla.

·    Non si può neanche dichiarare pubblicamente, su giornali ecc. che  commettere un fatto che la legge considera reato è desiderabile, opportuno, lecito. Si tratterebbe di apologia di reato.

·    L'ultimo comma dell'art. 21 della Costituzione vieta tutte le manifestazioni (compresa la stampa e gli spettacoli) contrarie al buon costume. Con questa formula, si intende il pudore sessuale, non in genere la morale, concetto troppo generico che potrebbe comportare pericoli alla libertà di pensiero.

Per proteggere il buon costume, la legge n 161 del 1962, ancora in vigore nonostante le molte opinioni contrarie, prevedeva la censura preventiva dei film, esercitata da una apposita commissione costituita presso il Ministero, composta da magistrati, giuristi, pedagoghi e rappresentanti dei registi e dell'industria cinematografica Essa può vietare la visione del film ai minori di 14 o 18 anni, negare il nulla-osta. alla sua proiezione o subordinarla all'eliminazione di determinate scene.

 

 

I diritti della personalità: Il diritto alla riservatezza

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Ogni persona ha diritto al rispetto della riservatezza della propria vita privata e familiare (la cosiddetta “privacy”) contro le ingerenze da parte di terzi. Tale diritto è riconosciuto in linea generale dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalla Costituzione e dal codice penale, che prevedono l’inviolabilità del domicilio, della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione.

La legge 31 dicembre 1996 n. 675 (tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali) ha stabilito in linea generale il diritto a che il trattamento e la diffusione dei dati personali si svolga “nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza”. Questa legge prevede regole particolarmente severe per quanto riguarda la diffusione di determinate notizie dette “sensibili”, quali ad es. quelle concernenti la vita sessuale o la salute dei soggetti, anche nei confronti dei giornalisti.

Dal diritto di cronaca invocato dai giornalisti può derivare un notevole danno alla riservatezza di una persona. I giudici applicano gli stessi principi già esaminati in relazione al diritto all’onore e alla reputazione e al diritto all’immagine.

 

 

I diritti della personalità: Il diritto al nome e all’immagine

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Ogni persona ha diritto all’uso esclusivo del proprio nome (inteso come combinazione di prenome e cognome) e, se divenuto particolarmente noto, dello pseudonimo.

Una lesione del diritto al nome si ha ad es. se Tizio pubblica un articolo firmandolo col nome di Caio.

L’illecito è solo civile e chi viola l’altrui diritto al nome deve risarcire i danni. Il danneggiato può anche chiedere al giudice una sentenza con cui venga ordinato al danneggiante di cessare il suo comportamento illecito (“azione inibitoria”)

Si parla anche di azione di reclamo e azione di usurpazione. Con l'azione di reclamo un soggetto rivendica il diritto all'uso di un nome; con l'azione di usurpazione un soggetto chiede che cessi l'altrui uso del proprio nome.

Analoga doppia tutela (inibitoria e risarcitoria) spetta al soggetto che si sia visto ledere il diritto all’immagine, mediante la pubblicazione o la diffusione con ogni mezzo (televisione, cinema, giornali, ecc.) dell’immagine del proprio volto o della propria persona (anche in assenza di riferimenti ingiuriosi) senza il proprio consenso.

La legge consente però che l’immagine sia divulgata senza consenso quando la pubblicazione sia giustificata dalla notorietà o dall’incarico pubblico ricoperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici o didattici o culturali, o quando la riproduzione sia collegata ad avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico (sempre che non vi sia danno alla reputazione o al decoro della persona ritratta)

 

 

I diritti della personalità: Il diritto all’identità personale

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Il diritto all’identità personale consiste nel diritto di ogni soggetto di non vedere presentata in pubblico la propria personalità in maniera distorta, mediante la diffusione di notizie circa il proprio passato e la propria vita non vere, anche se non ingiuriose.

 

 

I diritti della personalità: Il diritto all’identità sessuale

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La legge n. 164 del 1982 ha previsto per le persone interessate il diritto di vedersi riconosciuta l’identità sessuale desiderata, richiedendo al tribunale l’autorizzazione al compimento di un intervento chirurgico per il cambiamento di sesso. Ottenuta tale autorizzazione e compiuto l’intervento, il tribunale ordinerà all’ufficiale dello stato civile di rettificare il nome attribuendone uno conforme al nuovo sesso.

 

 

Domicilio, residenza, dimora

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Per domicilio si intende il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. Ad es. Tizio, dentista, ha il suo domicilio all’indirizzo dove si trova il suo studio medico

In qualche caso la legge impone un domicilio necessario: il minore è domiciliato per legge nel luogo di residenza della famiglia, o del genitore con cui convive, nel caso di separazione o divorzio

La residenza è il luogo di abituale abitazione di una persona. Essa è una situazione di fatto, corrispondente al posto in cui un soggetto abita stabilmente, coltiva i suoi affetti familiari, ha la sua “vita privata”.

La dimora è il luogo in cui il soggetto si trova soltanto temporaneamente

 

 

Scomparsa, assenza, morte presunta

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   Scomparsa

Se una persona si allontana dalla propria famiglia senza dare più notizie di sé, il tribunale dell’ultimo domicilio o dell’ultima residenza può nominare un curatore dello scomparso, che si occupi della conservazione del patrimonio

   Assenza

Trascorsi due anni dal giorno in cui risale l’ultima notizia può essere dichiarata l’assenza da parte del Tribunale, su richiesta dei presenti eredi. Per effetto della dichiarazione di assenza vengono immessi nel possesso temporaneo dei beni dell’assente coloro che ne sarebbero stati eredi se egli fosse morto. Essi ne hanno l’amministrazione e percepiscono le rendite che i beni producono, ma non possono alienarli (es. venderli né donarli) né ipotecarli o darli in pegno. Nel caso in cui il soggetto dichiarato assente dovesse ricomparire, dovranno essergli restituiti i beni, ma non le rendite percepite.

   Morte presunta

Trascorsi dieci anni dall’ultima notizia dell’assente il tribunale può dichiararne la morte presunta. La sentenza (che può essere dichiarata anche se non era stata dichiarata l’assenza) produce gli stessi effetti della morte naturale: si apre la successione ereditaria a coloro che furono immessi nel possesso temporaneo dei beni ne acquisteranno la piena disponibilità; il coniuge può risposarsi. Nel caso in cui il presunto morto ricompaia, gli dovranno essere restituiti i beni, nello stato in cui al momento si trovano. Il nuovo matrimonio del coniuge diviene nullo, mentre riacquista effetto il precedente.

 

 

Le organizzazioni collettive e la nozione di persona giuridica

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Persona giuridica è qualsiasi entità diversa dalla persona fisica alla quale l’ordinamento attribuisce capacità giuridica

La persona giuridica ha propri diritti (ad es. la proprietà di un terreno, un diritto di credito verso un debitore) e propri doveri (ad esempio un debito in denaro): si dice che ha la "capacità giuridica". La persona giuridica ha un proprio patrimonio, distinto da quello delle persone fisiche (uomini) che ne fanno parte, e i suoi debiti non sono confusi con quelli di costoro: si dice che ha "autonomia patrimoniale perfetta". La persona giuridica ha una propria volontà e compie atti giuridici per mezzo delle persone fisiche che agiscono come suoi organi: si dice che ha la "capacità di agire", cioè  la capacità di esercitare i suoi diritti compiendo degli atti. Gli enti che operano nel diritto pubblico sono pressoché esclusivamente persone giuridiche.

Le persone giuridiche agiscono attraverso i loro organi, cioè attraverso persone fisiche preposte all’amministrazione, che svolgono in loro nome e per loro conto gli atti necessari

Le organizzazioni collettive possono essere di due tipi:

·    A struttura associativa: si tratta delle società  e delle associazioni. In esse lo scopo comune viene perseguito essenzialmente attraverso la partecipazione all’ente delle persone che lo compongono

·    A struttura istituzionale: si tratta delle fondazioni e dei comitati. In esse lo scopo di interesse generale viene perseguito essenzialmente destinando a certi fini un determinato patrimonio

La legge non riconosce la capacità giuridica a tutte le organizzazioni collettive. Perché ciò avvenga si richiede che l’organizzazione sia dotata di autonomia patrimoniale perfetta

 

 

L’autonomia patrimoniale

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Una organizzazione collettiva è dotata di un suo patrimonio

Si ha autonomia patrimoniale perfetta quando la legge stabilisce che il patrimonio dell’ente collettivo (società o associazione) è autonomo rispetto ai patrimoni dei singoli soci o associati, nel senso che questi non rispondono in proprio dei debiti dell’ente. In modo parallelo l’ente non risponde col suo patrimonio delle obbligazioni personali dei singoli.

Sono dotate di autonomia patrimoniale perfetta (e sono pertanto persone giuridiche):

·    Le associazioni riconosciute

·    Le fondazioni

·    Le società di capitali (Società a responsabilità limitata, Società per azioni, Società in accomandita per azioni)

Accanto alle organizzazioni collettive dotate di autonomia patrimoniale perfetta vi sono enti caratterizzati da forme di autonomia patrimoniale limitata. Si tratta di organizzazioni collettive in cui per le obbligazioni dell’ente rispondono non soltanto il patrimonio dell’organizzazione, ma anche i singoli associati o soci, sia pure con determinate modalità

Tra i due estremi della autonomia patrimoniale perfetta (nessun membro dell'organizzazione è responsabile per i debiti dell'organizzazione) e della completa mancanza di autonomia patrimoniale (i membri rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti dell'organizzazione) vi sono forme più deboli di separazione tra il patrimonio dei membri e il patrimonio dell'organizzazione, che sono dette forme di "autonomia patrimoniale imperfetta". Non esiste un solo tipo di "autonomia patrimoniale imperfetta". Società di persone, associazioni non riconosciute e comitati non riconosciuti hanno forme diverse di autonomia patrimoniale imperfetta.

In una società di persone tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente dei debiti sociali; solo nella società semplice un socio può stipulare un patto per limitare la propria responsabilità ad una determinata cifra. In una società di persone, tuttavia, il creditore può aggredire il patrimonio del socio solo dopo che ha liquidato completamente il patrimonio della società.

In una associazione non riconosciuta sono solidalmente e illimitatamente responsabili coloro che hanno contratto il debito in nome dell'associazione.

In un comitato non riconosciuto i componenti sono responsabili solidalmente e illimitatamente delle obbligazioni assunte dal comitato.

Appartengono a questa categoria:

·    Le associazioni non riconosciute

·    I comitati non riconosciuti

·    Le società di persone (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice)

 

 

Le persone giuridiche e i loro organi

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Le persone giuridiche private più diffuse (es le società) presentano di solito una struttura interna articolata come segue.

Vi è una assemblea dei soci o degli associati, che è un organo che consente a tutti coloro che fanno parte dell’ente di prendere, a maggioranza, le decisioni di carattere generale, e di nominare e revocare gli amministratori e di decidere i loro poteri

Vi sono poi gli amministratori (o l’amministratore, se è unico), che assumono la gestione concreta dell’ente prendendo di volta in volta le decisioni che possono sembrare necessarie o utili e portandole ad esecuzione.

In alcune persone giuridiche sono presenti organi di controllo, che vigilano sull’operato degli amministratori

 

 

La classificazione delle organizzazioni collettive private

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   Persone giuridiche private

·    Associazioni riconosciute

·    Fondazioni riconosciute

·    Comitati riconosciuti

·    Società di capitali

·    Società per azioni

·    Società a responsabilità limitata

·    Società in accomandita per azioni

·    Società cooperative

·    Persone giuridiche straniere (cioè regolate dal diritto straniero)

   Organizzazioni collettive private senza personalità giuridica

·    Associazioni non riconosciute

·    Fondazioni non riconosciute

·    Comitati non riconosciuti

·    Società di persone

·    Società semplice

·    Società in accomandita semplice

·    Società in nome collettivo

 

 

Istituzioni e fondazioni

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Le persone giuridiche, pubbliche e private, sono distinte in fondazioni (o istituzioni in senso stretto) e corporazioni. Le corporazioni sono società formate da più soggetti titolari dei bisogni (interessi) che stanno alla base della corporazione medesima e quindi destinatari essi stessi dei benefici derivanti dall'attività sociale (ad es. lo Stato, il Comune, una società commerciale). Le fondazioni o istituzioni in senso stretto, invece, sono forme di organizzazione di attività dirette al perseguimento di fini connessi con interessi di soggetti, i quali non fanno parte della istituzione, a differenza degli individui che vi agiscono (per es. un ente di beneficenza e gli uffici pubblici in genere). Nelle corporazioni perciò l'elemento personale è costitutivo oltre che attivo. Nelle altre è esclusivamente attivo: in quanto gli individui che vi agiscono non sono titolari degli interessi per i quali l'istituzione è stata costituita, ma agiscono per fini connessi con interessi di altri individui o di collettività, variamente precisate.

 

 

Le associazioni

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Le associazioni sono organizzazioni collettive tramite le quali più soggetti cercano di perseguire uno scopo comune non di lucro. Proprio la pluralità dei soggetti e lo scopo comune caratterizzano le associazioni.

La libertà di associazione è garantita dalla Costituzione, che consente a tutti i cittadini di associarsi liberamente per fini che non siano vietati dalla legge penale. Questi scopi devono esser di natura ideale, cioè non economica, e questo è proprio l’elemento che distingue le associazioni dalle società. Le società, infatti, hanno per scopo la realizzazione di un lucro, cioè di un guadagno.

L’associazione nasce per effetto di un contratto tra più persone, che si chiama atto costitutivo. Si tratta di un contratto plurilaterale, cioè  di una manifestazione di volontà provenienti da più soggetti che hanno uno scopo comune. In esso debbono essere indicati alcuni elementi, come:

·    La denominazione

·    Lo scopo

·    Il patrimonio

·    La sede

·    Le norme sull’amministrazione

L’organo fondamentale dell’associazione è l’assemblea degli associati, che delibera a maggioranza sulla nomina degli amministratori e sul bilancio annuale.

Vi è poi l’amministratore (o gli amministratori), il cui compito è quello di compiere gli atti di gestione dell’associazione nel rispetto dello statuto e delle direttive impartite dall’assemblea, rappresentando l’ente verso i terzi (così, per es.) sarà l’amministratore a concludere in nome e per conto dell’associazione i contratti di quest’ultima

Lo scioglimento dell’associazione avviene quando lo scopo è stato raggiunto (oppure è divenuto impossibile), quando sono venuti a mancare tutti gli associati e per le altre ragioni eventualmente indicate dall’atto costitutivo e dallo statuto. Quando si sia verificata una causa di scioglimento, gli amministratori devono procedere alla liquidazione cioè alla vendita dei beni e alla riscossione dei crediti, allo scopo di rendere liquido (cioè sotto forma di denaro) il patrimonio dell’associazione, per saldare i debiti esistenti. Nessun altro atto può essere compiuto in tale fase.

 

 

Le associazioni non riconosciute

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Le regole ora esaminate sono comuni a tutti i tipi di associazioni, ma soltanto le associazioni riconosciute godono dell’autonomia patrimoniale perfetta e sono pertanto persone giuridiche

Perché un’associazione possa dirsi riconosciuta è necessario:

·    che l’atto costitutivo sia redatto per atto pubblico (cioè in pratica da un notaio)

·    che l’associazione ottenga l’atto amministrativo di riconoscimento compiuto con decreto del Presidente della Repubblica, oppure, per certe associazioni destinate a operare in un ambito regionale, con decreto del Presidente della giunta regionale

Il riconoscimento serve a controllare innanzitutto che l’associazione persegua fini leciti e poi che disponga di un patrimonio sufficiente per raggiungere quei fini. In questo modo si tutela l’interesse dei futuri creditori dell’associazione, visto che una volta ottenuta l’autonomia patrimoniale perfetta essi potranno contare sul solo patrimonio dell’associazione per il soddisfacimento delle loro pretese.

Ottenuto il riconoscimento, l’associazione deve essere registrata su un apposito registro istituito presso la cancelleria del tribunale di ogni capoluogo di provincia (art. 33 e ss c.c.). Con la registrazione l’associazione ottiene la personalità giuridica.

L’associazione che non abbia richiesto e ottenuto il riconoscimento non ha autonomia patrimoniale perfetta. Anche le persone che hanno agito in nomee per conto dell’associazione rispondono dei debiti di questa

Per quanto riguarda gli organi e il funzionamento, L’associazione non riconosciuta è governata dalle stesse regole dettate dal codice in materia di associazioni riconosciute.

I partiti e i sindacati sono associazioni non riconosciute

 

 

Le fondazioni

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Le fondazioni sono organizzazioni collettive a carattere istituzionale. Le fondazioni riconosciute sono dotate di autonomia patrimoniale perfetta e perciò di capacità giuridica.

Le fondazioni si costituiscono per atto pubblico oppure con testamento e sono caratterizzate dalla presenza  di un patrimonio vincolato al perseguimento di un determinato scopo non di lucro.

 

 

I comitati

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I comitati sono costituiti da gruppi di persone che raccolgono fondi destinati a uno scopo di interesse generale. L’art. 39 c.c. menziona i comitati di beneficenza e quelli promotori di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti ecc.

I comitati non riconosciuti non sono persone giuridiche, in quanto non sono dotati di autonomia patrimoniale perfetta: infatti i loro componenti sono personalmente responsabili insieme con il patrimonio del comitato per le obbligazioni assunte  in suo nome e conto.

Una volta realizzato lo scopo – o se questo è divenuto irrealizzabile – o quando i fondi sono divenuti insufficienti, il comitato di estingue.

 

 

“Ente” vuol dire “Persona giuridica”

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Nell'espressione "ente pubblico" occorre precisare con cura il significato della parola "ente" e il significato della parola "pubblico".

"Ente" significa "persona giuridica". Persone fisiche e persone giuridiche formano la categoria dei "soggetti" o "soggetti di diritto".

 

 

Cosa si intende per "ente pubblico"?

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Un "ente pubblico" è anzitutto un “ente” o “persona giuridica”. Un ente si dice pubblico:

   Se il suo fine si identifica con uno dei fini dello Stato (o della Regione, Provincia o Comune) o se comunque, nel perseguire il suo fine, soddisfa anche interessi che stanno a cuore allo Stato (o della Regione, Provincia o Comune). Ad es. il fine di una comunità israelitica è il fine di un gruppo particolare all'interno dello Stato, che non si identifica completamente con quelli dello Stato; ma l'attività di un tale ente realizza anche il fine statale della tutela delle minoranze etniche e linguistiche.

   Se, in conseguenza di questa prossimità o identità di interessi lo Stato lo fa oggetto di un trattamento particolare, differenziandolo dagli altri enti privati e inserendolo in qualche modo nel complesso dei pubblici poteri, nell'organizzazione amministrativa pubblica, col conferirgli una personalità di diritto pubblico. Una "personalità di diritto pubblico" può comportare:

·    L'assoggettamento a controlli (normalmente regionali o statali) Le forme e l'intensità del controllo può variare da ente a ente, ma un certo grado di controllo esiste sempre.

·    L'assoggettamento alla potestà di coordinamento statale. Anche questa potestà non può mai mancare.

·    L'attribuzione, a loro volta, di poteri di controllo e di coordinamento su tutti gli enti di un settore (ad es. ad un istituto bancario o creditizio pubblico vengono affidati compiti di coordinamento e controllo nel settore bancario o creditizio: la Banca d'Italia possiede estesi poteri di tal genere per quanto riguarda l'esercizio del credito) Questa prerogativa può mancare.

·    Il potere di emanare norme di auto-organizzazione

·    L'attribuzione di una capacità di diritto pubblico, comprendente potestà e poteri di diritto pubblico. Questa prerogativa può mancare.

·    La possibilità di svolgere determinate attività in regime di monopolio

 

 

Cosa vuol dire che un ente pubblico ha (normalmente) una "doppia capacità", di diritto privato e di diritto pubblico?

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Nelle persone giuridiche, capacità giuridica e capacità di agire non possono essere distinte: se una persona giuridica non ha la capacità di agire ciò vuol dire necessariamente che non possiede neanche la capacità giuridica riguardante quei rapporti (a differenza ad es. di una persona fisica come un minorenne, che ha diritti, e quindi capacità giuridica, ma non li può esercitare, e quindi manca di capacità di agire). Per questo, riferendocisi a loro si parla genericamente di “capacità (di diritto pubblico)” senza specificare se si tratti di capacità giuridica o di agire.

Gli enti pubblici possiedono sia una capacità di diritto privato, sia una capacità di diritto pubblico, formata di "poteri pubblici" o "potestà pubbliche" o “poteri di imperio”, in grado di modificare unilateralmente le posizioni giuridiche dei soggetti privati e di fronte ai quali i privati sono in posizione di soggezione. Queste potestà o poteri sono "funzioni", in quanto vanno esercitate a vantaggio di soggetti diversi da quello che ne dispone (cioè  dei cittadini).

Tra le più importanti manifestazioni della capacità di diritto pubblico ci sono:

   Autonomia

E' la capacità di creare norme giuridiche. E' particolarmente estesa nel caso delle Regioni, che hanno il potere di emanare norme di grado primario (leggi regionali e statuti regionali) e secondario (regolamenti regionali).

   Autarchia

E' la capacità di perseguire i propri interessi in posizione di supremazia con gli strumenti del diritto amministrativo (provvedimenti)

   Autogoverno

E' la capacità dei soggetti amministrati dall'ente, di scegliere le persone fisiche preposte agli organi più importanti dell'ente. E' il caso ad es. dei cittadini del comune che scelgono direttamente i membri del consiglio comunale.

   Autotutela

Si tratta della possibilità, per l'ente, di farsi ragione da sé (naturalmente secondo precise norme giuridiche) attraverso atti amministrativi, tra i quali ricordiamo:

·    Annullamento d'ufficio di un suo atto amministrativo invalido, anche se tale annullamento coinvolgerà posizione giuridiche di terze persone

·    Rimozione d'ufficio di un suo atto amministrativo anche se tale annullamento coinvolgerà posizioni giuridiche di terze persone

·    Convalida di un atto amministrativo invalido

·    Decisione dei ricorsi amministrativi

·    Revoca o sospensione degli effetti di un suo atto amministrativo valido per ragioni di opportunità

·    Possibilità di ricorrere all'esecuzione forzata quando gli obbligati non osservino i propri doveri verso l'amministrazione

La esecutività del provvedimento amministrativo è una manifestazione di questa facoltà di autotutela In alternativa, la Pubblica Amministrazione può chiedere la esecuzione forzata al giudice ordinario, nelle forme del codice civile, poiché l'atto amministrativo deve essere considerato dal giudice civile come un titolo esecutivo.

·    Possibilità applicare, con un provvedimento, sanzioni per illeciti amministrativi

Per "illecito amministrativo" si intende una trasgressione che non viene considerata tanto grave da interessare l'intera collettività e da richiedere una tutela penale, ma solo di danno all'attività della Pubblica Amministrazione in un particolare settore (es. quello della circolazione stradale, dell'esercizio del commercio al dettaglio) e che viene punita con sanzioni amministrative (revoca di licenze, confische ecc.), non sottoposte alle norme che regolano le sanzioni penali. Ad es. le infrazioni al codice della strada (che è un decreto legislativo) sono quasi tutti illeciti amministrativi (tranne casi come omissione di soccorso, guida in stato di ebbrezza, guida senza patente, che sono reati); le infrazioni alle norme sul commercio al dettaglio sono normalmente illeciti amministrativi; le infrazioni meno gravi ai propri doveri di contribuente fiscale sono illeciti amministrativi.

·    Possibilità di accertare, con un provvedimento, contravvenzioni in materie che interessino la pubblica amministrazione, e anche di determinare la pena (spesso una somma di denaro) entro limiti minimi e massimi.

Le contravvenzioni sono forme minori di reati, previsti dal codice penale o da altre leggi penali. La competenza ad accertarli sarebbe dunque del giudice penale, ma la Pubblica Amministrazione ha una competenza analoga. Attraverso l'istituto dell'oblazione (pagamento della pena accertata dalla Pubblica Amministrazione) il reato risulta addirittura estinto e come non mai verificatosi. Tra le contravvenzioni poste a tutela di norme amministrative vi sono quelle che puniscono determinate violazioni di leggi finanziarie

·    Esercizio di poteri di polizia a tutela dei propri diritti reali (ad es. attraverso il corpo delle guardie forestali, dei vigili urbani ecc.) Altre potestà di diritto pubblico che frequentemente gli enti posseggono sono:

   Potere di certificazione

Ad es. gli ordini professionali certificano con valore di piena prova di fronte al giudice, che determinati soggetti hanno i titoli necessari per l'esercizio della professione

   Potere di dare ordini

   Potere di pretendere o riscuotere prestazioni coattive, specie pecuniarie.

Ad es. l'INPS ha il potere di esigere i contributi sociali; la RAI ha il potere di esigere il canone di abbonamento; il Comune ha il potere di esigere il pagamento dei tributi comunali; la SIAE (Società Italiana Autori ed Editori) ha il potere di esigere i diritti di rappresentazione di un'opera cinematografica, musicale ecc.); e così via.

   Potere di effettuare ispezioni o controlli

Accanto alla capacità di diritto pubblico, gli enti pubblici possiedono una capacità di diritto privato, formata essenzialmente da "facoltà" inerenti a diritti soggettivi che possono essere posseduti anche da privati, e che non sono in grado di modificare unilateralmente la sfera giuridica altrui tranne che in casi particolari. In questi casi l'ente interviene in posizione di parità con i soggetti privati, anziché di supremazia. Come si è già detto, vi sono enti pubblici, come quelli economici, che possiedono solo la capacità di diritto privato. Utilizzando la capacità di diritto privato, la Pubblica Amministrazione si comporta su un piano di assoluta parità rispetto ai soggetti con i quali viene in contatto (ad es. stipulazione di contratti di compravendita, di fornitura di elettricità ecc.). Se viceversa fa valere una sua autorità cioè  si pone in una situazione di supremazia esercitando dei poteri particolari  ovvero imponendo determinati comportamenti unilateralmente (es. ordine del Questore di disperdere una manifestazione), allora si deve parlare di attività di diritto pubblico.

Questa doppia capacità è tuttavia presente solo negli enti pubblici territoriali: è, di regola, assente negli enti pubblici strumentali, i quali hanno solo la capacità di diritto privato: i loro beni sono oggetto del comune diritto di proprietà, i loro dipendenti sono ad essi legati dal comune contratto di lavoro, gli atti che pongono in essere con i terzi sono atti di autonomia contrattuale, in tutto sottoposti al codice civile.

 

 

Quali sono le principali categorie di enti pubblici?

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Quattro sono le principali categorie di enti pubblici:

   Enti territoriali

Sono la Regione, la Provincia e il Comune. Si dicono "territoriali" o "a fini generali" perché si occupano della generalità dei bisogni di una collettività insediata su un territorio.

   Enti strumentali

sono creati per perseguire fini propri dello Stato (o dell'ente territoriale) che questo potrebbe anche perseguire direttamente.

   Enti ausiliari

Tramite gli enti ausiliari vengono perseguiti fini che, pur non essendo propri dello Stato, vengono tuttavia considerati da questo con intenso interesse, in quanto la loro realizzazione viene a dar completamento all'azione statale, affiancandosi ad essa, o integrandola, o prestandole aiuto (si pensi alle università non statali, all'ENEL, agli enti pubblici economici).

   Enti esponenziali

Con gli enti esponenziali lo Stato riconosce il carattere di enti pubblici ad enti esponenziali di comunità territoriali o di altri gruppi spontanei abbraccianti intere categorie di individui, o a consociazioni volontarie o a centri in cui si esprimono, attraverso appropriate rappresentanze, specifici interessi settoriali. Sono enti esponenziali, oltre agli enti territoriali (Regioni, Province, comuni), gli ordini e collegi professionali, alcuni enti associativi preposti alla cura di interessi di categoria o di settore di natura economica, culturale, assistenziale, sportiva (es. Coni, Accademie di scienze ed arti, ecc.)

Stato, Regione, Provincia e Comune, oltre ad essere enti territoriali sono anche enti esponenziali.

 

 

I tipi di persone giuridiche pubbliche: Gli enti pubblici economici

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Gli enti pubblici economici rientrano tra gli enti pubblici ausiliari

Da cosa si ricava che un ente che svolge attività imprenditoriale assoggettata alle norme del codice civile, che intrattiene con i propri dipendenti un rapporto di impiego privato, che vende i propri prodotti sul mercato, che non ha poteri di imperio, è un ente pubblico?

Vi sono alcuni indici residui che possono consentirci di stabilire che anche l’ente pubblico economico ha una (limitata) personalità di diritto pubblico:

·    L'ente normalmente non agisce a scopo di lucro, ma utilizza gli utili versandoli allo Stato o destinandoli a fini sociali

·    L'ente ha un patrimonio una parte del quale è indisponibile

·    L'ente non è sottoposto a fallimento, ma a liquidazione coatta amministrativa

·    L'ente è vincolato a persegue strategie imprenditoriali volte più che ad aumentare il profitto a raggiungere obiettivi sociali:

·    Rompere un monopolio

·    Industrializzare aree depresse

·    Calmierare i prezzi dei prodotti

·    Assicurare l'approvvigionamento nazionale in settori delicati come quello energetico o siderurgico

·    L'ente riceve direttive vincolanti da un ente pubblico territoriale (di solito lo Stato)

·    L'attività interna dell'ente non è regolata dal diritto privato, ma dal diritto amministrativo

·    Le perdite di gestione dell'ente sono ripianate periodicamente da un ente pubblico

·    L'ente è destinatario privilegiato di sovvenzioni e agevolazioni pubbliche

·    L'ente svolge la sua produzione in posizione di monopolio (ad es. l'ENEL prima della privatizzazione)

·    Le tariffe dell'ente sono determinate da un comitato ministeriale (come ad es. quelle delle Ferrovie o delle poste)

·    Si applicano all'ente i principi di imparzialità e di buon andamento tipici delle pubblica amministrazione (es. obbligo di contrattare con tutti quelli che lo chiedano, senza patti di esclusiva ecc.)

 

 

Gli organi o uffici

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Le persone giuridiche possiedono organi.

Gli "organi" rientrano nella più vasta categoria degli “uffici”. Un ufficio è una unità operativa che svolge dei compiti prefissati, mediante il compimento di atti giuridici.

In altre parole: quando esistono dei compiti precisi da svolgere stabilmente mediante atti giuridici che direttamente o indirettamente servono all'ente per manifestare la sua capacità di agire, e quando esistono delle regole per stabilire quali persone fisiche debbono essere scelte per svolgere quei compiti, la unità operativa prende il nome di "ufficio".

L'ufficio (o l’organo) è impersonale: non persegue gli interessi particolari delle persone fisiche che lo fanno agire e non si estingue o muta con il cessare o il succedersi delle persone fisiche nel tempo.

Così, l'Ufficiale giudiziario è l'organo che nel comune ha il compito di vigilare sulla salute dei residenti; l'Ufficiale dell'anagrafe è l'organo che ha il compito di mantenere aggiornate le liste dei residenti, di annotare nascite, morti, matrimoni e rilasciare i relativi certificati; il Parlamento è l'organo che fa le leggi; il Tribunale è l'organo che giudica certi tipi di cause civili o penali ecc.

Quando l'ufficio diviene strumento per entrare direttamente in rapporto con altri soggetti (persone fisiche o persone giuridiche) prende il nome di “organo”. All’organo viene attribuita una "competenza" che comprende determinati compiti e determinati poteri, “ritagliati” tra i compiti e i poteri attribuiti all’ente cui appartiene (i compiti e i poteri dell’ente prendono invece il nome di “attribuzioni”).

Gli organi dello stato sono quindi quegli uffici ai quali è attribuito il potere di dichiarare la volontà dello stato nei confronti di altri soggetti (ad es. il Parlamento, il Governo, i Ministri, i Giudici).

Lo Stato ha anche uffici che non sono organi, attraverso cui non manifesta la sua volontà, ma che eseguono compiti interni all'organizzazione statale.

Solo gli organi, quindi, non gli uffici, possono determinare il sorgere di situazioni giuridiche (attive e passive) riguardanti lo Stato.

 

 

La differenza tra “organo” e rappresentante”

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Non bisogna confondere la figura dell'organo con quella del rappresentante. Un organo non "rappresenta" l'ente nel senso che noi intendiamo comunemente quando diciamo che una persona ne rappresenta un'altra: l'organo non ha personalità giuridica, non è, in altre parole, un soggetto a sé, ma è una parte dell'ente. Questa situazione si indica con il nome di "rapporto organico" o di "rappresentanza organica", e non di "rapporto di rappresentanza".

 

 

Sono considerati “organi” anche alcuni uffici che svolgono esclusivamente attività interna

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In realtà gli studiosi considerano "organi" non solamente gli uffici in grado di mutare direttamente, con la loro azione, le situazioni giuridiche di soggetti diversi da quello cui appartengono, ma anche gli uffici che svolgono una attività indiretta particolarmente rilevante per l'azione dei primi mediante atti giuridici: si parla così di “organi” consultivi e di controllo, sebbene la loro attività sia puramente interna e preparatoria

 

 

I vari tipi di organi

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Vi sono molti tipi di organi: individuali (composti da una sola persona) o collegiali (composti da più persone); semplici (cioè  non costituiti a loro volta da altri organi) o complessi (costituiti da altri organi); centrali (la cui competenza si estende su tutto il territorio dello Stato) e periferici (a competenza territorialmente delimitata); consultivi (che prestano assistenza tecnica dando pareri ad altri organi) e attivi (che manifestano o danno esecuzione alla volontà dell'ente); organi di controllo, organi politici (es. il Parlamento).

 

 

I gruppi di organi dello Stato. I “poteri”

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Quando numerosi organi svolgono attività simili e sono collegati fra loro da precisi rapporti (organi superiori che comandano ad organi inferiori, organi che consigliano altri organi, organi che prendono le decisioni e organi che le eseguono ecc.) si parla di "poteri". 

Lo Stato-apparato è composto di tre "poteri": il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario.

Il potere legislativo è formato dagli organi che hanno il compito di creare norme giuridiche. In passato gli organi erano due: il Re e il Parlamento. Nel nostro Stato vi è solo un organo che può creare le leggi o delegarne ad altri la creazione: il Parlamento, composto a sua volta da due organi, la Camera e il Senato, che a loro volta sono composti da deputati, senatori, Presidenti della Camera e del Senato, capigruppo ecc.

Il potere giudiziario è composto da numerosi organi: Tribunali ordinari, Tribunali militari, Tribunali amministrativi, Tribunale delle acque pubbliche, Corti d'appello, Corti d'assise, Corti d'assise d'appello, Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti ecc.

Tutti questi organi sono incaricati di emettere sentenze che applichino le norme generali ai casi concreti.

Gli organi del potere esecutivo sono numerosissimi. Al vertice del potere esecutivo c'è il Governo. Ciascuno dei ministri del Governo è a capo di un ministero che a sua volta è costituito da numerosi organi centrali (direzioni generali, provveditorati generali ecc.) e periferici (intendenze, uffici locali ecc.)

 

 

Unità operative e organizzazioni che svolgono esclusivamente attività materiali

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Non sono "uffici", malgrado il nome, unità operative come i cosiddetti "uffici-copia", gli "uffici meccanografici", gli "uffici di contabilità", gli "uffici studi", gli "uffici o centri smistamento corrispondenza" ecc. che non compiono atti giuridici (dichiarazioni di volontà,di scienza, di giudizio ecc.) ma atti puramente materiali, di riproduzione meccanica, di calcolo, di studio ecc. che non hanno alcuna attinenza con i rapporti tra ente e terzi. Per la stessa ragione non è un ufficio una cattedra universitaria di matematica e simili.

I complessi organizzati composti solo di unità operative di questo tipo (es. Scuole, Aziende Sanitarie locali; Istituti di assistenza ecc prendono il nome di stabilimenti o aziende o istituti.

 

 

Il rapporto tra gli agenti e l'organo

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Le persone fisiche che compongono gli organi esterni o impersonano gli organi interni nei rapporti interorganici si dicono "funzionari". Si dice che il funzionario è il "titolare"dell'organo. Esiste poi il "preposto" all'organo, che comprende il funzionario titolare, ma anche colui che temporaneamente ne fa le veci ("supplente", “vicario” ecc).

Le persone che sono titolari o preposti ad un ufficio che non costituisce un organo si dicono "addetti". I "funzionari", gli "addetti" e i “meri agenti” (persone che all’interno di un ufficio compiono attività puramente materiali (es. dattilografiche, di trasporto documenti ecc.) costituiscono la categoria degli “agenti”.

Il rapporto che lega il titolare o il preposto all'organo si chiama "rapporto si servizio".

Un rapporto di servizio può essere di fatto o di diritto. Il rapporto di servizio di diritto può essere volontario o coattivo. Il rapporto di servizio volontario può essere onorario o professionale (svolto in base ad un contratto di lavoro dipendente). Il rapporto di servizio professionale può essere di diritto pubblico (rapporto di impiego pubblico) o di diritto privato (rapporto di impiego privato). Esistono funzionari coattivi, onorari (che svolgono la loro opera gratuitamente) e professionali (che svolgono la loro opera dietro retribuzione).

 

 

Il rapporto tra gli atti del funzionario e la persona giuridica

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Gli atti dei funzionari vengono considerati non come atti personali ma come atti dello Stato: vengono cioè  imputati allo Stato, come se li avesse compiuti lui. Che cosa significa che allo Stato vengono attribuite le attività compiute dai suoi funzionari, negli uffici e negli organi di cui fanno parte? Significa che lo Stato assume le posizioni soggettive (attive e passive) che derivano da quelle attività.  Naturalmente, questa imputazione si verifica solo a condizione che il funzionario abbia agito nella sua veste pubblica, come agente dello Stato, non nella sua veste privata, come semplice cittadino. In questo modo, si vede che i funzionari dello Stato hanno una doppia capacità di agire: come singoli privati essi non si distinguono dai semplici cittadini, potendo compiere solo negozi di diritto privato; ma come funzionari pubblici hanno una speciale capacità di diritto pubblico, delle cui conseguenze però si giova lo Stato, per il quale essi operano. In quanto funzionario la persona fisica dovrà spersonalizzarsi ed agire nel solo interesse pubblico.

 

 

I “rapporti interorganici”

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Tra gli uffici e gli organi esistono vari rapporti detti "rapporti interorganici". Tali rapporti possono essere:

·    di immedesimazione (un ufficio è anche un organo: si "immedesima" in un organo);

·    di strutturazione (più uffici entrano a comporre un organo),

·    di composizione (più organi entrano a comporre un organo complesso);

·    di separazione (tra organi di enti diversi o anche della persona giuridica che nessuna norma ponga in relazione);

·    di coordinamento. I rapporti di coordinamento possono essere:

·    rapporti di formazione (un organo crea un altro organo);

·    rapporti di gerarchia;

·    rapporti di sostituzione (un organo si sostituisce ad un altro o sostituisce un altro);

·    rapporti di condizionamento (l'azione di un organo condiziona in qualche modo l'azione dell'altro, mediante iniziative, direttive, assensi,pareri ecc.);

·    rapporti di controllo (di "vigilanza" per la legittimità, di "tutela" per il merito, di "sorveglianza" genericamente ecc.).

Il rapporto gerarchico è particolarmente importante per la Pubblica Amministrazione. L'organo gerarchicamente superiore ha una serie di poteri nei confronti dell'organo inferiore:

·    il potere di dirigere l'attività dell'organo inferiore mediante la emanazione di ordini nella forma dell'"istruzione" o della "circolare";

·    il potere di vigilanza, che comporta un controllo sull'attività dell'organo inferiore, diretto ad accertare l'adempimento in genere di tutti gli obblighi ad esso imposti dalle norme generali, e in particolare l'osservanza delle disposizioni di servizio impartite dall'organo superiore;

·    il potere di sostituzione, cioè  di agire in luogo dell'organo inferiore quando questi ometta di farlo;

·    il potere di avocazione, cioè  di assumere per sè  un compito spettante all'organo inferiore,indipendentemente da una sua inadempienza;

·    il potere di delegare una propria competenza all'organo inferiore;

·    il potere di "annullamento di ufficio" nei confronti di atti dell'organo inferiore che abbiano violato la legge;

·    il potere di riforma, esercitabile su atti che, pur essendo conformi alla legge,sono inopportuni;

·    il potere di risoluzione dei conflitti di competenza che sorgono fra organi inferiori;

·    il potere di decisione sui ricorsi dei cittadini contro atti dell'organo inferiore.

Un organo può essere dotato di varie forme di autonomia: contabile (provvede da sé alla propria contabilità), finanziaria (ha proprie entrate che riscuote direttamente o riceve fondi dall'ente per i propri compiti), di gestione (gestisce direttamente i propri beni e contratta in proprio), di bilancio (redige bilanci e rendiconti separati per la propria gestione), decisionale (è in grado di provvedere in modo assolutamente indipendente dalla volontà degli organi di governo dell'ente).

Normalmente i rapporti interorganici non hanno rilevanza nell'ordinamento esterno, nel senso che un soggetto diverso dalla persona giuridica non ne vedrà modificate o aumentate le proprie situazioni giuridiche soggettive e in particolare non potrà far valere a suo favore le norme dell'ordinamento interno (ad es. un privato non potrà chiedere l'annullamento di un atto di accertamento fiscale che va contro una circolare interna del Ministero delle Finanze). Vi sono tuttavia casi di conflitto tra organi (es. tra organi costituzionali: Parlamento, Governo, Magistratura; tra organi del potere giudiziario: Tribunali, Pretori ecc.), casi di violazione delle procedure (di controllo, consultive ecc.) che coinvolgono più organi nella emanazione di un atto esterno (provvedimento), casi di annullabilità dell'atto di un organo dietro ricorso all'organo superiore, casi di incompetenza di un organo, casi di sanzioni disciplinari contro il titolare di un organo e tali casi hanno effetto rispetto a soggetti dell'ordinamento esterno, creando a loro carico diritti, doveri, interessi legittimi o modificando atti o attività che li riguardano (annullamento di un atto di espropriazione, dichiarazione di incompetenza di un tribunale a favore di un altro ecc.).

 

 

Un organo non ha personalità giuridica

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Un organo, nell'ordinamento esterno che regola i rapporti della persona cui appartiene con soggetti diversi da sé, non ha personalità giuridica, perché non forma un ente distinto dalla persona di cui è parte (esistono tuttavia casi eccezionali di personalità giuridica dell'organo: C.N.R., ISTAT ed altri organi personificati).