La demistificazione etologica della religione

 

 

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Demistificazione etologica della divinità

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Demistificazione etologica  della divinità (da Desmond Morris,  La scimmia nuda)

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Nel passo che segue il famoso zoologo ed etologo Desmond Morris espone la sua convinzione che la figura di un dio onnipotente che richiede la nostra soggezione non sia che un retaggio della nostra natura di primati geneticamente predisposti alla obbedienza al maschio più forte del gruppo

 

Riguardo al problema religioso, forse è  bene osservare più attentamente questo strano aspetto del comportamento animale, prima di continuare a trattare  gli altri lati delle attività aggressive della nostra specie. Non è un soggetto facile da affrontare, ma come zoologi dobbiamo fare del nostro meglio per osservare quello che accade in realtà piuttosto che ascoltare quello che si presume stia accadendo. Pertanto, siamo obbligati a concludere che, dal punto di vista del comportamento, le manifestazioni religiose consistono nella riunione di gruppi numerosi di individui che compiono ripetute e prolungate esibizioni di sottomissione intese a placare un individuo dominatore il quale nelle diverse civiltà assume forme svariate che hanno sempre in comune tra loro l’elemento di una immensa potenza. Talvolta esso assume la forma di un animale appartenente ad un’altra specie oppure di una sua versione idealizzata. Talvolta viene raffigurato come un membro saggio ed anziano della nostra razza. Talaltra invece diventa più astratto e viene indicato semplicemente come lo “stato” o con termini del genere. Le reazioni di sottomissione nei suoi riguardi possono consistere nel chiudere gli occhi, piegare il capo, stringere le mani insieme in un gesto di preghiera, inginocchiarsi, baciare il terreno, fino a una prosternazione completa frequentemente accompagnata da lamenti o da vocalizzazioni cantate. Se queste manifestazioni di sottomissione hanno successo, l’individuo dominatore si placa. Poiché i suoi poteri sono enormi, le cerimonie di pacificazione devono essere compiute a frequenti e regolari intervalli, in modo da impedire che la sua collera sorga di nuovo. Spesso, ma non sempre, l’individuo dominatore viene indicato come un dio. Dato che nessuna divinità ha una forma tangibile, perché gli dei sono stati inventati? Per trovare questa risposta dobbiamo ritornare alle nostre origini ancestrali. Prima di trasformarci in cacciatori animati da spirito di collaborazione, probabilmente noi vivevamo in gruppi sociali del genere che oggi si riscontra in altre razze di scimmie o di scimmioni. In queste razze, di solito, ogni gruppo è dominato da un solo maschio. Egli è signore e padrone e ogni membro del gruppo è tenuto a placarlo per non soffrirne le conseguenze. Egli è anche il più attivo nel proteggere il gruppo dai pericoli esterni e nel sedare le controversie tra i membri inferiori. Tutta la vita dei membri di questi gruppi si impernia intorno all’animale dominatore, la cui assoluta potenza gli conferisce uno stato di divinità. Ritornando ai nostri immediati predecessori, è chiaro che con lo sviluppo dello spirito di collaborazione tanto importante per il successo della caccia di gruppo, l’autorità dell’individuo dominatore dovette essere fortemente limitata, se questi voleva conservare la lealtà attiva, invece che passiva, degli altri membri del gruppo. Essi dovevano desiderare di aiutarlo, non temerlo semplicemente. Egli doveva diventare sempre più “uno di loro”. La scimmia tiranno vecchio stile dovette scomparire e al suo posto sorse un capo scimmione nudo più tollerante e collaborativo. Questo passo fondamentale per il nuovo tipo di organizzazione basata “sull’aiuto reciproco” che si stava sviluppando, fece però sorgere un problema. Poiché l’assoluto dominio del Numero Uno del gruppo era stato sostituito da un dominio di tipo qualificato, questi non poteva più pretendere una fedeltà cieca. Questo cambiamento nell’ordine delle cose, pur così vitale per il nuovo sistema sociale, creò un vuoto. A causa delle nostre antiche abitudini, esisteva la necessità di una figura dalla potenza assoluta, in grado di mantenere unito il gruppo; questo vuoto venne riempito dall’invenzione di un dio. In tal modo, l’influenza di questa figura divina, inventata, si aggiunse come una ulteriore forza all’influsso, ora limitato, del capo del gruppo. A prima vista, è sorprendente che la religione abbia avuto tanto successo, ma la sua estrema potenza è semplicemente dovuta alla forza delle nostra fondamentale tendenza biologica, ereditata direttamente dai nostri antenati scimmie e scimmioni, a sottometterci ad un membro del gruppo onnipotente e dominatore. Per questo motivo la religione si è dimostrata un meccanismo di valore immenso nel favorire l’unione sociale e non sappiamo se, senza di essa, la nostra specie avrebbe potuto spingersi così lontano, data la combinazione unica di circostanze delle nostre origini evolutive. Essa ci ha portato a diverse e bizzarre conseguenze collaterali, come il credere in “un’altra vita” in cui infine ci incontreremo con le figure degli dei. Questi, per le ragioni già spiegate, non hanno potuto raggiungerci nella vita presente, ma questa omissione potrà essere corretta nella vita ultraterrena. Per facilitare tutto ciò, si sono sviluppati tipi svariatissimi di pratiche strane in rapporto al modo di disporre del nostro corpo dopo la morte.

La religione ha dato luogo a molte inutili sofferenze e miserie quando è stata applicata troppo formalisticamente e quando gli “assistenti” professionali degli dei non sono stati capaci di resistere alla tentazione di prendere in prestito un poco della sua potenza e di servirsene. Nonostante la sua storia presenti molteplici aspetti, essa costituisce un lato della nostra vita sociale, di cui non possiamo fare a meno. Quando diventa inaccettabile, viene respinta semplicemente e talvolta con violenza, ma in meno che non si dica ritorna in una nuova forma, magari accuratamente mascherata, ma sempre con gli stessi vecchi elementi fondamentali. Noi dobbiamo semplicemente “credere” in qualche cosa. Soltanto un credo comune ci unisce e ci tiene sotto controllo. Con questi presupposti, si potrebbe obiettare che qualunque credenza dovrebbe andare bene, purché abbastanza potente, ma questo non è completamente vero. Bisogna che essa eserciti una certa impressione e che questa sia evidente. La nostra natura comunitaria esige un’effettuazione ed una partecipazione  in complicati riti di gruppo. Eliminando la “pompa” e l’”ambiente” si verrebbe a creare un terribile vuoto culturale e l’indottrinazione non riuscirebbe ad operare adeguatamente al profondo livello emotivo ad essa tanto vitale. Inoltre, alcuni tipi di credo sono più inutili e pomposi di altri e possono far deviare una società in rigidi schemi di comportamento che ne ostacola lo sviluppo qualitativo. Come razza, noi siamo degli animali intelligenti e amanti dell’esplorazione e le credenze legate a questo fatto ci riescono molto vantaggiose. La credenza nella validità dell’acquisizione della conoscenza e della comprensione scientifica del mondo in cui viviamo, la creazione e l’apprezzamento dei fenomeni estetici nelle loro molteplici forme e l’ampliamento e l’approfondimento della nostra gamma di esperienze nella vita quotidiana, sta rapidamente diventando la “religione” della nostra epoca. L’esperienza e la comprensione sono le nostre figure divine astratte che l’ignoranza e la stupidità fanno adirare. Le scuole e le università sono i nostri centri di addestramento religioso; le librerie, i musei, le gallerie d’arte, i teatri, le sale di concerto e le palestre sportive, i nostri luoghi di adorazione comune. A casa noi pratichiamo questa adorazione mediante i libri, i giornali, le riviste, la radio e la televisione. In un certo senso, noi crediamo ancora in una vita ultraterrena, perché una parte del compenso che riceviamo dal nostro lavoro creativo sta nella sensazione che per suo mezzo noi “continueremo a vivere”, anche dopo morti. Come tutte le religioni, anche questa ha i suoi pericoli, ma se dobbiamo averne una (e pare proprio che sia così), questa sembra senz’altro la più adatta alla caratteristiche uniche della nostra specie. Il fatto che essa venga adottata da una maggioranza sempre crescente della popolazione mondiale, può servire come compenso e come fonte di ottimismo e di rassicurazione contro il pessimismo espresso prima riguardo al nostro immediato futuro come specie sopravvivente.