Il treno
degli agenti di borsa |
Era la prima volta in un buon numero d'anni che Cornelius,
un agente di cambio, aveva fatto il viaggio di ritorno a casa in un treno
diverso da quello degli agenti di borsa. Quello era il suo treno; i suoi
compagni di viaggio, gente della sua specie. Impiegati governativi,
professionisti, uomini di censo e dignità che si riconoscevano tra di loro
senza 'bisogno di presentazioni, e si capivano senza bisogno di parole.
Se non ci fosse stato il pranzo di gala del senatore,
pensava Cornelius. Ma il senatore aveva insistito, così non c'era modo di
scampare a quella maledizione tra tutte le maledizioni che è un pranzo di gala
a metà settimana. E naturalmente, non si poteva fare a meno di prendere il
treno un'ora prima per andare a casa a cambiarsi d'abito, e di una serata con
troppo cibo e troppi liquori coi miserevoli risultati della mattina dopo.
Depresso da questi pensieri, Cornelius scese di mala voglia
alla solita stazione e raggiunse la sua automobile. Da quando Clara preferiva
fare il tragitto nell'auto da nolo, lui usava la propria automobile per andare
da casa alla stazione e viceversa. Quando s'erano sposati, due anni prima,
Clara s'era offerta di fargli da autista nel viaggio d'andata e ritorno da casa
alla stazione, ma lui non ne aveva voluto sapere. Aveva sempre sentito che
c'era qualcosa di vagamente osceno nel modo con cui gli altri uomini baciavano
in pubblico le loro mogli ogni mattina davanti alla stazione, e il pensiero di
trovarsi nelle stesse condizioni lo riempiva di un gelido imbarazzo. Non
l'aveva detto però a Clara. Le aveva detto semplicemente che non l'aveva
sposata per guadagnarsi una governante o un autista. Lei avrebbe dovuto godersi
la vita e non riempirla di doveri non necessari.
Di solito, non ci volevano più di quindici minuti
attraverso la campagna per raggiungere la casa. Ma quel giorno, in armonia con
gli esasperanti avvenimenti della giornata, incontrò un inaspettato ritardo. A
circa un miglio di distanza dal punto dove la strada che egli seguiva si
staccava dalla via maestra, bisognava attraversare la linea ferroviaria. Non
c'erano guardie o cancelli, ma solamente una luce rossa, e un campanello che
stava suonando con insistenza nel momento in cui Cornelius si apprestava a
passare. Fermò la macchina e rimase seduto al volante battendovi sopra le dita
con impazienza, mentre il lungo treno gli passava davanti sferragliando. Poi,
prima di rimettere in moto la macchina, li vide.
Erano Clara e un uomo. Sua moglie e un uomo nell'auto da
nolo che gli veniva incontro. E l'uomo stava guidando, seduto, grande e biondo
e arrogante dietro il volante come un vichingo, con un braccio intorno alla
persona di Clara che, con gli occhi chiusi, posava la testa sulla sua spalla. E
il suo viso aveva un'espressione quale Cornelius non vi aveva mai vista prima,
ma che talvolta aveva sognato di vedervi. Passarono in un lampo, ma la loro
immagine si impresse viva e bruciante nella sua mente come una fotografia su una
pellicola.
Continuava a dirsi incredulo che non poteva esser vero;
rifiutava di crederci. Ma l'immagine era lì, davanti ai suoi occhi, ogni minuto
più precisa, e diventava sempre più terribilmente viva. Il braccio dell'uomo
così possessivo; l'atteggiamento di accettazione di lei. Di una accettazione
sensuale.
Stava tremando senza riuscire a controllarsi, il sangue gli
era andato alla testa, mentre si preparava a voltare l'automobile per seguirli.
Poi si sentì mancare le forze. Seguirli dove? Fino alla stazione, senza dubbio,
dove l'uomo avrebbe preso il primo treno per la città. E poi cosa? Una denuncia
in grande stile? Una scena? Una pubblica umiliazione per loro, ma anche per sé.
Poteva sopportare qualunque cosa, ma non una simile
umiliazione. Era stato abbastanza brutto quando aveva sposato Clara e s'era
accorto che i suoi amici ridevano di lui. Un uomo nella sua posizione sposare
la propria segretaria che aveva la metà dei suoi anni, per giunta! Ora capiva
di che avessero riso, ma allora era stato cieco. Aveva un'aria di così fredda
formalità quando attendeva ai suoi doveri in ufficio; sedeva con così sostenuta
dignità quando prendeva appunti; vestiva così modestamente ... e quando lui
l'aveva invitata a cena per la prima volta, era arrossita con la turbata
ingenuità di una ragazzina al suo primo appuntamento. Ingenuità! E tutto il
tempo, pensava furibondo, lei avrà riso di me. Lei e tutti gli altri!
Guidò l'auto verso casa, lentamente e quasi senza vedere la
strada davanti a sé. La casa era vuota, e allora si ricordò che era giovedì, il
giorno di vacanza della domestica, il che rendeva la giornata perfetta per gli
scopi di Clara. Andò direttamente nella biblioteca, sedette alla scrivania e
aprì il cassetto superiore. Nel cassetto c'era la sua pistola, una corta 38, ed
egli la sollevò delicatamente, soppesandola e assaporando il senso di potere
che ne traeva. Poi bruscamente si ricordò di qualcosa che il giudice Hilliker
gli aveva detto una volta, qualcosa di stranamente interessante che il vecchio
gli aveva detto un giorno che s'erano trovati vicini in uno scompartimento del
solito treno.
"Pistole?" aveva detto Hilliker. "Coltelli?
Altri rozzi strumenti? Potete gettarli tutti dalla finestra. Secondo me, vi è
una sola arma perfetta: un'automobile. Ogni automobile in perfetta efficienza.
Perché? Perché quando un'automobile corre bene, uccide chiunque mette sotto. E
se il guidatore scende e si mostra addolorato, troverà che a lui va la simpatia
di tutti e non a quel fastidioso cadavere che non avrebbe dovuto trovarsi sulla
sua strada. Fintanto che il guidatore non è ubriaco o non sia colto in
flagrante negligenza, può uccidere chiunque desideri in questo paese, sentire
non più di un momentaneo imbarazzo, e sobbarcarsi una multa di cui non vale
neanche la pena di parlare.
"Pensateci," aveva proseguito il giudice,
"per moltissima gente l'automobile è come un Dio, e se Dio vuole che
tocchi a voi d'esser colpito peggio per voi. In quanto a me, quando attraverso
una strada, dico una piccola preghiera."
C'era ancor più di questo nello stile mordente e ampolloso
del giudice, ma Cornelius non aveva necessità di ricordarlo. Quello che era
necessario avere lo possedeva ora; quindi depose accuratamente la pistola nel
cassetto, e richiuse il cassetto a chiave.
Clara entrò mentre stava ancora seduto soprappensiero
davanti alla scrivania, ed egli si sforzò di osservarla con fredda
obiettività... la bellissima donna che stava prendendosi gioco di lui e che ora
se ne stava ritta sulla soglia con gli occhi spalancati e con un gran sacco di
carta pieno di provviste stretto al fianco.
"Ho visto l'automobile nel garage," disse
respirando a fatica. "Temevo qualche disgrazia. Che non ti sentissi
bene... " "Mi sento benissimo."
"Ma sei venuto a casa così presto. Non sei mai venuto
così presto prima d'ora."
"Son sempre riuscito a rifiutare inviti a pranzo a
metà settimana prima di oggi."
"Oh, mio Dio!" esclamò affannosamente Clara.
"Il pranzo! Non m'è neppure passato per la mente. Sono stata così occupata
tutto il giorno... "
"Sì? E facendo che cosa?"
"Be', sono tutti via, oggi, così mi sono occupata
della casa da capo a fondo, poi ho guardato nella dispensa e ho visto che
occorrevano certe cose e sono dovuta andare a comperarle al paese." E
indicò col mento il sacco pieno. "Adesso ripongo tutto e poi ti preparo il
bagno e il vestito e tutto il resto."
Guardandola mentre usciva, Cornelius sentì per lei una
profonda ammirazione. Un'altra donna avrebbe inventato una visita a un'amica
che, qualche tempo dopo, avrebbe potuto anche rivelare il segreto. O un'altra
donna non avrebbe pensato a caricarsi di un peso inutile per giustificare una
corsa in città. Ma non Clara, che evidentemente era tanto intelligente quanto
bella.
E come era maledettamente attraente! I suoi amici maschi
potevano aver riso di lui alle sue spalle, ma nelle loro case Clara ne era
sempre premurosamente circondata. Quando egli entrava con lei in una stanza
piena di sconosciuti, vedeva come tutti gli occhi degli uomini la seguivano con
un interesse scopertamente bramoso. No, nulla doveva accadere a lei;
assolutamente nulla. Era l'uomo che doveva esser eliminato, come va eliminato
un ladro di selvaggina, o un pazzo che assalti una casa con un'ascia in mano,
Clara avrebbe dovuto esser colpita appena, avrebbe imparato la sua lezione, ma
questo doveva esser fatto soprattutto attraverso quello che sarebbe accaduto
all'uomo.
Cornelius s'accorse ben presto che per la buona riuscita
del suo piano ci sarebbe voluto ben di più di un semplice agguato all'uomo per
metterlo sotto l'automobile. C'erano innumerevoli particolari da stabilire per
accompagnare ogni passo prima e dopo l'incidente, che doveva esser predisposto
pezzo per pezzo per renderlo perfetto.
Da questo lato, pensava Cornelius con gratitudine, il
giudice era stato molto più utile di quanto si fosse reso conto nella sua
ironia. L'assassinio mediante l'automobile era l'assassinio perfetto, perché
osservando certi particolari non era neppure un assassinio. C'era la vittima e
c'era l'assassino chino su di lui, e l'affare sarebbe stato trattato con
sbrigativa indifferenza. Dopo tutto, che cos'era una vittima di più in mezzo
alle trentamila di ogni anno? Era una statistica da accompagnare con uno schiocco
della lingua e un'alzata di spalle.
Non da parte di Clara, naturalmente. Si può parlare finché
si vuole di coincidenza, ma non fino al punto di spiegare il caso di un marito
che mette sotto l'automobile proprio l'amante della moglie. E questa era la parte
migliore della cosa. Clara avrebbe capito, ma non avrebbe potuto dir nulla,
perché altrimenti sarebbe stato come confessare la sua riprovevole condotta.
Avrebbe passato la sua vita, giorno dopo giorno, sapendo d'esser stata
scoperta, sapendo che una giusta vendetta era stata presa, e si sarebbe ben
guardata dal cadere in altre tentazioni del genere.
Ma sebbene remota, c'era pure la possibilità che Clara
preferisse parlare rivelando il suo segreto. In tal caso, rifletteva Cornelius
mettendo a posto un altro pezzo del gioco di pazienza, si poteva parlare di
coincidenza. Se non vi era la più piccola evidenza che lui avesse mai
sospettato il tradimento di lei, e che avesse mai visto prima l'uomo,
l'incidente doveva esser considerato dalla legge come una coincidenza. In tutti
e due i casi la sua posizione era intoccabile.
Con questi pensieri in mente, cominciò pazientemente e
tutto solo a preparare i suoi piani. Dapprima era stato tentato di ricorrere a
qualche investigatore privato che avrebbe potuto dargli le informazioni che gli
occorrevano con più efficienza e prontezza ma, dopo lunghe considerazioni, vi
rinunciò. Un acuto investigatore avrebbe potuto facilmente trovare il nesso tra
l'incidente e i suoi protagonisti. Se era onesto, avrebbe potuto rivolgersi
alle autorità coi suoi sospetti; se era disonesto, avrebbe potuto tentare un
ricatto. Naturalmente non si poteva ricorrere a un estraneo senza rischiare
questo o quel pericolo. E niente, assolutamente niente, poteva esser lasciato
al rischio nel suo caso.
Così, ci vollero parecchie preziose settimane perché
Cornelius riuscisse a raggranellare le informazioni di cui aveva bisogno e,
come dovette ammettere, vi sarebbe voluto anche più tempo se Clara e l'uomo non
fossero stati così abitudinari. Il giovedì era il solo giorno della settimana
nel quale l'uomo faceva le sue visite. Poi, un poco prima dell'arrivo del treno
per Londra, Clara guidava l'auto fino al paese: si fermava in una strada
laterale quasi deserta, poco distante dalla piazza. Nell'automobile la coppia
si baciava con un'intensità che faceva rabbrividire Cornelius.
Appena l'uomo lasciava l'automobile, Clara ripartiva alla
svelta, e l'uomo entrava allegramente nella piazza, si faceva strada tra le
automobili parcheggiate vicino al marciapiede, attraversava la piazza
evidentemente immerso nei suoi pensieri e poco guardingo del traffico, ed entrava
nella stazione. La terza volta che Cornelius lo stava spiando, avrebbe potuto
prevedere ogni passo dell'uomo con mortale accuratezza.
Ogni tanto, durante quel periodo, Clara gli diceva che
doveva andare in città per qualche spesa e Cornelius approfittava anche di
questo. Rimaneva nascosto nella sala d'aspetto della stazione in attesa del suo
treno, la seguiva a una discreta distanza fuori della stazione, prendeva un
taxi che seguiva quello di lei fino quasi alla porta della casa dall'aspetto
meschino dove l'uomo abitava. Questi la stava aspettando seduto sui sudici
gradini davanti alla casa. Quando vi entravano, come Cornelius osservava
amaramente, si tenevano per mano come due scolaretti, e poi c'era una lunga
attesa, un'attesa che durava quasi tutto il pomeriggio; ma Cornelius vi
rinunciava prima che Clara riapparisse.
Il furore che l'aveva preso la prima volta che aveva
assistito a quella scena gli aveva dato l'idea di provocare l'incidente in una
delle strade della città, il giorno dopo, ma Cornelius aveva subito abbandonato
quel progetto. Avrebbe voluto dire portare l'automobile in città, cosa che non
faceva mai e che avrebbe rappresentato un pericoloso cambiamento nelle sue
abitudini. Inoltre, i giornali cittadini, contrariamente a quelli più sobri,
locali, pubblicavano talvolta gli incidenti automobilistici, non soltanto
dandone notizia, ma stampando anche le fotografie della vittima e del
colpevole. Lui non voleva niente del genere. Il suo era un affare privato.
Assolutamente privato.
No, non vi erano dubbi che il solo posto adatto per
regolare la sua questione era la piazza del paese, e più Cornelius ripassava i
suoi piani e i suoi preparativi, più si meravigliava di quanto fossero
perfetti.
Niente poteva andar male. Se per disgrazia avesse colpito
l'uomo senza ucciderlo, la sua vittima si sarebbe trovata nella stessa
condizione di Clara: non avrebbe potuto parlare apertamente senza scoprirsi. Se
non fosse riuscito a metterlo sotto con l'automobile, non si sarebbe certo
trovato nella posizione di un assassino che non colpisce la sua vittima, e
viene colto con la pistola o il coltello in mano. Un'automobile non è un'arma;
l'incidente sarebbe stato chiuso semplicemente con la solita riprovazione per
un pedone distratto.
Lui, però, non voleva attirare l'attenzione in nessun modo,
perciò cominciò a parcheggiare l'automobile un po' più lontano dalla stazione
di quanto facesse di solito. La distanza maggiore, pensava, gli avrebbe
permesso di guidare la macchina attraverso la piazza descrivendo un arco che
avrebbe incontrato l'uomo mentre emergeva dalle file di automobili ferme vicino
al marciapiede di fronte. Non ci sarebbe stato bisogno di spiegazioni. Un uomo
che sbucava dalle automobili parcheggiate violava la legge più del guidatore
che se lo trovava di fronte all'improvviso, e lo metteva sotto!
Un altro vantaggio era che aveva tutta la piazza davanti,
quindi avrebbe potuto portare la macchina alla velocità voluta in un batter
d'occhio e non appena l'uomo fosse comparso l'avrebbe avuto di fronte.
Il giorno prima di quello scelto per l'atto finale,
Cornelius aspettò sulla strada di casa che il traffico cessasse, poi fermò
l'automobile in una parte deserta, lasciando il motore spento. Misurò
accuratamente la distanza fino a un albero lontano una trentina di metri, ché
tale giudicava la larghezza della piazza. Accese il motore e lanciò la macchina
più veloce che poté fino oltre l'albero, con un frastuono che cresceva col
crescere della velocità. Passato l'albero, frenò di colpo e sentì la pressione
del volante contro il petto mentre l'automobile rallentava, poi si fermava
stridendo.
Lasciò l'ufficio il giorno dopo al minuto esatto che aveva
fissato. Dopo che la sua segretaria l'ebbe aiutato a infilarsi il soprabito, si
voltò verso di lei con la faccia malinconica che s'era preparato a mostrarle.
"Non mi sento bene," disse. "Non capisco
cos'è che non va, Miss Wynant."
E, come s'aspettava, perché tale è l'addestramento di tutte
le buone segretarie, la signorina aggrottò la fronte impensierita dicendo: "Se
non lavoraste tanto, Mr. Bolinger...".
L'intenuppe bruscamente. "Niente può farmi bene come
andare a casa a riposare. Oh," e si tastò le tasche del soprabito,
"le mie pillole, Miss Wynant. Sono là nel cassetto superiore."
Erano soltanto poche compresse di aspirina in una busta, ma
era l'impressione che contava. Un uomo che non si sentiva bene era tanto più
giustificato se gli capitava un incidente mentre guidava.
Quel treno gli era ormai familiare; vi aveva viaggiato
molte volte durante le ultime settimane, ma sempre nascondendosi con gran
circospezione dietro un giornale. Quel giorno tutto doveva esser diverso.
Quando il controllore si presentò per la verifica dei biglietti, Cornelius si
fece trovare mezzo sdraiato sul sedile, in un atteggiamento chiaramente
angustiato.
"Controllore," disse, "potreste per favore
procurarmi un bicchier d'acqua?"
Il controllore lo guardò e si allontanò in fretta. Quando
ritornò con un bicchiere gocciolante d'acqua, Cornelius estrasse lentamente e
con ogni cura un' aspirina dalla busta e l'inghiottì con un' espressione di
gratitudine.
"Se vi occorre qualcos'altro," disse il
controllore, "non avete che da chiamarmi."
"No," rispose Cornelius, "no, è questo tempo
che mi dà noia, nient'altro."
Ma alla stazione il controllore gli tese una mano sollecita
per farlo scendere e indugiò brevemente chiedendogli se fosse un viaggiatore
regolare su quella linea o per lo meno su quel treno.
Cornelius sentì uno slancio di gratitudine. "No,"
disse, "ho preso questo treno soltanto una volta prima d'oggi. Di solito
viaggio sul treno degli agenti di borsa."
"Oh." Il controllore lo squadrò da capo a piedi.
"Ora capisco," disse, "spero che troverete il nostro servizio
altrettanto buono."
Nella piccola stazione, Cornelius sedette su una panchina,
appoggiando la testa sullo schienale e con gli occhi fissi all'orologio che era
sopra lo sportello dei biglietti. Una o due volte vide l'impiegato che lo
guardava stancamente attraverso il vetro, e anche questo andava bene per lui.
Quello che non andava bene era il nervosismo che sentiva crescere dentro di sé,
il battito troppo frequente del cuore. Si era concesso dieci minuti su quella
panchina; ogni minuto gli portava un' oppressione maggiore. Ci voleva un grande
sforzo per contenersi, per impedirsi di balzare in piedi e di precipitarsi
verso l'automobile, prima che la sfera dei minuti toccasse il piccolo punto
nero che era il segnale che si era dato.
Poi, al secondo preciso, si alzò, sorpreso del grande
sforzo che questo gli costava, e lentamente uscì dalla stazione seguito dallo
sguardo dell'impiegato, e raggiunse la sua automobile. Montò nella macchina,
chiuse lo sportello con fermezza e avviò il motore. Il ronzio del motore sotto
i suoi piedi gli diede nuova forza. Sedette tenendosi pronto, con gli occhi
fissi all' estremità opposta della piazza.
Tante volte aveva vissuto la scena con l'immaginazione;
eppure Cornelius non era preparato alla velocità con cui si svolse. Ecco l'uomo
che emergeva dalla fila delle automobili, senza badare al traffico. Ed ecco
Cornelius che suonava il clacson, l'ultima trovata, un avvertimento che non
poteva essere trascurato, e più che altro un'assicurazione di successo. L'uomo
si volse verso il suono, il viso una maschera d'orrore, le mani tese come a
parare ciò che stava per succedere. Ed ecco il grido acuto interrotto
bruscamente dall'urto assai più violento di quello che Cornelius s'era mai
immaginato, e poi tutto finiva in un grande stridore di freni.
La piazza era deserta prima che avvenisse l'incidente: ora
la gente accorreva da tutte le direzioni e Cornelius dovette farsi strada tra
le persone per dare un' occhiata al corpo.
"Meglio non guardare," lo avvertì qualcuno, ma
lui guardò e vide la sagoma contratta, le gambe tagliate nella posizione più
innaturale, il viso che ingrigiva a poco a poco. Cornelius vacillò e una
dozzina di mani volonterose si tesero a sorreggerlo, ma non era la debolezza
che l'aveva preso, bensì un opprimente, vertiginoso senso di vittoria, un senso
di vittoria accresciuto dalle voci che echeggiavano intorno a lui.
"Gli è andato incontro a occhi aperti."
"Ho sentito il clacson un caseggiato più in là."
"Porse era ubriaco. Stava fermo lì in un certo
modo..."
Il solo pericolo era ora di strafare. Bisognava starei
attenti, mettere a posto un pezzo dopo l'altro del piano, e non ci sarebbe
stato alcun pericolo. Sedette dentro l'automobile, mentre un poliziotto gli
faceva delle domande con gravità, e dalla crescente simpatia che sentì nella
voce del poliziotto capì che stava facendo la giusta impressione.
Era libero di andare a casa, se voleva. Imputazioni,
naturalmente, ne avrebbe ricevute automaticamente, ma da come apparivano i
fatti... Sì, sarebbero stati lieti di telefonare a Mrs. Bolinger. Avrebbero
potuto dargli un passaggio, ma se preferiva che fosse lei a condurlo a casa...
Aveva lasciato trascorrere tempo abbastanza perché Clara
fosse arrivata a casa quando l'avessero chiamata al telefono, ed egli passò altri
quindici minuti con la folla che lo guardava attraverso i finestrini
dell'automobile con una morbosa e simpatizzante curiosità. Quando l'automobile
di Clara fu in vista, un sentiero apparve magicamente tra la folla; quando
Clara fu al suo fianco, il sentiero si richiuse.
Anche spaventata e sbalordita, Clara era sempre una bella
donna, pensò Cornelius e dovette ammettere che sapeva come mostrare una genuina
premura e devozione di moglie, anche se falsa. Ma forse era perché ancora non
sapeva, ed era tempo che sapesse ormai.
Aspettò finché lei l'ebbe aiutato a trasferirsi nella sua
macchina, e quando fu seduta al posto di guida le mise un braccio attorno alla
persona.
"A proposito, sergente," chiese con grave ansietà
attraverso il finestrino. "Avete trovato chi era l'uomo? Aveva qualche
documento?"
Il poliziotto annuì. "È un giovane che abita in
città," disse, "così è laggiù che dovremo rivolgerei per controllo.
Il nome è Lundgren. Roberto Lundgren, se questa carta è autentica."
Cornelius sentì contro il suo braccio, più che non udì, il
sussulto e l'incontrollabile rabbrividire. La faccia di lei era grigia come
quella dell'uomo là nella strada. "Bene, Clara," disse sottovoce.
"Andiamo a casa."
Lei guidava per istinto verso la periferia. Il suo viso era
senza espressione, gli occhi guardavano nel vuoto. Comelius si sentì più
tranquillo quando imboccarono la strada maestra, e lei finalmente parlò con una
voce calma e meravigliata.
"Tu sapevi," disse. "Sapevi e l'hai ucciso
per questo."
"Sì," rispose Comelius. "Lo sapevo."
"Allora tu sei pazzo," disse freddamente, con gli
occhi sempre fissi davanti a sé. "Devi esser pazzo per aver ucciso un
essere umano in quel modo."
Il tono freddo e pacato di lei accrebbe la sua rabbia tanto
quanto quello che diceva.
"È stato un atto di giustizia," disse tra i
denti. "Doveva capitargli questo."
Ancora fredda e distante: "Tu non capisci,"
disse.
"Non capisco che cosa?"
Clara si voltò verso di lui ed egli vide che aveva gli
occhi scintillanti di lacrime. "Lo conoscevo prima di conoscere te, prima
di incominciare a lavorare nel tuo ufficio. Stavamo sempre insieme; non ci
sembrava che valesse la pena di vivere se non potevamo stare insieme."
Tacque soltanto per un attimo. "Ma le cose non andarono bene per noi. Lui
aveva grandi idee che però non producevano denaro e io questo non lo potevo
sopportare. Ero nata povera e non potevo sopportare l'idea di sposare un
pover'uomo e di morire povera... Perciò ti ho sposato. E ho tentato di essere
una buona moglie... non saprai mai quanto ho provato!... ma non era quello che
tu volevi. Tu volevi un pezzo da mostra, non una moglie; qualcosa di cui far
pompa davanti alla gente così che potessero ammirarti perché la possedevi, come
ti ammirano per ogni altra cosa che possiedi."
"Parli come una stupida," disse Comelius rauco.
"Guarda la strada, invece. Qui dobbiamo voltare."
"Ascoltami! lo stavo per parlarti di tutto questo.
Stavo per chiederti il divorzio. Non avresti dovuto darmi un soldo; nulla;
soltanto il divorzio perché potessi sposarlo e rifarmi di tutto il tempo che
avevo gettato via! Questo gli avevo detto oggi, e se tu mi avessi soltanto
domandato... se soltanto avessi parlato con me..."
Avrebbe superato la crisi, pensava lui intanto. Era stata
una cosa più seria di quel che aveva creduto, ma, come si suol dire, tutto
passa. Non aveva più ragione di rompere il matrimonio; quando avesse capito
questo, avrebbero cominciato una nuova vita. Era un miracolo che lui avesse
pensato a usare quell'arma e l'avesse usata con tanta perfezione. Un'arma
perfetta, aveva detto il giudice. Non avrebbe mai saputo quanto perfetta.
Fu il suono allarmante del campanello all'incrocio con la
strada ferrata che risvegliò Comelius dalle sue fantasticherie... questo e
l'accorgersi con spavento che l'automobile non rallentava. Poi tutto fu
sommerso dal fischio rabbioso della locomotiva Diesel e quando alzò gli occhi
incredulo, gli apparve la stridente montagna d'acciaio che era il treno degli
agenti di borsa che si scagliava oltre il passaggio a livello.
"Attenta!" gridò preso dal terrore. "Cosa
fai?"
In quell'ultima frazione di secondo, mentre Clara premeva
l'acceleratore, Comelius lo capì.