Il problema della Gehenna da Dale C. Allison,
Resurrecting Jesus |
Fu mai l'Inferno
qualcosa di diverso da oscurità?
FRANCISCO DE QUEVEDO
Abbiamo udito.. che alcuni hanno avute rotte le ossa sulla ruota,
strappati i loro intestini, sono stati mangiati vivi dagli insetti, i loro
membri straziati, la loro carne bruciata, pestati entro mortai, fatti a pezzi
con ganci, bolliti nell'olio, arrostiti su terribili spiedi, ecc. E tuttavia
tutti costoro, per quanto tu vi aggiunga tutte le Malattie, come la peste, i
calcoli, la gotta, la stranguria e qualsiasi altra
cosa ti possa venire in mente di più doloroso per il corpo… tutto ciò non
arriverebbe a rendere l'Ira, l'Orrore, l'Angoscia inconcepibile che i Dannati
devono soffrire ogni Momento, senza alcuna Tregua nelle loro Pene, nelle Fiamme
dell'Inferno
JOHN SHOWER
Io credo che nel nostro
inconcepibile destino, governato da infamie quali le sofferenze del corpo, ogni
cosa bizzarra sia possibile, perfino l'eternità di un Inferno, ma che sia
sacrilego credere una cosa simile.
JORGE LUIS BORGES
IL PROBLEMA
Che
l'inferno sia una credenza in declino, e non solo di recente, non fa da tempo
più notizia1. L'universalismo ha fatto
grandi progressi nel diciassettesimo secolo. Nell'ottimistico diciottesimo
secolo, Jonathan Edwards
può ancora avere vigorosamente minacciato le persone con l'inferno, ma anche
lui si era trovato a dover giustificare questa orribile prospettiva di fronte
ai suoi molti critici2. Agli inizi del
diciannovesimo secolo, quando persino "i più strenui degli Ortodossi"
erano "occupati a spopolare l'inferno"3, i poeti romantici
poterono usare "inferno" come metafora mentre gli appassionati
oppositori della chiesa potevano citarlo come una ragione per cancellare il Cristianesimo4. Verso la fine del secolo, Gladstone notò che questo luogo era stato relegato
"agli angoli più remoti della mente cristiana, … dove è destinato a
dormire nell'ombra profonda, come una cosa inutile nella nostra epoca
illuminata e progressiva" 5.
Nel
ventesimo secolo molti predicatori e teologi protestanti appartenenti alle
correnti di pensiero principali liquidarono il concetto di punizione divina
evitando l'argomento quando possibile. Quando l'inferno emergeva in qualche
modo nel discorso, alcuni teologi, come i membri della Commissione Dottrinaria
della Chiesa di Inghilterra (1995) stabilirono che "non esiste tormento
eterno" e, perdipiù, che "l'annichilazione
è una raffigurazione migliore della dannazione".6
Altri apologeti addussero, apparentemente contro i testi neotestamentari in cui
le persone sono gettate nella Gehenna, che il
giudizio deve essere auto-imposto: Dio consente ai dannati di esercitare la
propria libertà e di andare dovunque vogliano, che si tratti dell'inferno
invece del paradiso.7 Altri ancora
tagliarono netto con le distinzioni sottili e semplicemente giunsero alla
conclusione che – cito qui Walter Wink – "la
credenza in un luogo di tormento eterno è indegna delle forme più elevate della
fede cristiana".8 Jürgen
Moltmann si spinse più in là: "La logica
dell'inferno è, secondo me, in ultima analisi, atea".9
Sembra in verità che l'inferno "sia stato così modificato, attenuato,
spiegato come inconsistente, gettato in secondo piano, che a malapena conserva
un'ombra del suo antico carattere orribile".10
I cancelli dell'Ade non hanno prevalso, ma sono
piuttosto usciti dai cardini, e la prigione di grida e lamenti che una volta
custodivano è silenziosa e vuota. L'inferno è stato in verità rivoltato rivoltato dall'erpice della critica. E', per finire,
"terminato" e "dopo 2000 anni di orribili rappresentazioni lo
spettacolo non sarà rimandato in scena".11
Dato
che oggigiorno così tante persone detestano l'inferno, ma tuttavia ancora
accettano Cristo, non è sorprendente che alcune ricostruzioni moderne non lo
raffigurano più come assertore di punizioni escatologiche o d'oltretomba. Si
potrebbe qui essere cinici e chiedersi fino a qual punto il desiderio (di
disfarsi dell'inferno) ha incubato questa conclusione "critica", che
certamente va contro l'impressione che si ricava dai Vangeli canonici.12 Dopo tutto, "la gente quasi
invariabilmente giunge alle proprie convinzioni non sulla base di prove, ma del
proprio sentimento… Noi crediamo poco altro oltre ciò che ci fa piacere
credere" (Pascal). Forse un Gesù
che non dice nulla sull'inferno è una costruzione di storici interessati che
non hanno loro stessi niente da dire sull'inferno, o almeno niente di positivo.
Tuttavia la faccenda non è risolta con questa forma sin troppo facile di
replica ad hominem, perché emergono alcuni
interessanti spunti critici.13 Coloro che
dubitano che Gesù abbia creduto nell'inferno e
l'abbia impiegato nei suoi insegnamenti non sono senza argomenti – anche se
molti libri recenti su di lui li ignorano e semplicemente tacciono
sull'argomento.14
GLI ARGOMENTI
Un
motivo di scetticismo ha a che fare con la coerenza del pensiero di Gesù. E' possibile che una mente profondamente innamorata
dell'amore di Dio e che predica la carità verso i propri nemici
contemporaneamente abbia accettato e persino propagandato l'idea perturbante di
una agonia senza fine imposta dall'alto? Se, come pare, Gesù
mise in sordina gli elementi di vendetta nel suo linguaggio escatologico; se,
in accordo con la tradizione su di lui, proclamò che Dio va alla ricerca del figliuol prodigo e fa piovere sull'ingiusto come sul
giusto; e se, nelle fonti più antiche, non mostra alcun interesse né in Giosué
né nei Giudici, libri che mostrano violente guerre di religione – allora
sicuramente potremmo chiederci se si sarebbe trovato a suo agio con un inferno
tradizionale. Gesù era un esorcista e un guaritore.
Come tale, cercava di lenire le sofferenze umane, che invece un inferno eterno
aumenta incommensurabilmente. Non abbiamo forse qui, come molti hanno notato,
una notevole e genuina contraddizione?15 E non dovrebbe provocare
essa dubbio su ciò che risale genuinamente a Gesù e
ciò che non vi risale?
Che
io sappia, in base alla mia fallibile conoscenza, la prima argomentazione di
questo tenore risale a duecento anni fa. Non viene da un teologo o da un biblista, ma da un poeta romantico, Percy
Bysshe Shelley, che visse
prima che qualcuno avesse imparato l'ABC della
critica testuale o delle fonti. Nel suo saggio "Sul Cristianesimo",
sostenne che gli evangelisti "imputano a Gesù Cristo
sentimenti che si contraddicono in modo netto l'uno con l'altro. Gesù, secondo Shelley, "si
avvalse di tutte le sue risorse di persuasoneper
opporsi" all'ideadi ingiustizia insita
nell'inferno; Gesù credeva in "un Dio mite,
benevolo e compassionevole", non in un "essere che medita
deliberatamente di imporre ad una vasta parte della razza umana torture indescrivibilmente intense e
protratte indefinitamente".16
"L'assurda ed esecrabile dottrina della vendetta sembra essere stata presa
in considerazione in tutte le sue forme da quel grande moralista con la più
profonda disapprovazione".17
L'argomentazione
forse più completa riguardo questa conclusione appare in un vecchioi
libro che, mentre è ancora sugli scaffali di alcune biblioteche, ha quasi
cessato di essere ricordato. Ne Il
Signore del Pensiero (1922), Lily Dougall e Cyril W. Emmet
sostennero che i passaggi dei Sinottici che raffigurano un dio che punisce sono
aggiunge alla tradizione autentica.18
Rigettando la possibilità che Gesù abbia "una
mente confusa, nella quale le credenze tradizionali permangono senza essere
messe in dubbio fianco a fianco con gli ideali più nuovi e vitali che… le
contraddicono",19 gli autori suggerirono che Gesù abbandonò la concezione tradizionale del giudizio
divino. Il tono dissonante della retribuzione divina è una incresciosa
"aggiunta che si è insinuata durante qualcuno di quei vari stadi
attraverso i quali sono passate le parole di Cristo prima che raggiungessero la
forma presente".20 Dobbiamo scegliere
tra il Dio di Gesù e il Dio degli scrittori dei
Vangeli.
Si
tratta di una pura lettura tra le righe che elimina le righe perché non si
conciliano con ciò che si è trovato tra di esse? O una parte della tradizione
richiede, a causa di differenze inconciliabili, una separazione da un'altra
parte? Il verdetto di Dougall e Emmet
ha quantomeno questo a suo credito, che lo spirito che lo ispira non è
confinato ai tempi moderni successivi all'Illuminismo. Origene, Didimo il
cieco, Gregorio di Nissa, Diodoro di Tarso, Evagrio, Teodoro di Mopsuestia e
Isacco di Ninive sperarono tutti in una
riconciliazione universale, in parte a causa della loro convinzione che Dio ama
tutti, persino i malvagi – una convinzione che i Vangeli canonici instillò in
loro.21 Isacco ha da dire sull'argomento le
cose più eloquenti e che lasciano più colpiti. Sostiene che il Dio di Gesù Cristo non possiede rabbia, ira, gelosia; che Dio è al
disopra della retribuzione; e che Dio, essendo come un padre, non può mai agire
ispirato da vendetta o odio.22 "Se si
tratta di un rapporto di amore, allora non si può trattare di una faccenda di
retribuzione; e se si tratta di retribuzione, allora non è un rapporto di
amore".23 Di nuovo, "Dio non è
uno che si vendica del male, ma uno che ripara ed elimina il male: la prima figura
è quella di persone malvagie, la seconda è quella di un padre". 24
In breve, "non è (il modo di comportarsi) di un creatore compassionevole
creare esseri razionali allo scopo di destinarli ad una sofferenza spietata e
senza fine (come punizione) per cose di cui Egli conosceva persino prima che
essi fossero stati creati, (consapevole) di come si sarebbero distolti da lui
quando li avesse creati – e che (nondimeno) Egli creò".25
Tenendo
presenti Isacco e i suoi predecessori, non possiamo liquidare come tipicamente
moderna la percezione di una tensione tra il Dio che fa splendere il sole su
tutti e il Dio che distrugge nella Gehenna il corpo e
l'anima. Di questo avviso sono antichi testi apocrifi, come l'Apocalisse greca della Vergine, in cui
Dio concede ai peccatori preda dei tormenti un momento di riposo durante
Pentecoste, Quaresima e le domeniche.26
Sicuramente questa felice idea nacque dalla convinzione che la bontà divina
deve alleviare l'inferno, almeno un po'. Stessa cosa in quelle apocalissi
popolari, come l'Apocalisse di Pietro e
l'armena Apocalisse di Paolo, in cui
i santi con la loro preghiera fanno uscire peccatori dall'inferno.27 Qui la compassione dissolve le sofferenze.
Dati testi come questi – come pure autorità rabbiniche che limitano la durata
dell'inferno28 e la convinzione di alcuni
cristiani delle origini, come Marcione, che il Dio
della compassione non può essere il Dio della vendetta – non è impensabile che
un ebreo di Galilea del primo secolo avesse anch'egli dubbi e scrupoli al riguardo.29 Altri ebrei espressero chiaramente disagio.
Secondo Baruch 2, 55:7, quando Baruch
udì "l'annuncio del castigo per quelli che hanno trasgredito", non
gioì di autocompiacimento, ma divenne "completamente atterrito". Il
secondo Libro di Esdra ci mostra la stessa orripilata
reazione all'ingiustizia delle prospettive escatologiche tradizionali e il
conseguente sentimento dello spettatore che gli esseri umani non avrebbero
allora dovuto essere stati creati (7:62-69; cfr. 8:4-19; 10:9-17). Sicuramente, almeno in teoria, non è astorico immaginare che Gesù,
che, secondo le parole di Ed Sanders, era "un
uomo gentile e generoso"30 possa essere stato sconvolto allo
stesso modo.
La
critica testuale e delle fonti fornisce un'altra ragione, molto più concreta,
per chiedersi se Gesù realmente insegnò mai una qualsivoglia
cosa sul castigo divino.31 Quelli che
seguono sono i testi sinottici che chiaramente presuppongono un giudizio
personale o collettivo, dopo la morte o alla fine dell'età presente.32
Testi
comunemente attribuiti alla fonte Q33
● Luca 10:12 = Matteo 10:15 : "Io vi
dico: sarà più lieve per Sodoma, in quel giorno, che
per quella città"
● Luca 10:14 = Matteo 11:24 : "E tuttavia
nel momento del giudizio sarà più lieve per Tiro e Sidone
che per voi "
● Luca 10:15 = Matteo 11:24 : "E tu, Cafarnao, sarai esaltata in cielo? Cadrai nell'Ade "
● Luca 11:31 = Matteo 12:42 : "La regina
del Sud si leverà per il giudizio con questa generazione e la condannerà,
perché viene dai punti estremi della Terra per ascoltare la sapienza di
Salomone, e contemplare qui qualcosa di più grande di Salomone!"34
● Luca 11:32 = Matteo 12:41 : "Gli
abitanti di Ninive si leveranno per il giudizio con
questa generazione e la condanneranno; perché si pentirono all'udire la
predicazione di Giona, e, guarda, qualcosa di più grande di Giona è qui ora"
● Luca 12:5 = Matteo 10:28 (cfr. 2 Clem. 5:4) : "Ma la paura… quella che è in grado
di distruggere nella Gehenna l'anima e il corpo".
● Luca 12:8-9 =
Matteo 10:32-33 (cfr. Marco
8:38) : "Chiunque mi riconoscerà di fronte agli uomini il Figlio dell'Uomo
lo riconoscerà di fronte agli angeli… Ma chiunque mi rinneghi di fronte agli
uomini, il Figlio dell'Uomo lo rinneghera di fronte
agli angeli"
● Luca 12:10 = Matteo 12:31 (cfr. Marco 3:28-29) : "E
chiunque dica una parola contro il Figlio dell'Uomo, gli sarà perdonato; ma
chiunque parla contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonato".
● Luca 12:46 = Matteo 24:50 : "Il padrone
di quello schiavo arriverà un giorno che lui non si aspetta e ad un'ora che non
conosce, e lo ridurrà in pezzi e gli darà un'eredità tra i senza fede".
● Luca 12:58-59 =
Matteo 5:25-26 : "E coloro che assistono vi
getteranno in prigione. Vi dico, non ne uscirete fino a quando non avrete
pagato fin l'ultima moneta".
● Luca 13:24 = Matteo 7:13-14
: "Entrate dalla porta stretta, perché molti cercheranno di entrare, e
pochi sono quelli che vi entreranno".
● Luca 13:25,27 = Matteo 7:22-23
(cfr Matteo 25:10-12; Vangelo di Tommaso, 75) : "Quando
il padrone di casa si è alzato e ha sbarrato la porta, e voi sarete all'esterno
e busserete alla porta dicendo: 'Signore, apri', e
lui vi risponderà: 'non vi conosco'… e vi dira: 'non vi conosco. Lontani da me, vio
che agite senza legge'".
● Luca 13:28 = Matteo 8:12 : "Ci sarà
pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo e Isacco e Giacobbe nel Regno
di Dio ma vio ne sarete gettati fuori".35
● Luca 17:27-30 =
Matteo 24:38-39: "Perché in quei giorni quelli
mangiarono e bevvero, maritandosi e dando in matrimonio, fino al giorno in cui Noé entrò nell'arca e il diluvio venne e prese le loro
vite, così sarà anche nel giorno in cui il Figlio dell'uomo viene
rivelato".36
● Luca 17:34-35 =
Matteo 24:40-41 (cfr. Vangelo di Tommaso, 61) : "Io vi
dico, ci saranno due uomini a lavorare nel campo; uno sarà preso e l'altro
abbandonato. Due donne a macinare nel mulino; una è presa e un'altra
abbandonata".
● Luca 19:26 = Matteo 25:29 (cfr. Marco 4:25; Vangelo
di Tommaso, 41) : "A chi ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto
anche quello che ha".
Testi del
Vangelo di Marco
● 9:43 (cfr. Matteo
18:8) : "Se la vostra mano vi fa peccare, tagliatela; è meglio per voi
entrare nella vita eterna mutilati piuttosto che avere due mani e andare
all'inferno, nel fuoco inestinguibile".
● 9:45 (cfr. Matteo
18:8) : "E se il vostro piede vi fa peccare, tagliatelo; è meglio per voi
entrare nella vita eterna zoppo che avere due piedi e essere gettato
all'inferno".
● 9:47-48 (cfr. Matteo 18:9) : "E se il vostro occhio vi fa
peccare, strappatelo via; è meglio per voi entrare nel regno di Dio con un
occhio solo piuttosto che avere due occhi e essere gettati all'inferno, dove è
il verme che non muore e il fuoco non è mai estinto".
● 12:40 : "Riceveranno la più grande
condanna [κριμα]".
Testi del
solo Vangelo di Matteo
● 5:22 (cfr. Matteo
18:8) : "Se siete arrabbiati con un fratello, meritate di essere
sottoposti a giudizio;… e se dite 'Tu, stolto'
potrete essere gettati nell'inferno di fuoco".
● 7:19 (cfr. Luca
3:9) : "Ogni albero che non dà frutto è tagliato e gettato nel
fuoco".
● 12:36-37 :
"Il giorno del giudizio dovrete rendere conto per ogni parola incauta che
pronunciate; perché per mezzo delle vostre parole sarete giustificati, e per
mezzo delle vostre parole sarete condannati".
● 13:42 (cfr. Vangelo di Tommaso 57) : "Vi getteranno
nella fornace di fuoco, dove vi sarà pianto e stridore di denti".
● 13:49-50 :
"Gli angeli li getteranno [i malvagi] nella fornace di fuoco, dove vi sarà
pianto e stridore di denti".
● 15:13 : "Ogni pianta che il mio Padre
celeste non ha piantato sarà sradicata".
● 22:13 : "Legatelo mani e piedi, e
gettatelo nell'oscurità esterna, dove vi sarà pianto e stridore di denti".
● 23:15 : "Guai a voi!... Rendete i nuovi
convertiti due volte tanto di quanto rendete voi figli dell'inferno".
● 23:33 : "Nido di vipere! Come potete
scampare la condanna all'inferno?".
● 24:51 : "Lo farà a pezzi e lo porrà tra
gli ipocriti, dove sarà pianto e stridore di denti".
● 25:30 (paragona con Luca 19:27 [Q]) : "Quanto
a questo servo inutile, gettatelo nell'oscurità esterna, dove vi sarà pianto e
stridore di denti".
● 25:41 (cfr. 2 Clem. 4:5) :
"Lungi da me, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi
angeli".
● 25:46 : "Costoro andranno via
nell'eterno castigo".
Testi del
solo Vangelo di Luca
● 6:25 : "Guai a voi che siete sazi ora,
perché sarete affamati. Guai a voi che ora state ridendo, perché sarete preda
di dolore e di pianto".
● 12:20 : "Ma Dio gli disse, 'Stolto!
Questa stessa notte ti sarà richiesta la vita. E le cose che hai apprestato, di
chi saranno?".
● 12:47-48 :
"Quello schiavo che sapeva cosa voleva il suo padrone, ma non si prepara o
non fa quanto voleva, sarà battuto duramente. Ma quello che non sapeva e ha
fatto ciò che merita una punizione, sarà battuto senza durezza".
● 16:23-24 :
"Nell'Ade, dove era tormentato, guardò in alto e
vide Abramo lontano, con Lazzaro al suo fianco. Chiamò, 'Padre Abramo, abbi
pietà di me, e manda Lazzaro a bagnare la punta del suo dito e inumidire la mia
lingua, perché sto agonizzando in queste fiamme'".
● 16:28 : "Non verranno anch'essi in
questo luogo di tormento".
Mentre
sedici di questi testi vengono da Q, solo quattro provengono da Marco; e le tre
citazioni di Marco sulla Gehenna appartengono allo
stesso complesso, 9:43-48. La punizione escatologica
è molto rilevante in Matteo. Non solo Matteo, a differenza di Luca, riporta
tutti i testi in proposito di Marco, ma possiede anche molte citazioni sue, e
quasi la metà dei testi che si riferiscono alla Gehenna
nei Sinottici sono solo suoi. Supponendo l'anteriorità di Marco e di Q, Matteo
ha aggiunto circa una dozzina di nuovi riferimenti alla punizione escatologica,
e sicuramente molti sono dello scriba compilatore. Perdipiù,
i corrispondenti in Luca di Matteo 24:51 e 25:30 sono molto meno sviluppati
nelle immagini escatologiche. Invece di "Lo farà a pezzi e lo porrà tra
gli ipocriti, dove ci saranno pianto e stridore di denti", che troviamo in
Matteo 24:51 Luca riporta il meno elaborato: "Il padrone.. lo farà a pezzi
e lo porrò con gli infedeli". Similmente, sebbene Matteo 25:30 riporta
"Quanto a questo indegno schiavo, gettatelo nell'oscurità esterna, dove vi
sarà pianto e stridore di denti", Luca 19:27 manca sia della
"oscurità esterna" che del "pianto e stridore di denti".
Invece dice: "Ma quanto a questi miei nemici che non vollero che regnassi
su di loro - portateli qui e uccideteli in mia presenza". Così sembra
molto chiaro, almeno per quelli di noi che suppongono che Matteo abbia seguito
Marco, che più ci allontaniamo da Gesù, più
riferimenti all'inferno troviamo. Si consideri il prospetto seguente, che è
piuttosto eloquente circa il contributo di Matteo alle parole di Gesù.
PAROLA
O FRASE |
MATTEO |
MARCO |
LUCA |
απωλια
(punizione escatologica) |
1 |
0 |
0 |
γεεννα |
7 |
3 |
1 |
κλαυθμος
και ο βρυγμος
τον οδοντων |
6 |
0 |
1 |
κολασις (di punizione
escatologica) |
1 |
0 |
0 |
πυρ (di punizione escatologica) |
8 |
2 |
0 |
πυρ αιονιον |
2 |
0 |
0 |
σκοτος εξωτερον |
3 |
0 |
0 |
Ciò
che uno può trovare in Matteo quando lo si compara con Marco e Luca, uno lo può
similmente trovare, se ha motivi per farlo, in Q stesso. John
Kloppenborg ha persuaso molti che la Fonte dei Detti
conteneva due tipi principali di materiali – parole profetiche che annunciano
l'imminente giudizio di questa generazione da un lato, e dall'altro lato detti
di saggezza indirizzati alla comunità che riguardano l'auto-definizione e il
comportamento generale nei confronti del mondo.37
Questi ultimi furono, secondo Kloppenborg, la
componente di Q. Gli altri arrivarono dopo. Questo ha
rilievo perché una tale ricostruzione potrebbe incoraggiare uno che propende in
tal senso ad assegnare la maggior parte o tutti i detti di Q sulla punizione
divina al secondo stadio della comunità e pertanto a negare la provenienza da Gesù. Kloppenborg stesso non si
azzarderebbe ad una argomentazione così semplice. E' piuttosto attento a non
identificare segmenti della prima stratificazione di Q con il Gesù storico e tutto il resto con ciò che proviene dai
seguaci successivi di Gesù.38 Ma altri
sono stati meno cauti, e l'accettazione dell'analisi di Kloppenborg
sarebbe certamente coerente con lo scetticismo circa l'autenticità dei detti
che annunciano un giudizio escatologico o successivo alla morte.
James Robinson ha recentemente
enfatizzato il contrasto in Q tra ciò che chiama "giustizialismo"
di uno strato redazionale successivo e lo spirito dei primi materiali.39 "Quelle parti di Q che sono state
riconosciute, nel corso degli anni, come le collezioni antiche, sembrano essere
state ignorate dal redattore, dove un Dio che amministra il giudizio ha
rimpiazzato il Dio che ha pietà dei peccatori!"40 Per Robinson, la tensione tra giudizio e misericordia in Q non
tradisce una incoerenza nella mente stessa di Gesù,
ma riflette piuttosto la differenza tra Gesù stesso e
alcuni dei suoi interpreti – lo stesso verdetto che Shelley
ha emesso. "La visione di Gesù di un Padre
attento che è infinitamente misericordioso e dunque clamorosamente clemente nel
trattare con i cattivi come con i buoni, può essere stata persa di vista una
generazione dopo, come risultato della cruenta esperienza della guerra
giudaica, intesa come una punizione quasi retributiva di Israele"41
Di nuovo, "L'intuizione fondamentale di Gesù
circa la natura di perenne amore e perdono di Dio sembrerebbe essere stata
persa di vista nella misura in cui l'antico punto di vista di un dio
inesorabilmente punitivo per rappresaglia si riaffermò di nuovo"42
In questo modo il Gesù che parlò della Geenna è, tra
neanche tanto nascosti applausi dal fondo, impiccato sulla forca della critica
storica.
VALUTANDO GLI ARGOMENTI
Sono
dunque argomenti del genere quelli che potrebbero essere invocati per negare
che Gesù abbia detto molto sull'inferno. Che
pensarne? L'argomento della coerenza è di grande rilevanza teologica. Io
personalmente vedo poche possibilità di conciliare il dio del Gesù cattolico della compassione col Dio che getta le anime
perdute nell'inceneritore. Le riflessioni di Isacco di Ninive,
come avrò modo di indicare a suo tempo, hanno, secondo me, perfettamente senso.
Nondimeno dubito che il mio essere più che perplesso sul punto sia una guida
idonea per ricostruire la storia. Tutti noi siamo fasci di apparenti
contraddizioni, da cui non vedo ragione di esentare Gesù.
Sarebbe ben limitato e folle assoggettarlo all'abito stretto della coerenza. Se
per esempio, diamo per buona l'autenticità di Matteo 5:22, dove Gesù proibisce l'ira e gli insulti all'altro, saremo
costretti a concludere che Marco 3:5 ("Guardò gli astanti con ira")
debba essere stato fabbricato, o che Gesù non avrebbe
mai potuto inveire contro gli Scribi e i Farisei e insultarli come fa in Luca
11 e Matteo 23, o che non può aver rovesciato i banchi nel tempio?
E'
utile ricordare le contraddizioni che alcuni vecchi critici trovarono in talune
apocalissi ebree e cristiane, contraddizioni che furono le basi per dubbie
teorie composite, come l'analisi di G.H. Box di Ezra 4 e l'analisi di R.H.
Charles della Rivelazione. Non possiamo dedurre,
sulla base della nostra logica personale, ciò che la logica di qualcun altro ha
stabilito, specialmente di qualcuno proveniente da un luogo e da un tempo
diversi dai nostri. Il modo di vedere di Gesù non
deve necessariamente essere il nostro. Dobbiamo distinguere tra una tensione
che egli potrebbe aver tollerato – e che i suoi seguaci evidentemente
tollerarono – e una contraddizione che personalmente non potremmo sopportare.
Questo è tanto più vero nel caso in
oggetto, perché la tradizione su Gesù non contiene
nessun rifiuto esplicito dell'inferno. A termini del Nuovo Testamento, se Gesù avversò l'idea di giudizio divino, la sua protesta fu
sorprendentemente fiacca.
Faremmo
meglio a ricordare che la tradizione cristiana è piena di persone che un minuto
hanno lustrato con eloquenza l'amore di Dio, e il minuto successivo hanno
minacciato la gente con la vendetta divina. Paolo scrisse 1 Corinzi 13, ma parlò anche dell'"ira che sta arrivando"
(1 Tessalonicesi
1:10; cfr. 2:16; 5;9). Il redattore del Sermone della
Montagna, col suo dio che fa discendere la pioggia sul giusto e sull'iniquo,
parla di pianto e stridore di denti per ben sei volte. E Luca, che mantiene il
sermone di Q nella pianura, col suo imperativo di amore per i nemici, tramanda
il racconto dell'uomo ricco e di Lazzaro, con le sue fiamme di agonia. In un
tempo successivo ho in mente il caso curioso di Bernardo
di Chiaravalle. Egli scrissi parole di squisita
bellezza sull'amore, e tuttavia appoggiò la Seconda Crociata con entusiasmo e
non ebbe scrupoli nel consegnare
Abelardo ad inferos.45
Persino il mite Francesco d'Assisi mise in guardia dall'inferno.
Inoltre,
Gregorio di Nissa e Isacco di Ninive
e i loro affini, a dispetto dei loro scrupoli, mantennero un posto per
l'inferno, sebbene delimitato. Secondo me, Gregorio e Isacco non avrebbero
creduto nell'inferno se si fossero sentiti liberi di farne a meno; la punizione
dopo la morte rimane estranea al loro più intimo e distintivo carattere e alla
loro immagine centrale di Dio. Tuttavia non rinunciarono all'inferno,
perché evidentemente si sentirono
obbligati a fare i conti come meglio potevano con ciò che la tradizione aveva
passato loro. Essi sono forse un po' come l'autore di 4 Ezra. A dispetto del suo incisivo
scetticismo e della sua profonda convinzione che il trattamento che Dio riserva
agli uomini sia ingiusto, non poté rompere con la sua tradizione. Invece di
disfarsi della retribuzione divina mise da parte i suoi sentimenti e, alla
fine, si rassegnò a consolarsi in una ignoranza simile a quella di Giobbe e in
una visione apocalittica. Possiamo immaginare qualcosa di simile riguardo Gesù. Se, come è abbastanza probabile, egli aveva udito la
fine di Isaia (66:24: "E essi
usciranno e guarderanno ai cadaveri delle persone che si sono ribellate a me;
perché il loro verme non morirà, il loro fuoco non subirà attenuazione, ed essi
saranno un abominio per la carne") o l'ultimo capitolo di Daniele (12:2: "Molti di coloro che
dormono nella polvere della terra si risveglieranno, alcuni per la vita eterna,
e alcuni per la vergogna e il disprezzo eterno"), o se era familiare con
il tipo di attese escatologiche che si trovano in 1 Enoch e in altre apocalissi, avrebbe dovuto essere al corrente
della Gehenna; e potrebbe avere accettato la sua
prospettiva in quanto recante l'autorità della tradizione divinamente ispirata
in cui viveva. Fare a meno della Gehenna può essere
stato, dato il suo contesto culturale, qualcosa che non prese mai seriamente in
considerazione.
Dobbiamo
tenere pieno conto dell'eredità ebraica e biblica di Gesù.
Dopo avere dichiarato che il Signore è "un Dio misericordioso e pieno di
grazia, lento all'ira, abbondante nell'amore costante e nella fedeltà, che
tiene fermo l'amore costante per le migliaia di generazioni, perdonando
l'iniquità e la trasgressionie e il peccato", Esodo, 34:6-7
immediatamente prosegue con il terrificante e incongruente pensiero: Dio
"non assolverà in alcun modo il peccatore, ma castiga l'iniquità dei
genitori castigando i figli, e i figli dei figli, fino alla terza e quarta
generazione". Deuteronomio
32:39 dice in modo molto più succinto: "Io uccido e vivifico; ferisco e
guarisco". In modo simile, il Libro della Saggezza castiga i
peccatori e si compiace del loro
giudizio mentre allo stesso tempo offre questa insuperata dichiarazione
dell'amore universale di Dio: "Ma tu hai compassione per tutti, perché
puoi far tutto, e passi sopra i peccati degli esseri umani guardando al loro
pentimento. Perché ami tutto ciò che esiste, e non disprezzi niente di ciò che
hai creato; perché se avessi odiato qualcosa non gli avresti mai dato
esistenza. Come può qualcosa essersi preservata se non per tua volontà o
essersi mantenuta qualcosa che non è stata approvata da te? Ma tu risparmi
tutti perché sono i tuoi, o Signore Sovrano, amante di tutte le vite; perché il
tuo spirito immortale è in tutte loro" (11:23-12:1).
E' al di là delle mie capacità di comprensione come la persona che scrisse
queste notevoli parole poté al contempo dipingere un Dio che ride di scherno
agli iniqui, che li getta a terra, che li trasforma in cadaveri violati, che li
assale con terribile ira con spada, fulmini, grandine (4:18-19;
5:17-23; cfr 16:15-24). Ma ecco qui che lo fa.
C'è
anche un problema analogo e molto istruttivo, nelle Epistole del Nuovo
Testamento. I commentatori a partire da Origene hanno inarcato le sopracciglia
sulla presenza nelle lettere di Paolo della giustificazione per fede e nel
giudizio in base alle opere.49 Molti hanno
scorto qui una "contraddizione", altri un "paradosso".50 Mentre
alcuni hanno provato a eliminare o ridurre le incongruenze la verità è che,
quando l'apostolo si riferisce al giudizio escatologico, "egli guarda ad
esso sotto due differenti aspetti. Quale aspetto viene per primo dipende dalle
necessità della situazione retorica. Tale flessibilità retorica sconfitte ogni
tentativo di scoprire una assoluta coerenza sistematica [nella] concezione di
Paolo del giudizio finale di Dio".51
In altre parole, La teologia paolina è, in un aspetto
significativo, in apparente tensione con se stessa – che non è assolutamente
qualcosa di eccezionale: persino i pensatori più sistematici possono essere
decostruiti. Gli studiosi di Paolo sono colpiti dal problema perché i testi rilevanti appartengono alle lettere
di sicura attribuzione. Ma chi può dubitare che, se quelle lettere fossero
invece note come il prodotto finale di una tradizione orale che mischiò gli
insegnamenti di Paolo con i pensieri dei suoi ammiratori, qualche critico fiduciosamente ci informerebbe che le
considerazioni sulla giustificazione tramite le opere, essendo in conflitto con
quelle sulla giustificazione per fede
devono essere secondarie, o viceversa? La tesi, sebbene comprensibile,
sarebbe sbagliata, e somiglia a ciò che Robinson e
altri hanno sentenziato per la tradizione su Gesù.
Cosa
dire dell'argomento tratto dalla storia della fonte e della sua redazione, dal
fatto che i detti riguardo l'inferno sembrano aggiungersi alla tradizione col
tempo? Questo dovrebbe farci fermare a riflettere. Alla fine, comunque, non è
in grado di farci decidere, perché la questione non è se coloro che trasmisero
le tradizioni aggiunsero riferimenti alla punizione divina. Essi certamente lo
fecero. La questione è invece se, facendo così, essi elaboravano qualcosa che
esisteva sin dall'origine o piuttosto aggiungevano un elemento estraneo che
alterava il carattere della tradizione. Che i cristiani aggiunsero il loro
contributo alla tradizione riguardo i detti sull'inferno non è, evidentemente,
una prova incontrovertibile che Gesù stesso non fece
la stessa cosa.52
ALTRI ARGOMENTI
Se
gli argomenti contro l'appartenenza della punizione escatologica al messaggio
di Gesù non sono tali da imporre l'assenso, che dire
riguardo la conclusione opposta? C'è, per cominciare, un argomento basato sulla
continuità. Molti hanno rimarcato che la posizione di Gesù
tra Giovanni Battista, per cui il giudizio imminente era centrale, e la chiesa
delle origini, che attendeva la Parusia, rende
maggiormente verosimile la supposizione che Gesù
stesso fosse fortemente interessato all'escatologia.53
Si possono addurre argomenti collegati a questo, riguardo l'inferno. Giovanni
Battista, se dobbiamo credere Q, volgeva la sua attenzione alla salvezza degli individui di fronte al
giudizio imminente. Luca 3:7 = Matteo 3:7 riferiscono che ammonì il suo
uditorio a fuggire dall'ira che sarebbe giunta; e in Luca 3:17 = Matteo 3:12
troviamo il Battista che dice: "Lo strumento per il vaglio è nella sua
mano, e batterà il grano e raccoglierà la farina nel granaio, ma la pula la
brucerà con il fuoco che non sarà mai estinto". Anche Paolo pensava che se
solo alcuni erano destinati alla vita, altri non dovevano avere un tale
destino: Romani 2:5 ("Stai
accumulando ira sul tuo capo per il giorno dell'ira"), 8-9
("Per quelli che penseranno a se stessi e che obbediranno non alla verità
ma all'iniquità ci sarà ira e furia. Ci
sarà angoscia e dolore per tutti coloro che compiono il male"); 14:10
("Staremo tutti di fronte allo scranno di giudice di Dio"); Tessalonicesi 1:9
("La punizione dell'eterna distruzione"); ecc. Ora, poiché Gesù si fece battezzare da Giovanni e lo lodò in abbondanza
(Luca 7:24-35; Matteo 11:7-19:
Q), e poiché le lettere di Paolo sono le nostre più antiche testimonianze
scritte del movimento cristiano, c'è qualche ragione di presumere che Gesù, come i suoi predecessori e successori, abbia dato
grande enfasi alla faccenda della gente colpita dal giudizio divino? Jürgen Becker chiede "con
che tipo di visione della Cristianità delle origini rimarremmo se
contrapponessimo un messaggio di Gesù senza alcuna
traccia di giudizio e una Cristianità primitiva tenebrosa e cospiratrice, che
così facilmente e in tanti modi parla del giudizio di Dio?".54
In
aggiunta all'argomento costituito dalla continuità, ci si potrebbe appellare a
un criterio basato sulla molteplicità e ricorrenza delle attestazioni. La
credenza nell'inferno o nel giudizio dell'ira divina appare, come già indicato,
in tutte le fonti sinottiche. Perdipiù, il Vangelo di
Giovanni, mentre non menziona in alcun luogo "Ade"
o "Gehenna", presuppone un giudizio divino
e una retribuzione per gli uomini perduti. Che i credenti "non periranno
ma avranno vita eterna" (3:16; cfr. 10:28;
11:26) implica che i non credenti, al contrario, periranno e non avranno la vita eterna.
Sia 5:28-29 ("Sta
per giungere l'ora in cui tutti coloro che sono nelle loro tombe udranno la sua
voce e usciranno… quelli che hanno fatti il male, per la resurrezione della
condanna") e 12:48 ("Chi mi rinnega e non riceve le mie parole sarà
soggetto a un giudice; nell'ultimo giorno la parola che ho pronunciato farà da
giudice") lo conferma. E 15:6 ("Chi non crede in me è gettato via
come un ramo tagliato e si dissecca; questi rami sono raccolti, gettati nel
fuoco e bruciati") probabilmente, a dispetto dei dubbi di molti
commentatori moderni, fa riferimento alla Gehenna.55
Il
giudizio divino non appare solo in uno o due versi isolati nei Vangeli
canonici; è al contrario un elemento significativo della tradizione su Gesù
così come l'abbiamo ricevuta. Questo tema è ricorrente in Matteo, Marco, Luca e
Giovanni; è centrale nella onte più antica, Q; e potrebbe anche essere in un
punto del Vangelo di Giovanni (57:
"Nel giorno del raccolto le erbacce verranno viste, strappate e
bruciate"). Mentre la valutazione di Reiser –
"più di un quarto del materiale dei discorsi di Gesù
riguarda il tema del giudizio finale"56 – mi sembra
eccessivamente generoso, difficilmente tuttavia si può caratterizzare questo
tema come marginale. Esso appare, perdipiù in diversi
registri espressivi – in parabole (es. Q 13:25-27;
Matteo 25:41,46; Luca 16:23-24,28), in previsioni
profetiche (Q 10:12-15; 11:31; Matteo 13:42,50), in
ammonizioni ad appartenenti alla cerchia dei seguaci (Q 12:5; 13:24; Marco 9:43-48; Matteo 5:22), e in rimproveri ai non appartenenti (Q
13:28; Matteo 223:15,23; Luca 6:25). Alcuni potrebbero pensare che queste
evidenze siano sufficienti perché il giudizio divino e la Gehenna
abbiano un posto nel messaggio di Gesù. Io stesso
propendo per questo avviso, perché non sono sicuro che possiamo trovare il Gesù autentico se eliminiamo del tutto un tema o motivo
attestato in modo consistente in una vasta tipologia di materiali.57 Per usare le parole di Gerd
Theissen, "Tutto considerato, non c'è alcuna
ragione di negare che Gesù abbia predicato il giudizio divino. La tradizione in
materia è troppo estesa".58
Altri,
comunque, potrebbero protestare che è una conclusione troppo affrettata, e non
senza qualche ragione. Il criterio delle attestazioni multiple, sebbene normalmente trascuriamo questo fatto, è a
doppio taglio. Più un motivo è attestato, più ragioni abbiamo di
congetturare la sua popolarità tra i
cristiani; e come può la popolarità di qualcosa tra i primi cristiani essere
senz'altro evidenza storica riguardo Gesù?59
Nel caso presente perché non considerare i molti riferimento al giudizio,
alcuni dei quali sono chiaramente secondari, come prove della popolarità del
tema nelle Chiese? E perché, con questo in mente, non applicare il criterio di
dissomiglianza per svalutare l'attribuzione a Gesù di
parole sul giudizio divino? In questo modo possiamo dissociarlo da una credenza
che sembra a molti implicare "una insana
malevolenza da parte di Dio".60
Sebbene
io non tenga per questa linea di ragionamento, la tradizione della nostra gilda
richiede che si faccia di più che accumulare l'una sull'altra citazioni nella
speranza che in qualche modo la quantità stabilisca una origine risalente a Gesù. Sebbene abbiamo un gran numero di detti riguardo il
"Figlio dell'Uomo", questo non è riuscito a dimostrare nulla. Non ci
si può aspettare nulla di diverso con nessuna altra questione. Alla fin fine,
la maggior parte di noi vuole riuscire ad esibire alcuni testi che
plausibilmente danno l'impressione di alcune cose dette da Gesù.
Quale dei molti testi citati sopra soddisfano – se soddisfano – questa attesa?
Più
invecchio, meno fiducia ho nell'abilità di chicchessia di rispondere a questo
tipo di domanda, di stabilire la storia e l'origine di un particolare detto
evangelico. Ho perso gran parte della mia giovanile "fede nell'onnipotenza
della demolizione analitica".61 Non è
così facile stabilire che un detto particolare risale a Gesù
così come stabilire il contrario. La maggior parte dei nostri tentativi sono
speculazioni lambiccate, difficili; e la mia meditata e attuale opinione è che
la maggio parte dei detti dei Sinottici sono ciò che considererei candidati
all'autenticità: non possiamo mostrare che provengono da Gesù,
e allo stesso modo non possiamo mostrare che vengono invece dalla chiesa. In
ogni caso, non fanno al caso della dimostrazione brevi considerazioni in un
excursus di poche pagine, e il carattere di questa trattazione impedisce una
trattazione adeguatamente completa. Perciò mi limito a citare tre detti che
molti si sentono di attribuire senza riserve a Gesù –
uno di minaccia ai non appartenenti alla cerchia dei credenti in Q, uno in Luca
13:28 = Matteo 8:12, che ammonisce un gruppo di persone che essi non staranno
con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno ma invece saranno gettati nell'oscurità
esterna, dove ci sarà pianto e stridore di denti. Il testo di Marco è 9:43-48, che iperbolicamente
consiglia di tagliarsi la mano, il piede e l'occhio perché essere mutilato è
preferibile a cadere nell'inferno, nel fuoco inestinguibile, dove il verme non
muore mai. Il testo di Luca è 16:19-31, l'episodio
del ricco e di Lazzaro, che pone il primo nell'Ade,
un luogo di tormento e agonia. Sarebbe sciocco passare al setaccio questo testo
– che riporta elementi tradizionali e per la verità proviene in ultima analisi
dall'Egitto62 – per trovare dettagli
riguardo la vita dopo la morte. Allo stesso tempo, anche volendo interpretare
in modo molto elastico, è difficile immaginare che Gesù
abbia usato questa storia se non credeva né in una vita né in una punizione
dopo la morte. Invero, "una delle verità racchiuse nella parabola" è
che "la morte non è la fine dei giochi dal punto di vista etico, ma è una
continuazione, con la possibilità che le cose siano decisamente raddrizzate e
persino capovolte".63
Se Q
13:28 o Marco 9:43 o Luca 16:19-31 riflettono con
fedeltà qualcosa che Gesù disse, allora egli parlò di
una qualche sorta di inferno. Non tenterò qui di stabilire l'autenticità di
questi tre detti – nessuno dei quali è contrassegnato dal Seminario Cristologico come rosso o persino rosa.64
Posso tuttavia, per quel che vale, fare riferimento ad altri che obietterebbero
alle conclusioni del Seminario e, oltre a ciò, posso affermare che, secondo il
mio personale giudizio, gli argomenti riguardo l'autenticità di Marco 9:43-48 sembrano solidi. Il linguaggio è vivido e
sconvolgente. L'occhio della mia mente vede un moncherino sanguinante e
un'orbita priva di occhio ogni volta che si imbatte in queste parole. Se Gesù le pronunciò, sarebbero senza dubbio rimaste nella
memoria degli ascoltatori. Il linguaggio è perdipiù
iperbolico, perché né Gesù né i cristiani delle
origini di cui abbiamo notizia consigliavano alle persone di mutilare il loro
corpo. E l'iperbole è caratteristica di Gesù.
Caratteristico è anche il tono di serietà e importanza di Marco 9:43-48: Gesù era assolutamente
serio riguardo a queste cose. Da ultimo, la richiesta senza compromessi di autosacrificio è pure essa tipica. Non riesco, di
conseguenza, a scorgere nessuna ragione valida per negare l'attribuzione di
questo complesso di affermazioni a lui – a meno di non essere convinti che non
poteva esistere la Gehenna nel suo arsenale retorico.66
Dopo
essere giunto a questa conclusione e aver preso partito con coloro che pensano
che Gesù parlò dell'inferno, sono al tempo stesso
certo che il mio affrettato resoconto non cambierà convinzioni radicate nei
lettori. Ben poco, nel nostro controverso campo di indagine è di chiara e
indiscussa dimostrazione; e riguardo Gesù e la Gehenna non si può disgiungere la questione particolare dal
giudizio su Gesù in generale. Molti di noi, incluso
me, ritengono che il Gesù escatologico o persino
apocalittico proposto da Johannes Weiss
e Albert Schweitzer, con i
suoi discendenti nei lavori di Rudolf Bultmann, Joachim Jeremias e Ed Sanders, è prossimo
al vero. Molti altri – la maggior parte dei membri del Seminario Cristologico per esempio – credono che questa linea di
ricerca non sia riuscita a disseppellire i fatti storici, che il Gesù storico fosse qualcun altro. Quel che voglio dire è
solo che quelli che trovano in Schweitzer più cose
con cui concordare che cose da giudicare negativamente avranno sicuramente più
inclinazione a giudicare positivamente i miei argomenti che quelli con un'altra
visione delle cose. Questo è del tutto naturale. Noi non siamo in grado e non
valutiamo i dettagli in modo disgiunto dal quadro generale che ci facciamo. Così,
se il quadro generale è più vicino, a quello di John Dominic Crossan o di Marcus Borg o di Stephen Patterson che al mio,
tanto per citare alcuni, le mie argomentazioni difficilmente saranno in grado
di mutare il punto di vista. In parte perché io prendo le mosse da un Gesù che è un profeta millenarista, e so che i profeti
millenaristi dividono tipicamente il mondo in due campi opposti, quello dei
salvati e quello dei non salvati, che dò accoglienza
favorevole alle affermazioni circa la fede di Gesù in
un dio che, alla morte o al momento del giudizio, avrà brutte notizie da dare
ad alcuni. Alla fine, quindi, il dibattito sulla Gehenna
diventa un dibattito sul quadro d'insieme da cui prendiamo le mosse – un
soggetto molto ampio che, inutile dirlo, è reso difficile da una grande
complessità e che qui facciamo meglio a lasciare per un'altra occasione.67
ALCUNI DETTAGLI
Se,
come Bultmann, arriviamo alla conclusione che "Gesù condivide l'idea di un inferno infuocato in cui i
dannati sono destinati ad essere gettati",68 cosa possiamo
aggiungere? Una cosa è affermare che Gesù credeva nella Gehenna,
un'altra è stabilire con precisione cosa
credeva al riguardo.
Faremmo
bene, prima di affrontare la questione, a tenere a mente che in nessun punto
dei testi la tradizione sviluppa la Gehenna come
argomento a sé e per sé. Esso rimane non sviluppato, nelle ombre di una
oscurità che ci colpisce. Non è mai soggetto di discorso, né Gesù si diffonde su di esso. E' piuttosto sempre un
presupposto utilmente condiviso con l'uditorio, un soggetto spaventoso tirato
in ballo per ammonire o rimproverare. Gesù, a
differenza dell'Apocalisse di Pietro
e dell'Inferno di Dante, non fornisce
mai i dettagli – allo stesso identico modo in cui rifugge dal fornire
descrizioni esaurienti dell'utopia che chiama Regno dei Cieli. Ci sono gradi
diversi di tormento (cfr. Luca 12:47-48)?
La punizione è modellata sul crimine, come nelle apocalissi tarde o in Dante (contrappasso)? I giusti si compiaceranno
dello spettacolo della disfatta dei malvagi, come è già in Isaia 66:24 (citato
da Marco 9:48) e nei tardi scrittori cristiani di cattiva memoria [per chi non
crede nell'inferno]? Il fuoco è una realtà da prendere alla lettera, come in
Agostino e in Wesley, o da considerare in modo
figurato, come in Origene e Calvino?70 Coloro che vi sono stati
gettati possono alla fine uscire dall'inferno? I giusti possono ottenere con la
preghiera che escano, come nella famosa storia di Gregorio Magno, che intercede
con esito favorevole per l'imperatore Traiano? Gesù sarebbe stato contrariato, divertito o deliziato dalla
scoperta del purgatorio, ad opera di commentatori successivi in Luca 12:59 =
Matteo 5:26 ("Non uscirete fino a che non avrete estinto completamente il
vostro debito"; cfr. Matteo 18:34)? Considerava
i tormenti eterni, che i peccatori sarebbero stati sempre agonizzanti e mai
sarebbero morti?73 Oppure, dal momento che le uniche occorrenze del
"fuoco eterno" e della "punizione eterna" sono confinate in
Matteo (25:41 e 46 rispettivamente), e dal momento che "I loro vermi non
moriranno mai" e "Il fuoco è inestinguibile", espressioni che si
trovano in Marco 9:48 sono di dubbia ascendenza e potrebbero essere in ogni
caso aggiunte secondarie,74 egli pensava, come Arnobio
e certi rabbini, che il fuoco infernale avrebbe consumato i malvagi e poi la
combustione si sarebbe esaurita?75 Se così fosse, quanto ci sarebbe
voluto? E durante questo tempo i peccatori avrebbero goduto di qualche tregua,
come chiedono in Enoch 1 63?
Avrebbero ottenuto una pausa, come in alcune fonti medievali ebree, per il
Sabato?76
Queste
domande rimangono senza risposta. Gesù, per quel che
possiamo stabilire, fece in modo di sorvolarle con discrezione. I suoi
interessi erano altrove. "La verità sembra essere che i pensieri di Gesù sul futuro dell'anima non fossero mai andati oltre il
momento della venuta del Regno".77
Per usare le parole di Bossuet, "Egli non era un pittore di tele
gigantesche".78 Anche prescindendo da
queste considerazioni, pretendere di ricavare dettagli dottrinali precisi da arringhe
fortemente impregnate di elementi mitologici che facevano un uso puramente
accessorio delle idee convenzionali di punizione divina è uno sforzo alquanto
bizzarro. Significa chiedere a testi concepiti per essere "efficaci
piuttosto che accurati",79 più di quel che erano destinati ad
offrire; cercare ciò che non può esservi trovato. Quando io parlo della mia
"sete inestinguibile" o di un oratore che va avanti
"all'infinito", non è proprio il caso di fare un'analisi filologica,
e perché il "fuoco inestinguibile" o il "fuoco eterno"
della tradizione su Gesù sia differente è tutto
fuorché ovvio per me. Perdipiù, sono molto colpito
dalla vecchia esposizione di F. W.
Farrar su ciò che i Padri della Chiesa avevano da
dire sull'inferno.80 Una dopo l'altra egli
espone le loro stranezze e incoerenze, piccole e grandi. Mostra quanto sia
discutibile fare delle generalizzazioni azzardate persino su Agostino. E quanto
più difficile debba essere riguardo Gesù, i cui
insegnamenti sopravvivono solo in frammenti non di prima mano. Passò molto
tempo dopo la sua vita prima che i teologi stabilissero i dettagli dell'inferno.82
Il
fatto che Gesù, in ogni caso, non meditò molto sui
punti più sottili del concetto di Gehenna, che questo
non fu per lui un soggetto di riflessione indipendente, è coerente con la
natura del tutto convenzionale del linguaggio riportato riguardo quel luogo,
come mostrano le citazioni parallele:
● "Gehenna"
come luogo della punizione: Enoch 1
27:2-3; Oracoli
Sibillini 1:104; 2:292; 4:186; Baruch 2 59:10;
85:13; t. Sanh.
13:3; m. Qidd.
4:14; m. 'Ed.
2:10; b. Sotah 4b; b. 'Erub. 19a; etc.
● "Fuoco" come caratteristica della Gehenna o della punizione dopo la morte: Isaia 66:24; Enoch 1 10:13; 54:1-6; 90:24; 1QS 2:8; Oracoli
Sibillini 1:103; 2:295; Ps. Philo, LAB
38:4; Ezra 4 (Esdra
2) 7:36; Baruch 2 44:15; Apocalisse di Abramo 15:6; etc.
● Essere "gettato" nel fuoco
escatologico: Enoch 1 54:1-6; 90:25; 91:9; 98:3; Luca 3:9 = Matteo 3:10 (attribuito
a Giovanni Battista); Enoch 2 63:4
● "Oscurità" come caratteristica
delle Gehenna o della punizione dopo la morte: Enoch 1 103:7; 1QS
2:8; 4:13; 4QM1 frammenti 8-10
1:15; Oracoli Sibillini 2:292; Ps. Sol. 14:9; 15:10; Sapienza 17:21; Josephus, J.W. 3.375; etc.
● I malvagi piangono e/o digrignano i denti: Salmi 112:10; Enoch 1 108:3; Oracoli
sibillini 2:297-299, 305-306;
y. Sanh.
10:3; Midr. Eccl.
1:15.1; cfr. anche Giobbe 16:9; Salmi 35:16;
37:12
La
tradizione su Gesù non aggiunge nulla di nuovo al
folklore ebraico sulla Gehenna.83 Come
scrisse Leckie quasi un secolo fa: le
"predizioni di Gesù sulla Gehenna
non differiscono in nulla da profezie simili nella letteratura ebraica. Invero,
sono singolarmente manchevoli sotto ogni riguardo che potrebbe associarle con
la personalità del Salvatore. Non possiamo trovare in esse nessuna immagine o
pensiero che non sia tradizionale".84
Avendo
riconosciuto che vaste aree di ignoranza continueranno a resistere all'indagine,
possiamo tuttavia sviluppare due questioni. La prima è: come funziona
esattamente la Gehenna nella proclamazione del
messaggio di Gesù? La seconda è: chi esattamente
corre il rischio di finirvi?
Quanto
all'esatta funzione della Gehenna mi piacerebbe scoprire
che Gesù utilizzava l'inferno non tanto come una
minaccia agli estranei alla propria cerchia quanto per indicare un traguardo
difficile agli appartenenti.85 E possiamo
leggere un po' di testi in questo modo. Marco 9:43-48,
col suo appello a guardarsi dal peccato ne è uno. Q 12:5, che consiglia di
temere non il proprio nemico, ma quello che ti può gettare nella Gehenna ne è un altro. Il contenuto della maggior parte dei
detti, comunque, sembra riguardare e/o indirizzarsi gli esterni alla cerchia di
Gesù. Possiamo forse immaginare la maggior parte di
questi logia come appelli al
pentimento (es. Q 11:31-32; 13:24,25-27;
17:30, 34-35; Luca 16:19-31).86
"Una minaccia di punizione" può trovarsi, e spesso si trova nelle
profezie ebraiche, "un modo paradossale
di indurre le persone a conformarsi al modello della legge di Dio in futuro e
guadagnare così la grazia divina".87
Questa è la ragione per cui alcuni dei detti di Gesù
sul giudizio sono anche detti sulla ricompensa (vedi più avanti).
Tuttavia
una coppia di logia potrebbero avere
un carattere differente. Q 10:13-15, il lamento sulle
città della Galilea, e specialmente Q 13:28, il rimprovero pr
quelli che non spartiranno il banchetto escatologico con i patriarchi,
potrebbero esprimere rassegnazione o persino esasperazione, sconfitta piuttosto
che speranza.88 Invece di aprire la porta
al pentimento, questi due logia
potrebbero piuttosto chiuderla. Così quelli di noi [esegeti biblici] che
suppongono che Q 10:13-15 e 13-28
conservano fedelmente memorie di Gesù89
devono considerare la possibilità, se si è onesti, che egli invocò la punizione
divina non solo per esortare, ma anche per escludere alcuni.
Nondimeno
c'è spazio al dubbio al riguardo, persino prescindendo dalla questione della attribuibilità a Gesù di Q 10:13-15 e 13-28. Il dubbio
scaturisce dalla nostra ignoranza della Sitz im Leben (lett. posto nella vita) originaria. Si
consideri, come illustrazione del problema, Q 12:8-9
(cfr. Marco 8:38): "Chiunque mi riconosce di
fronte agli uomini, il Figlio dell'Uomo lo riconoscerà di fronte agli angeli…
Ma chiunque mi rinnega di fronte agli uomini, il Figlio dell'Uomo lo rinnegherà
di fronte agli angeli". Come potrebbe questa ammonizione di giudizio
essere servita agli scopi di Gesù, se la pronunciò?90
Tutto dipende dall'uditorio e dal contesto, che si sono persi nel corso della
storia. Se Gesù aveva indirizzato queste parole agli
itineranti, ai membri del suo cerchio interno, allora difficilmente è una
affermazione escatologica a carattere generale. Sarebbe piuttosto
un'esortazione ai discepoli a non desistere dalla loro missione, di fronte
all'opposizione o alle tribolazioni. Si potrebbe tuttavia immaginare allo
stesso modo che Gesù
usasse Q 12:8.9 per chiamare gli
indecisi al pentimento: se non date retta q ciò che sto dicendo, allora correte
un terribile rischio; se voi rispondete positivamente, le cose andranno bene.
Tuttavia uno può ancora figurarsi un terzo scenario. Gesù
potrebbe avrebbe scagliato il nostro logion come giudizio contro gli oppositori, quelli che non
riconobbero e chiaramente non avrebbero riconosciuto la sua missione. In tal
caso, Q 12:8.9 sarebbe stato un modo di rampognarli e liquidarli, di dichiarare
che sarebbero stati rinnegati di fronte agli angeli di Dio.
Una
volta che abbiamo riconosciuto fino a che punto il contesto contribuisce al
significato e inoltre ammettiamo quanto poco conosciamo sullo scenario
originale dei detti di Gesù, nutriremo poca fiducia
nelle nostre speculazioni sul modo in cui Q 10:13-15
e 13:28 o altri detti sul giudizio hanno funzionato. Essi sono come Giona 3:4. Senza l'intera storia,
difficilmente capiremmo se "Tuttavia ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta" è una affermazione rivolta a
tutti oppure, come effettivamente è, un avvertimento che lascia alternativa al
pentimento. Il problema con Gesù è che le sue parole,
a differenza di Giona 3:4 sono andate
alla deriva allontanandosi dai loro ormeggi. Così tutto ciò che possiamo
fare è azzardare la plausibile
affermazione generale che egli qualche volta usò l'inferno per motivare i
simpatizzanti, che altre volte lo usò per indurre gli indecisi all'obbedienza,
e che potrebbe allo stesso modo,
essere stato spinto, in determinate occasioni, da un motivo meno congeniale a
noi e lo usò per voltare pagina e tirare per la sua strada.
A
parte la questione di come questo o quel logion ebbe a funzionare in
origine, io do per scontato che Gesù, come tanti
altri nel corso delle epoche, invocò la minaccia della punizione escatologica
per incitare le persone a cambiare o a proseguire sulla via che dovevano percorrere.
Lo scopo della narrazione di una parabola in cui una casa, investita
dall'inondazione e dai venti, resiste incrollabile mentre un'altra, trovandosi
nella stessa situazione va in rovina, è far sì che la gente si mantenga su un
certo sentiero. Alla maggior parte di noi, che ha vissuto e vive dopo Shaftesbury e Kant, piacerebbe
immaginare che dovremmo fare il bene per il bene: Virtus sibi praemium.
Comprendiamo il rilevo di Wittgenstein che "la
ricompensa etica e la punizione etica… devono essere nell'azione stessa".92 Potremmo persino ammirare il sentimento del Sufi Rabi'a: "Dio, se ti
presto adorazione per timore dell'Inferno, bruciami all'Inferno. E se ti presto
adorazione nella speranza del Paradiso, escludimi dal Paradiso; ma se ti adoro
per te stesso, non negarmi la tua Bellezza eterna".93
Gesù, comunque, non disse niente di simile.94 Mentre egli potrebbe aver fatto dell'amor di
Dio il supremo motivo di perfezione
morale, non ne fece il solo motivo, e l'eudemonismo non è estraneo al suo
pensiero. Egli evidentemente credeva, come Origene spiegò, che lo scopo
dell'argomento punizione è "indurre quelli che hanno udito la verità a
sforzarsi con tutte le loro forze contro i peccati che sono causa di punizione".95 Si può comprendere il sentimento – un tempo
espresso nel proverbio, "La paura dell'inferno riempie il cielo" –
persino se si è a disagio di fronte a esso. La paura della punizione nella vita
oltremondana è stato probabilmente spesso uno stimolo efficace, come i critici
pagani della religione osservarono molto tempo
addietro.96 Secondo Pusey, "Il terrore dell'inferno popola il cielo: forse
milioni sono stati indotti dalla paura a recedere dal peccato dalla paura di
esso".97 Questo verdetto non è isolato,
il che è la ragione per cui esiste una tradizione di "sermoni
sull'inferno". Josephus scrisse: "I buoni
sono resi migliori in vita dalla speranza di una ricompensa dopo la morte, e le
passioni dei malvagi sono tenute a freno dalla paura che, persino nel caso che
esse non siano scoperte in vita, subiranno tuttavia la punizione etrna dopo la loro morte" (J.W. 2.157). Sebbene potremmo
desiderare che le cose stiano altrimenti, forse il lamento di William Dodwell nel 1741 contiene del vero: "E' anche troppo evidente
che dal momento che gli uomini hanno imparato a sbarazzarsi del timore della
Punizione Eterna, il Progresso dell'Empietà e dell'Immoralità tra di noi è
stato veramente considerevole".98 Gesù, come Dodwell,
apparentemente credeva nell'utilità
dell'inferno, se così si può dire, esattamente come credeva nella efficacia
della ricompensa escatologica. Gesù dette per
scontata la paura umana e la mise al servizio della sua proclamazione, mettendo
di fronte i suoi uditori con la possibilità di un fato odioso – esattamente
come riconobbe la speranza umana per la felicità e promise il suo compimento
nel regno di Dio. Per lui, la questione non era se ci sarebbe stata o no una
retribuzione. Per lui la questione era quale tipo di retribuzione si sarebbe
ricevuta.
Per
mantenere la corretta prospettiva, non dovremmo perdere di vista il fatto che
la perdita escatologica è solo il lato meno rilevante della ricompensa
escatologica e che quest'ultima predomina nella
predicazione di Gesù. Il giudizio è secondario. Marco
1:15 giustamente riassume il kerygma di Gesù come annuncio del
regno, non della Gehenna, e il Padre Nostro chiede
che venga il primo, non la seconda.100
Tuttavia, a dispetto di tale asimmetria, l'una presuppone l'altra. Per la
verità, in alcuni aspetti l due possono divenire correlativi antitetici:
"Essere salvati dall'inferno, questo è il regno. E perdere il regno,
questo è l'inferno".101 Si
considerino i seguenti testi:
RICOMPENSA |
PUNIZIONE |
Q 12:8-9 |
|
Chiunque riconosce in
pubblico il Figlio dell'Uomo, il Figlio dell'Uomo lo riconoscerà |
Chiunque mi rinnegherà in pubblico sarà rinnegato |
Q 13:28-29 |
|
Molti verranno e
staranno accanto ad Abramo nel Regno |
Voi sarete gettati fuori, con pianto e stridore di denti,
nell'oscurità |
Q 17:33 |
|
Quelli che perdono la
loro vita la troveranno |
Quelli che cercano la loro vita la perderanno |
Q 19:26 |
|
A chi ha sarà dato |
A chi non ha sarà tolto anche quello che ha |
Marco 9:43-48 |
|
entrare nella vita entrare nella vita entrare nel regno di
Dio |
andare nella Gehenna essere gettati nella Gehenna essere gettati nella Gehenna |
Luca 16:19-31 |
|
nel seno di Abramo |
nell'Ade |
Ora egli è qui in pace |
Tu sei in agonia |
Questi
detti riflettono la logica della soteriologia escatologica. Se qualcuno
ridiventa bambino e entra nel regno, altri non entreranno;102 e in un
contesto giudaico, cos'altro può voler dire questo se non distruzione o
punizione escatologica?103 Perdere il regno è guadagnare la Gehenna. Perché, se c'è vita c'è anche morte. Se l'umile
sarà esaltato, chi è in alto sarà umiliato. Il primo diviene l'ultimo. Promessa
e retribuzione non possono essere separate. Così, ricordare alla gente
"del giudizio che sta per venire come strumento di ammonizione" e
"ponendo dinanzi alla loro attenzione il regno dei cieli così che lo
desiderino" appartengono alla stessa proclamazione. "Esporre le
ricompense del buono cosicché le persone possano bramarle" e
"mostrare loro il potere del giudizio, cosicché si diano dei limiti"104
servono allo stesso scopo. E' del tutto naturale che Gesù
o qualcuno dopo di lui configurò i dolori come contrappeso alle b eatitudini del Sermone della Pianura (Luca 6:20-26).
Ma
chi, potremmo chiederci, corre il rischio di andare alla Gehenna
secondo il modo di vedere di Gesù? Non erano i
gentili en masse. Non c'è traccia
nella tradizione della credenza, che si trova in qualche opera ebraica (Giubilei, 24:29-30;
Enoch 1 90:19; 1QM),
che essi saranno esclusi dal regno; e l'esistenza di una missione verso i
gentili ai primordi della comunità conferma che Gesù
condivise lo spirito del libro di Giona e non previde l'annichilazione
escatologica. Così devono essere stati dei parti del popolo ebraico che, a suo
modo di vedere, erano in pericolo. Le fonti ci incoraggiano a credere che erano
precisamente alcuni ebrei che opponevano lui e la sua causa – i suoi nemici –
che erano diretti verso il disastro. Gesù, potremmo
pensare, condannò non la mancanza di fede, ma l'irrisione della sua fede;
minacciò non quelli che non lo conoscevano, ma quelli che lo conoscevano e che
lo rifiutavano.
Che Gesù ebbe nemici è assolutamente probabile, perché è
assolutamente improbabile che la chiesa delle origini inventò le calunnie
contro di lui nei Vangeli, che i cristiani fabbricarono le accuse che Gesù era un amico dei pubblicani e dei peccatori, che fosse
dedito alla gola e al bere, che scacciava i demoni in nome del loro principe.
Queste calunnie dovevano essere rimaste nella memoria dei suoi contemporanei.
Ciò dato, è ovvio che Gesù non poté aver guardato con
gentilezza a quelli che dicevano queste cose. Cosa ne segue? Se Gesù credeva in un inferno di qualche tipo e se aveva
nemici, sicuramente destinò quello a questi. A cosa serve un inferno se i
propri nemici non vi finiscono? Si può richiamare 1QH
15(7):12, dove l'autore degli inni (il Maestro di Giustizia?) dichiara,
"Nel momento del giudizio tu troverai colpevoli tutti coloro che mi
perseguitano, separando i giusti dai malvagi attraverso di me".
Come
Giovanni Battista, Gesù non credeva che gli Ebrei si
sarebbero salvati solo in virtù della discesa del patriarca Abramo.105 Come altri predicatori ebrei, deve aver
creduto che uno poteva perdere il proprio posto nell'alleanza; e sicuramente,
nella sua mente, il rigetto del suo messaggio e della sua causa comportata una
tale perdita. Questo è chiaramente il senso di Q 10:12, che denuncia gli ebrei
che respingono i messaggeri di Gesù; di Q 10:13-15, che minaccia le città della Galilea perché hanno
risposto tepidamente al suo ministero; e di Q 11:31-32
che censura quelli che non si pentono di fronte a qualcosa di più grande della
predicazione di Giona. In questi casi, come nei detti circa "questa
generazione",106 è l'opposizione alla missione escatologica di Gesù che pone la gente in pericolo. E' probabile che questo
fosse anche il senso originario di Q 12:10 = Marco 3:28-29,
i detti sulla blasfemia contro lo Spirito Santo. Se Gesù
pensava di se stesso come il profeta escatologico di Isaia 61, unto dallo Spirito per proclamare la lieta novella negli
ultimi giorni,107 allora i detti sulla blasfemia contro lo Spirito
probabilmente sono rivolti ad una seria opposizione al suo ministero. Altri
peccati possono essere perdonati; ma come si può rifiutare la proclamazione
ispirata dallo Spirito del regno e ciò malgrado entrare in esso?
Assegnare
i propri oppositori alla Gehenna sembra essere stato
usuale nelle fonti antiche, così, in questo riguardo Gesù
apparteneva al proprio mondo. Nei Papiri del Mar Morto, quelli destinati alla
distruzione sono, sopra tutti, i nemici della setta.108
Enoch 1 62 condanna "i re, i
governanti, gli alti ufficiali, e i proprietari" (vv.
1,3) e prevede che "il Signore degli Spiriti… li invierà agli angeli dei
tormenti perché venga eseguita vendetta su di essi – oppressori dei suoi figli
e dei suoi eletti" (vv. 10-12;
cfr. 94:9; 95:6-7;96:8). E'
lo stesso nella Mishnah.
Le eccezioni alla regola, che tutta Israele ha un posto nel mondo futuro, sono
anzitutto quelle che sminuiscono l'importanza di chi contribuì a scriverla:
"Chi dice che non c'è resurrezione dai morti prescritta nella Legge e colui che dice che
la Legge non è dal cielo, e un Epicureo" (m. Sanh. 10:1).
Se Gesù previde la punizione per i suoi oppositori,
probabilmente pensava pure che la Gehenna aveva un
posto per coloro con certe colpe morali.109
Jeremias osservò che "le numerose parole di
giudizio nei vangeli sono, quasi senza eccezioni, non dirette contro quelli che
commettono adulterio, inganno, ecc. ma contro quelli che condannano
vigorosamente l'adulterio e allontana gli ingannatori dalla comunità".110 Tuttavia ci sono, come Jeremias
ammette, eccezioni. I peccati di Marco 9:43-48 non
sono peccati contro Gesù e la sua causa ma invece
peccati di occhio, mano e piede. Questi devono essere colpe morali di qualche
tipo.111 La situazione è presumibilmente
simile in Marco 9:42, dove Gesù prevede una macina di
mulino intorno al collo di chi dà scandalo di fronte ai fanciulli. Parimenti,
in Luca 16:19-31 il ricco è nell'Ade
non perché ha rifiutato Gesù, ma perché, come dice il
verso 25: "Durante la tua vita hai ricevuto ogni sorta di beni, e Lazzaro
al contrario di cose tristi; ma ora egli e consolato qui e tu sei in
agonia".112 Possiamo paragonare a
questo passo Marco 10:25: "E' più facile per un cammello passare per la
cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio". Questo implica
che alcuni peccati che nascono dalla ricchezza possono sbarrare la via verso il
regno. Matteo 25:31-46 appartiene pure esso a questo
modo di vedere, perché gli esegeti che identificano gli sfortunati nel suo
testo con i cristiani o i missionari sono quasi certamente in errore. Questa
raffigurazione della grande assise, che può risalire in parte a Gesù,113 insegna che il giudizio si abbatterò su
quelli che non si sono presi cura degli affamati, degli ignudi, e così via.114 Così l'aggiunta redazionale di Matteo 7:19,
che dichiara che "ogni albero che non dà frutto è tagliato e gettato nel
fuoco", probabilmente riflette un aspetto della proclamazione di Gesù. Mi sembra dubbio che possiamo armonizzare questo con
la giustificazione per fede. Ma si devono esporre i fatti come sono, non come
vorremmo che siano.
RIFLESSIONI
Una
cosa è apprendere in cosa probabilmente credeva il Gesù
storico, un'altra sapere cosa dovremmo credere noi per noi stessi. Forse,
allora, alcune riflessioni su questa vexata quaestio
dell'inferno, che le persone ragionevoli oggigiorno discutono raramente, non
sono fuori luogo.
Quelli
che appartengono alla mia tradizione cristiana e che non hanno tratto profitto
né dai moderni lavori di studio comparativo delle religioni né dalle
discussioni teologiche degli ultimi trecento anni sicuramente negheranno che
l'inferno convenzionale del nostro immaginario, "contro cui il cuore
naturale si rivolta e combatte",116 sia mitologico, negheranno
che è una di quei "modi di esprimersi che sono inadeguati a ciò che
vogliono esprimere".117 Essi dovranno
affaticarsi, al modo di Agostino, sui differenti sensi di αιωνιος
e i precisi connotati di απωλεια.118 Essi dovranno perdipiù
spiegare a se stessi perché, se intendono il fuoco in modo letterale, la Bibbia
non li obbligherebbe a credere in un verme infero immortale.119
Che dire per il resto di noi, per cui il puro scritturalismo
non è sufficiente? Che pensare se siamo convinti che l'inferno, precisamente
perché appartiene al mondo a venire e pertanto è al di là di ciò che gli occhi
hanno visto e le orecchie udito, deve appartenere al pensiero mitologico? Che
pensare se non crediamo che la natura dell'eterno futuro riservatoci da Dio
possa essere compressa in poche figure retoriche trovate nella Bibbia? Che
pensare se crediamo che "dobbiamo muovere da una base più ampia della
paralizzante riconciliazione di testi ambigui e contraddittori… dobbiamo
credere che la ragione, e la coscienza e l'esperienza, al pari delle Scritture,
sono libri di Dio, che devono avere voce in queste grandi discussioni?"120
Parte
del problema dell'inferno è che è un motivo parenetico
e una idea mitologica che sfortunatamente fu sviluppata in una dottrina parca
di indicazioni; e dal momento che la sappiamo di carattere mitologico, non può
più essere considerata una dottrina. Se, allora, non la rigettiamo del tutto,
dobbiamo esplorare il suo significato come metafora o simbolo.121 La Gehenna è, da
questo punto di vista, come il giardino dell'Eden, che mantiene un posto
importante nell'immaginario religioso, ma non nel mondo reale. Esattamente come
il paradiso originale è parte dell'interpretazione mitologica della Bibbia
riguardo le origini umane, così la Gehenna è parte
dell'interpretazione mitologica della Bibbia del destino umano. Quello sguardo
retrospettivo non appartiene in realtà al nostro passato, e questo sguardo in
avanti non appartiene in realtà al nostro futuro. Entrambi sono pure idee
teologiche, questioni di cui va inteso con cautela il significato, che gli
scrittori biblici ne fossero consapevoli o meno.
Sappiamo
bene perché l'immaginazione umana – per la maggior parte di sesso maschile – ha
evocato l'inferno. Questo luogo appartiene alla mitologia di tutto il mondo –
l'inferno cristiano certamente deve molto alle fonti egizie, iraniane e greche
– perché c'è oscurità nei recessi della menta umana: incubi, visioni infernali,
e esperienze psicologiche sinistre sono parte della condizione umana (vedi in
proposito Huxley, Le
porte della percezione e il cielo e l'inferno, New York, 1963, in
particolare le pp. 133-140 dell'edizione originale
inglese). C'è anche il fatto indubitabile che questo mondo troppo spesso vede
la giustizia non rispettata, e alcuni "atti che gridano giustizia al cielo
e sembrano invocare l'inferno".123 Il
mondo infero e terrifico della retribuzione è qualche volta una "poetica
dell'indignazione",124, una visione degli oppressi che al
presente vivono nel loro inferno e sognano un mondo in cui sia ristabilito
l'equilibrio. Tale visione può esprimere una disapprovazione divina che
percorre le cose.
La
difficoltà sta nel fatto che l'inferno ci rende meno magnanimi, quando è
utilizzato, come spesso avviene, per condannare coloro che sono fedeli a valori
diversi dai nostri.125 Esso solidifica la
nostra alienazione da altri che in buona fede vedono il mondo diversamente da
noi e, come in Tertulliano e Dante, diviene la fantasia circa i nostri nemici
che ricevono ciò che giudichiamo i loro meritati fine pasto. "L'inferno è
la consumazione della vendetta".126
Ancor peggio, l'inferno può giustificare il cattivo trattamento riservato ad
altri. La regina Maria d'Inghilterra notava:
"Dato che le anime degli eretici in avvenire bruceranno eternamente
all'inferno, non ci può essere nulla di più appropriato a mio avviso
dell'imitazione della vendetta divina bruciandoli sulla Terra".127 I molti riferimenti al fuoco e all'oscurità
infernale di aggiunta compilatoria in Matteo
rispecchiano senza dubbio i suoi sentimenti ostili per i suoi avversari
religiosi, che egli riteneva al di là della possibilità di redenzione e degni
di soffrire della infernale collera di Dio. Il sermone della montagna sembra
pensarla diversamente, ma gli ideali del sermone vanno al di là della nostra
capacità di afferrarli pienamente.
L'inferno
è problematico anche perché ha blandito istinti umani patologici. L'Apocalisse di Pietro e i dipinti di Bosch ci intrigano col il violento e il grottesco in modi
analoghi ai film contemporanei dell'orrore.128
In qualche modo ci compiacciamo dei loro orribili, nauseanti aspetti
disgustosi, gustiamo il trattenere nella nostra immaginazione, per usare le
parole degli Esercizi Spirituali di
Ignazio, "una vivida rappresentazione… della lunghezza, ampiezza e
profondità dell'inferno".129 Tali
sinistri e volgari divertimenti non erano edificanti nel loro vecchio contesto
religioso più di quanto lo siano nel loro moderna revivescenza
in vesti secolari.130
Ancor
più odiosamente l'inferno – nella sua ordinaria, popolare accezione – ha
raffigurato una violenza trascendente131
che ha sollevato un paradosso trascendente, di un dio che ama tutti e tuttavia
tortura insaziabilmente alcuni. Questo sconvolgente rompicapo, come hanno
istintivamente percepito molti (o la maggior parte) dei cristiani
dell'Occidente sin dall'ultimo quarto del diciannovesimo secolo, non è tanto
una tensione intollerabile, quanto una chiara incoerenza che va eliminata. Il
genuino mistero trascendente è una cosa, la violenta contraddizione un'altra.132 Jonathan Edwards, che confessa che, in gioventù, riteneva ingiusto
un inferno eterno, indurì il suo cuore, e in età più tarda asserì che "è
nostro attuale dovere amare tutti gli uomini, sebbene essi siano malvagi; ma
non sarà d'ora in poi un dovere amare i malvagi"133 Questo ha
senso? Samuel Hopkins, tristemente parlando a nome di
molti nella nostra tradizione, pretese che "la vendetta divina e la
punizione eterna che saranno inflitte ai malvagi… in piena vista dei
redenti" saranno un mezzo per "eccitare e aumentare di molto il loro
amore, giubilo e preghiera".134
Quanti di noi oggi potrebbero replicare un convinto "Amen" a questo? Richard Baxter aggiunse che Dio
si unirà a noi nel ridere e sbeffeggiare e divertirsi del fato rovinoso dei
dannati.135 Questo sentimento
profondamente disturbante, questo compiacimento nel vedere altri inchiodati
dalla giustizia divina è irrazionale e non-cristiano tanto quanto lo è il
sorprendente ritratto che Rubens fece di San Francesco accovacciato a
proteggere il mondo da un Gesù Cristo che vuole
attaccarlo con fulmini. Baxter, come Edwards e Hopkins, pare un adepto
di Moloch. Se, in accordo con la Regola Aurea, non
vogliamo gente all'inferno perché non vogliamo esserci noi, allora sicuramente
ci rammaricheremo se qualcuno ci va a finire,136 e come possiamo
approvare ciò di cui ci rammarichiamo?
La
maggior parte di noi non può venerare un dio che manca di adempiere al proprio
imperativo di vincere il male col bene, un dio che fa agli esseri umani cose
che non ci sogneremmo di fare ad un cane, un dio la cui colonia penale
oltremondana, nella sua rappresentazione artistica, ci ricorda i campi di
sterminio dell'Olocausto.138 E' del tutto
appropriato che la tradizionale raffigurazione dell'inferno ponga demoni e non
angeli come incaricati di portare avanti il rivoltante spettacolo. Il loro dio
si è trasformato nel suo avversario, il diavolo. La supposta giustizia di
questo sceriffo cosmico è una superfluità di ingiustizia. Certamente i
tentativi di rendere la punizione eterna commisurata ai peccati di esseri
finiti, o i mostrare che tali punizioni siano migliori dell'annichilazione sono
fuori misura, niente più che "le piccole sottigliezze e i cavilli dei
metafisici".139 Un inferno eterno
difficilmente si concilia con l'affermazione di Gesù
che "la misura di ciò che date sarà la misura di ciò che riceverete".
Così,
cosa possiamo dire? Non possiamo negare che la Bibbia ha un inferno, né che Gesù predicò il giudizio universale. Tuttavia possiamo (1)
osservare che il folclore cristiano più tardo riguardo l'inferno, con i suoi
numerosi e sostanziali paralleli con gli inferni mitologici di altre religioni,140
va ben oltre qualsiasi cosa i testi biblici e Gesù,
entrambi esenti da sadismo, insegnarono.141
(2) Rifiutare di prendere per buona la giustizia retributiva divina a spese del
resto degli attributi di Dio – "l'insegnamento cristiano sicuramente è che
l'atteggiamento spirituale più elevato è il perdono e non la giustizia"142
E infine (3) rimarcare con forza che gli insegnamenti tipici di Gesù sulla nonviolenza e l'amore del nemico smontano la
camera di tortura oltremondana della nostra tradizione. "Noi che crediamo
in Cristo non conosciamo niente di più certo che il carattere di Dio. Noi
sappiamo che Egli è perfetto amore, perfetta equità. Siamo ben
giustificati nel rifiutare di credere su
di Lui qualsiasi cosa che sarebbe incoerente con la più alta divinità che
possiamo concepire".143 Questo ci
costringe a mettere un testo contro l'altro. La Bibbia non parla con una sola
voce, e il canone entro il canone ci spinge a rigettare una giustizia divina
che richiede una violenza divina.144
Tuttavia
questo non è tutto ciò che possiamo dire. L'inferno è più che un vecchio e
sconcertante mito che, una volta analizzato e trovato inconsistente, non
significa più nulla. Questo perché esso presuppone una fondamentale convinzione
che richiede di essere alimentata. L'inferno è, nella Bibbia, una pena imposta
a seguito di un giudizio escatologico. E' la punizione dovuta per un crimine,
con impressionanti conseguenze. Non si può immaginare una asserzione più forte
della responsabilità umana: ciò che facciamo conta realmente, e la nostra
responsabilità non ci abbandona. Poche cose sono più lontane dallo spirito
della nostra epoca quanto questa. Sebbene il tipo di materialismo deterministico propagandato da Laplace
– che elimina tutti gli atti liberi e così apparentemente qualsiasi genuina
responsabilità morale – non mantiene più la sua influenza, la moderna
psicologia e sociologia hanno mostrato con successo quanto sembriamo essere il
prodotto di circostanze al di fuori del nostro controllo. La medicina moderna, perdipiù, è spesso in grado di ascrivere disordini mentali
a disordini chimici e così rimuoverli dal regno della responsabilità personale.
Non è sorprendente che la parola "peccato", che presuppone una tale
responsabilità non ricorra oggi sulle nostre labbra.145
Il peccato è in una fase di declino al pari dell'inferno, e in parte per la
stessa ragione. Nel nostro mondo i tribunali ormai d'abitudine concedono
riduzioni di pena o persino assoluzioni perché, ad esempio, è noto che un
imputato, sebbene colpevole, era stato violato da bambino o soffre di un
disordine neurochimico.
Io
non sollevo alcuna obiezione a tali verdetti giuridici, che sono spesso il
portato inevitabile delle nuove acquisizioni del sapere. Il problema è che noi
lasciamo di buon grado che queste acquisizioni erodano il nostro fragile senso
di responsabilità morale. Noi, come Adamo ed Eva, siamo lieti di gettare la
colpa altrove. Ma mentre noi siamo obbligati a non trascurare, senza bisogno di
dirlo, i progressi incontestati della nostra conoscenza, e le qualificazioni
che comportano, noi allo stesso modo non possiamo subire con acquiescenza
l'affermazione superficiale che, in via generale, non siamo responsabili dei
nostri atti. Se dovessimo educare i bambini
secondo la visione del mondo che Clarence Darrow enunciò nella sua infame motivazione della sentenza nella causa Leopold
e Loeb,146, con la sua esposizione del
determinismo ambientale, i risultati sarebbero inaccettabili. "La nostra
salute morale è in ballo con la convinzione che le questioni che ci
fronteggiano sono enormi, che la nostra scelta è reale e che le conseguenze
negative delle nostre scelte sono reali".147
Qui il senso comune sta con la nostra tradizione religiosa e il suo inferno.
Senza responsabilità non ci può essere giusto né sbagliato, né lode né biasimo.
E l'inferno, quali che siano i suoi difetti, giustamente fa ricadere la rete
della responsabilità su di noi. Esso ci tiene colpevoli per l'errore,
esattamente come il cielo ci loda per l'atto giusto. IL pensiero del giudizio
divino toglie di mezzo la frivolezza e ci pone di fronte con le conseguenze
delle nostre azioni. E' l'antitesi del sentimentalismo e della mancanza di
serietà che oggi dovunque cospira per
dissolvere la responsabilità. L'inferno, in più, ci dice che Dio è qualcosa di
diverso da un amabile buontempone che guarda altrove quale che sia la faccenda.
Così l'inferno ha sempre avuto le sue adeguate funzioni – e non è per nulla
chiaro cos'altro potrebbe assolvere quelle funzioni. Questo è ciò che intendeva
Berdyayev quando scrisse che "il moderno rifiuto
dell'inferno rende la vita troppo facile, superficiale e irresponsabile".148
Ma
l'inferno ha anche a che fare col mondo che deve venire. Presuppone la
trascendenza della morte. Quelli che non credono più in una vita dopo la morte
devono necessariamente limitare le loro meditazioni sull'inferno sulle faccende
di questo mondo. Ma cosa ne è di quelli di noi che non possono dissociare il
cristianesimo dalla speranza di qualcosa oltre la tomba? A cosa ci serve
l'inferno se è mitologico?
La
tradizione cristiana, come la intendo io, non offre conoscenza prosaica sulla
vita dopo la morte. Il cielo, non meno del suo esatto opposto, è un mito, una
proiezione delll'immaginario religioso. Dire che,
riguardo a ciò che ci attende, è come guardare in uno specchio oscuro, è forse
persino ottimistico. Certamente non possiamo cartografare
l'oltretomba con le parole di medium, e la giuria sta ancora valutando le
cosiddette "esperienze di quasi-morte" –
che includono, cosa interessante, incontri infernali e paradisiaci.149 Ma non dobbiamo confondere il prosaico col
teologico, come fa chi immagina invano che la Genesi e la scienza moderna
abbiano qualcosa a che fare l'una con l'altra. Se un giorno dovessimo
concludere fondatamente che le esperienze di quasi-morte
sono spesso veridiche e che alcuni fantasmi sono reali – sicuramente la nostra
fede ammette il dubbio al riguardo – avremmo ancora da fare teologia, da
interpretare i fatti in termini cristiani.
L'inferno
estende sensatamente la responsabilità morale al mondo a venire. Dico
"sensatamente" perché questo è l'unico modo di evitare che
l'escatologia si prenda gioco del mondo attuale. Non so quale è stata la sorte
di Madre Teresa di Calcutta quando è morta, né cosa è stato di Joseph Stalin. Ma non possono aver subito la stessa sorte.
Se c'è una logica morale nell'universo, l'intera umanità non può finire
identicamente sistemata in modo confortevole non appena, dopo l'ultimo respiro,
risorge. La vita ventura continua questa vita; non inizia da zero. Perciò la
riflessione morale condotta in un contesto teologico richiede, ciò che la
storia ebraica e greca testimoniano, che lo Sheol si evolva
in cielo e inferno e che l'Ade venga diviso in
sezioni differenti per destini differenti.150
L'inferno, che offende la nostra sensibilità morale, è paradossalmente un
prodotto di quella stessa sensibilità. E' un postulato della coscienza. Invoca
la giustizia divina perché raddrizzi i torti, ed esprime solennemente il
significato profondo delle nostre decisioni morali e religiose, un significato
che attraversa persino le transenne della morte, e va così oltre che solleva la
possibilità di una persistente alienazione da Dio. Con riguardo a queste
specifiche cose l'inferno ha senso.
Forse
– chi può dirlo? – la benevolenza divina continua a limitarsi per lasciar spazio
alla libertà umana anche nella vita dopo la morte. Forse fino al punto da
consentire che coloro che pensano solo a se stessi continuino nella loro triste
via di condotta.131 Ma se è così, Dio
nondimeno deve continuare ad essere ϕιλανθρωπος e pertanto amarli. La superstizione che la divinità desideri
guarire gli infermi solo fino a che i loro corpi non cessino di vivere o
subiscano un incidente è invero strana. "Cosa c'è nell'atto del morire che
dovrebbe cambiare l'atteggiamento di Dio nei nostri confronti?"152
Così qualsiasi perdita interiore o deprivazione o disciplina punitiva Dio
permetta contro i morti, non può essere la violenza retributiva dell'inferno
tradizionale che non giova in nulla ai sofferenti. "Non si comporterà forse
il giudice della Terra con rettitudine?" Se Dio è buono, ciò che io
intendo non in senso astratto, ma buono nei confronti di ogni individuo,153
allora il modo in cui Dio ci tratterà dovrà sempre avere un fine giovevole, ciò
che non si può dire della eterna e irrimediabile retribuzione.154 Tale retribuzione sarebbe piuttosto
"la consumazione di un pauroso dualismo dell'intera creazione, … un eterno
segno di discordia, disarmonia interna e alienazione; una incompletezza
dell'atto di creazione stesso… Un inferno eterno sarebbe anche un inferno per Dio, un inferno per l'amore
divino".155
Il
ricco Epulone, dopo la morte, vide i suoi peccati, provò rimorso e cercò di
aiutare altri (Luca 16:27-28). Questa deve essere la
speranza di Dio persino per il peggiore di noi.156
Nient'altro suona vero se la Misericordia Trascendente desidera ardentemente
che non uno di questi piccoli perisca.