IL COLORE VENUTO DALLO SPAZIO

Howard Phillips Lovecraft

 

 

 

Le montagne ad ovest di Arkham si ergono ripide, e vi sono delle valli ricoperte di fitti boschi che non hanno mai conosciuto la scure. Ci sono anfratti stretti e bui dove gli alberi hanno delle bizzarre inclinazioni e dove degli esili ruscelletti filtrano senza mai riflettere la luce del sole. Sui pendii meno erti sorgono fattorie antiche e salde come le rocce, e case tozze e ricoperte di muschio che meditano in eterno sui vecchi segreti del New England, al riparo di grandi promontori. Ma ormai sono tutte abbandonate: i grandi comignoli si sgretolano e le pareti rivestite di assi si incurvano minacciosamente sotto ai bassi tetti spioventi.

I vecchi abitanti sono andati via e agli stranieri non piace abitare in questa regione. Ci hanno provato i franco-canadesi, come pure gli italiani, ed anche i polacchi sono arrivati e ripartiti. Non sono andati via a causa di qualcosa che si può vedere, udire o toccare, ma per qualcosa che si può immaginare. Non è un posto buono per fantasticare, e la notte non porta sonni tranquilli.

Dev’essere questo che tiene lontani gli stranieri, perché il vecchio Ammi Pierce non ha mai detto nulla degli strani giorni. È l’unico che ancora rimane, o che ancora parli di quegli strani giorni; ma ne ha il coraggio solo perché la sua casa è vicina ai campi aperti e alle strade trafficate intorno ad Arkham.

Un tempo c’era una strada tra le montagne e le valli, che correva dove ora si stende la Landa Maledetta, ma la gente smise di usarla, per cui venne costruita una nuova strada che deviava verso sud. Nel terreno che si inselvatichisce è ancora possibile trovare tracce della vecchia strada, e ne resteranno anche quando una buona parte della vallata verrà inondata per formare il nuovo bacino idrico. Allora i cupi boschi saranno tagliati e la Landa Maledetta dormirà sotto le profonde acque azzurre, la cui superficie rifletterà il cielo e si incresperà al sole. E i segreti di quegli strani giorni si uniranno ai segreti delle profondità; si uniranno al sapere occulto dell’antico oceano, ed ai misteri della terra primeva.

Quando arrivai sulle montagne e nelle valli per dirigere i lavori del nuovo bacino, mi fu detto che quel luogo era maledetto. Me lo dissero ad Arkham e, poiché Arkham è una città antichissima e piena di leggende, pensai che nel corso dei secoli quella storia l’avessero narrata le nonne ai bambini.

Il nome «Landa Maledetta» mi sembrava molto insolito e drammatico, e mi chiedevo come fosse entrato a far parte delle leggende di un popolo puritano. Poi vidi quell’oscuro intrico di anfratti e di pendii che si stende verso ovest, e smisi di interrogarmi su qualsiasi cosa che non fosse il suo antichissimo mistero.

Era mattina quando lo vidi, ma l’ombra non abbandonava mai quel luogo. Gli alberi erano troppo folti, e i loro tronchi erano troppo grandi per un normale bosco del New England. C’era troppo silenzio nei bui sentieri tra gli alberi, e il terreno era troppo soffice per il muschio tumido e per gli strati di marciume che ricoprivano il suolo creati da infiniti anni di putrefazione.

Negli spazi aperti, allineate perlopiù lungo la vecchia strada, c’erano delle piccole fattorie sistemate sui pendii; a volte i fabbricati erano intatti, a volte solo uno o due, e a volte si scorgeva solo un camino solitario o una cantina che si andavano riempiendo di detriti o vegetazione. Dappertutto regnavano erbacce e rovi, e creature furtive e selvagge si aggiravano nel sottobosco. Su tutto si stendeva una cappa di irrequietezza e di oppressione; una sfumatura di irrealtà e di grottesco; come se un elemento essenziale della prospettiva o del chiaroscuro fosse errato. Non mi meravigliai che gli stranieri non vi fossero rimasti, perché quella non era una zona in cui si poteva dormire. Era troppo simile ad un paesaggio di Salvator Rosa; troppo simile ad una xilografia di un racconto del terrore.

Ma perfino quel paesaggio non era brutto quanto la Landa Maledetta. Lo capii nel momento in cui la vidi sul fondo di una valle spaziosa; infatti nessun altro nome poteva adattarsi ad un terreno di quella fatta, e nessun’altra regione poteva adattarsi a un nome simile. Era come se il poeta avesse coniato la frase dopo aver visto quel paesaggio.

Quando la vidi, pensai che dovesse essere il risultato di un incendio; ma perché non era mai ricresciuto nulla su quei cinque acri di grigia desolazione che si allargava sotto il cielo come una grande macchia di vegetazione erosa da un acido?

Si stendeva in gran parte a nord dell’antica strada, ma invadeva una piccola zona dell’altro versante. Provai una strana riluttanza ad avvicinarmi, ed alla fine lo feci solo perché il mio lavoro mi costringeva ad attraversarla e oltrepassarla. Non c’era alcun tipo di vegetazione su quell’ampia distesa, ma solo una fine polvere grigia – o cenere – che nessun vento aveva mai portato via. Gli alberi vicini erano stentati e secchi, e molti tronchi morti si ergevano o giacevano marcescenti ai margini della landa.

Mentre la costeggiavo a passo veloce, vidi sulla mia destra i mattoni e le pietre crollate di un vecchio focolare e di uno scantinato, e la nera bocca spalancata di un pozzo abbandonato, i cui vapori stagnanti creavano strani effetti con i colori della luce del sole. Per contrasto, perfino il lungo e cupo pendio boscoso che si trovava aldilà mi fu gradito, e non mi meravigliai più dei sussurri spaventati degli abitanti di Arkham.

Non c’erano né case né rovine nelle vicinanze; perfino nei tempi antichi quel luogo doveva essere stato solitario e remoto. E, all’imbrunire, per la paura di riattraversare quella landa spaventosa, ritornai alla cittadina facendo il giro per la strada che curvava verso sud. Desiderai vagamente che si addensasse qualche nuvola, perché nel mio animo era nato uno strano timore per gli abissi celesti.

La sera chiesi ai vecchi di Arkham di parlarmi della Landa Maledetta, e che cosa si intendesse con la frase strani giorni che tanti di loro mormoravano evasivamente. Non riuscii, però, ad ottenere nessuna risposta soddisfacente, tranne che il mistero era molto più recente di quanto avessi immaginato. Non faceva parte del patrimonio delle antiche leggende, ma era nato durante la vita di coloro che parlavano. Era nato negli anni Ottanta, e una famiglia era scomparsa, o era stata uccisa. I miei interlocutori non furono precisi e, poiché tutti mi dissero di non prestare ascolto ai folli racconti del vecchio Ammi Pierce, la mattina seguente lo andai a cercare.

Mi avevano detto che viveva da solo in un’antica casetta pericolante, in un punto dove gli alberi cominciavano ad infittirsi. Era un posto spaventosamente antico, e aveva cominciato a esalare il debole odore miasmatico che aleggia intorno alle case vissute troppo a lungo. Solo i miei insistenti colpi alla porta riuscirono a destare l’anziano contadino e, quando questi si avvicinò all’uscio con passo esitante e strascicato, capii che non era felice di vedermi. Non era debole come mi ero aspettato, ma i suoi occhi si abbassavano in un modo curioso, e gli abiti trascurati e la barba bianca lo facevano sembrare stanchissimo e triste.

Non sapendo come sollecitarlo a narrare la sua storia, finsi di avere un problema di lavoro; gli dissi del mio compito, e gli posi alcune vaghe domande a proposito di quel distretto. Era di gran lunga più intelligente e più colto di quanto avevo pensato e, prima che me ne accorgessi, aveva compreso la questione altrettanto bene di qualsiasi altro con cui ne avevo parlato ad Arkham.

Non era come gli altri contadini che avevo conosciuto nelle zone in cui dovevano essere costruiti i bacini idrici. Da lui non vennero proteste per le miglia di antico bosco e di campi che sarebbero state distrutte, anche se, forse, nemmeno la sua casa sarebbe stata al di fuori dei confini del nuovo lago. Mostrò solo sollievo; sollievo per la funesta sorte che avrebbero subìto quelle antiche e oscure vallate, per le quali aveva vagabondato tutta la vita. Era meglio che ora fossero sommerse d’acqua, meglio che si trovassero sotto l’acqua dopo gli strani giorni. E, con questo esordio, la sua voce velata si abbassò, mentre il suo corpo si sporgeva in avanti e l’indice della sua mano destra si alzava tremante e solenne.

Fu allora che sentii la storia e, mentre la sua voce divagava, si alzava violenta, o si abbassava in un sussurro, io tremavo, nonostante la giornata estiva. Spesso fui costretto a richiamare il vecchio dalle sue divagazioni; o a completare le nozioni scientifiche che egli ripeteva pappagallescamente per averle sentite nei discorsi dei professori; o a colmare le lacune, nei punti in cui il suo senso logico e la sua coerenza venivano a mancare.

Quando ebbe finito, non mi meravigliai che la sua mente avesse subito dei lievi danni, o che gli abitanti di Arkham non parlassero molto della Landa Maledetta. Mi affrettai all’albergo prima del tramonto, non desiderando che le stelle sorgessero sul mio capo; e, il giorno seguente, tornai a Boston per rassegnare le mie dimissioni.

Non potevo ritornare nell’oscuro caos di quell’antica foresta e del pendio, o trovarmi nuovamente di fronte quella grigia landa maledetta, in cui il pozzo si spalancava nero e profondo accanto ai mattoni ed alle pietre cadute. Il bacino idrico verrà presto costruito, e tutti quei segreti antichissimi saranno per sempre sommersi dalle acque. Ma credo che nemmeno allora mi piacerebbe andare di notte in quella regione, almeno non quando le minacciose stelle sono alte nel cielo; e niente potrebbe convincermi a bere l’acqua del nuovo acquedotto di Arkham.

Tutto era cominciato, disse il vecchio Ammi, con il meteorite. Prima di quel momento non si narravano strane leggende su quella zona fin dai tempi della caccia alle streghe, e perfino allora quei boschi occidentali non erano temuti quanto le isolette del fiume Miskatonic, nelle quali il demonio teneva corte vicino ad un curioso altare di pietra, più antico degli indiani.

Prima degli strani giorni, quei boschi non erano maledetti, e la loro bizzarra penombra non ispirava paura. Poi, un giorno, era arrivata quella nuvola bianca, quella successione di esplosioni in aria, e quella colonna di fumo nella vallata nel bosco. E la sera tutta Arkham aveva saputo della grande roccia che era caduta dal cielo e si era piantata accanto al pozzo della casa di Nahum Gardner. Quella era la casa che sorgeva dove ora si stende la Landa Maledetta, la casa bianca e linda di Nahum Gardner, situata tra fertili giardini e frutteti.

Nahum era andato in città a raccontare alla gente della pietra caduta dal cielo, e lungo la strada si era fermato da Ammi Pierce. Ammi aveva allora quarant’anni, e tutti quegli strani eventi si erano impressi con forza nella sua mente.

Lui e sua moglie avevano seguito i tre professori della Miskatonic University, che la mattina seguente si erano recati a vedere lo strano oggetto proveniente dall’ignoto spazio astrale, ed avevano chiesto perché il giorno prima Nahum l’avesse chiamato grande. Nahum aveva risposto che si era rimpicciolito, ed aveva indicato il grande tumulo brunastro che si alzava sulla terra spaccata e sull’erba bruciata, accanto all’arcaico pozzo.

Ma quegli uomini dotti avevano risposto che le pietre non potevano rimpicciolire. Continuava ad emanare calore, e Nahum aveva affermato che durante la notte scintillava di una luce fioca. I professori allora l’avevano saggiato con un martelletto da geologo e l’avevano trovato stranamente soffice. In realtà, era tanto soffice da essere quasi malleabile, ed avevano dovuto scavarlo anziché scheggiarlo per prelevare un campione da analizzare all’università.

L’avevano portato via in un vecchio secchio preso in prestito dalla cucina di Nahum, perché perfino quel pezzettino non si voleva raffreddare. Durante il viaggio di ritorno si erano fermati da Ammi per riposare, e si erano impensieriti quando Mrs. Pierce aveva osservato che il frammento si stava rimpicciolendo e che stava bruciando il fondo del secchio. In verità, non era grande, ma forse ne avevano preso meno di quanto pensassero.

Il giorno dopo – tutto questo avveniva nel giugno 1882 – i professori erano ritornati in preda a una grande eccitazione. Quando erano passati da Ammi, gli avevano raccontato dello strano comportamento del campione, e di come fosse sparito completamente quando l’avevano messo in una provetta di vetro. Anche la provetta era scomparsa, e gli scienziati avevano parlato della strana affinità della pietra con il silicio.

Si era comportata in maniera incredibile in quel laboratorio ben organizzato, ma non aveva assolutamente reagito e non aveva rivelato dei gas all’interno quando era stata riscaldata sul carbone; era risultata negativa al borace, e si era dimostrata assolutamente non volatile a qualsiasi temperatura, compresa quella del cannello ossidrico. Martellata su un incudine era apparsa molto malleabile, e al buio la sua luminosità era molto marcata.

Il suo ostinato rifiuto a raffreddarsi aveva messo la Miskatonic in uno stato di grande eccitazione; e quando, scaldata davanti allo spettroscopio, aveva rivelato alcune bande luminose diverse da tutti i colori dello spettro, si era parlato a mezza voce di nuovi elementi, di bizzarre proprietà ottiche, e di altre cose che gli uomini di scienza dicono quando si trovano davanti all’ignoto.

Infuocata com’era, l’avevano analizzata in un crogiolo con tutti i reagenti possibili. L’acqua non aveva provocato nessuna reazione: con l’acido cloridrico era stata la stessa cosa. L’acido nitrico e perfino l’acqua regia si erano limitati a sibilare ed a creare degli schizzi su quella pietra rovente e invulnerabile.

Ammi ebbe difficoltà a ricordare tutte queste cose, ma riconobbe qualche solvente quando li citai nella successione in cui di solito si usano. Furono adoperati ammoniaca e soda caustica, alcool ed etere, il nauseabondo solfuro di carbonio, ed una decina di altre sostanze; ma, sebbene il peso diminuisse costantemente con il passar del tempo e il frammento si stesse lievemente raffreddando, i solventi non lo attaccarono.

Però, era un metallo al di là di ogni dubbio. In primo luogo, era magnetico e, dopo l’immersione in solventi acidi, rivelava lievi tracce delle formazioni che Widmänstätten aveva trovato sul ferro meteoritico. Quando si fu considerevolmente raffreddato, l’analisi fu continuata in vetro, e in una provetta di vetro furono lasciati tutti i frammenti che restavano del campione dopo gli esperimenti. La mattina seguente, sia i frammenti sia la provetta erano scomparsi senza lasciar traccia, e solo una macchia bruciacchiata indicava il punto della mensola di legno su cui erano stati messi.

I professori riferirono tutto questo ad Ammi, quando si fermarono a casa sua e, ancora una volta, egli andò con loro a vedere il messaggero di pietra venuto dalle stelle, ma questa volta sua moglie non l’accompagnò. Appariva ormai chiaro che il meteorite si era rimpicciolito, e perfino i saggi professori non poterono dubitare dell’evidenza.

Tutt’intorno al mucchietto brunastro che si trovava accanto al pozzo c’era uno spazio vuoto, tranne dove la terra era franata e, mentre il giorno prima la pietra misurava un paio di metri di diametro, ora era solo un metro e mezzo scarso. Era ancora calda, e gli scienziati ne studiarono con curiosità la superficie mentre ne staccavano un altro pezzo – più grande – con martello e scalpello. Questa volta incisero il meteorite ad una profondità maggiore e, nell’asportare il campione, si accorsero che il nucleo del meteorite non era omogeneo.

Avevano messo allo scoperto quello che sembrava il lato di un grande globulo colorato, incastonato nella sostanza ferrosa. Il suo colore, che somigliava a una delle bande dello strano spettro del meteorite, era quasi impossibile da descrivere; e fu solo per analogia che lo definirono un colore. La superficie era lucida e, al tatto, il globulo sembrava friabile e cavo.

Uno dei professori gli assestò una martellata violenta, ed esso esplose con uno schiocco breve ma intenso. Il globulo non emanò nulla, e ogni sua traccia svanì dopo l’esplosione. Lasciò solo uno spazio vuoto, di forma sferica, di circa otto centimetri di diametro, e tutti ritennero probabile che si sarebbero scoperti altri globuli mano a mano che la sostanza del rivestimento si fosse consumata.

L’ipotesi si rivelò sbagliata; di conseguenza, dopo un vano tentativo di trovare altri globuli perforando il meteorite, i ricercatori se ne andarono con il nuovo campione, che si rivelò però impenetrabile ad ogni esperimento, così come lo era stato il suo predecessore. La pietra non presentava alcun tratto distintivo, oltre al fatto di essere quasi plasmabile, calda, di possedere proprietà magnetiche ed una lieve luminosità, di raffreddarsi lievemente se immersa in acidi potenti, di avere uno spettro sconosciuto, di consumarsi all’aria, e di attaccare i composti di silicio con il risultato di una vicendevole distruzione.

Alla fine degli esperimenti, gli scienziati della Miskatonic furono costretti ad ammettere che non riuscivano a classificarla. Non apparteneva a questa Terra, era un frammento proveniente dal grande spazio esterno e, in quanto tale, aveva proprietà aliene e obbediva a leggi aliene.

Quella notte ci fu un temporale e, quando il giorno seguente i professori si recarono a casa di Nahum, ebbero una cocente delusione. La pietra, magnetica qual era, doveva avere delle particolari proprietà elettriche: infatti aveva «attirato il fulmine», come disse Nahum, con una ostinazione singolare. Sei volte, nello spazio di un’ora, il contadino aveva visto il fulmine colpire il campo davanti alla casa e, quando il temporale finì, accanto all’antico pozzo non era rimasto null’altro che un fosso frastagliato, in parte riempito dalla terra franata. Aveva scavato, ma non aveva trovato nulla, e gli scienziati si limitarono a constatare la completa sparizione del meteorite.

L’insuccesso era totale; cosicché non restò null’altro da fare che tornare al laboratorio ed analizzare di nuovo il frammento che avevano accuratamente conservato nel piombo. Quel frammento durò una settimana, alla fine della quale non era stato appreso nulla di utile al riguardo. Quando scomparve, non lasciò nessun residuo e, col passare del tempo, i professori cominciarono a dubitare di aver visto veramente quell’enigmatica traccia proveniente dagli impenetrabili abissi dello spazio esterno; quel solitario, bizzarro messaggero, proveniente da altri universi e altri regni della materia, della forza e dell’essere.

Com’era naturale, i quotidiani di Arkham fecero molta pubblicità all’avvenimento con l’appoggio dell’Università, e mandarono dei cronisti a intervistare Nahum Gardner e la sua famiglia. Almeno un quotidiano di Boston mandò un inviato, e Nahum diventò rapidamente una celebrità locale.

Era un uomo scarno e cordiale, di circa cinquant’anni, che viveva con la moglie e tre figli in una bella cascina nella vallata. Lui ed Ammi si scambiavano visite frequenti, come le rispettive mogli, e Ammi non aveva altro che elogi per lui, dopo tutti quegli anni. Nahum appariva orgoglioso dell’attenzione che si era riversata sul suo podere, e parlò spesso del meteorite nelle settimane seguenti.

Il luglio e l’agosto di quell’anno furono caldissimi, e Nahum lavorò sodo alla fienagione nel suo pascolo di dieci acri, situato oltre Chapman’s Brook: il suo carro rumoroso tracciò profondi solchi sugli ombrosi sentieri che arrivavano alla sua proprietà. Il lavoro lo stancò più che negli anni precedenti, e allora pensò che l’età cominciava a farsi sentire.

Poi arrivò la stagione della frutta e del raccolto. Le pere e le mele maturavano lentamente, e Nahum dichiarò che i suoi frutteti non erano mai stati così carichi. La frutta era di grandezza fenomenale e di lucentezza inusitata, e in tale abbondanza che furono ordinati nuovi barili per contenere il futuro raccolto.

Ma, con la maturazione, arrivò un’amara delusione, perché di tutto quel magnifico dispiegamento di insolita succulenza non un solo frutto era mangiabile. Nel fine aroma delle pere e delle mele si era insinuato un gusto amaro e nauseante, ad un punto tale che anche il più piccolo boccone provocava un intenso disgusto. Lo stesso valeva per i meloni e per i pomodori, e Nahum concluse tristemente che tutto il raccolto era ormai perduto. Collegò in fretta gli avvenimenti, dichiarò che il meteorite aveva avvelenato il terreno, e ringraziò Iddio che la maggior parte degli altri raccolti si trovasse negli appezzamenti a monte della strada.

L’inverno arrivò presto, e fu molto freddo. Ammi vide Nahum meno spesso del solito, e osservò che aveva un aspetto preoccupato. Anche gli altri della sua famiglia sembravano diventati taciturni, e si facevano vedere di rado in chiesa e ai vari avvenimenti sociali della zona. Non si comprendeva la causa di quel riserbo e di quella malinconia, sebbene tutta la famiglia si lamentasse ogni tanto di un peggioramento della salute e di una vaga sensazione di inquietudine.

Nahum fu più preciso degli altri, quando disse di essere preoccupato per delle impronte trovate nella neve. Erano le solite impronte invernali degli scoiattoli rossi, dei conigli bianchi e delle volpi, ma il meditabondo agricoltore dichiarò che qualcosa non andava nella loro natura e nella loro disposizione. Non fu mai più preciso, ma lasciò capire che quelle orme non erano tipiche dell’anatomia e delle abitudini degli scoiattoli, dei conigli e delle volpi.

Ammi non prese sul serio questo discorso fino a quando una sera, di ritorno da Clark’s Corner, passò in slitta accanto alla casa di Nahum. C’era la luna, e un coniglio gli attraversò la strada. I balzi di quel coniglio furono tanto lunghi da spaventare Ammi e il suo cavallo. Quest’ultimo, difatti, sarebbe fuggito al galoppo, se non fosse stato trattenuto dalle redini. Da allora in poi, Ammi diede maggior credito ai racconti di Nahum, e si chiese perché i cani di Gardner ogni mattina sembrassero così intimoriti e tremanti. Era evidente che avevano quasi perso il coraggio di abbaiare.

In febbraio, i tre ragazzi McGregor di Meadow Hill andarono a caccia di marmotte e, non lontano dalla fattoria dei Gardner, uccisero un esemplare molto particolare. Le proporzioni del suo corpo erano alterate in un modo bizzarro, impossibile da descrivere, mentre il muso aveva assunto un’espressione che non si era mai vista in una marmotta. I ragazzi ne furono sinceramente spaventati, e si liberarono immediatamente dell’animale, cosicché solo le loro grottesche descrizioni arrivarono agli abitanti della zona. Ma il fatto che i cavalli si adombrassero nei pressi della casa di Nahum era ormai noto, e si stavano rapidamente gettando le basi di un insieme di leggende.

La gente affermava che intorno alla cascina di Nahum la neve si scioglieva più in fretta che altrove e, ai primi di marzo, si tenne uno spaventato conciliabolo nell’emporio di Potter a Clark’s Corner.

Quella mattina Stephen Rice era passato con il carretto accanto alla casa di Gardner, e aveva visto i cavoli che erano spuntati nel fango lungo il margine del bosco, dall’altra parte della strada. Non si erano mai visti cavoli di quelle dimensioni e di quei colori strani ed indescrivibili. La loro forma era mostruosa, e il cavallo aveva annusato un odore che Stephen non aveva mai sentito in vita sua.

Il pomeriggio, parecchie persone andarono a vedere quella vegetazione anormale, e tutti convennero che piante di quel genere non sarebbero mai spuntate in un terreno sano. Si parlò della frutta cattiva dell’autunno prima, e di bocca in bocca passò la voce che il terreno di Nahum era avvelenato. Naturalmente, doveva essere stato il meteorite e, ricordando quali stranezze avessero riscontrato nella pietra i professori dell’Università, parecchi agricoltori andarono alla Miskatonic a riferire l’avvenimento.

Un giorno gli scienziati andarono a trovare Nahum ma, poiché non amavano i racconti bizzarri e il folklore, le loro conclusioni furono caute. Le piante erano senza dubbio strane, ma tutti i cavoli hanno più o meno forme e colori strani. Forse qualche elemento minerale del meteorite era penetrato nel suolo, ma ben presto sarebbe stato portato via dall’acqua. Per quanto riguarda le impronte e i cavalli spaventati, naturalmente quelle erano solo fole che un fenomeno come quello del meteorite era ovvio generasse tra i contadini.

Le persone serie non prendono in considerazione le voci senza fondamento, mentre i superstiziosi contadini dicono qualsiasi cosa e credono in qualsiasi cosa. Di conseguenza, durante gli strani giorni, i professori mantennero una posizione di distacco e di disprezzo. Solo uno di loro, quando più di un anno e mezzo dopo gli furono date due fiale da analizzare per conto della polizia, ricordò che lo strano colore di quel cavolo era molto simile a una di quelle anomale bande di luce rivelate dal frammento di meteorite nello spettroscopio dell’Università, e al colore del globulo friabile incastonato nella pietra proveniente dagli abissi celesti. Sulle prime, i campioni usati in queste analisi rivelarono le medesime bande, ma in seguito persero questa proprietà.

Gli alberi germogliavano prima del tempo intorno alla casa di Nahum, e la notte ondeggiavano spaventosamente al vento. Il secondo figlio di Nahum, Thaddeus, un ragazzo di quindici anni, giurò che ondeggiavano anche quando non c’era vento, ma perfino i vecchi creduloni non diedero alcun credito a quest’affermazione.

Era certo, però, che l’aria era colma di inquietudine. Tutta la famiglia Gardner sviluppò l’abitudine di stare costantemente in ascolto, sebbene non sapesse coscientemente che cosa si aspettasse di sentire. Lo stare in ascolto, in realtà, avveniva in momenti in cui la coscienza sembrava assopirsi. Purtroppo, questi momenti aumentarono di settimana in settimana, finché si cominciò a diffondere la voce che «qualcosa non andava nella famiglia di Nahum».

Quando le prime sassifraghe fiorirono, avevano strani colori, diversi da quelli dei cavoli, ma altrettanto sconosciuti per chiunque li vedesse. Nahum portò qualche fiore ad Arkham e lo mostrò al direttore della Gazette, ma quell’uomo importante si limitò a scrivere un pezzo umoristico, nel quale gli oscuri timori dei contadini venivano messi educatamente in ridicolo. Fu un errore da parte di Nahum raccontare a un ottuso cittadino che le farfalle nere, troppo sviluppate, si comportavano in modo strano intorno alle sassifraghe.

Ad aprile, gli agricoltori furono colti da una sorta di follia; fu allora che si cominciò a non usare la strada che passava accanto alla casa di Nahum e che in seguito fu abbandonata completamente.

Accadde tutto a causa della vegetazione. Tutti gli alberi da frutta avevano dei fiori dagli strani colori, e nel terreno pietroso dell’aia e del vicino pascolo spuntavano piante bizzarre, in cui solo un botanico sarebbe stato in grado di riconoscere la flora tipica della regione. Nulla aveva un colore sano e normale, tranne l’erba e il fogliame verdi. Tutto aveva quelle sfumature febbrili e prismatiche di un colore che non aveva riscontro tra le tinte conosciute sulla terra. I fiori di campo diventavano sinistri e minacciosi, e gli alberi insolenti nelle loro perversioni cromatiche.

Ammi e Gardner pensavano che la maggior parte di quei colori avessero una spaventosa familiarità, e decisero che ricordavano le tinte del globulo friabile incastonato nel meteorite. Nahum arò e seminò il pascolo di dieci acri e l’appezzamento sulla collina, ma non fece nulla nel terreno intorno alla casa. Sapeva che sarebbe stato inutile, e sperò che la strana vegetazione estiva avrebbe prosciugato tutto il veleno dal suolo. Ormai era pronto a tutto, e si era abituato a sentire vicino a sé una presenza pronta a manifestarsi. Il fatto che i vicini evitassero la sua casa lo colpì, naturalmente; ma colpì ancora di più sua moglie. I ragazzi ne soffrirono di meno, visto che andavano tutti i giorni a scuola; ma non potevano fare a meno di essere spaventati dalle dicerie. Thaddeus, un bambino particolarmente sensibile, ne era turbato più degli altri.

A maggio arrivarono gli insetti, e la fattoria di Nahum divenne un incubo di creature che ronzavano e strisciavano. Quegli insetti non avevano un aspetto normale, si muovevano in modo insolito, e le loro abitudini notturne contraddicevano ogni parametro precedente.

I Gardner cominciarono a vegliare durante la notte: guardavano in tutte le direzioni, ma non avrebbero saputo dire che cosa si aspettassero di vedere.

Fu allora che tutti loro riconobbero che Thaddeus aveva avuto ragione riguardo agli alberi. Mrs. Gardner fu la prima ad accorgersene, una notte che dalla finestra guardava i rami gonfi di un acero stagliarsi alla luce della luna. I rami senza dubbio si muovevano, e non c’era vento. Doveva essere la linfa.

Ormai la bizzarria si era impossessata di ogni cosa che crescesse, ma non fu un membro della famiglia di Nahum a fare la scoperta successiva. La vicinanza quotidiana aveva annebbiato i loro sensi, e ciò che loro non notavano fu scorto invece da un timido commesso viaggiatore di Boston che una sera passò accanto alla loro casa, ignaro delle dicerie locali. Le sue affermazioni furono raccolte ad Arkham e furono riportate in un articoletto sulla Gazette, e solo dal quotidiano tutti gli agricoltori, Nahum incluso, lo vennero a sapere.

La sera era scura e le lampade del calesse erano fioche, ma intorno ad una fattoria nella vallata – che dalla descrizione era chiaramente quella di Nahum – l’oscurità era meno fitta. Tutta la vegetazione, erba, foglie e fiori, sembrava emanare una luce fievole ma distinta. Ad un tratto, il viaggiatore vide qualcosa di fosforescente muoversi furtivamente sull’aia, vicino al granaio.

L’erba fino a quel momento era parsa intatta, e le mucche avevano pascolato liberamente sul prato vicino alla casa ma, verso la fine di maggio, il latte cominciò a essere cattivo. Allora Nahum portò le mucche al pascolo in collina, dopodiché il problema cessò. Non passò molto tempo che cominciò ad essere visibile il cambiamento nell’erba e nelle foglie. Tutto il verde cominciò ad ingrigire e a sviluppare una grande fragilità.

Ammi era ormai l’unica persona a recarsi a casa di Nahum, ma le sue visite erano sempre più rare. Quando la scuola chiuse, i Gardner furono di fatto tagliati fuori dal mondo, e a volte affidavano ad Ammi le loro commissioni in città. Stavano diventando strani sia fisicamente che mentalmente, e nessuno si sorprese quando si diffuse la voce che Mrs. Gardner era impazzita.

Accadde in giugno, nel periodo dell’anniversario della caduta del meteorite; la povera donna cominciò a vedere cose nell’aria che non era in grado di descrivere. Nei suoi vaneggiamenti non comparivano sostantivi, ma solo verbi e pronomi. Cose si muovevano, cambiavano e svolazzavano, le orecchie vibravano di impulsi che non erano interamente suoni. Qualcosa era stata portata via, qualcosa le era stato preso, qualcosa che non avrebbe dovuto esistere la teneva nella sua morsa, e qualcuno doveva tenerla lontana. Niente era immobile durante la notte, e le pareti e i venti cambiavano di continuo direzione.

Nahum non la fece ricoverare nell’ospedale psichiatrico della contea, ma la lasciò vagare per la casa dato che non nuoceva a se stessa e agli altri. Anche quando la sua espressione cambiò, lui non fece niente. Ma, quando i ragazzi cominciarono a temerla, e Thaddeus per poco non svenne per il modo in cui lei lo guardava, Nahum decise di chiuderla in soffitta.

In luglio, la donna smise di parlare e cominciò a camminare carponi; prima che il mese fosse finito, a Nahum venne la folle idea che sua moglie fosse lievemente luminosa al buio, un fatto che era evidente nella vicina vegetazione.

Poco tempo prima i cavalli erano fuggiti atterriti. Qualcosa li aveva svegliati nella notte, e i nitriti e i calci nelle stalle erano stati terribili. Sembrava che non ci fosse nulla che riuscisse a calmarli e, quando Nahum aveva aperto la porta delle stalle, tutti i cavalli si erano lanciati fuori come caprioli spaventati. C’era voluta una settimana per scovarli tutti e quattro e, quando furono trovati, si vide che erano inservibili e indomabili. Qualcosa aveva ceduto nel loro cervello, e Nahum fu costretto ad abbatterli per il loro bene.

Nahum prese in prestito un cavallo da Ammi per trasportare il fieno, ma scoprì che l’animale non voleva avvicinarsi al granaio. Si adombrava, scalciava e nitriva e, alla fine, il contadino non poté fare altro che portarlo nell’aia, mentre gli operai, a forza di braccia, avvicinavano il pesante carro al fienile, in modo da poterlo caricare meglio.

Nel frattempo, la vegetazione era diventata grigia e friabile. Perfino i fiori, le cui sfumature erano così strane, stavano ingrigendo, e i frutti maturavano grigi, rachitici e insapori. Gli aster e le verghe d’oro fiorirono opachi e distorti, e le rose, le zinnie e le malverose, avevano un aspetto così blasfemo che il figlio maggiore di Nahum, Zenas, le tagliò. Gli insetti dagli strani corpi gonfi morirono in quel periodo, e morirono perfino le api, che avevano lasciato le arnie ed erano fuggite nei boschi.

In settembre, tutta la vegetazione cominciò a sgretolarsi in una polvere grigiastra, e Nahum temette che gli alberi morissero prima che il suolo si fosse liberato del veleno. Sua moglie veniva colta da accessi di urla terrificanti, e lui ed i figli erano in un costante stato di tensione nervosa. Evitavano la gente e, quando la scuola riaprì, i ragazzi non ripresero a frequentarla.

Ma fu Ammi, durante una delle sue rare visite, a comprendere che l’acqua del pozzo non era più potabile. Aveva un sapore disgustoso, indefinibile, né fetido né salato, ed Ammi consigliò ai suoi amici di scavare in un terreno più alto un altro pozzo, da usare finché il suolo non fosse tornato buono. Nahum però ignorò il consiglio, perché ormai aveva fatto l’abitudine alle cose strane e sgradevoli.

Lui e i suoi figli continuarono a servirsi di quella cisterna contaminata, bevendone l’acqua con la stessa indifferenza e la stessa apatia con cui mangiavano i miseri pasti mal cucinati, e svolgevano le loro faccende monotone e ingrate durante le lunghe giornate senza scopo. In tutti loro si leggeva una sorta di ottusa rassegnazione, come se stessero camminando in un altro mondo, tra due schiere di sentinelle senza nome, prede di un triste fato, noto e inevitabile.

Thaddeus impazzì a settembre, dopo essere andato a prendere l’acqua al pozzo. Era andato con un secchio ed era tornato a mani vuote; strillava, agitava le braccia e, a momenti, rideva vacuamente o sussurrava degli «strani colori che si muovono laggiù».

Due in una sola famiglia era troppo, ma Nahum reagì coraggiosamente. Lasciò libero il ragazzo per una settimana, finché questi cominciò a inciampare e a farsi male, e allora lo chiuse in una stanza della soffitta, di fronte a quella dov’era rinchiusa la madre. Il modo in cui si urlavano l’un l’altro da dietro le porte chiuse era impressionante, soprattutto per il piccolo Merwin, che immaginava si parlassero in qualche terribile lingua che non apparteneva a questa terra. L’immaginazione di Merwin era sempre più sfrenata, e la sua inquietudine crebbe quando perse il fratello che era stato il suo compagno di giochi preferito.

All’incirca nello stesso periodo, cominciò a morire il bestiame. Le galline diventarono grigiastre e morirono rapidamente, e la loro carne si rivelò secca e puzzolente. Le pecore ingrassarono eccessivamente, poi cominciarono a subire trasformazioni disgustose che nessuno era in grado di spiegare. La loro carne, naturalmente, era immangiabile, e Nahum aveva ormai esaurito tutte le sue risorse. Nessun veterinario locale volle andare a casa sua, e il veterinario venuto da Arkham restò sconcertato.

I maiali cominciarono a diventare grigi, e a disfarsi prima ancora di morire, mentre occhi e muscoli subivano delle singolari alterazioni. Era ancora più incomprensibile, visto che non erano mai stati nutriti con la vegetazione contaminata. Poi qualcosa colpì le mucche. Alcune zone del corpo, se non tutto il corpo, si raggrinzivano o si comprimevano, poi gli animali si indebolivano. Nell’ultimo stadio – e la morte era sempre il risultato finale – si ingrigivano e le ossa si sgretolavano, come era accaduto alle pecore.

Il veleno era da escludere, perché gli animali erano chiusi in una stalla. Né potevano essere stati degli animali randagi a portare il virus, perché, quale creatura della Terra può attraversare una porta? Poteva solo trattarsi di una malattia naturale, ma non si riusciva a immaginare quale malattia potesse provocare effetti simili.

Quando arrivò l’epoca del raccolto, non c’era più un animale nella fattoria di Nahum: il pollame ed il resto del bestiame erano morti, e i cani erano fuggiti. Tutti e tre i cani scomparvero una notte e non se ne seppe più niente. I cinque gatti se n’erano andati qualche tempo prima, ma la loro scomparsa era stata appena notata, visto che non c’erano più topi e che solo Mrs. Gardner si era presa cura dei graziosi felini.

Il 19 ottobre, Nahum entrò barcollando in casa di Ammi con delle notizie spaventose. Thaddeus era morto nella stanza della soffitta, e la morte l’aveva colto in un modo che non si poteva descrivere. Nahum aveva scavato una tomba nel piccolo cimitero di famiglia che era dietro la fattoria, e vi aveva messo quello che aveva trovato di Thaddeus. Non poteva essere entrato niente dall’esterno, perché la piccola finestra munita di sbarre e la porta chiusa a chiave erano intatte; l’incidente ricordava quello che era accaduto nella stalla.

Ammi e sua moglie consolarono come poterono quell’uomo distrutto, ma avevano paura. Un terrore mortale era legato ai Gardner e a tutto quello che essi toccavano, e la sola presenza di uno di loro in casa portava con sé un vento proveniente da regioni innominate e innominabili.

Ammi accompagnò Nahum a casa con la più grande riluttanza, e fece quanto poteva per calmare i singhiozzi isterici del piccolo Merwin. Zenas non aveva bisogno di essere calmato. Negli ultimi tempi aveva cominciato a non fare null’altro che fissare il vuoto e obbedire agli ordini del padre; e Ammi pensò che il destino era stato misericordioso con lui.

Di tanto in tanto, dalla soffitta, arrivavano flebili urla in risposta a quelle di Merwin. Nahum, rispondendo ad un’occhiata interrogativa, disse che sua moglie era diventata molto debole. Quando cominciò ad annottare, Ammi riuscì ad andarsene; nemmeno l’amicizia aveva il potere di farlo restare in quel posto, quando cominciava la lieve luminosità della vegetazione e gli alberi ondeggiavano senza vento.

Fu veramente una fortuna per Ammi che non avesse una maggiore immaginazione. Fu poco impressionato perfino da quello che vide ma, se fosse stato capace di mettere in correlazione e capire tutti i fenomeni straordinari che aveva intorno, sarebbe inevitabilmente impazzito. All’imbrunire si affrettò verso casa, mentre le urla della pazza e del bambino isterico gli risuonavano nelle orecchie in maniera terribile.

Tre giorni dopo, di mattina presto, Nahum irruppe nella cucina di Ammi e, in assenza dell’amico, farfugliò un’altra storia disperata a Mrs. Pierce, che lo ascoltava stretta in una morsa di paura. Si trattava del piccolo Merwin, questa volta. Era scomparso: era uscito di sera con una lanterna e un secchio per andare a prendere l’acqua, e non era più tornato.

Erano giorni e giorni che aveva i nervi a pezzi, e a malapena sapeva quello che faceva. Urlava per ogni cosa. Si era sentito un urlo disperato dall’aia ma, prima che il padre fosse riuscito a raggiungere la porta, il ragazzo era scomparso. Non si vedeva la luce della lanterna, e del bambino non c’era traccia. In quel momento Nahum aveva pensato che anche la lanterna e il secchio fossero scomparsi ma, quando era arrivata l’alba e il contadino era tornato distrutto dalla sua ricerca notturna per i boschi e per i campi, aveva trovato delle cose molto strane accanto al pozzo. C’era una massa di ferro accartocciata e in parte fusa, che era stata senza dubbio la lanterna, mentre un manico ricurvo e due cerchi contorti di ferro, entrambi semifusi, sembravano essere i resti del secchio. Questo era tutto.

Nahum non sapeva più che cosa pensare, Mrs. Pierce era senza parole, e Ammi, quando tornò a casa e udì il racconto, non fu in grado di fornire alcun suggerimento. Merwin era scomparso, e sarebbe stato inutile dirlo ai vicini, che ormai evitavano tutti i Gardner. Sarebbe stato inutile dirlo anche ai cittadini di Arkham, che ridevano di tutto.

Thad era morto, e ora era scomparso anche Merwin. Qualcosa si avvicinava, lento, furtivo, e aspettava di essere visto e udito. Nahum se ne sarebbe andato presto, e desiderava che Ammi si occupasse di sua moglie e di Zenas, se gli fossero sopravvissuti. Doveva essere una sorta di castigo divino, anche se non riusciva ad immaginarne il motivo, visto che aveva sempre camminato sulla retta via del Signore, per quanto ne sapeva.

Per altre due settimane Ammi non vide più Nahum; poi, preoccupato per quanto potesse essere accaduto, vinse i propri timori e fece una visita ai Gardner. Non usciva fumo dal grande comignolo e, per un attimo, il visitatore temette il peggio. L’aspetto della fattoria era sconvolgente: erba e foglie secche e grigiastre coprivano il terreno, rampicanti cadevano in brandelli friabili dalle mura e dagli antichi spioventi, e grandi alberi spogli si protendevano verso il grigio cielo di novembre con una studiata malvagità che Ammi pensò derivasse da un sottile cambiamento nell’inclinazione dei rami.

Ma Nahum era vivo, dopotutto. Era debole, disteso su un giaciglio nella cucina dal soffitto basso, ma era perfettamente cosciente, e in grado di dare dei semplici ordini a Zenas. La stanza era mortalmente fredda e, poiché Ammi tremava visibilmente, l’ospite gridò a Zenas di portare altra legna. E di legna ce n’era bisogno, visto che l’enorme focolare era spento e vuoto, con una nube di fuliggine che si muoveva al vento gelido che scendeva lungo la canna fumaria.

Poco dopo, Nahum gli chiese se si sentisse meglio, ora che il fuoco era stato ravvivato. Allora Ammi capì che cosa fosse accaduto. Anche la fune più robusta cede alla fine, e la mente dello sventurato contadino era ormai impenetrabile ad altri dolori.

Ammi lo interrogò con tatto, ma non riuscì ad ottenere alcuna notizia precisa sulla sorte di Zenas. «Nel pozzo... vive nel pozzo...», fu tutto ciò che disse l’ottenebrato agricoltore. Poi, al visitatore venne d’improvviso in mente la moglie pazza di Nahum, e fece delle nuove domande.

«Nabby? Beh, eccola!», fu la sorpresa risposta del povero Nahum, e Ammi capì che doveva cercarla da solo.

Lasciò l’innocuo pazzo sul giaciglio, prese le chiavi dal gancio vicino alla porta e salì le scale scricchiolanti che portavano alla soffitta: lassù l’aria era viziata e fetida, e non si sentiva alcun rumore. Delle quattro porte in vista, solo una era chiusa a chiave, ed Ammi provò le varie chiavi che aveva preso. La terza si rivelò quella giusta e, dopo qualche tentativo, Ammi spalancò la porta bianca.

Era completamente buio all’interno, perché la finestra era piccola e in parte oscurata dalle rozze sbarre di legno; Ammi non riuscì a vedere nulla sul pavimento dalle larghe assi. Il tanfo era insopportabile e, prima di avanzare ulteriormente, fu costretto a scappare in un’altra stanza e a ritornare con i polmoni pieni di aria respirabile. Quando entrò, vide qualcosa di scuro in un angolo e, quando la guardò meglio, urlò a gola spiegata. Mentre urlava, gli parve che una nuvola oscurasse la finestra e, un secondo dopo, si sentì sfiorato come da un’insopportabile corrente di vapore.

Strani colori danzarono davanti ai suoi occhi e, se l’orrore non l’avesse ottenebrato, avrebbe pensato al globulo incastonato nel meteorite, e alla morbosa vegetazione che era spuntata in primavera. Ma in quel momento pensò solo alla blasfema mostruosità che gli stava davanti, e che palesemente aveva subito lo stesso misterioso destino del piccolo Thaddeus e del bestiame. Il particolare più terribile era che quell’orrore continuava a muoversi lentamente, impercettibilmente, mentre continuava a sgretolarsi.

Ammi non aggiunse nessun altro particolare riguardo a quella scena ma il racconto proseguì, e la forma nell’angolo non si muoveva più. Ci sono cose che non si possono dire, e un atto di umanità può essere giudicato crudelmente dalla legge. Capii solo che nessuna forma in movimento fu lasciata in quella stanza della soffitta, e che lasciare qualcosa capace di muoversi sarebbe stato un atto mostruoso, avrebbe significato condannare un essere cosciente ad un tormento eterno. Chiunque non fosse stato un solido agricoltore sarebbe svenuto o impazzito, ma Ammi attraversò in piena coscienza il basso uscio e si chiuse alle spalle quel segreto maledetto. C’era Nahum a cui pensare ora; doveva essere nutrito, accudito, e portato in un posto dove potesse essere curato.

Quando cominciò la discesa delle buie scale, Ammi sentì un tonfo provenire dal pianoterra. Gli parve anche di sentire un grido soffocato, e ricordò con paura il viscido vapore che lo aveva sfiorato in quella orribile stanza della soffitta. Quale presenza era stata disturbata dal suo grido e dal suo ingresso?

Trattenuto da una vaga paura, udì altri rumori provenire dal piano inferiore: sentì trascinare qualcosa di pesante, e poi uno sgradevole rumore di suzione. Con l’immaginazione ormai sbrigliata, pensò inspiegabilmente a ciò che aveva visto nella soffitta. Buon Dio! In quale bizzarro incubo era capitato? Non osava muoversi né avanti né indietro, perciò restò sulla scala buia. Ogni particolare della scena gli bruciava nel cervello: i rumori, il terrore, l’ansia, il buio, la ripidità degli stretti scalini, e – Dio misericordioso! – la luminosità fievole ma innegabile di tutti gli oggetti di legno: gradini, pareti, assicelle, travi.

Poi il cavallo di Ammi lanciò un nitrito disperato, seguito da uno scalpitio che richiamava alla mente l’idea di una fuga frenetica. Dopo un istante, il cavallo e il calesse non furono più udibili, e l’uomo, immobilizzato dal terrore sulle scale buie, cercò di immaginare che cosa li avesse fatti scappare. Ma non fu tutto. Si sentì un altro rumore provenire dall’esterno. Una specie di tonfo nell’acqua: doveva trattarsi del pozzo. Aveva lasciato Hero libero accanto al pozzo, e una ruota del calesse aveva probabilmente urtato la cimasa e doveva aver fatto cadere una pietra nell’acqua. E la pallida fosforescenza continuava a baluginare da quel legno antico. Dio! Quanto era antica quella casa! La maggior parte era stata costruita prima del 1700.

Poi risuonò distintamente un lieve stridìo sul pavimento del piano inferiore, e Ammi strinse più forte il pesante bastone che aveva preso nel solaio. Ripreso lentamente coraggio, finì la discesa e si avviò audacemente verso la cucina.

Ma non arrivò a destinazione, perché quello che cercava non era più lì. Gli era venuto incontro, ed era ancora vivo, più o meno. Ammi non avrebbe saputo dire se avesse strisciato o fosse stato trascinato da forze estranee, ma era stato colpito a morte. Tutto era accaduto nell’ultima mezz’ora, ma il collasso, l’ingrigimento e il disfacimento erano ormai in fase avanzata. La pelle era diventata friabile e si staccava a scaglie. Ammi non riuscì a toccarla, ma guardò inorridito quella parodia distorta che era stata una faccia.

«Che cos’era, Nahum... che cos’era?», sussurrò Ammi, e quelle labbra rigonfie, spaccate, riuscirono appena a farfugliare una risposta.

«Niente... niente... il colore... brucia... freddo e umido... ma brucia... Viveva nel pozzo... l’ho visto... una specie di fumo... proprio come i fiori della primavera scorsa... Il pozzo di notte splende... Thad, Merwin e Zenas... tutto ciò che è vivo... succhia la vita da tutto ciò che... In quella pietra... deve essere uscito da quella pietra... Ha avvelenato tutto... non so che cosa vuole... Quella cosa rotonda che i professori hanno trovato nella pietra... l’hanno schiacciata... aveva lo stesso colore... lo stesso dei fiori e delle piante... Ce ne devono essere molti... semi... semi... sono cresciuti... L’ho visto per la prima volta questa settimana... deve aver dato un colpo forte a Zenas... era un ragazzo robusto, pieno di vita... Prima ti indebolisce la mente e poi ti prende... ti brucia... Nell’acqua del pozzo... avevi ragione... non puoi andare via... ti attira... sai che qualcosa sta per venire, ma è inutile... l’ho visto quando è stato preso Zenas... Come sta Nabby, Ammi?... La mia testa non funziona... Non so da quanto tempo non le do da mangiare... La prenderà, se non stiamo attenti... Solo un colore... verso sera la sua faccia comincia ad avere quel colore... e brucia e succhia... viene da un mondo dove le cose sono diverse da qui... Uno di quei professori l’ha detto... aveva ragione... Attento, Ammi, lo farà ancora... succhia la vita...»

Questo fu tutto. La cosa che aveva parlato non parlò più, perché aveva ceduto. Ammi distese una tovaglia a scacchi rossi su quello che era rimasto, e uscì barcollando dalla porta sul retro. Risalì il pendio fino al pascolo di dieci acri e si trascinò verso casa, lungo la strada a nord, che correva tra i boschi.

Non aveva la forza di passare accanto a quel pozzo da cui i suoi cavalli erano fuggiti. L’aveva guardato dalla finestra, ed aveva visto che dall’orlo non mancava nessuna pietra. Allora il calesse, sbandando, non aveva smosso niente, e il tonfo nell’acqua doveva essere stato provocato da qualcos’altro, qualcosa che era entrato nel pozzo dopo aver ucciso il povero Nahum...

Quando Ammi arrivò a casa, scoprì che i cavalli e il calesse l’avevano preceduto, gettando sua moglie nell’angoscia. Rassicuratala senza darle spiegazioni, partì immediatamente alla volta di Arkham e notificò alle autorità che la famiglia Gardner non esisteva più. Non indugiò nei particolari, ma si limitò a parlare della morte di Nahum e di Nabby, visto che quella di Thaddeus era già nota, e disse che la causa sembrava essere la stessa malattia che aveva ucciso il bestiame. Dichiarò inoltre che Merwin e Zenas erano scomparsi.

Seguì un’animata discussione alla centrale di polizia, alla fine della quale Ammi fu costretto ad accompagnare tre agenti alla fattoria dei Gardner, insieme al Coroner, al medico legale ed al veterinario che aveva curato gli animali ammalati. Vi si recò contro la propria volontà, visto che il pomeriggio stava finendo e che lui temeva il calar delle tenebre su quella terra maledetta, ma gli fu di un certo conforto avere tante persone con sé.

I sei uomini viaggiarono in un barroccio che seguiva il calesse di Ammi, e arrivarono alla fattoria appestata intorno alle quattro del pomeriggio. Per quanto gli agenti fossero avvezzi ad esperienze raccapriccianti, nessuno di loro restò impassibile davanti alle cose che si trovavano nel solaio e sotto la tovaglia a scacchi rossi in cucina.

L’aspetto generale della fattoria, con la sua grigia desolazione, era già abbastanza terribile, ma quei due oggetti sgretolati superavano ogni limite. Nessuno ebbe la forza di guardarli a lungo, e perfino il medico legale ammise che c’era ben poco da esaminare. Si potevano analizzare dei campioni, naturalmente, perciò si preoccupò di procurarseli, provocando così lo sconcerto nel laboratorio della Miskatonic, dove le due fiale di polvere furono infine portate.

Allo spettroscopio entrambi i campioni emanarono uno spettro sconosciuto, in cui molte bande erano identiche a quelle rivelate dallo strano meteorite l’anno prima. La proprietà di emettere quello strano spettro svanì dopo un mese, dopodiché la polvere rimase composta principalmente di fosfati e di carbonati alcalini.

Ammi non avrebbe parlato ai poliziotti del pozzo, se avesse pensato che avevano intenzione di indagare immediatamente. Era ormai il tramonto, e lui era ansioso di andarsene. Ma non riuscì a impedirsi di lanciare occhiate nervose al muretto di pietra che racchiudeva la grande cisterna e, quando un agente lo interrogò al riguardo, ammise che Nahum aveva paura di qualcosa che era nel pozzo; ne aveva tanta paura che non aveva mai nemmeno pensato di scendere a cercarvi Merwin e Zenas.

Dopodiché i poliziotti vuotarono immediatamente il pozzo e lo esplorarono, cosicché Ammi fu costretto ad aspettare tremante mentre, secchio dopo secchio, l’acqua maleodorante veniva issata e buttata sul terreno fradicio. Gli agenti arricciavano le narici per il disgusto e, verso la fine, si otturarono il naso per non sentire il fetore che stavano portando alla superficie.

Il lavoro non fu lungo come avevano temuto, visto che il livello dell’acqua era incredibilmente basso. Non c’è bisogno di descrivere con troppi particolari che cosa trovarono. Merwin e Zenas erano entrambi nel pozzo, sebbene dei loro corpi fosse rimasto quasi solo lo scheletro. C’erano inoltre un piccolo capriolo e un grande cane, più o meno nello stesso stato, e un certo numero di ossa di animali più piccoli. Il limo e la fanghiglia sul fondo erano inspiegabilmente porosi e pieni di bolle, e un agente che scese lungo gli appigli con un lungo bastone in mano, scoprì che l’asta di legno affondava in profondità nel fango, senza incontrare alcun ostacolo solido.

Ormai era l’imbrunire, e dalla casa furono prese delle lanterne. Poi, quando si capì che dal pozzo non si poteva ricavare più niente, tutti entrarono in casa e si riunirono nell’antico soggiorno, mentre la luce intermittente di una spettrale falce di luna illuminava livida la grigia desolazione esterna.

Gli uomini erano sinceramente sconcertati, e non riuscirono a trovare nessun elemento comune che collegasse la strana condizione dei vegetali, la sconosciuta malattia che aveva colpito animali ed esseri umani, e le inspiegabili morti di Merwin e Zenas nel pozzo contaminato. Avevano sentito le voci che giravano tra i contadini, è vero, ma non riuscivano a credere che fosse accaduto qualcosa di contrario alle leggi della natura.

Il meteorite aveva senza dubbio avvelenato il suolo, ma la malattia letale che aveva colpito persone e animali che non avevano mangiato nulla cresciuto in quel suolo era un’altra faccenda. La colpa era dell’acqua del pozzo? Molto probabile. Sarebbe stata un’ottima cosa farla analizzare. Ma quale forma particolare di pazzia aveva potuto spingere i due ragazzi a saltare nel pozzo? Le loro azioni erano state simili, e i loro resti mostravano che entrambi avevano sofferto di quella malattia letale che portava il corpo ad ingrigirsi e sgretolarsi. Perché tutto era così grigio e friabile?

Fu il Coroner, seduto accanto alla finestra a guardare l’aia, che notò per primo la luminosità intorno al pozzo.

Era ormai notte, e tutto lo squallido terreno circostante riluceva debolmente, e non per la luce intermittente della luna. Questa nuova luminosità era qualcosa di definito e di distinto, e sembrava emanare dal pozzo buio, simile al raggio attenuato di un riflettore, creando cupi riflessi nelle pozze d’acqua sul terreno.

Aveva uno strano colore e, mentre tutti si affollavano intorno alla finestra, Ammi trasalì violentemente. Infatti, quello strano raggio di miasma spettrale aveva una sfumatura di colore che gli era familiare. Aveva già visto quel colore, e aveva paura di pensare che cosa potesse significare. L’aveva visto due estati prima nel globulo friabile, incastonato nel meteorite, l’aveva visto nella folle vegetazione della primavera, e gli era parso di vederlo quella stessa mattina contro la piccola finestra della stanza del solaio in cui erano accadute cose innominabili.

Il colore era balenato per un attimo, una folata viscida e disgustosa di vapore aveva sfiorato Ammi, e poi il povero Nahum era stato ucciso da qualcosa che era in quel colore. L’aveva detto in punto di morte: aveva detto che era simile al globulo e alle piante. Dopodiché si era sentita la corsa nell’aia e il tonfo nel pozzo, e ora il pozzo stava eruttando nel buio della notte un raggio pallido e insidioso dello stesso demoniaco colore.

Fa onore alla vivacità mentale di Ammi il fatto che in un simile momento di tensione si fermasse a riflettere su una questione che era puramente scientifica. Non poteva che meravigliarsi per il fatto di aver ricevuto la stessa impressione da una nube di vapore scorta di giorno, contro una finestra aperta sul cielo mattutino, e da una nube fosforescente vista di notte sullo sfondo di un paesaggio nero e desolato. Non era giusto, era contro natura, e Ammi ricordò le ultime terribili parole dell’amico morente: «Viene da un mondo dove le cose sono diverse da qui... l’ha detto uno di quei professori...».

In quel momento tutti e tre i cavalli, che erano legati ad un paio di alberelli secchi accanto alla strada, cominciarono a nitrire e a scalpitare freneticamente. Il conducente del barroccio si avviò verso la porta per intervenire, ma Ammi gli posò una mano tremante sulla spalla.

«Non andare là», sussurrò. «Ci sono molte cose che non sappiamo. Nahum ha detto che nel pozzo vive qualcosa che succhia la vita. Ha detto che deve essere cresciuta, in qualche modo, da una palla simile a quella che vedemmo nel meteorite che cadde un anno fa, a giugno. Succhia e brucia, ha detto, ed è solo una nuvola di colore, proprio come quella luce lì fuori. Si vede appena e non si può dire che cosa sia. Nahum pensava che si nutrisse di tutto ciò che è vivo e che diventasse sempre più forte. Ha detto che l’ha vista in questi ultimi giorni. Dev’essere qualcosa che viene dal cielo, come il meteorite: così dicevano i professori dell’Università. Il suo aspetto e il modo in cui uccide non appartengono al mondo di Nostro Signore. È qualcosa che viene dallo spazio.»

Allora gli uomini si fermarono indecisi, mentre la luce emanata dal pozzo diventava più forte e i cavalli attaccati scalpitavano e nitrivano con una frenesia crescente.

Fu veramente un momento terribile. Il terrore era in quella casa antica e maledetta; quattro mostruosi mucchietti di frammenti – due provenienti dalla casa e due dal pozzo – erano nella legnaia, e quel raggio di un colore empio e ignoto saliva dalle profondità fangose del pozzo.

Ammi aveva fermato il conducente impulsivamente, dimenticando che il viscido tocco di quel vapore colorato non lo aveva danneggiato, ma forse fece bene ad agire in quel modo. Nessuno saprà mai che cos’era in movimento nella notte; e, sebbene quella mostruosità aliena avesse fino ad allora colpito solo gli esseri umani dalla mente indebolita, non si può sapere che cosa avrebbe potuto fare in quegli ultimi momenti, visto che era sempre più forte e animata da uno scopo che ben presto fu evidente in quella notte di luna.

Improvvisamente, uno degli agenti che erano alla finestra lanciò un grido breve e acuto. Gli altri lo guardarono, e poi seguirono rapidamente il suo sguardo che era fisso verso l’alto, attratto subitaneamente da qualcosa, mentre guardava oziosamente intorno. Non ci fu bisogno di parole. Quello di cui si era discusso tanto tra i contadini non era più discutibile.

Ed è a causa della visione di cui furono testimoni quei sette uomini, se ad Arkham non si parla mai degli strani giorni. Dopo quella notte, gli uomini della spedizione, di comune accordo, ne parlarono solo sottovoce. È necessario premettere che non c’era vento a quell’ora. Poco più tardi si levò un forte vento ma, in quel momento, l’aria era immobile. Non si muovevano nemmeno i secchi steli degli alti cespugli di erisimo, grigi e inariditi, né la frangia che pendeva dal tetto del barroccio. Eppure, in quella calma piena di tensione e di malvagità, i rami spogli di tutti gli alberi dell’aia si muovevano. Si contorcevano misteriosamente e spasmodicamente, tendendosi folli e convulsi verso le nubi illuminate dalla luna. Graffiavano impotenti l’aria venefica, come se fossero intimamente legati a orrori sotterranei, che si torcevano e lottavano al di sotto delle radici annerite.

Tutti trattennero il fiato per parecchi secondi. Poi, una nube più scura coprì la luna, e il profilo dei rami contorti momentaneamente svanì. Allora si alzò un solo grido, rauco e soffocato dall’orrore, da tutte le gole.

Il terrore non era svanito con lo svanire della luce della luna; in quel terribile momento di tenebre più fitte, i sette uomini videro muoversi all’altezza della cima degli alberi un migliaio di puntini dalla luminosità fievole e maligna. I puntini di luce coronavano ogni ramo, simili a fuochi fatui o alle fiamme che discesero sulla testa degli Apostoli durante la Pentecoste. Era una costellazione mostruosa di luce innaturale, simile ad uno sciame di lucciole, satolle di carne putrefatta, che danzino una sarabanda infernale in una palude maledetta.

Le luci avevano quello stesso colore alieno ed indescrivibile che Ammi era arrivato a riconoscere e a temere. Nel frattempo, il raggio fosforescente proveniente dal pozzo diventava sempre più luminoso, creando nelle menti degli spettatori un senso di fatalità e di anormalità, che per lungo tempo accompagnò ogni immagine creata dalla loro coscienza. Il raggio non usciva più dal pozzo, ma ne sgorgava; quel torrente informe di colore indefinibile pareva scorrere verso il cielo.

Il veterinario rabbrividì, e si avvicinò alla porta che dava sull’aia per chiuderla con una pesante sbarra. Ammi non era meno tremante, e dovette dare uno strattone al vicino e indicare con il dito – dato che gli mancava la voce – quando volle far notare la crescente luminosità degli alberi. I nitriti e gli scalpiccii dei cavalli erano diventati spaventosi, ma non un uomo in quel gruppo si sarebbe avventurato fuori dall’antica casa, per nessuna ricompensa al mondo.

Con il passare dei secondi, lo scintillio degli alberi aumentava, mentre i rami inquieti si tendevano sempre più verticalmente verso il cielo. Il legno che rivestiva il pozzo prese a scintillare e, poco dopo, un poliziotto indicò senza parlare i capanni di legno e le arnie, dal lato del muro di pietra che dava ad ovest. Cominciavano a scintillare anch’essi, sebbene fino a quel momento il barroccio ed il calesse non fossero stati contaminati. Poi si sentì un grande frastuono e uno scalpitio di zoccoli sulla strada. Quando Ammi spense la lampada per vedere meglio, tutti compresero che i due cavalli grigi avevano sradicato gli arbusti cui erano attaccati ed erano scappati trascinandosi dietro il barroccio.

L’incidente sciolse le lingue, e gli uomini si scambiarono dei sussurri imbarazzati.

«Si stende su tutta la materia organica che si trova in questa zona», mormorò il medico legale.

Nessuno replicò, ma l’uomo che aveva sondato il pozzo bisbigliò che forse la lunga asta aveva smosso qualcosa di spaventoso. «Era orribile», aggiunse. «Non aveva fondo. Solo fango, bolle, e la sensazione che laggiù si nascondesse qualcosa.»

Il cavallo di Ammi ancora scalciava e lanciava urla assordanti, e per poco non soffocò con i suoi nitriti la fievole voce tremula del suo padrone, che mormorava le sue sconnesse riflessioni.

«È venuta da quella pietra... è cresciuta laggiù... Prende tutto ciò che è vivo... si nutre degli esseri viventi, anima e corpo... Thad, Merwin, Zenas, Nabby... Nahum è stato l’ultimo... tutti loro bevevano l’acqua... ne hanno subito l’influsso... Viene da un mondo dove le cose non sono come nel nostro... e adesso torna da dove è venuta...»

A questo punto, quando la colonna di colore indefinibile si accese di un bagliore più intenso e cominciò a intrecciarsi in forme fantastiche che in seguito ogni spettatore descrisse in modo diverso, il povero Hero emise un suono che nessuno aveva mai sentito uscire dalla gola di un cavallo. Tutti quelli che erano nel soggiorno dal basso soffitto si turarono le orecchie, e Ammi si allontanò dalla finestra, pieno di orrore e di nausea.

Le sue sensazioni non si possono comunicare con le parole... Quando Ammi guardò di nuovo in direzione dell’aia, lo sventurato animale giaceva inerte sul prato illuminato dalla luna, tra le stanghe frantumate del calesse. Questa fu l’ultima immagine di Hero, finché non andarono a seppellirlo il giorno dopo.

Ma Ammi non ebbe il tempo di addolorarsi perché, quasi nello stesso istante, un poliziotto richiamò silenziosamente l’attenzione su qualcosa di terribile che era nella stanza, insieme a loro. Con la lampada spenta, era chiaramente visibile una debole fosforescenza che aveva cominciato a pervadere tutta la casa. Baluginava sul pavimento dalle larghe assi, laddove il tappeto le lasciava scoperte, e luccicava sui telai delle piccole finestre. Correva lungo le travi portanti, brillava sulla mensola del camino, e contaminava le porte ed i mobili. Ad ogni minuto si intensificava e, alla fine, fu chiaro che era necessario che ogni essere vivente lasciasse quella casa.

Ammi mostrò agli altri la porta sul retro e il sentiero che risaliva tra i campi fino al pascolo di dieci acri. Camminarono storditi, come in sogno, e non osarono guardarsi alle spalle finché non furono lontani, sulla collina. Furono contenti che ci fosse quel sentiero, perché non avrebbero mai potuto scappare per la strada principale passando accanto al pozzo.

Fu già abbastanza brutto oltrepassare il granaio e i capannoni scintillanti, e quei baluginanti alberi da frutta con i loro contorni maligni e diabolici ma, grazie al cielo, i rami si contorcevano verso l’alto. La luna rimase coperta da nubi nere mentre attraversavano il rozzo ponte sul Chapman’s Brook, e annaspavano alla cieca fino ai campi aperti.

Quando guardarono indietro verso la valle e la lontana fattoria dei Gardner, videro uno spettacolo agghiacciante. Tutto scintillava in quella ignota tonalità di colore: alberi, costruzioni, e perfino l’erba, che non aveva assunto quel letale aspetto, grigio e friabile. I rami erano tutti tesi verso il cielo, e coronati da lingue di fuoco; torrentelli dello stesso fuoco mostruoso scendevano lungo le grondaie della casa, del fienile e dei capanni. Sembrava una scena presa da un quadro di Fuseli, e su tutto il resto regnava quel torrente di luce amorfa, quell’arcobaleno alieno ed informe della misteriosa sostanza venefica uscita dal pozzo; ribollente, senziente, ondeggiante, scintillante e gorgogliante nel suo cromatismo cosmico e ignoto.

Poi, senza preavviso, quell’orribile luminosità si slanciò verso il cielo come un razzo o una meteora, senza lasciare tracce. Sparì in un buco tra le nuvole, dalla forma circolare e stranamente regolare, prima che qualcuno potesse emettere un suono. Nessuno di quelli che l’hanno vista potrà mai dimenticare quella visione, e Ammi fissò inebetito la costellazione del Cigno, nella quale Deneb risaltava tra le stelle per la sua luce. Tra quegli astri, l’ignoto colore si era perso nella Via Lattea.

Ma uno schianto nella vallata riportò subito dopo il suo sguardo sulla terra. Accadde solo questo: solo un rumore di legno che si spacca e si schianta, e non il boato di un’esplosione, come affermarono molti altri del gruppo. Eppure il risultato fu lo stesso perché, in un istante febbrile e caleidoscopico, da quella fattoria maledetta e dannata eruppe un diluvio di scintille e di sostanza innaturale che abbagliò quei pochi che lo videro, e bombardò lo zenit con un nugolo di frammenti dai colori fantastici che il nostro mondo non possiede.

Attraverso le nuvole, che si erano rapidamente riformate, i frammenti colorati seguirono la mostruosità che era scomparsa, e in un attimo scomparvero anch’essi. Nella vallata restarono solo tenebre verso le quali gli uomini non osarono tornare. Poi si alzò un vento che sembrava arrivare in folate scure e gelide dagli spazi astrali. Urlava, ululava, e sferzava i campi ed i boschi contorti di una folle frenesia cosmica, finché gli atterriti spettatori compresero che sarebbe stato inutile aspettare che la luce lunare mostrasse che cos’era rimasto della fattoria di Nahum.

Troppo spaventati per abbozzare qualche teoria, i sette uomini tremanti si trascinarono verso Arkham, lungo la strada che correva a nord. Ammi era in condizioni peggiori dei suoi compagni, e li pregò di accompagnarlo a casa, invece di continuare diritti per la città. Non aveva il coraggio di attraversare da solo i boschi rinsecchiti e spazzati dal vento che lo dividevano dalla sua casa.

Ammi aveva vissuto un’esperienza sconvolgente che agli altri era stata risparmiata e, per molti anni a venire, fu perseguitato da una paura opprimente di cui non osava parlare. Mentre gli altri spettatori su quella collina battuta dal vento avevano rivolto la faccia verso la strada, Ammi si era girato per un istante a guardare quella cupa valle di desolazione che aveva ospitato il suo disgraziato amico. E da quel luogo contaminato, alieno, aveva visto qualcosa alzarsi debolmente, solo per riaffondare nel punto preciso da cui il grande orrore informe si era lanciato verso il cielo. Era solo un colore, ma un colore che non apparteneva né alla terra né al cielo. E, poiché Ammi conosce quel colore, e sa che un ultimo debole residuo deve ancora celarsi nelle profondità del pozzo, la sua testa non è completamente a posto.

Ammi non si è più avvicinato a quel luogo. Sono passati quarantaquattro anni da quei giorni orribili, ma lui non è più tornato nella valle, e sarà felice solo quando il nuovo bacino idrico la cancellerà. Anch’io ne sarò felice, perché non mi piacciono i colori che la luce del sole assume intorno a quel pozzo abbandonato. Spero che l’acqua sarà sempre molto profonda ma, anche se sarà così, non la berrò mai.

Penso che non rivedrò più i dintorni di Arkham. Tre degli uomini che erano stati con Ammi tornarono la mattina dopo a vedere le rovine alla luce del sole, ma non c’erano rovine vere e proprie. Solo i mattoni del comignolo, le pietre della cantina, alcuni frammenti minerali e metallici, e l’imboccatura di quel pozzo nefasto. Tranne che per il cavallo morto di Ammi, che essi trascinarono via per seppellirlo, e il calesse che restituirono al proprietario, la vita aveva lasciato quel luogo.

Restavano solo cinque acri maledetti di polvere grigia e, da allora, non vi è mai più cresciuto niente. Oggi si allarga ancora sotto il cielo nei boschi e nei campi come una grande macchia fatta da un acido, e i pochi che hanno avuto il coraggio di guardarla, malgrado i racconti dei contadini, l’hanno chiamata la Landa Maledetta.

I racconti dei contadini sono bizzarri. Sarebbero ancora più bizzarri se i cittadini di Arkham e i chimici dell’Università si prendessero la pena di analizzare l’acqua di quel pozzo in disuso, e la polvere grigia che nessun vento riesce a soffiare via. Anche i botanici dovrebbero studiare la flora avvizzita che è ai margini della vallata; forse potrebbero dire se ha ragione chi afferma che l’avvizzimento si estende a poco a poco, forse di un paio di centimetri l’anno.

La gente dice che il colore dell’erba intorno a quella zona non è proprio normale in primavera, e che d’inverno le bestie selvatiche lasciano strane impronte sul sottile strato di neve. La neve non è mai molto alta sulla Landa Maledetta. I cavalli – i pochi rimasti in questa civiltà delle macchine – diventano ombrosi quando passano per quella valle silenziosa; e i cacciatori non possono fidarsi dei propri cani quando sono troppo vicini alla macchia di polvere grigia.

Dicono che anche l’influsso sulla mente sia negativo in quella regione; molti sono diventati un po’ tocchi negli anni successivi alla morte di Nahum, e in comune avevano la caratteristica di non trovare la forza di andarsene. Allora, tutte le persone sane di mente hanno lasciato la regione, e solo gli stranieri hanno tentato di vivere nelle vecchie fattorie cadenti. Ma nemmeno loro hanno resistito; e talvolta ci si chiede se un intuito più acuto degli altri abbia loro permesso di vedere i fenomeni soprannaturali di cui sussurrano.

I loro sogni notturni – come affermano – sono spaventosi in quella regione grottesca – e, senza dubbio, il solo aspetto di quell’oscuro reame è sufficiente a provocare delle fantasie morbose. Tutti i viaggiatori hanno avvertito un senso di stranezza in quelle profonde gole, e gli artisti rabbridiviscono nel ritrarre quei fitti boschi il cui mistero colpisce sia gli animi che gli occhi.

Anch’io sono sconcertato dalla sensazione che produsse in me la mia unica visione di quel luogo, prima che Ammi mi narrasse la sua storia. Quando scese il crepuscolo, desiderai che qualche nube si addensasse in cielo, perché nel mio animo si era insinuato uno strano timore per i profondi abissi celesti.

Non chiedetemi la mia opinione. Non so niente: questo è tutto. Solo Ammi è in grado di rispondere; perché gli abitanti di Arkham non amano parlare degli strani giorni, e i tre professori che videro il meteorite e il suo globulo colorato sono tutti morti. C’erano altri globuli, ne sono convinto. Uno si nutrì e fuggì, ma probabilmente ce n’era un altro che non fece a tempo.

Senza dubbio, è ancora nel pozzo: ho visto con i miei occhi che la luce del sole assume strani colori sulla sua imboccatura. I contadini dicono che l’avvizzimento avanza di un paio di centimetri all’anno: allora è probabile che ancora oggi il globulo si nutra e cresca. Ma, qualunque sia la forza maligna che si cela in quel luogo, dev’essere prigioniera; altrimenti si sarebbe estesa rapidamente. Forse è abbarbicata alle radici di quegli alberi che artigliano l’aria? Ad Arkham si dice che ci siano grandi querce che la notte scintillano e si agitano come non dovrebbero.

Che cosa sia, solo Iddio lo sa. Credo che, da un punto di vista scientifico, la cosa descritta da Ammi si potrebbe definire un gas, ma questo gas obbediva a leggi che non appartengono al nostro cosmo. Non era un frutto dei mondi e dei soli che splendono nei telescopi e sulle lastre fotografiche dei nostri osservatori. Non veniva dai cieli i cui movimenti e le cui dimensioni vengono misurate o ritenute incommensurabili dai nostri astronomi. Era solo un colore che veniva dallo spazio, un terribile messaggero proveniente dagli informi reami dell’infinito che si estende aldilà della Natura a noi nota; da reami la cui sola esistenza annebbia la mente e ci ottenebra con i neri abissi extra-cosmici che spalanca davanti ai nostri occhi atterriti.

Dubito fortemente che Ammi mi abbia mentito coscientemente, e non penso che il suo racconto fosse solo il delirio di un pazzo, come mi avevano preavvertito gli abitanti di Arkham.

Qualcosa di terribile arrivò insieme al meteorite sulle montagne e nelle valli; e qualcosa di terribile – benché non sappia in quali proporzioni – rimane ancora. Sarò felice di veder sommergere dall’acqua quella landa. Nel frattempo, spero che non succeda niente ad Ammi. Ha visto così tanto di quella cosa il cui influsso era così insidioso! Perché non è mai riuscito ad andarsene? Con quanta chiarezza ricorda le ultime parole di Nahum: «Non puoi andar via... ti attira... sai che qualcosa sta per venire, ma è inutile...».

Ammi è un buon vecchio... Quando cominceranno i lavori per il bacino di riserva, scriverò all’Ingegnere Capo per dirgli di tenerlo sotto controllo. Sarebbe tremendo pensare che possa diventare quella mostruosità grigia, contorta e prosciugata che continua a turbare i miei sogni.