TUTTO CIO' CHE OCCORRE SAPERE SUL CALCIO E LE OSSA

 

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indice

Il calcio, le ossa e voi

Il calcio nel corpo umano

Il calcio e lo scheletro

Riparazione e ricostruzione

L'economia del calcio e il rimodellamento del tessuto osseo

Quanto tessuto osseo avrai?

La storia della vitamina D

Il calcio in cibi e bevande

Il fabbisogno di calcio e i livelli di assunzione raccomandati

Come gli alimenti influiscono sull'utilizzo del calcio da parte dell'organismo

Perché qualcuno ha più bisogno di calcio di altri

L'assunzione "naturale" di calcio

Quanto calcio assumiamo?

Che cosa significa avere l'osteoporosi

Calcio e osteoporosi: prevenzione e cura

Oltre al calcio, cosa occorre per avere ossa sane?

Se non lo usi lo perdi: il calcio e l'attività fisica

Il problema dell'anoressia mentale

L'importanza del calcio per una bocca sana

Se siete malati: gli effetti di una malattia grave sullo scheletro

Oltre l'osteoporosi: cancro, ipertensione, problemi dentali

Come calcolare il vostro fabbisogno di calcio

Il calcio è innocuo?

Come aumentare il calcio nell'alimentazione

Quante fandonie si dicono sul latte!

Gli integratori di calcio

Migliorare gli alimenti arricchendoli di calcio

Chi rischia l'osteoporosi?

I metodi per misurare la massa ossea

Il problema estrogeno

Dedicato ai genitori

Dedicato ai figli di genitori anziani

Se avete l'osteoporosi

Non ci sono pillole magiche

Il calcio e la vita

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il calcio, le ossa e voi

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Sebbene la medicina sapesse da molto tempo che il calcio era un elemento importante delle nostre ossa, non è sempre  stato chiaro che la quantità di calcio presente nella dieta è un fattore importante per la salute dello scheletro anche dopo aver smesso di crescere.

In uno dei primi gruppi di ricerca i soggetti (un convento di suore) che assumevano con la dieta basse dosi di calcio perdevano ogni giorno più calcio di quanto ne prendessero. Quelle che prendevano molto calcio mantenevano un certo equilibrio.

Secondo le raccomandazioni scaturite dal Convegno NH sull'osteoporosi del 1984, le donne di mezz'età che avevano ancora ormoni femminili dovevano assumere 1000 milligrammi di calcio al giorno e quelle in menopausa 1500 mg.

Nei paesi sviluppati circa il 10% della popolazione, per la maggior parte donne anziane, soffra di osteoporosi. L'osteoporosi è la principale causa di fratture in vecchiaia. Una donna che viva fino a 85 anni ha una probabilità su tre di rompersi un femore e il 50% di probabilità di fratturarsi qualche altro osso, a causa dell'osteoporosi. Una persona su sei muore in seguito alla frattura del femore e ai problemi connessi. La frattura del femore porta a una perdita di autonomia, spesso al ricovero in un istituto, per circa la metà di quelli che sopravvivono.

 

 

 

 

il calcio nel corpo umano

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Una donna adulta ha circa 800-1100 grammi di calcio nell'organismo e un uomo adulto 1000-1400. Nel 99% nello scheletro; 7-8 grammi nelle cellule, come innesco per la maggior parte delle attività cellulari; 1 grammo nei liquidi e nel sangue che circondano e irrorano i tessuti (liquido extracellulare).

La quantità di calcio nell'alimentazione non influisce sulla quantità di calcio nelle cellule e nei liquidi organici. L'organismo regola rigorosamente anche il livello di calcio nei liquidi interni. Circa il 15% del peso corporeo è liquido extracellulare che pervade tutti i nostri tessuti e organi. L'organismo fa del suo meglio per regolare il livello del calcio e di molti altri elementi critici in questo "mare" interno. Il calcio è fornito da molti sistemi di riserva. Questo sistema è importante, perché ci permette di non dipendere dalle variabili legate all'alimentazione. Ma è un ostacolo alla valutazione della quantità di calcio nell'organismo: il livello di calcio nel liquido extracellulare si mantiene normale anche in presenza di una forte carenza  di calcio alimentare. Questo succede perché lo scheletro viene utilizzato come serbatoio di calcio: conserva un po' di quello assunto in eccesso e lo fornisce se la dieta è carente. Le ossa funzionano come riserva di calcio e fosforo.

Noi perdiamo calcio ogni giorno. In parte perché le cellule vengono distrutte. La pelle morta si desquama, capelli e unghie, che consistono di cellule essiccate che contengono calcio, cadono e si riformano continuamente. Tutto il rivestimento dell'intestino si rinnova più o meno ogni cinque giorni e le cellule ricadono all'interno dell'intestino dove vengono digerite. Parte del calcio che contengono viene ricuperato, ma inevitabilmente parte è perso con le feci. Anche sudore, succhi gastrici, saliva, bile, muco prodotto nel colon, sperma, lacrime, mestruo, muco nasale contengono un po' di calcio e altro se ne perde durante gravidanza e allattamento. L'urina contiene calcio in quantità variabile ma comunque sostanziale. Questa perdita di calcio, e il corrispondente prelievo di calcio dal liquido extracellulare, costituiscono quello che si definisce "perdita obbligatoria".

Il calcio che si perde con urina e secrezioni proviene dal liquido extracellulare, da cui le nuove cellule lo prendono. In condizioni di estrema denutrizione l'organismo riduce questa perdita obbligatoria a 100 milligrammi al giorno, ma la norma è 150-200 milligrammi.

Per la maggior parte degli animali il calcio ambientale è abbondante. Il fatto che il calcio sia generalmente abbondante ha portato in molti animali a un assorbimento relativamente modesto del calcio alimentare. Gli esseri umani civilizzati sono i primi animali con una dieta relativamente povera di calcio, anche se sfortunatamente abbiamo un sistema digerente  che nel corso di migliaia di anni ha dovuto adattarsi a un eccesso. Questa è la ragione per cui il calcio è attualmente un problema.

 

 

 

 

il calcio e lo scheletro

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Il tessuto osseo è fatto di un fitto reticolo di fasci di fibre proteiche disposti a strati, come un legno compensato. In questi fasci si di­spongono fittamente i cristalli minerali, il fosfato di calcio. Il tes­suto osseo è una stupenda struttura ingegneristica, in quanto le fi­bre proteiche rendono le ossa robuste ed elastiche e i cristalli le ren­dono dure. Il calcio costituisce circa il 20-25 del peso osseo.

 

 

 

 

Il tessuto osseo è formato da una fitta rete di fibre costituite so­prattutto da una proteina detta collagene. Le fibre sono catene proteiche estremamente lunghe avvolte su se stesse, come una grossa corda o un cavo d'acciaio. Nel tessuto osseo queste fibre sono disposte a strati alterni, come in un legno compensato. Negli interstizi di queste fibre ci sono piccoli cristalli di sali di calcio, soprattutto un tipo di fosfato di calcio chiamato idrossiapatite, ma è presente anche una certa quantità di carbonato di calcio. Il calcio costituisce circa il 20-25  del peso del tessuto schele­trico. Le proprietà fisiche del tessuto osseo sono il risultato di una complessa interazione fra le fibre proteiche elastiche e i cri­stalli minerali duri. Le fibre proteiche rendono le ossa robuste e flessibili, i cristalli le rendono dure.

Le strutture del tessuto osseo sono disposte in un efficacissi­mo disegno architettonico che attua la massima robustezza e du­rezza con il minore materiale possibile. Come mostra il disegno, ogni osso lungo - come quelli delle braccia, gambe, mani e pie­di - consiste in una struttura cava, tubolare, con pareti com­patte, molto simile a un pezzo di tubo. Ne ricoprono le estremi­tà dei reticoli tridimensionali di sottili lamelle ossee che si in­tersecano a vicenda e si allargano per sostenere la superficie delle articolazioni. Il tessuto osseo compatto si chiama osso corticale. il tessuto osseo a reticolo alle estremità si chiama osso spugnoso o trabecolare e le lamelle all'interno di questo tipo di tessuto osseo si chiamano trabecole. Altre ossa, incluse le vertebre e la pelvi, sono costituite da un sottile strato di osso corticale e da un in­terno pieno di osso trabecolare formato da lamelle disposte a nido d'ape. Il peso del corpo è sostenuto dalle trabecole verticali, ma da sole queste non sono tanto solide da poter sostenere un gros­so carico. Le trabecole orizzontali agiscono come dei "tiranti" per impedire il cedimento delle lamelle verticali e perciò garan­tiscono una grande robustezza con pochissima massa. È davve­ro una struttura stupenda.

Per quanto solido e duro sia il tessuto scheletrico, anche le sottili lamelle ossee non sono completamente compatte. Le cel­lule viventi che formano il 4 del volume del tessuto osseo vi sono uniformemente distribuite (come si può vedere nella figu­ra 4). Sebbene costituiscano solo una piccolissima parte della mas­sa ossea, le cellule del tessuto osseo sono estremamente impor­tanti. Poiché queste cellule viventi hanno bisogno di essere ri­fornite di ossigeno e di energia, occorre che siano a contatto con il flusso sanguigno. Così una rete di piccoli capillari percorre tutto il tessuto osseo. Sebbene le cellule sembrino isolate all'interno della sostanza ossea, in realtà sono in contatto tra di loro, e an­che con i vasi sanguigni che le nutrono, attraverso 'una rete di piccoli canali che attraversano il tessuto osseo. Il protoplasma

di queste cellule si diffonde attraverso questi canali. Ogni cellu­la del tessuto osseo è come un piccolo polpo i cui tentacoli si al­largano su tutto l'ambiente circostante.

Le cellule immerse nel tessuto osseo si chiamano osteociti. Ori­ginariamente erano cellule deputate alla formazione delle ossa (chiamate osteoblasti), ma nel corso della formazione di nuovo tessuto osseo vi si sono murate dentro, continuando a vivere sen­za più formare tessuto osseo ma svolgendo un'altra funzione es­senziale, di cui parleremo in seguito.

Le superfici interna ed esterna del tessuto osseo sono ricoperte da uno strato di cellule viventi, inattive per la maggior parte del tempo, ma che possono diventare osteoblasti e formare nuovo tessuto osseo. Nello scheletro si trovano anche, almeno nei cen­tri di demolizione attiva del tessuto osseo, delle cellule giganti che erodono la superficie del tessuto osseo. Si chiamano osteo­clasti. Osteociti, osteoblasti e osteoclasti sono gli attori compri­mari nel processo di rimodellamento del tessuto osseo.

 

 

 

 

riparazione e ricostruzione

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Sebbene le ossa siano robuste e abbastanza elastiche, la normale usu­ra quotidiana determina microscopiche incrinature e alterazioni, che vengono riparate con un processo continuo di rimodellamento, in cui il tessuto osseo prima è distrutto e poi ricostruito. n rimo­dellamento del tessuto osseo procede quasi esattamente come la ri­strutturazione delle nostre case. Viene organizzato in piccoli pro­getti singoli che vengono portati a termine da cellule specializzate.

 

Il rimodellamento del tessuto osseo è continuo. Negli adulti, dal 6 al 12  di tutto lo scheletro viene sostituito ogni anno. Se que­sto rimodellamento riguardasse tutto lo scheletro (il che non av­viene), ci si ritroverebbe con uno scheletro completamente nuovo ogni otto-dodici anni. Nei bambini e negli adolescenti il proces­so è molto più rapido che negli adulti.

Il rimodellamento del tessuto osseo è molto simile alla ristrut­turazione di un edificio. Anche le ragioni per farlo sono simili. C'è stato un danno, e occorre sostituire il materiale danneggia­to; oppure vogliamo utilizzarne una parte per uno scopo diver­so, e abbiamo bisogno di apportare delle modifiche perché sia più rispondente ai nostri desideri. La figura 5 illustra le fasi di questa importante attività. La fase A mostra un microsco­pico frammento di tessuto osseo con cellule di rivestimento inat­tive sulla sua superficie. È indicata una piccola area di micro-­danno.

 

 

Nel ristrutturare un edificio, prima di tutto gli operai rimuovono la parte danneggiata. Nel tessuto osseo (B) questo compito è affidato alle cellule specializzate chiamate osteoclasti. La rimo­zione del vecchio tessuto osseo deve precedere la sua sostitu­zione con nuovo tessuto.

 

Nuova costruzione

Dopo che il tessuto osseo è stato eliminato, gli osteoclasti sento­no in qualche modo che il loro compito è finito e si allontanano dal cantiere, lasciandosi dietro uno scavo ben pulito (C) o tal­volta persino una galleria. In circostanze normali, agli osteocla­sti succedono molto rapidamente gli osteoblasti che cominciano subito a formare nuovo tessuto osseo (D). Prima di tutto produ­cono le fibre di collagene che costituiscono la matrice del tessu­to osseo e le posano sulla superficie scavata da poco, orientan­dole in modo da dare robustezza al nuovo tessuto osseo nella di­rezione in cui è probabile che venga sollecitato.

 

Mineralizzazione

A questo punto il nuovo tessuto osseo è soltanto un reticolo pro­teico, composto per metà da proteina e per metà da acqua (ed è già compatto, considerata la consistenza dei tessuti organici. La carne, che noi riteniamo sia un tessuto particolarmente ric­co di proteine, è per circa un quinto proteine e per quattro quinti acqua). Poi gli osteoblasti producono enzimi specializzati con lo scopo di agire sulla matrice proteica. Questi enzimi convertono una parte delle strutture fibrose in una configurazione che trat­tiene calcio e fosforo, provocando così la calcificazione dell'in­tera struttura in circa dieci giorni. Il minerale, accumulandosi, espelle l'acqua e vi si sostituisce. Allorché la calcificazione è com­pleta, tutta l'acqua è stata eliminata e tutto lo spazio è stato oc­cupato dalla proteina e dal minerale che lo incrostano (E). Nel frattempo gli osteoblasti si sono già allontanati dal sito che si sta calcificando e hanno depositato altri strati di matrice proteica, ognuno dei quali calcificherà a sua volta circa dieci giorni dopo la sua formazione.

In questo modo, i cristalli in fase di accrescimento letteralmen­te "succhiano" dal sangue il materiale per costruire il minerale osseo. Il tessuto scheletrico, quando è pienamente mineralizzato, contiene 800 volte tanto calcio quanto un uguale volume di li­quido extracellulare. La formazione di tessuto osseo costituisce uno dei principali deflussi di calcio dal liquido extracellulare. In effetti, in una donna adulta rappresenta circa due terzi della fuo­riuscita complessiva di calcio dal sistema (si veda la figura 6).

 

Organizzazione del processo di rimodellamento

La ricostruzione del tessuto osseo è organizzata in piccoli pro­getti distinti. Solo il 5-10 del tessuto osseo è sottoposto al pro­cesso di rimodellamento. Come avviene in un cantiere edile, il processo è limitato a siti specifici. Nel tessuto osseo, qualcosa deve dire agli osteoclasti dove devono fare il loro lavoro distrut­tivo e fino a che punto possono arrivare. Nessuno conosce an­cora il segnale che attiva questo processo. Eppure il processo di rimodellamento funziona. La sequenza di attivazione, distru­zione e riparazione avviene a livello microscopico, troppo pic­colo per poter essere visto a occhio nudo, e di solito invisibile anche ai raggi X. Ciascuna unità di lavoro in un adulto normale rimuove e sostituisce circa 0,1 millimetro cubo di tessuto osseo. Il che equivale a un decimo del volume occupato dalla capoc­chia di uno spillo. Ci sono quasi un milione di questi piccolissimi lavori di rimodellamento costantemente in corso in uno schele­tro adulto. In un individuo maturo il processo richiede da tre a sei mesi. Più le persone invecchiano, più occorre tempo e ne­gli scheletri di persone anziane si vede spesso che il lavoro è ri­masto incompiuto. Sembra che gli operai se ne siano andati pri­ma di aver finito il lavoro. O gli osteoblasti non sono arrivati a riempire lo scavo lasciato dagli osteoclasti, o si sono fermati pri­ma di aver ricostruito tutto il tessuto osseo scavato. Non sap­piamo esattamente perché.

Abbiamo notato all'inizio del capitolo che gli scopi del rimo­dellamento osseo e della ristrutturazione di un edificio sono si­mili: sostituire il materiale danneggiato o dare un nuovo assetto alla struttura perché risponda a nuovi scopi. In una casa o in un ufficio, materiale danneggiato e nuova sistemazione signifi­cano che si è rotta una conduttura dell'acqua, è scoppiato un incendio, O un ramo è caduto sul tetto, o gli infissi di una finestra sono marciti. Il danno deve essere riparato se non vogliamo che l'edificio cada a pezzi e divenga inutilizzabile. Ma che cosa si­gnifica "danno" in termini di tessuto osseo?

 

Perché le ossa calcificano e gli altri tessuti no

Tutti i tessuti connettivi, non solo il tessuto osseo, contengono fasci di fibre di collagene. Ma normalmente soltanto il tessuto os­seo calcifica. Questo succede perché le cellule che depongono le fibre negli altri tessuti connettivi non fanno il passo successivo, quello cioè di produrre enzimi che alterano la proteina in modo da trattenere il calcio. Questo secondo passo, riservato agli osteo­blasti, consente che la calcificazione di un nuovo tessuto osseo sia sostenuta da livelli di calcio nel liquido extracellulare che non favoriscono depositi di calcio altrove.

Questa è in parte la ragione per cui calcifichiamo ossa e denti, ma non altri tessuti.

Un'altra ragione è dovuta a una caratteristica particolare del sa­le di calcio presente nel tessuto osseo. La stessa sostanza chimi­ca può avere proprietà fisiche molto diverse quando i suoi atomi costitutivi sono disposti in modo differente. Il minerale fonda­mentale del tessuto osseo, come abbiamo visto, è un composto di calcio e fosfato chiamato idrossiapatite. Non si forma sponta­neamente se non in condizioni particolari. E gli enzimi presenti nella matrice proteica con dieci giorni di vita creano queste con­dizioni speciali. Nessuno sa esattamente come succeda, ma il ri­sultato è chiaro. Una volta che un piccolo cristallo di idrossiapa­tite comincia a formarsi, cresce finché non ha più spazio per espandersi. La concentrazione di calcio e fosforo nel liquido ex­tracellulare è più che sufficiente per permettere la crescita di cri­stalli di idrossiapatite. La stessa concentrazione di calcio altrove non porta alla calcificazione perché le condizioni necessarie alla calcificazione di solito esistono soltanto in un tessuto osseo che si stia riformando. Perciò calcificano le ossa ma non altri tessuti, nonostante siano tutti immersi nello stesso liquido extracellula­re e siano tutti in presenza degli stessi livelli di calcio e fosforo.

 

Le entrate e uscite giornaliere di calcio (in mg)

Il calcio che entra nel liquido extracellulare è riassorbito nel tessuto osseo (360 mg) o assorbito dall'alimentazione (200 mg)

Il calcio che esce dal liquido extracellulare è depositato nel tessuto osseo (360 mg) o escreto: urine 110 mg, succhi gastrici 90 mg

 

Riparazione del tessuto osseo danneggiato

Le ossa sono robuste e abbastanza elastiche, ma ci sono dei li­miti. Persino in condizioni normali nel materiale osseo compaiono delle microscopiche incrinature o delle alterazioni. Gli strati di fibre di collagene incrostate di minerale si separano, alcune fi­bre vengono strappate. Questa usura è troppo ridotta per esse­re visibile a occhio nudo o anche con i raggi X ed è molto diffici­le da evidenziare, persino con un microscopio. Ma metodi parti­colari utilizzati dai ricercatori che studiano i materiali dimostrano che incrinature e alterazioni sono effettivamente presenti. Si­mili all'usura da fatica dei metalli che si verifica nelle ali degli aerei, nei sostegni del motore di unjet e nei bulloni di un ponte. Una volta che questi difetti si verificano, tendono a peggiorare, proprio come uno strappo in un tessuto tende a estendersi, se non è tempestivamente ricucito.

Questo è il momento in cui gli osteociti, le cellule viventi del tessuto osseo, vengono alla ribalta. Sembra che siano il sistema di rilevamento del danno. Le incrinature da fatica nel materia­le osseo vengono a contatto con la rete tentacolare delle cellule osteociti che percorrono tutto il materiale extracellulare del tes­suto osseo. Quando un osso si incurva o si deforma - come suc­cede sempre in qualche misura quando lavoriamo o facciamo uno sforzo fisico - vi si verificano piccole scariche elettriche, in modo analogo a quanto succede quando le vibrazioni della puntina in un giradischi suscitano piccoli segnali elettrici che vengono am­plificati e trasformati in musica. Questo succede costantemen­te in quasi tutte le nostra ossa persino quando dormiamo, per­ché anche allora i muscoli esercitano su di esse delle forze. Per­ciò c'è un sottofondo costante di attività elettrica nelle ossa e gli osteociti ci sono abituati. Ma quando si produce anche la mi­nima incrinatura, le forze di curvatura o tangenziali tendono a concentrarsi lì, semplicemente perché è il punto in cui la strut­tura tende a "cedere" più facilmente. Quest'abnorme attività elettrica indica la presenza di un'alterazione e avverte gli osteo­citi che si è verificato un danno circoscritto.

Quello che succede in seguito non è del tutto noto. Sembra che gli osteociti trasmettano un segnale di danno, passandosi l'un l'altro il messaggio, attraverso i canali che percorrono il tessuto osseo, finché raggiunge le cellule di rivestimento su una super­ficie libera dove ci sono i vasi sanguigni. Qui, se abbastanza osteo­citi hanno trasmesso il segnale, viene attivato un "cantiere" di rimodellamento. Le cellule trasportate dal sangue nel punto in­teressato vengono trasformate in osteoclasti, e scavano all'in­terno nella direzione del segnale, fino a raggiungere la sede del­l'alterazione.

Sembra anche probabile che gli osteociti siano in grado di ef­fettuare da soli delle riparazioni temporanee, di fortuna, qual­cosa come stuccare con il gesso le fessure in una parete. Questa riparazione provvisoria non risolve il problema, ma può impedi­re che il difetto si estenda rapidamente.

Se i piccoli danni dovuti all'usura non vengono continuamente riparati con la sostituzione di nuovo tessuto osseo, si verifiche­ranno delle fratture anche in un tessuto osseo apparentemente normale. Piccoli difetti, lasciati alloro destino, diventano sem­pre più grossi, anche senza altre sollecitazioni che quelle dovu­te all'attività quotidiana. Poi a un certo momento una caduta da poco o il minimo incidente fanno sì che si verifichi una frat­tura vera e propria.

Questo tipo di frattura si verifica in almeno due casi. Nel pri­mo, il tessuto osseo è stato danneggiato da radiazioni terapeuti­che, per esempio nel trattamento del cancro in un organo vici­no a un osso. Le radiazioni uccidono o danneggiano le cellule del tessuto osseo, come quelle in grado di rilevare un danno o quelle che vi reagiscono, o forse tutte e due. Anche se il tessuto osseo di solito appare assolutamente normale ai raggi X, invisi­bili incrinature da fatica si formano e si estendono finché si ve­rifica la frattura vera e propria. In questo caso il problema si presenta perché l'apparato di controllo del danno è stato messo fuori uso. Nel secondo caso, le incrinature si allargano e si esten­dono più velocemente di quanto il normale processo di ripara­zione riesca ad affrontare. Questo può succedere quando si passa improvvisamente da una relativa inattività a un intenso, con­tinuo e pesante esercizio fisico. Le reclute militari a volte pre­sentano delle fratture alle ossa dei piedi (chiamate "fratture da marcia") quando sono costrette di colpo a marce prolungate, a corse ed esercitazioni.

Quando una persona ha ossa sottili e leggere - qualunque ne sia la causa - anche un lavoro o un esercizio fisico normali fa­ranno sì che le ossa si flettano e si torcano più di quanto fareb­bero se fossero spesse e pesanti e perciò subiscono più micro-­danni (questo non significa che bisognerebbe evitare lavoro o esercizio fisico, come vedremo). Il processo di riparazione è perciò più importante quando le ossa sono sottili che quando sono spes­se. Un osso sottile è più fragile di un osso spesso. Non è solo que­stione di una struttura meno compatta. Le ossa sottili sono più esposte a danni da fatica e hanno bisogno di un meccanismo di riparazione più attivo e vigile.

 

 

 

 

l'economia del calcio e il rimodellamento del tessuto osseo

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Il nostro organismo non immagazzina il calcio semplicemente co­me elemento chimico, ma sotto forma di tessuto osseo. Dato che il tessuto osseo contiene calcio informa molto concentrata, .formarne anche solo una piccola quantità ci consente di immagazzinare fa­cilmente un surplus dietetico. Al contrario, demolire un po' di tes­suto osseo libera una grande quantità di calcio che permette di man­tenerne costanti i livelli nei liquidi organici.

 

La sequenza di demolizione e riparazione che caratterizza il ri­modellamento del tessuto osseo ha un aspetto affascinante. In tutto lo scheletro, il processo di rimodellamento prima mette il calcio a disposizione del resto dell'organismo e poi lo riprende. Mentre in certi punti il tessuto osseo viene demolito, in altri viene formato. In questo modo, il nostro scheletro richiede in media tanto calcio quanto ne mette in circolazione.

Il processo di rimodellamento apporta - o sottrae - al liqui­do extracellulare una quantità di calcio superiore a quella pre­sente nei flussi in entrata o in uscita dovuti all'alimentazione o alle escrezioni. Così, qualunque alterazione, anche solo prov­visoria, del processo di demolizione e formazione del tessuto osseo potrebbe facilmente avere come conseguenza dei notevoli cam­biamenti nella concentrazione del calcio nel liquido extracellu­lare.

Il sistema, che ha il compito di mantenere costante quella con­centrazione, ha dovuto vedersela con questo problema.

 

Rimodellare: un modo per regolare i livelli di calcio nell'organismo

Ma un problema può anche rappresentare un' opportunità. Ve­diamone un esempio. Mettere deliberatamente fuori fase il pro­cesso di demolizione e formazione del tessuto osseo è un ottimo sistema per rendere provvisoriamente disponibile del calcio quan­do il comparto liquido extracellulare ne ha poco, o di assorbirne il surplus quando il comparto liquido extracellulare ne ha trop­po. Abbiamo già visto come, durante l'assorbimento di calcio dalla poppata del neonato, la calcitonina sopprima temporaneamen­te la demolizione del tessuto osseo. Abbiamo anche visto che quando il livello di calcio nel liquido extracellulare si abbassa, 1'ormone paratiroideo fa aumentare la demolizione di tessuto os­seo. Possiamo ormai renderei conto che questi cambiamenti so­no semplicemente una messa a punto di precisione del sistema di rimodellamento del tessuto osseo e cominciamo a farci un'i­dea di come l'economia del calcio sia integrata con il processo di rimodellamento osseo.

Se l'apparato di rimodellamento del tessuto osseo riceve un messaggio abbastanza forte che da qualche parte c'è un danno, attiverà un centro di rimodellamento. L'ormone paratiroideo che, come abbiamo visto, è il fattore determinante nel conservare il calcio per i nostri fabbisogni interni e nel mantenere a livelli normali il calcio del liquido extracellulare, determina anche la risposta dell'apparato preposto alla ristrutturazione del tessuto osseo ai segnali che indicano danno in corso. Quando i livelli di PTH si innalzano, l'apparato ristrutturante diventa più sensibi­le e viene attivato un numero maggiore di centri di rimodella­mento. Questo rende immediatamente disponibile una maggio­re quantità di calcio, in quanto la prima fase è distruttiva, cioè il tessuto osseo viene demolito e i suoi costituenti vengono libe­rati nel sangue.

Si ha un bell'esempio dell'integrazione di questi due sistemi a ogni nuova primavera, quando i cervi formano nuove corna. Le corna sono fatte di tessuto osseo e la loro rapida formazione crea una richiesta altissima di calcio. L'inverno è un periodo di relativa carestia, e lo scarso cibo disponibile in questa stagione e all'inizio della primavera non contiene abbastanza calcio per soddisfare una domanda improvvisamente molto maggiore.

Così il cervo mette in moto l'apparato di ristrutturazione del tessuto osseo, forse smaltendo un arretrato di progetti di ripa­razione ossea, rimandati per tutto l'inverno. Questo avviene gra­zie a una maggiore produzione di PTH, un aumento sollecitato dalla tendenza del livello del calcio nel liquido extracellulare ad abbassarsi proprio quando i nuovi palchi richiedono molto cal­cio. Come abbiamo già visto, un moltiplicarsi improvviso del pro­cesso di rimodellamento rende disponibile molto calcio, dato che tutti i centri da poco attivati sono nella fase distruttiva, cioè li­beratrice di calcio. Qualche settimana dopo, quando le corna avranno completato la loro crescita, quei centri di ristruttura­zione passeranno naturalmente allo stadio di formazione del tes­suto osseo. Per allora, saranno disponibili in abbondanza erba e foglie, e i cervi potranno assumere tutto il calcio necessario. Questo processo dimostra come il sistema sia splendidamente in­tegrato, ma evidenzia anche l'abbondanza di calcio nell'ambiente della maggior parte degli animali, poiché ogni anno i cervi but­tano via un mucchio di calcio, quando perdono le corna. Per lo­ro, assumere abbastanza calcio non è un problema, è essenzial­mente una questione di tempo.

 

Rimodellamento e carenza di calcio

In altre circostanze, la consueta risposta dell'apparato di rimo­dellamento al bisogno di calcio può non essere così inoffensiva. Per esempio, somministreremo ad animali da laboratorio una die­ta povera di calcio. Nel caso di questi animali, essi non devono costruirsi delle corna ma rimpiazzare la perdita minima obbliga­toria, che altrimenti porterebbe a un abbassamento del livello del calcio nel liquido extracellulare. Nuovi centri di rimodella­mento vengono allora attivati per produrre calcio. Ma, come per il cervo, i centri attivati per produrre calcio passano successi­vamente alla fase di formazione del tessuto osseo, richiedendo perciò essi stessi nuovo calcio. Questo costringe le ghiandole pa­ratiroidee a un'attività ancora maggiore. Viene liberato altro or­mone paratiroideo, viene attivato sempre più il processo di rimodellamento del tessuto osseo, nel tentativo di fornire abba­stanza calcio da soddisfare contemporaneamente le richieste le­gate sia alla perdita obbligatoria sia a quelle dei centri di rimo­dellamento precedentemente attivi e ora in fase di neoforma­zione ossea e quindi ad alta necessità di calcio. Il sistema non ce la fa a tenersi in pari, poiché la fuoriuscita giornaliera di cal­cio dall'organismo è superiore all'immissione. Se la perdita non viene reintegrata con l'alimentazione, l'accelerazione del pro­cesso di ristrutturazione del tessuto osseo avrà come inevitabi­le risultato una perdita netta di tessuto osseo. Alcuni animali, come per esempio i gatti, di solito abituati a una dieta ricca di calcio, non riescono a ridurre in modo significativo la loro per­dita minima obbligatoria quando gli viene data un' alimentazio­ne povera di calcio. In questo caso si verificherà una rapida per­dita di tessuto osseo, a volte fino a un terzo della sostanza ossea complessiva, nel giro di tre o quattro mesi. Altri animali si adat­tano meglio e perdite serie di tessuto osseo avvengono più len­tamente, ma in tutti gli animali il risultato è alla fine lo stesso.

Questa condizione di ridotta massa ossea si chiama osteopo­rosi, ed è chiaro dagli esperimenti fatti su diverse specie di ani­mali che può essere causata da una dieta povera di calcio, esat­tamente secondo il meccanismo descritto. Ma l'osteoporosi può essere causata anche da molti altri fattori, oltre che da una ca­renza di calcio. Il particolare ruolo del calcio nell'osteoporosi ver­rà preso in considerazione nella terza parte del volume.

 

 

 

 

quanto tessuto osseo avrai?

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Se dobbiamo essere tanto robusti da poter sostenere grosse fatiche fisiche e sopportare cadute e altri incidenti, abbiamo bisogno di sche­letri pesanti. L'ereditarietà, l'alimentazione, il lavoro e l'esercizio fisico, gli ormoni, influiscono sulla quantità di tessuto osseo - o massa ossea - dell'organismo. Quando smettiamo di crescere, la massa ossea continua ad aumentare, più o meno fino ai 35 anni. La migliore protezione da futuri problemi ossei è quella di costruirci lo scheletro più robusto possibile finché il nostro organismo ha an­cora un "atteggiamento costruttivo ", cioè mentre siamo ancora gio­vani.

 

La quantità di tessuto osseo presente nell'organismo – la nostra massa ossea – è influenzata da parecchi fattori: alimentazione, ereditarietà, attività fisica.

 

Ereditarietà

L'ereditarietà influisce in modo fondamentale. Alcune persone sono infatti destinate ad avere ossa grandi, pesanti, e altre in­vece ossa leggere, delicate, proprio come alcuni di noi sono de­stinati ad avere capelli lisci o ricciuti, occhi blu o marroni. Al­cune di queste caratteristiche, come il colore degli occhi, sono fisse fin dall'inizio. Altre, come le dimensioni e la densità delle ossa adulte, sebbene siano presenti nel codice genetico, non di­ventano evidenti finché la crescita non è quasi ultimata. Ma da­ta un'infanzia sana, e un'alimentazione anche solo parzialmen­te adeguata, quanti sono destinati ad avere le ossa grosse le avranno, e quanti destinati ad averle piccole non riusciranno ad averle grosse, per quanto facciano.

I bianchi e gli asiatici di solito hanno strutture ossee più leg­gere di quelle dei neri della stessa altezza e peso, anche durante l'infanzia e la fanciullezza. E persino all'interno dei diversi gruppi etnici dei bianchi c'è una notevole variazione. Ce ne rendiamo conto quando definiamo qualcuno "con le ossa grosse" o quan­do diciamo di altri che hanno una struttura esile.

Conosciamo ormai alcuni dei modi in cui i geni influiscono sulla solidità delle ossa. Per esempio, le ossa dei neri sono leggermente più resistenti all'azione dell'ormone paratiroideo (PTH) di quanto lo siano le ossa dei bianchi. Abbiamo descritto nel capitolo 6 co­me il tessuto osseo costituisca una riserva di calcio e come l'or­ganismo attinga a quella riserva grazie al rimodellamento del tes­suto osseo stimolato dal PTH. Nei neri è meno facile che lo sche­letro venga demolito per compensare un deficit di calcio nel li­quido extracellulare. Questo potrebbe essere pericoloso, se vo­lesse dire un abbassamento del livello del calcio nel liquido ex­tracellulare. Ma non funziona in questo modo. Semplicemente le ghiandole paratiroidee lavorano di più e producono più PTH. I livelli più alti di questo ormone, che mantiene costante il livel­lo del calcio, hanno come effetto un migliore assorbimento del calcio alimentare e una sua migliore conservazione da parte dei reni. Ne risulta che i neri dispongono di un sistema più efficien­te per utilizzare il calcio presente nell'ambiente.

Ovviamente, persone di diversa costituzione genetica si differenziano per ben altro che per una diversa sensibilità all'or­mone paratiroideo, ma l'esempio mostra uno dei modi in cui i programmi genetici si traducono in diversità fisiche.

 

Attività fisica

Se avete uno scheletro minuto, non lo potete trasformare in uno scheletro massiccio, ma potete influire sulla solidità delle ossa con l'attività fisica, o semplicemente con il lavoro. Le ossa sono come i muscoli: «O le usi o le perdi!». Ognuno di noi ha tanto tes­suto osseo, entro i limiti genetici, quanto ce ne occorre per sop­portare le sollecitazioni a cui l'attività quotidiana sottopone lo scheletro.

A parità di altri fattori, chi fa un lavoro faticoso tutto il gior­no avrà uno scheletro più pesante di chi è sedentario, proprio come il primo individuo avrà muscoli forti e sviluppati e il se­condo deboli e flaccidi. Lo scheletro di un atleta è più pesante di quello di un impiegato e quello di un atleta di valore mondia­le è più pesante di quello di un atleta che non fa sport agonisti­co. Tutto questo, naturalmente, rappresenta delle variazioni in­torno a un livello individuale programmato geneticamente.

D'altro canto, individui inattivi, paralizzati, che fanno poco lavoro fisico, che sono malati o confinati a letto, e persino gli astronauti, che passano lunghi periodi senza dover fare la fati­ca di resistere alla forza di gravità, o si ritroveranno con meno massa ossea di quella che avrebbero potuto avere, o perderan­no in parte quella che hanno. Chiunque sia costretto a letto co­mincia a perdere tessuto osseo fin dal primo giorno.

Questo tipo di perdita è per lo più reversibile, forse anche com­pletamente reversibile, almeno fino ai 40-50 anni, ma questo solo se si riprende una normale attività fisica. Persino soggetti di settanta o ottanta anni possono aumentare il peso e la robu­stezza delle loro ossa se svolgono regolarmente un programma di esercizi fisici appropriati. Non sappiamo di quanto possono aumentarli, ma è incoraggiante pensare che non è mai troppo tardi.

Nessuno sa qual è la forma migliore di esercizio fisico. Molti esperti ritengono che esercizi di resistenza alla forza di gravità siano meglio di altri, e dicono perciò che il nuoto non è utile co­me altre forme di esercizio. Noi riteniamo che non ci siano pro­ve sufficienti a favore di questa conclusione. Si sa che i nuota­tori di valore mondiale hanno scheletri più pesanti e robusti di quelli di chi atleta non è. Per quel che ne sa la scienza medica, qualunque esercizio è meglio che nessun esercizio, sebbene for­se alcuni esercizi possano dimostrarsi più efficaci di altri. Per esempio, la velocità con cui il tessuto osseo è sollecitato sembra avere più effetto sulla massa ossea di quanto ne abbia la quan­tità di sollecitazione. Perciò, allontanare con un calcio un osta­colo stimola il tessuto osseo nel piede e nella gamba più che spo­starlo semplicemente con un piede. E saltare, correre o fare dello jogging stimola di più che coprire la stessa distanza camminando.

Sembra che la goffaggine di bambini e adolescenti interagisca con i loro programmi genetici per aiutarli a costruire uno sche­letro robusto. Bambini e adolescenti corrono giù dalle scale, sbat­tono le porte, spalancano gli armadi e distruggono la casa in cento altri modi. Qualche volta disperiamo che possano mai acquisire una certa grazia, intendendo con questo che compiano un'azio­ne in modo armonioso e con meno forza possibile. Ma se la velo­cità della sollecitazione è un fattore importante, allora sono pro­prio le azioni violente quelle che stimolano lo scheletro. Ironi­camente, l'acquisita grazia della maturità, in un ambiente pie­no di sistemi per ridurre la fatica, sopprime uno stimolo impor­tante per mantenere il peso e la robustezza del tessuto osseo. Anche in un esercizio fisico regolare - come nel gioco del ten­nis - il giocatore migliore stimola meno il proprio apparato os­seo di quanto faccia il giocatore meno abile. Le schiappe hanno di che consolarsi!

 

Alimentazione

Il terzo fattore che influisce sulla solidità delle nostre ossa è l'a­limentazione; soprattutto la quantità di calcio alimentare ma an­che, come vedremo in seguito, la vitamina D, il fosforo, le pro­teine e gli oligoelementi.

Il calcio necessario per il nuovo tessuto osseo arriva dal liquido extracellulare nel sito di formazione dell'osso e il tessuto osseo, per accrescersi, deve prelevare da quel liquido più calcio di quanto ne restituisca con il processo di rimodellamento. Ma questo può succedere solo se si assume abbastanza calcio dalla dieta e lo si assorbe in modo adeguato per rimpiazzare quello sottratto al liquido extracellulare. Il calcio alimentare è quindi necessario per realizzare le potenzialità insite nei nostri geni, e l'attività fisica è necessaria per costruirci ossa più pesanti. Una buona alimentazione consente a questi fattori di svolgere la lo­ro funzione. Ma un apporto adeguato di calcio alimentare, per­sino un apporto elevato, non riuscirà a darci uno scheletro im­ponente o ossa pesanti se non siamo geneticamente programmati per averli, o se non facciamo lavorare le ossa con l'attività fisica.

Le osservazioni fatte sugli astronauti americani e russi, sia in ricerche che simulano gli effetti di una prolungata assenza di pe­so, sia durante effettivi voli spaziali, hanno dimostrato che esi­ste un rapporto tra assunzione di calcio e carico meccanico. Al­cuni volontari maschi in buone condizioni di salute furono mes­si a riposo assoluto a letto per un periodo variabile dai tre ai sei mesi. Essi persero una grande quantità di tessuto osseo, soprat­tutto da piedi e gambe. In alcuni di quei volontari, per esempio, il tessuto osseo del calcagno perse circa il 40 della sua massa nel corso di trenta settimane. (Tutto il tessuto osseo perduto si riformò quando i volontari ricominciarono a camminare, quindi non ci fu danno permanente.) I ricercatori della Nasa, l'ente spa­ziale americano, provarono a somministrare grossi supplementi di calcio, ma non ci fu nessuna diminuzione della perdita di tes­suto osseo. Questo non significa che il calcio non è importante, ma che non può avere effetto se non c'è attività fisica.

Sebbene il calcio da solo non sia sufficiente, pure è indispen­sabile. La perdita di tessuto osseo in quei volontari sarebbe sta­ta irreversibile, anche dopo aver ripreso l'attività normale, se la loro alimentazione non avesse fornito calcio in modo adegua­to. O almeno, se avessero avuto bisogno di qualche riparazione ossea, si sarebbe dovuto prelevare il calcio dal tessuto osseo di qualche altra porzione dello scheletro, cosicché per sostituire quello perso da piedi e gambe si sarebbe dovuto prendere un po' di tessuto osseo da tutto lo scheletro.

Non si sa come l'esercizio fisico influisca sullo scheletro. Proba­bilmente ha qualcosa a che vedere con i campi elettrici che si ge­nerano nel tessuto osseo ogni volta che questo è sottoposto a tor­sione o flessione. Abbiamo visto come un aumento di quei campi elettrici possa essere il segnale che attiva i centri di rimodellamento e abbiamo notato che c'è un costante e mutevole sottofondo di cariche elettriche, prodotte da una sollecitazione meccanica dello scheletro. Sembra che ci sia un livello ottimale di tale attività elet­trica, cioè un livello che mantiene in equilibrio le fasi di demoli­zione e di formazione del tessuto osseo, nel processo di rimodella­mento. Se una zona del tessuto osseo non è più utilizzata, non ci sono forze agenti su di essa con torsioni e flessioni che producano una attività elettrica localizzata. Questa zona viene semplicemen­te esclusa dal processo di rimodellamento. Gli osteoclasti arriva­no a demolire il tessuto osseo, ma non ci sono osteoblasti che li seguano a rimpiazzare quello che è stato scavato. Oppure, se gli osteoblasti arrivano, depositano meno tessuto di quanto ne sia stato tolto. Viceversa, una zona con molta attività elettrica generaliz­zata viene ristrutturata demolendo solo una piccola quantità del vecchio tessuto osseo e poi formando molto tessuto osseo nuovo nel centro di rimodellamento già scavato. Così, mentre il tessuto osseo si accresce e le pareti e la struttura a reticolo del tessuto osseo diventano più spesse, l'osso diventa più robusto e si flette sempre meno sotto le sollecitazioni meccaniche quotidiane. Di con­seguenza i campi elettrici prodotti dalle flessioni si riducono pro­porzionalmente. In questo modo la quantità di tessuto osseo pre­sente nelle varie regioni dello scheletro viene continuamente messa a punto per adeguarla alle sollecitazioni a cui la sottopongono il livello e il tipo di attività fisica svolta.

Abbiamo già notato come la maggior parte degli animali per- da tessuto osseo, anche senza una diminuzione dell'attività fisi­ca, se gli forniamo una dieta povera di calcio, o se blocchiamo l'assorbimento del calcio alimentare. Questo è sicuramente ve­ro anche per gli esseri umani. Un'assunzione adeguata di calcio e un buon assorbimento sono necessari per proteggere e conser­vare la massa scheletrica. Ma, ancora una volta, assumere più calcio di quanto ci occorre non farà sì che le nostre ossa diventi­no più grosse o più spesse, oltre certi livelli determinati sia dal­l'ereditarietà sia da quanto le usiamo.

Perciò, per formare tutto il tessuto osseo che geneticamente ci spetta, o quello che la nostra normale attività fisica richiede, e per conservare il tessuto osseo che abbiamo già formato, un'as­sunzione adeguata di calcio è essenziale.

 

Massa ossea e fasi della vita

Come prevedibile, la quantità di tessuto osseo nell'organismo au­menta durante l'età neonatale, l'infanzia e l'adolescenza. Tut­tavia, la massa ossea non smette di crescere quando viene rag­giunta l'altezza definitiva. All'età di diciotto anni, quando per lo più si smette di crescere in altezza, lo scheletro è ancora rela­tivamente leggero e non robusto come è destinato a diventare. La corteccia delle ossa lunghe è sottile e leggermente porosa, e anche le lamelle trabecolari sono sottili. Questo è in parte do­vuto al fatto che la crescita in lunghezza durante lo sviluppo ado­lescenziale è stata più rapida dell'assorbimento del calcio neces­sario per raggiungere la massa scheletrica definitiva. Il consoli­damento dello scheletro continua fin quasi ai trent'anni e du­rante questo periodo l'organismo cerca di completare la propria costruzione secondo le specifiche del codice genetico. La migliore protezione da futuri problemi ossei è costruirci lo scheletro più robusto possibile mentre l'organismo è ancora in un "atteggia­mento costruttivo", cioè mentre siamo ancora giovani. Le don­ne di solito hanno scheletri più piccoli e leggeri degli uomini, an­che di uomini della stessa altezza e peso. Questo lo si deve in parte a differenze genetiche, in parte agli ormoni. L'estrogeno, l'ormone femminile, inibisce il rimodellamento del tessuto os­seo ed è perciò un potente fattore di arresto della crescita. Inol­tre, limita l'accrescimento del tessuto osseo dopo che è finita la crescita in altezza. Le ragazze raggiungono la pubertà prima dei ragazzi, perciò smettono di crescere prima.

Dopo i trent'anni, la massa ossea si stabilizza per 10-20 anni sia negli uomini che nelle donne e poi comincia un lento declino che continua per il resto della vita. Sono molte le ragioni di que­sto declino; una l'abbiamo già vista: una minore attività fisica. Si diventa più aggraziati e abili, e spendiamo meno energie in molte delle nostre attività fisiche. A un certo punto della vita deleghiamo ai figli certe faccende che prima sbrigavamo noi. Tal­volta paghiamo caro questo "aiuto", ma l'esasperazione non sti­mola lo scheletro, mentre il lavoro fisico sì. A volte si raggiunge un maggior benessere e così si usano più strumenti che fanno risparmiare fatica, o si paga qualcuno perché faccia certi lavori al nostro posto. Qualunque sia la ragione, la maggior parte delle persone lavora meno, fisicamente, ogni anno che passa. Lo sche­letro è sempre meno sollecitato e il sistema risponde con una riduzione della massa ossea complessiva, per sintonizzarsi su un minor livello di utilizzo.

Anche l'assunzione di calcio diminuisce con l'età, come ve­dremo in seguito. In alcuni individui questo contribuisce certa­mente a far diminuire la massa ossea.

Una terza ragione dipende da qualcosa che potremmo chia­mare gli errori accumulati nel corso della vita. Per esempio, men­tre ristrutturano una lamella trabecolare, gli osteoclasti qualche volta scavano da parte a parte. Si forma così un buco o una fi­nestra, invece di una cavità. Gli osteoblasti che arrivano in se­guito per deporre nuovo tessuto osseo non hanno più a disposi­zione una superficie completa su cui lavorare. Perciò il buco non viene richiuso e parte del tessuto osseo perso durante la fase distruttiva del processo di rimodellamento non viene sostituita. Questi errori inevitabili e irreversibili si accumulano con il pas­sare degli anni e contribuiscono al calo della massa scheletrica.

Finora abbiamo discusso le cause che sono comuni a uomini e donne. Una notevole differenza fra i due sessi è l'improvvisa e naturale perdita di ormoni sessuali che avviene nella donna al momento della menopausa (o anche prima, se le sono state asportate chirurgicamente le ovaie). La perdita di estrogeno ha un profondo impatto sullo scheletro femminile. Diminuisce la resistenza agli effetti distruttivi del PTH e probabilmente anche ad altri fattori negativi che influiscono sullo scheletro. Qualun­que sia il meccanismo, quando una donna perde estrogeno, per­de rapidamente anche tessuto osseo. Alcune regioni ossee sem­brano essere più sensibili di altre: la colonna vertebrale, per esem­pio. Ma, facendo una media relativa a tutto lo scheletro, una don­na perderà dal 10 al 15% della massa ossea complessiva nei pri­mi dieci anni dopo la menopausa. E lo stesso tipo di perdita del tessuto osseo si verifica sia che una donna perda estrogeno a 25 anni o a 50. Questa perdita è accentuata nelle donne sottili e può essere minima in donne molto pesanti. I ricercatori non so­no d'accordo sulle spiegazioni, ma il fatto che l'estrogeno pro­tegga lo scheletro rimane per tutti incontrovertibile.

Il ritmo della perdita di tessuto osseo successiva alla cessata produzione di estrogeno è rapidissimo nei primi due o tre anni e poi gradualmente rallenta finché, all'età di 65 o 70 anni, una donna perde massa ossea allo stesso ritmo, abbastanza lento, di un uomo della stessa età. Ma negli anni compresi tra i 50 e i 70, avrà forse perso tra il 15 e il 25  del tessuto osseo che aveva all'inizio della menopausa. Per alcune donne, la perdita localiz­zata nella colonna vertebrale può essere anche maggiore.

Una tempestiva terapia sostitutiva di estrogeno in donne in menopausa impedirà completamente la perdita di tessuto osseo. Tuttavia, la decisione di prendere ormoni dopo la menopausa è abbastanza complessa e difficile. La terapia sostitutiva di estro­geno (ERT) presenta anche dei rischi potenziali, oltre che dei be­nefici, per molti sistemi dell'organismo, non solo per il tessuto osseo. Ne parliamo diffusamente al capitolo 31.

Forse se l'alimentazione, l'attività fisica e altri fattori connessi con il modo di vivere fossero ottimali tutta la vita, la perdita di tessuto osseo collegata alla menopausa potrebbe venir tollerata senza rischi. Ma le condizioni reali sono spesso ben lontane da quelle ottimali.

Noi non sosteniamo né screditiamo l'uso generalizzato dell'e­strogeno. Ma questo ormone è finora la sostanza di gran lunga più efficace per scongiurare la perdita di tessuto osseo che al­trimenti si verifica in tutte le donne in menopausa.

 

Riassumendo

Possiamo sintetizzare al meglio tutti i fattori che influiscono sulla massa ossea tracciando un diagramma della linea della vita del tessuto osseo in una donna bianca (si veda la figura 8).

La massa ossea aumenta rapidamente durante l'adolescenza, poi più lentamente fino ai 30 anni. Dopo un periodo di stabilità comincia a diminuire; poi precipita rapidamente dopo la me­nopausa finché, all'età di 65 anni, si avvicina alla zona peri­colosa dove le ossa si possono rompere per il minimo trauma, o anche in assenza di traumi. Ovviamente, alcune donne reste­ranno tutta la vita al di sotto dei livelli medi e si avvicineranno alla zona pericolosa prima della scadenza normale. Altre, con una maggiore massa ossea, forse non entreranno mai in quella zona.

 

 

Ogni donna segue la linea della vita del suo tessuto osseo. A volte si può influire sulla sua direzione e percorso, a volte non si può. I fattori genetici svolgono un ruolo predominante nei primi anni di vita, e non ci si può far molto. E verso la fine della vita ci sono tutti gli errori accumulati strada facendo, anch'essi in­controllabili. L'attività fisica è molto importante, specialmente dopo la menopausa. L'assunzione di calcio è importante tutta la vita, sebbene per ragioni differenti in diversi periodi. Sia l'at­tività fisica sia l'alimentazione sono controllabili. Questi sono i campi in cui voi potete fare qualcosa.

 

 

 

 

la storia della vitamina d

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Per potersi "adattare" a una bassa assunzione di calcio, occorre la vitamina D. Se ne ha bisogno per attingere alle riserve di calcio dello scheletro e per aumentare l'efficienza dell'assorbimento del cal­cio alimentare. Il modo naturale di produrre vitamina D è esporsi alla luce del sole

La vitamina D è essenziale per un buon funzionamento del sistema di regolazione del calcio. Un tempo si pensava che fosse necessaria solo per il suo assorbimento. Attualmente sappiamo che il calcio può essere assorbito, sebbene in modo non molto efficace, anche in as­senza di vitamina D.

 

La sostanza che chiamiamo vitamina D svolge un ruolo impor­tante nel sistema di regolazione del calcio. Individui che non ela­borano abbastanza vitamina D devono avere diete molto ricche di calcio, perché senza vitamina D non sono in grado di adattar­si a una bassa o anche media assunzione di questo elemento. E se non c'è questo adattamento, essi dovranno, lentamente ma inesorabilmente, demolire il proprio scheletro per ricuperare il calcio presente nelle macerie di quella distruzione.

La vitamina D, l'unica importante per quanto riguarda il cal­cio, è uno strano membro della famiglia delle vitamine. Normal­mente non è presente nella dieta né degli esseri umani né della maggior parte degli animali; non funziona come il sito attivo di un enzima, come fa la maggior parte delle vitamine; diversamente dalle altre, possiamo facilmente fabbricarci da soli tutta quella che ci occorre. E allora come ha fatto a farsi chiamare vitami­na? Per errore, in effetti. Fu raggruppata con le altre vitamine, quelle vere, all'inizio del secolo, quando si scoprì che aggiungendo qualcosa nell'alimentazione si poteva prevenire nei bam­bini e negli animali da laboratorio una malattia del tessuto os­seo chiamata rachitismo. Così si pensò che la vitamina D fosse qualcosa che avrebbe dovuto trovarsi negli alimenti, ma che era stata rimossa durante la lavorazione, o durante la cottura (co­me brillare il riso ha asportato la tiamina e causato il beriberi).

Nel rachitismo, il complesso apparato cellulare che determi­na la crescita all'estremità delle ossa lunghe non riesce a mine­ralizzare e i livelli di calcio e fosforo - specialmente di fosforo _ nel liquido extracellulare sono bassi. Ne risulta una crescita abnorme del tessuto osseo, con gambe arcuate e deformità os­see, in particolare alle estremità articolari. Circa un secolo fa almeno 1'80 dei bambini nelle città dell'Europa centrale e del nord soffrivano di questa malattia. Tuttavia, i bambini che vi­vevano vicino al mare e mangiavano pesce non si ammalavano di rachitismo e si scoprì infine che aggiungendo oli di pesce (co­me per esempio l'olio di fegato di merluzzo) alla dieta dei bam­bini di città si preveniva la malattia. Anche altre sostanze oleo­se, derivate dalle piante, funzionavano allo stesso modo, in par­ticolare se in precedenza erano state irradiate con raggi ultra­violetti. A quei tempi nessuno sapeva che effetti avesse l'irra­diazione e furono proposte alcune teorie abbastanza "origina­li". Eppure è facile capire perché la sostanza in questione, chia­mata vitamina D ma non identificata chimicamente per molti anni a venire, venisse classificata come vitamina. Faceva per il rachitismo quello che la tiamina faceva per il beriberi, o la vi­tamina C per lo scorbuto. Quando racconteremo tutta la storia, si capirà meglio l'errore dei primi dietologi.

La vitamina D viene prodotta dai raggi ultravioletti del sole che agiscono su un composto derivato dalla molecola del colesterolo. Questa reazione avviene negli strati mediani della pelle umana. L'energia ultravioletta viene assorbita dalla molecola e innesca una reazione chimica che dà come risultato la vitamina D. La rea­zione è simile a quella che avviene quando la luce colpisce i sali d'argento su una pellicola fotografica. Il composto simile al cole­sterolo si trasforma in vitamina D, che poi passa nei vasi sangui­gni della pelle ed è trasportata nel resto dell'organismo.

Altri animali producono la vitamina D sulla superficie delle loro pellicce o piume. Dato che l'energia ultravioletta non è in grado di penetrare fino alla loro pelle e non c'è circolazione di sangue nelle pellicce o nelle piume, questi animali assorbono la vitamina D lisciandosi e pulendosi. L'olio sulla pelliccia o sulle piume contiene vitamina D prodotta grazie all'esposizione sola­re, e la sostanza viene inghiottita, assorbita attraverso l'intesti­no e distribuita nell'organismo attraverso il sangue.

Così, per tutti gli animali il modo naturale di prendere vita­mina D è tramite l'esposizione alla luce del sole. Esporre mani, braccia, faccia e gambe per circa quindici minuti al giorno è pro­babilmente sufficiente per il fabbisogno della maggior parte de­gli individui. Starei più a lungo non fa bene, perché dopo quel periodo di tempo la vitamina D si accumula nella pelle più velo­cemente di quanto il sangue riesca a portarla via, e quando questo avviene la reazione si ferma. Finché le scorte non sono state eli­minate dalla pelle - un processo che può richiedere ore - non viene più prodotta altra vitamina D.

Essendo una molecola grassa, la vitamina D si scioglie rapida­mente nel grasso corporeo, cosicché può essere immagazzinata durante l'estate per altri periodi in cui è meno probabile che riu­sciamo a stare al sole. Resta da vedere se durante l'estate la mag­gior parte delle persone riesce a immagazzinare tanta vitamina da farla durare tutto l'anno. Chiaramente alcuni di noi, forse molti di noi, non lo fanno. Ma almeno teoricamente è possibile farlo.

La vitamina D, così come viene prodotta nella pelle, non è an­cora biologicamente attiva. Viene rapidamente convertita, nel fegato, in un composto molto affine chiamato calcidiolo, la for­ma sotto cui viene immagazzinata la vitamina. Il calcidiolo è un ormone molto debole, incapace di fare gran che per prevenire il rachitismo. Ma quando le molecole di calcidiolo circolano nel sangue, alcune di loro vengono ulteriormente modificate dai reni e convertite in un altro composto chiamato calcitriolo. Questa trasformazione è controllata dalla quantità di ormone paratiroi­deo (PTH) presente nel flusso sanguigno e dal livello di fosforo nel sangue. Quando i livelli di PTH sono alti, noi produciamo una gran quantità di calcitriolo; quando sono bassi, ne produciamo poco o niente. Abbiamo già visto in precedenza questo aspetto della regolazione del calcio. Vi ricorderete che il calcitriolo è il segnale per aumentare l'efficienza dell'assorbimento del calcio alimentare. Per quanto il calcio possa essere assorbito anche in assenza di vitamina D, l'assorbimento non è molto efficace. Per aumentare l'efficienza dell'assorbimento occorre il calcitriolo, un derivato della vitamina D. Questo ormone fa sì che le cellule che rivestono l'intestino tenue producano una proteina traspor­tatrice che si lega con il calcio e che lo veicola nel circolo san­guigno attraverso la parete intestinale. Questo trasporto attivo aumenta in modo notevole la percentuale di calcio alimentare che riesce a essere assorbita.

Oltre al calcitriolo, ci sono parecchi altri membri della fami­glia dei composti della vitamina D. Anch'essi sono prodotti nei reni, e chimicamente sono affini al calcitriolo. Nessuno sa con precisione qual è il loro ruolo specifico, e ci sono pareri molto diversi al riguardo, dato che alcuni ricercatori affermano che sono del tutto inattivi e senza nessun significato biologico. Que­sto sembra dubbio. Sarebbe infatti un notevole spreco, dal pun­to di vista dell'evoluzione, avere tutta l'attrezzatura cellulare per produrre questi composti, se poi non venissero utilizzati. È probabile che i composti legati alla vitamina D siano importanti per le funzioni svolte da parecchi tipi di cellule del tessuto os­seo; forse per la funzione svolta dagli osteociti di controllo del danno e forse anche per il buon funzionamento degli osteobla­sti quando depositano nuovo tessuto osseo.

Come abbiamo già notato, se un individuo avesse un'alimen­tazione molto ricca di calcio potrebbe non aver bisogno di pro­durre calcitriolo, semplicemente perché potrebbe assorbirne tan­to da soddisfare le proprie esigenze. Ma può essere che non tut­ti i problemi associati a una mancanza di vitamina D possano es­sere prevenuti solo con il calcio. Ci sono probabilmente altri ef­fetti della vitamina D che sono importanti per lo stato di salute delle ossa. Dobbiamo ancora imparare molte cose sulla famiglia della vitamina D e sugli ormoni che regolano il calcio.

Ritorniamo ora al punto di partenza. Può darsi che vi siate chie­sti come mai il rachitismo era così comune fra i bambini del se­colo scorso nelle città dell'Europa centrale e del nord. La rispo­sta è: inquinamento atmosferico. Le nostre preoccupazioni ri­guardo alla qualità dell'aria sono un fenomeno del tutto nuovo, ma il problema è vecchio. Cento anni fa, sopra la maggior parte dell'Europa si stendeva una coltre di fumo, che peggiorò con l'af­follamento urbano e la rivoluzione industriale. Il fumo era pro­dotto da una inefficiente combustione del carbone dolce nelle fabbriche e dalla spazzatura che bruciava in centinaia di migliaia di camini e stufe usate per cucinare e per riscaldare. Il fumo nel­l'aria bloccava la maggior parte dei raggi solari quasi tutto l'an­no. Inoltre, il lavoro minorile tratteneva al chiuso durante il gior­no molti bambini di città. Infine, gran parte dell'Europa è abba­stanza lontana dall'equatore e il tempo è spesso piovoso o nu­voloso. Tutti questi fattori limitavano considerevolmente la quan­tità di esposizione solare, cosicché i bambini non potevano pro­durre abbastanza vitamina D.

 

 

Al giorno d'oggi ci sono problemi di salute associati a una ca­renza di vitamina D? Probabilmente no per la maggior parte dei giovani. Abbiamo ripulito l'aria in modo notevole. I giovani stan­no molto all'aperto, ed espongono molta pelle ai raggi del sole. Non tolleriamo più il lavoro minorile. L'Italia è più a sud della maggior parte dell'Europa, perciò i raggi del sole non devono attraversare tanta atmosfera per raggiungere la superficie ter­restre. Eccetto forse alcune zone delle regioni settentrionali, in Italia l'insufficienza di raggi solari non è un fattore significativo.

Ma i raggi ultravioletti non attraversano il vetro, quindi dob­biamo andare all'aperto per trarne beneficio. E possibile che al giorno d'oggi siano gli adulti a essere a rischio per problemi con­nessi con un deficit di vitamina D. Molti di noi restano quasi sem­pre al chiuso. Ci godiamo l'aria fresca e gli ampi spazi dall'inter­no delle nostre automobili. Un tempo potevamo andare al lavo­ro a piedi, o almeno andavamo a piedi fino alla fermata del tram o dell'autobus; di conseguenza prendevamo un po' di sole quasi ogni giorno. Oggi, il più delle volte usciamo di casa per andare al lavoro in macchina e passiamo tutto il giorno in un ufficio o in una fabbrica. Gli incontri di atletica si svolgono sempre più spesso al chiuso, in palazzetti con l'aria condizionata. Sporadi­camente facciamo un po' di sport o di esercizio fisico all'aperto, ma più spesso lo facciamo al coperto. Persino andare a fare una passeggiata sta diventando un'attività da svolgere al chiuso, sotto forma di passeggiata per i centri commerciali. I filtri solari, raccomandati per proteggersi dalle scottature ed evitare il can­cro della pelle, sfortunatamente bloccano i raggi ultraviolet­ti che producono la vitamina D. Ma non si tratta di scegliere fra il cancro della pelle e una carenza di vitamina D. Pochi mi­nuti al giorno di esposizione ai raggi solari, particolarmente su diverse parti del corpo, non vi procureranno nessun cancro del­la pelle.

Il rischio di una carenza di vitamina D dovuta a un'insufficiente esposizione ai raggi solari è molto alta negli anziani, particolar­mente per quelli che vivono in istituti o sono costretti a restare in casa. Ormai sappiamo, da biopsie del tessuto osseo fatte su questi pazienti al momento di sottoporli a un intervento chirur­gico per riparare le loro varie fratture, che spesso hanno una forma adulta di rachitismo. Questo problema quasi certamente contribuisce alla loro maggiore fragilità ossea. Un deficit di vi­tamina D sembra assurdo, quando è così facilmente prevenibile con una regolare esposizione alla luce del sole, o con l'assunzio­ne della vitamina carente.

I media e le riviste femminili hanno recentemente dedicato molta attenzione al rapporto tra esposizione ai raggi solari e can­cro della pelle, in risposta alle raccomandazioni dei dermatolo­gi, relative ai pericoli dell'abbronzatura. I dermatologi hanno ra­gione, ma fino a un certo punto. Troppo sole può essere danno­so, ma anche niente sole è pericoloso. Abbiamo visto che il ra­chitismo era un grave problema sanitario solo pochi decenni fa. E malattie del tessuto osseo dovute a carenza di vitamina D so­no comuni persino oggi fra le donne mussulmane o indù a cui viene imposto di vivere in reclusione e di portare il velo. Eppu­re sia articoli di una rivista femminile sia l'editoriale di una pre­stigiosa rivista medica affermano che non bisognerebbe nean­che portare a spasso il cane senza mettersi una crema solare, sottintendendo che qualunque forma di esposizione ai raggi so­lari è indesiderabile perché fa invecchiare la pelle ed è anche dannosa, perché fa venire il cancro della pelle. Questi consigli basati su una visione estremamente ristretta della realtà igno­rano completamente il problema della vitamina D, il fatto es­senziale che una certa esposizione ai raggi solari è naturale per gli esseri umani ed è fondamentale per la salute.

 

 

 

 

il calcio in cibi e bevande

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Il calcio è ampiamente disponibile nella catena alimentare e la mag­gior parte degli animali, persino quelli che si nutrono esclusiva­mente di erba e foglie, assumono facilmente tutto il calcio che gli serve. Ma gli esseri umani civilizzati hanno acquisito delle abitu­dini alimentari caratterizzate da una bassa assunzione di calorie - per adeguarsi a un limitato dispendio energetico - e da cibi re­lativamente poveri di calcio. I latticini sono l'unica fonte alimen­tare importante ricca di calcio nella dieta contemporanea in Euro­pa e in Nord America. Ma anche le verdure a foglia, i crostacei, i pesci piccoli, alcune acque minerali e certa frutta secca sono buone fonti di calcio.

 

Poiché il calcio è necessario alla vita, tutte le piante e tutti gli animali ne contengono. Perciò il calcio è presente in tutti gli ali­menti. E se l'acqua è dura, come avviene in molte parti del mon­do, ogni volta che beviamo assumiamo calcio, sia direttamente che con bevande tipo tè o caffè, fatte con quest'acqua. (Natu­ralmente, nell'acqua addolcita il calcio è stato rimosso.) Alcune sorgenti naturali possono essere fonti di calcio particolarmente ricche. Questo può essere vero in particolare per l'Italia, dove alcune acque minerali in bottiglia (per esempio la Sangemìnì) sono ricche di calcio. In molti alimenti la quantità di calcio è molto scarsa, soprattutto se paragonata con la loro quantità di calorie o di altre sostanze nutritive. Tuttavia, quasi tutti gli alimenti na­turali hanno un po' di calcio e, se mangiassimo in misura suffi­ciente un'ampia varietà di alimenti, probabilmente assumeremmo una quantità equilibrata di tutte le sostanze nutritive, incluso il calcio. (Dopo tutto, le mucche da latte assumono abbastanza calcio da costruirsi e conservarsi grossi scheletri, e produrre an­che 7000 litri di latte a testa all'anno, con un contenuto di cal­cio di ben 9000 grammi')

 

 

Esercizio fisico e dieta

Pensate a una persona che faccia tutto il giorno, come ha fatto la maggior parte dell'umanità per gran parte della sua esisten­za, un lavoro pesante, sotto un sole cocente, sudando in abbon­danza, che beva moltissima acqua per estinguere una gran sete e mangi molto per fornire combustibile al grande fabbisogno ener­getico. Una persona del genere probabilmente assumerà calcio a sufficienza quasi senza badare a quello che mangia, e senza selezionare cibi che ne siano ricchi. Ma quanti di noi vivono in quel modo al giorno d'oggi? Sicuramente non la maggioranza di quanti leggono questo libro.

Apparecchi che riducono il lavoro manuale hanno permesso a quasi tutti noi di diminuire la fatica fisica praticamente a ze­ro. L'assunzione di cibo è stata ridotta drasticamente per ren­derla compatibile con un diverso stile di vita (altrimenti sarem­mo tutti obesi). E quando ci viene sete dopo aver lavorato e gio­cato spesso non beviamo più acqua, ma una bibita fatta con ac­qua addolcita.

La fatica fisica di mandare avanti una famiglia - una gran parte parte del dispendio calorico per molti di noi - è molto in­feriore a quella che era anche solo pochi anni fa. Paragonate il giorno del bucato ai tempi dei nostri nonni o bisnonni e al gior­no d'oggi; non c'è più da portare l'acqua, non ci sono assi da la­vare, non c'è da strofinare, né da strizzare i panni né da sten­derli all'aperto. In cucina ci sono lavapiatti automatiche, apri­scatole elettrici, frullatori, tritatutto ecc. Le macchine che or­mai noi diamo per scontate sono meravigliosamente utili e co­mode, ed è probabile che la gente al giorno d'oggi riesca a fare molte più cose di quante se ne potessero fare' 'nel buon tempo andato". Ma tutte queste comodità hanno portato a una profonda diminuzione del lavoro fisico e del dispendio energetico. Non sor­prende che abbiano indirettamente influito sulla nostra alimen­tazione.

Per quel che riguarda il calcio, i cambiamenti del modo di vi­vere hanno ridotto sia il nostro fabbisogno energetico sia la fa­tica che stimola la formazione di ossa robuste. Poiché abbiamo ridotto la nostra assunzione di cibo per adeguarla al dispendio energetico, di molte sostanze nutritive assumiamo molto meno di quanto assumessero i nostri nonni e bisnonni. Recentemente si è scoperto che la tipica donna in età fertile non ricava più dalla sua alimentazione usuale abbastanza ferro da compensare le per­dite mensili dovute alle mestruazioni. Stiamo appena comincian­do a renderei conto che la dieta tipica dei nostri giorni non sod­disfa neanche il nostro fabbisogno di calcio.

Nel modo di vivere dei cittadini del mondo occidentale c'è stato un altro cambiamento che ha influito sull'assunzione di calcio: il benessere. Possiamo anche pensare di non essere ricchi, ma i nostri alimenti sono alimenti da ricchi. Soltanto i membri di una società opulenta possono permettersi una dieta ricca di protei­ne. La carne è un alimento relativamente povero di calcio, il cui consumo pro capite è aumentato nel corso di questo secolo, sia in Europa che in Nord America, sia in toto che come parte delle calorie complessive. Anche i grassi sono relativamente cari, e quasi tutti i grassi sono privi di calcio. Perciò, soddisfiamo le no­stre ridotte esigenze caloriche con i cibi dell'abbondanza e sen­za volerlo, ma inevitabilmente, riduciamo i cibi ricchi di calcio.

Non vogliamo certo polemizzare con i cambiamenti che si so­no verificati. Ma vogliamo richiamare l'attenzione su quello che è successo e a cui è dovuta la profonda preoccupazione nei ri­guardi di un'adeguata assunzione di calcio. Vogliamo spiegare perché oggigiorno occorra preoccuparsene più di quanto sareb­be stato giusto fare ai tempi dei nostri nonni. È importante ca­pire che sono questi cambiamenti nel modo di vivere che spie­gano perché su un pianeta dove il calcio è abbondante pratica­mente ovunque, gli esseri umani sono le uniche creature viven­ti che devono fare i conti con una dieta povera di calcio.

 

Il contenuto di calcio negli alimenti più comuni

Per la prima volta nella storia dell'umanità è importante sapere quali alimenti forniscono calcio in abbondanza, per poter scegliere cibi che soddisferanno il nostro fabbisogno alimentare com­plessivo. Anche se stiamo attenti alle calorie, dobbiamo fare at­tenzione a non eliminare alimenti che contengono sostanze es­senziali come il calcio. La tabella 1 elenca il contenuto in calcio di molti alimenti. Tutti i valori riportati sono stati desunti da ta­belle alimentari standard. La prima colonna evidenzia il calcio negli alimenti comuni. La seconda riporta il valore del calcio per 100 calorie, così si può vedere quali alimenti hanno il rapporto calcio/calorie più alto.

Qualche volta abbiamo fornito le possibili oscillazioni, ma tutte le cifre dovrebbero essere considerate approssimate, perché il valore nutrizionale di tutti gli alimenti varia grandemente da luo­go a luogo e da stagione a stagione. Può variare persino il valore apparentemente uguale di alcuni alimenti, per esempio il latte, perché paesi diversi e giurisdizioni diverse hanno standard di­versi per il latte.

 

  Fra gli alimenti comuni facilmente disponibili alla maggior parte delle persone, quelli più ricchi di calcio sono i lattici­ni. Un quarto di litro di latte parzialmente scremato o cen­to grammi di mozzarella, per esempio, forniscono 300-400 milligrammi di calcio. Come vedremo nel prossimo capito­lo, questo equivale a un terzo o a metà della dose giorna­liera consigliata per un adulto, e in una sola porzione!

  Nelle verdure e negli ortaggi il contenuto di calcio varia no­tevolmente: si va dai pomodori, che sono praticamente privi di calcio, alle verdure a foglia verde scuro (broccoletti, ci­me di rape, cavoli, verze, spinaci) che ne contengono mol­to, passando dai 78 milligrammi degli spinaci, per 100 gram­mi di sostanza edibile, ai 97 milligrammi delle cime di rape, quasi pari al calcio contenuto in 100 grammi di latte intero.

  La carne e il pollame hanno un basso contenuto di calcio. Il pesce in genere ne ha un po' di più, ma il contenuto va­ria a seconda del tipo. I molluschi, come ostriche e cozze, sono fonti moderatamente ricche di calcio. Tutti i pesci pic­coli mangiati interi (come le sardine) sono molto ricchi di calcio. Questo perché ne mangiamo le lische, cioè lo scheletro, che è la fonte più ricca di calcio in tutta la catena ali­mentare. Un solo cucchiaino da tè di osso macinato contie­ne circa 1000 milligrammi di calcio.

Questo solleva una questione importante. Abbiamo det­to che la carne e il pollame sono poveri di calcio, ed effetti­vamente è così, se consideriamo solo la porzione di carne. Ma, come confermeranno molti dietologi, alcune persone mangiano più della sola carne. Ad alcuni piace rosicchiare la punta delle ali del pollo fritto, o le estremità degli ossici­ni delle cosce o delle ali. Nelle ricerche sulla nutrizione, que­sto tipo di comportamento non viene di solito riferito o ana­lizzato, forse perché è considerato poco educato. Ma indi­vidui appartenenti a culture diverse dalla nostra spesso ro­sicchiano gli ossicini. Forse è un comportamento poco dif­fuso, ma certo fa bene alla salute!

Gli ossi non sono il solo esempio di una parte di cibo soli­tamente scartata ma ricca di calcio. Gli scampi hanno mol­to più calcio nel guscio che nella polpa. Negli scampi fritti viene di solito lasciato il guscio della coda. Certe persone lo mangiano; piace perché è croccante. Pochi dietologi chie­dono questo tipo di informazioni o registrano le risposte. Ma una dozzina di code di scampo contiene circa 500 milli­grammi di calcio. I popoli primitivi, meno schizzinosi di noi, riuscivano probabilmente ad assumere tutto il calcio con­tenuto in quello che mangiavano. Il calcio contenuto nel salmone in scatola è presente soprattutto nelle lische. Se noi le scartiamo, magari per fare un gesto elegante, perdia­mo tutto il contenuto di calcio del salmone.

  La maggior parte dei cereali da colazione è una fonte di cal­cio relativamente povera, ma parecchi oggigiorno vengo­no arricchiti, o aggiungendo calcio alla farina di frumento usata nella preparazione, o arricchendo gli alimenti già pron­ti. Per esempio, negli Stati Uniti, sia la Pillsbury che la Ge­neral Mills hanno aggiunto calcio alla farina bianca e un al­tro grosso produttore ha messo sul mercato un cereale da colazione che contiene 200 milligrammi di calcio per por­zione. L'interesse per il calcio, manifestatosi a partire dal 1982, ci fa pensare che saranno sempre più numerose le aziende che vorranno dare ai loro prodotti un punto di van­taggio sulla concorrenza arricchendoli di calcio. Perciò con­trollate le etichette.

  La maggior parte della frutta (e quindi dei succhi di frutta) è povera di calcio. Arance, succo d'arance e fichi sono le sole eccezioni fra i frutti generalmente disponibili in Euro­pa e in Nord America. Certa frutta secca, per esempio i fi­chi secchi, le uvette e le prugne ha un discreto contenuto di calcio; inoltre nelle confezioni in commercio ce n'è pa­recchia e così ne mangiamo di più. I frutti tropicali tendo­no ad avere un contenuto maggiore di calcio, alcuni anche notevolmente maggiore, ma poiché non sono generalmen­te disponibili non li abbiamo messi nell'elenco. Tuttavia, i succhi di frutta sono particolarmente adatti a "veicolare" una dose supplementare di calcio (si veda il capitolo 28). Succhi e concentrati di frutta arricchiti di calcio possono essere reperibili dove vivete voi. Cercateli.

  Esiste un'ampia varietà di "noci", e fra quelle generalmente reperibili in Europa e Nord America le mandorle, le noc­ciole e le noci del Brasile sono le migliori fonti di calcio. Cu­riosamente, alcuni dolcificanti naturali sono relativamen­te ricchi di calcio, in particolare lo sciroppo d'acero e la me­lassa. Nel caso della melassa, la prima estrazione, la melas­sa chiara, contiene meno calcio delle estrazioni successive.

  Il calcio è presente anche nell'acqua potabile, in concen­trazioni diverse e in unione con anioni diversi. L'acqua del rubinetto di solito ha un contenuto di calcio piuttosto mo­desto, in parte per ragioni tecniche connesse alla distribu­zione. (Quando l'acqua alla sorgente è ricca di calcio, spes­so viene addolcita per immetterla nelle tubature.) Le ac­que minerali, dette "acque calciche" secondo la legislazio­ne attuale, devono contenere almeno 150 milligrammi per litro, ma possono raggiungere livelli molto più alti. Per esem­pio, l'acqua minerale Sangemini contiene più del doppio di quella quantità di calcio. Le acque minerali che vengono definite "oligominerali" sono invece povere di calcio; al­cune contengono addirittura meno calcio del minimo pre­scritto per l'acqua di rubinetto che abbia subito un proces­so di addolcimento (60 milligrammi/litro). Considerando che il consumo medio di acqua minerale in Italia è di 1-1,5 litri per persona al giorno, un'acqua minerale "calcica" come Sangemìni può fornire da sola 320-450 milligrammi di cal­cio al giorno.

 

La seconda colonna della tabella 1 dà un'idea dell'apporto calo­rico collegato al calcio che ci occorre. Quando consideriamo il contenuto di calcio da questo punto di vista, le fonti di calcio assumono un ordine diverso (escludendo l'acqua minerale, che ovviamente ha zero calorie). Le verdure a foglia verde scuro, essendo fonti a basso valore calorico, sono un ottimo affare per quanto riguarda il calcio, tanto che sarebbe possibile assumere tutto il calcio di cui un adulto ha bisogno al costo di poche calorie.

I latticini parzialmente scremati sono al secondo posto. Tutto il calcio di cui ha bisogno un adulto costa solo 200-400 calorie per quasi tutti i latticini elencati. Il secondo posto non signi­fica, ovviamente, che i latticini non sono validi, dal punto di vi­sta nutrizionale, quanto le verdure a foglia. È vero il contra­rio. I latticini sono molto più ricchi di proteine della maggior parte degli ortaggi. Ma le proteine alimentari forniscono ener­gia - cioè calorie - e contribuiscono alla costruzione delle cel­lule, così è inevitabile che il rapporto calcio/calorie sia inferiore a quello che si può avere per cibi poveri di proteine, come le verdure a foglia.

Successivamente, il miglior rapporto calcio/calorie è quello del­le ostriche, dei crostacei e del pesce in scatola, se ha le lische.

Un'ultima considerazione, relativa alle mutate condizioni di vita. In passato gli ortaggi a foglia verde scuro erano spesso un alimento da poveri, sia perché questi non potevano permettersi il lusso di buttar via qualcosa di commestibile, sia perché le fo­glie verdi, scartate nella preparazione di piatti raffinati, rima­nevano a loro disposizione.

 

 

 

mg per 100 g

 di sostanza

edibile

mg per

100 calorie

FORMAGGI

 

 

Bel Paese

604

162

Caciocavallo

860

200

Cheddar

810

213

Emmenthal

1145

284

Fontina

870

254

Gorgonzola

612

171

Grana

1290

339

Mascarpone

68

15

Mozzarella

403

166

Provolone

881

241

Ricotta parzialmente scremata

272

146

LATTE & YOGHURT

 

 

Latte in polvere intero

1050

239

Latte in polvere scremato

1323

377

Latte intero

119

195

Latte scremato

120

339

Yoghurt intero

111

176

Yoghurt scremato

120

279

VERDURE

 

 

Asparagi

25

86

Barbabietole rosse

20

100

Biete

67

394

Carciofi

86

391

Carote

44

133

Cavolfiore

44

176

Cavoli cappuccio

60

316

Cavolini di Bruxelles

51

138

Cicoria

74

740

Cime di rapa

97

441

Cipolle

25

96

Finocchi

45

500

Funghi

22

100

Lattuga

45

237

Patate

10

12

Peperoni

17

77

Pomodori

9

47

Radicchio rosso

36

277

Sedano

31

155

Spinaci

78

252

CEREALI E DERIVATI

 

 

Biscotti

22

5

Brioches

9

2

Farina di frumento

18-28

5-9

Fette biscottate

55

13

Pane

13-17

5-6

Pasta all'uovo

22

6

Pasta di semola

17

5

Pizza

12

5

Riso brillato

6

2

Wafers

73

16

LEGUMI

 

 

Ceci

117

35

Fagioli freschi

44

42

Fagioli secchi

137

44

Fagiolini

35

206

Fave

23

62

Lenticchie

127

39

Piselli

47

62

CARNE, PESCE,

FRUTTI DI MARE,

INSACCATI

 

 

Carne bovina, ovina, equina,

coniglio, pollo, maiale

9-15

9-15

Tacchino

23

12

Mortadella

40

10

Prosciutto cotto

10

2

Prosciutto crudo

20

5

Salsiccia di suino

20-31

6

Acciuga o alice

148

37

Alici sott'olio

44

21

Aragosta

60

70

Aringa salata

112

51

Cozza

88

105

Dentice

38

38

Gambero

110

155

Sgombro in salamoia

185

105

FRUTTA FRESCA

 

 

Albicocche

16

57

Ananas

17

42

Arance

49

144

Banane

7

10

Castagne

38

20

Ciliegie

30

79

Fichi

43

91

Fragole

35

130

Limoni

14

127

Mele

6

13

Pere

6

15

Uva

27

44

Pesche

6

14

FRUTTA SECCA

 

 

Arachidi tostate

64

11

Castagne secche

52

15

Fichi secchi

186

77

Mandorle

236

44

Noci

83

13

Noci del brasile

179

29

 

Mode e manie alimentari

Molti si chiedono che effetto abbia la lavorazione sul valore nutrizionale degli alimenti. Nella maggior parte dei casi queste preoccupazioni sono state suscitate da chi incoraggia la ciarlataneria in campo alimentare, e per promuovere prodotti e metodi cosiddetti "naturali" afferma che gli alimenti comuni sono stati rovinati dai metodi moderni di coltivazione, raccolto e lavorazioni successive. Questo non è vero, certamente non è vero per il calcio. Non c'è assolutamente niente di vero nell'affermazione che la cottura e la pastorizzazione o qualsiasi altra lavorazione riduce il valore nutrizionale del calcio contenuto in un alimento.

Dopo ampie prove di assorbimento non c'è più alcun dubbio che il calcio è presente nelle verdure cotte come un quelle fresche (ci sono buone ragioni per preferire verdure "al dente", ma la presenza del calcio non c'entra). Spesso ci chiedono: "Pastorizzare il latte non distrugge il calcio?". La risposta è no. Abbiamo analizzato molti latticini nei nostri laboratori alla Università di Creighton, usando i migliori metodi messi a disposizione della scienza. Abbiamo trovato che il calcio è presente in tutti. Non c'è nessuna ragione per credere che la pastorizzazione al­teri la capacità del calcio di essere assorbito e utilizzato.

La gente chiede anche se fa male mescolare alimenti diversi. Si modifica così l'utilizzazione del calcio? Non si hanno ancora tutte le risposte, ma questo è quanto possiamo dirvi ora. Gli spi­naci contengono una sostanza detta acido ossalico che si lega con il calcio e interferisce con il suo assorbimento. Ma gli spinaci con­tengono abbastanza calcio da saturare tutto l'acido ossalico. Così il peggio che può capitare è che il calcio contenuto negli spinaci non venga assorbito. Per quel che ne sappiamo, un bicchiere di latte bevuto nel corso dello stesso pasto in cui si mangi una por­zione di spinaci fornirà tanto calcio quanto ne fornirebbe lo stesso latte bevuto in un altro momento.

Si ritiene che si leghino con il calcio anche altre sostanze pre­senti negli alimenti, come l'acido fitico, che si trova in certi ce­reali integrali, ma il loro effetto pratico sulla utilizzazione del calcio presente in altri alimenti è relativamente meno importante. Questo perché i cibi che contengono un legante del calcio, se non ce n'è molto nei cibi ingeriti nello stesso pasto, legheranno il calcio presente nei succhi gastrici. In entrambi i casi, l'effetto sull'e­conomia del calcio è circa uguale. Questo significa forse che si dovrebbero evitare gli alimenti che contengono un legante del calcio? No. Essi contengono molte altre sostanze nutritive. TI fatto che si leghino con il calcio è solo un esempio di come tutte le sostanze nutritive interagiscano fra di loro.

Oggigiorno sono popolari molte strane diete, alcune nuove, al­tre vecchie, molte potenzialmente pericolose. Si ritiene che possa essere buona una dieta di limitatissima varietà. Si ritiene che certi cibi non debbano mai essere ingeriti insieme ad altri ali­menti, per esempio che i carboidrati e le proteine siano incom­patibili. Si ritiene che gli adulti non siano fatti per bere latte, e che perciò il "fabbisogno naturale" di calcio debba essere molto basso. Tutto questo è pura ciarlataneria.

Anche per quanto riguarda le acque minerali ci sono alcune idee sbagliate che dovremmo correggere. Si crede, per esempio, che le acque minerali con un contenuto complessivo di sostanze solide inferiore ai 500 milligrammi per litro (oligominerali) sia-

no più efficaci nel senso della capacità di aumentare il flusso di urina e di espellere le scorie. Ricerche recenti evidenziano che le proprietà diuretiche di un'acqua non sono esclusivamente con­nesse al contenuto complessivo di sostanze solide; acque che con­tengono sali minerali a livello medio o alto possono essere ugual­mente efficaci. Acque minerali che contengono grandi quantità di calcio e di magnesio sono definite, da un punto di vista chi­mico, come "acque dure". Anche in questo caso ci scontriamo con un'idea sbagliata: che le acque dolci (olìgomineralì) siano pre­feribili per la loro bevibilità, come se un maggiore contenuto di minerali rendesse l'acqua "più pesante" o meno digeribile. Noi non crediamo che questo sia vero.

Quando si discute di una' 'moda passeggera" è utile spingere lo sguardo più a fondo per esaminare i valori che ne sono alla base. Pensiamo, per esempio, allo stile, alla moda e ai valori espressi nella pubblicità rivolta a un pubblico femminile. In ef­fetti, se le modelle riflettono ideali o valori culturali, allora la nostra donna ideale assomiglia a qualcuno che sia stato malato a lungo di una malattia devastante. Dobbiamo valutare se sia più femminile e "sano" essere delicate o robuste, essere indivi­dui insicuri o pieni di risorse.

Si spera che poche donne oggi considerino l'esser deboli e in­difese come l'espressione più appropriata della loro femminili­tà. L'idea che la magrezza sia in certo modo segno di salute - lasciando da parte il fatto se sia necessaria per essere accettati dagli altri - è tanto strana quanto pericolosa. Un modo di nu­trirsi e di vivere che solo la ricchezza può comprare si accompa­gna spesso a una carenza di calcio e all'inattività fisica. Inoltre, un modo di vivere del genere, protratto per un certo numero di anni, significa poco peso sulla struttura scheletrica e conse­guente deterioramento della medesima.

La moda e la mania della magrezza hanno un altro effetto più direttamente dannoso. L'anoressia e la bulimia sono un proble­ma enorme. Sono entrambe gravi malattie dell'alimentazione in donne giovani che o hanno un'idea sbagliata del loro corpo Ce si vedono sempre grasse) o vengono prese in un circolo vizioso per cui mangiano troppo e si costringono a vomitare subito do­po. Le conseguenze a lungo termine di queste malattie dell'alimentazione per la salute fisica e psicologica delle donne sono spaventose. Gli psichiatri sono convinti che la mania della ma­grezza, comunicata e promossa attraverso la pubblicità e i me­dia, sia responsabile del diffondersi epidemico delle malattie in questione.

 

 

 

 

il fabbisogno di calcio e i livelli di assunzione raccomandati

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Ognuno di noi ha un fabbisogno personale di calcio diverso da quello di altre persone e diverso anche a seconda dei periodi della vita. In generale, però, si ha bisogno di una grande quantità di calcio durante il periodo della crescita e durante gravidanza e allattamen­to. Da poco abbiamo scoperto che anche le persone più anziane hanno un notevole bisogno di calcio, in parte perché non utilizzano effica­cemente il calcio alimentare. Parecchi dei Livelli di Assunzione Rac­comandati su scala nazionale (Larn) non prendono ancora atto che la crescita ossea si prolunga fino alla maturità, o che le donne dopo la menopausa hanno bisogno di una maggiore quantità di calcio.

 

Sapere quanto calcio contiene un certo alimento è solo il primo passo. Bisogna anche sapere quanto calcio vi occorre. Per rispon­dere a questa domanda e per capire quanto afferma l'industria alimentare e saper leggere le etichette in modo critico bisogna chiarire due concetti importanti: fabbisogno e dose giornaliera. Comprendere questi due punti vi aiuterà anche a capire perché si continua ad avere bisogno di calcio per tutta la vita e perché il livello del fabbisogno si modifica nel corso degli anni.

 

Che cos'è il "fabbisogno"

Per tutte le sostanze nutritive esiste un fabbisogno, cioè la quan­tità che una persona deve assumere giornalmente per mante­nersi in salute - il che di solito vuol dire, per un adulto, com­pensare la quantità di sostanze nutritive consumate, perse o uti­lizzate quotidianamente. Per la maggior parte delle sostanze pos­siamo dire con una certa sicurezza quali sono questi valori, almeno in generale. Per altre, non sappiamo ancora esattamente quanto ne occorra, però sappiamo che ne abbiamo bisogno.

Le calorie apportate dal cibo spiegano bene il fabbisogno ali­mentare. Esse esprimono il valore energetico degli alimenti. Quando noi pensiamo all'energia necessaria per riscaldare o rin­frescare la casa, usiamo come unità di misura le calorie (kcal), ma il concetto è esattamente lo stesso. In un caso il combustibi­le fornisce l'energia per il lavoro del nostro organismo, nell'al­tro l'energia per riscaldare o raffreddare le nostre case.

Poiché vengono associate al controllo del peso, si è portati a pensare che le calorie siano una brutta cosa. Ma in realtà ne ab­biamo bisogno, perché mettono in moto i nostri muscoli e anche tutte le attività degli altri tessuti organici e mantengono stabile la temperatura corporea, proprio come altri combustibili met­tono in moto dei motori o riscaldano degli edifici. È evidente che abbiamo bisogno di calorie, proprio come i motori hanno biso­gno di combustibile. Se non assumiamo con la dieta quanto uti­lizziamo ogni giorno - cioè se assumiamo meno di quello che ci occorre - cominceremo a bruciare i nostri tessuti, utilìzzan­doli come combustibile, e perderemo peso. Quando quel com­bustibile è esaurito, si muore di fame.

Abbiamo bisogno di moltissime sostanze nutritive. Ci occor­rono sostanze chimiche complesse come le proteine, gli acidi gras­si essenziali, le vitamine; minerali importanti come il calcio, il fosforo, il sodio, il potassio e il magnesio; e persino gli olìgoele­menti, come il cobalto, il ferro, il manganese, lo zinco, il rame e molti altri. Per le sostanze chimiche complesse, il fabbisogno esiste perché parte della sostanza nutritiva viene consumata ogni giorno in fase di metabolizzazione e, per quello che riguarda i minerali, perché parte viene persa ogni giorno, soprattutto con l'escrezione. In entrambi i casi, il fabbisogno riflette l'esigenza di rimpiazzare quello che è stato utilizzato o perduto.

Il fabbisogno varia da persona a persona, a volte in modo no­tevole. Questo non dovrebbe sorprendere, in quanto è perfet­tamente ragionevole che una persona che fa un lavoro pesante abbia bisogno di cibi più energetici - con più calorie - di una persona sedentaria. Bruciare molta energia grazie a un lavoro fisico pesante fa utilizzare anche qualche altra sostanza nutritiva. Così le persone che non assumono vitamina C si ammaleran­no di scorbuto più rapidamente se fanno un lavoro pesante, ri­spetto a quando sono inattivi, perché le loro riserve di vitamina C vengono utilizzate più velocemente. Ma persino a parità di la­voro, i fabbisogni variano grandemente da persona a persona. Alcuni individui hanno bisogno di una maggiore quantità di son­no, altri hanno più bisogno di tranquillità. Alcuni sembrano ca­paci di sopportare più disagi di altri. Allo stesso modo, alcuni individui hanno bisogno di una maggiore quantità di una certa sostanza nutritiva. Questo è dovuto in parte a una diversa cor­poratura, in parte all'attività fisica, in parte alla quantità di al­tri alimenti assunti, in parte a fattori legati al modo di vivere, come fumare o bere caffè, in parte a malattie e farmaci. Ma an­che quando avremo tenuto conto di tutto questo, ci saranno an­cora ampie differenze dovute a fattori genetici.

Se fossimo in grado di determinare il fabbisogno di ogni so­stanza nutritiva per ciascuno di noi - o almeno per un campio­ne scelto a caso - i risultati potrebbero essere espressi da una curva gaussiana. Poche persone avrebbero un fabbisogno elevato, e poche altre un fabbisogno modesto, mentre la maggior parte sarebbe vicina a un valore centrale. Que­sto valore centrale è il fabbisogno medio. Ma questo diagramma potrebbe essere letto in un altro modo.

Potremmo spostarci lungo la scala dei valori dei fabbisogni indi­viduali dal più basso al più alto, chiedendoci a ogni passo: «Quante persone hanno un fabbisogno inferiore o uguale a questo livel­lo?» La risposta determinerebbe un altro diagramma abbastan­za simile a questo, che mostrerebbe, per ogni valore di fabbiso­gno, la proporzione di popolazione con un fabbisogno effettivo uguale o inferiore a quel valore (figura Il).

Notate che la curva prima si innalza lentamente, perché non molte persone hanno un fabbisogno basso. Quando ci spostiamo verso la metà della curva, dove si colloca la maggioranza della gente, persino un piccolo cambiamento nel livello di assunzione produce un notevole cambiamento nel numero di persone che rientrano in questa categoria. E infine, quando ci spostiamo verso l'altra estremità della gamma del fabbisogno, la curva si innalza di nuovo molto più lentamente, semplicemente perché non ci sono molte persone che abbiano fabbisogni elevati.

 

 

Cos'è il livello di assunzione raccomandato

Quest'ultimo diagramma contiene delle informazioni importan­ti per capire il concetto di Larn. Mentre il fabbisogno descrive il bisogno di un individuo specifico, un Larn è una dichiarazio­ne di politica generale, che serve come guida in una terapia die­tetica e in vari programmi alimentari governativi. È un valore equivalente a circa il 95° punto percentile di tutti i fabbisogni di quella sostanza nutritiva (punto A nel diagramma). Cioè, il 95 di tutti gli individui di una popolazione ha fabbisogni ugua­li o inferiori (per lo più inferiori) al valore Larn raccomandato.

I Larn sono una dichiarazione di politica generale perché ser­vono per guidare varie iniziative pubbliche a sostegno di una buo­na nutrizione. Poiché forniscono più di quello di cui la maggio­ranza della gente ha bisogno, fanno in modo che quasi tutti avran­no almeno quanto gli occorre. Tuttavia, circa il 5% della popo­lazione, cioè una persona su 20, avrà bisogno di una dose anco­ra maggiore.

Per prendere decisioni di politica generale non sarebbe me­glio basarsi sul fabbisogno medio? No. Se facessimo in modo che tutti assumessero il fabbisogno medio, circa metà della popola­zione non avrebbe quello che le occorre. Assicurare una nutri­zione adeguata solo a metà della popolazione non sarebbe una buona politica. Perciò i valori di un Larn devono essere abba­stanza alti da essere superiori al fabbisogno reale della grande maggioranza della popolazione.

Le quantità consigliate sono generalmente espresse come Larn e la maggior parte delle nazioni industrializzate ha fissato dei Larn per la maggioranza delle sostanze nutritive. In alcuni casi i valori hanno delle basi solide, in altri si basano per lo più su congetture, ma è sempre meglio che non avere nessun valore. (Sulla nutrizione vanno ancora fatte molte ricerche approfon­dite.)

Discutendo i fabbisogni riportati qui sopra, abbiamo detto che un'assunzione è adeguata se c'è abbastanza sostanza nutritiva da assicurare uno stato di salute. Gli esperti di scienza dell'ali­mentazione definiscono "salute" l'assenza della malattia specifica o della condizione fisica associata con la carenza di una par­ticolare sostanza nutritiva. Come abbiamo visto, la malattia associata alla carenza di vitamina D è il rachitismo, alla deficien­za di tiamina il beriberi, a quello della vitamina C lo scorbuto. Perciò il fabbisogno di vitamina D sarà definito come la quanti­tà necessaria per prevenire il rachitismo nei bambini; per la tia­mina, quella necessaria per impedire che una persona si amma­li di beriberi; e per la vitamina C, per impedire che si ammali di scorbuto.

Il problema di questo approccio è che crea un circolo vizioso. Potrebbe esserci un' altra malattia causata da una carenza più modesta - non sufficiente per produrre la malattia specifica - talmente diffusa che non ci siamo resi conto che si tratta di un problema risolvibile. Potremmo averla considerata, per esem­pio, come parte del normale processo di invecchiamento. Pro­prio su questo si basa una polemica che attualmente riguarda molte sostanze nutritive. Per esempio alcuni scienziati, come Li­nus Pauling, affermano che abbiamo bisogno di molta più vita­mina C della quantità consigliata dalla maggior parte dei Paesi. Altri affermano che abbiamo bisogno di una maggior quantità di vitamina A, o di vitamina E. E così via. Nella maggior parte dei casi le prove sono deboli, o almeno indirette, e i responsabi­li delle direttive sanitarie hanno deciso che occorrono prove si­cure prima di formulare norme applicabili a tutto il Paese. Per­ciò, in genere, i vari comitati nazionali tendono ad essere cauti. Probabilmente si capirà che alcune delle richieste di Larn più alti risultano infondate, e l'atteggiamento prudente dei comita­ti scientifici responsabili delle linee di condotta a livello nazio­nale è in realtà corretto. Tuttavia, è possibile che l'assenza di una malattia specifica non sia il criterio migliore per giudicare l'adeguatezza dell'assunzione di alcune sostanze nutritive, in­cluse, come vedremo, il calcio e la vitamina D.

Verrebbe da pensare che i Livelli di Assunzione Raccomanda­ti siano gli stessi, o quasi, in tutti i Paesi. Dopo tutto, la scienza è scienza ovunque. Ma la scienza dell'alimentazione non è una scienza esatta e gli esperti sono in disaccordo sui dati. Un'oc­chiata ai livelli di calcio consigliati agli adulti mostra una sor­prendente differenza tra vari Paesi:

 

Stati Uniti

800 mg

Canada

700-800 mg

Gran Bretagna

500 mg

Italia

800 mg

Giappone

600 mg

Organizzazione mondiale della sanità

400-500 mg

 

Queste variazioni sono in parte imputabili alle differenze cor­poree. Perciò i valori per gli Stati Uniti e per il Giappone sono più vicini di quanto sembrino, quando vengano espressi in uni­tà di peso corporeo del cittadino medio. Tuttavia, c'è ancora una grossa differenza fra i valori forniti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (400 milligrammi) e dagli Stati Uniti (800 milligram­mi). Questa discrepanza rispecchia molte cose: disaccordo fra scienziati, motivi politici ed effettive differenze nei fabbisogni (per esempio, gli individui del Terzo Mondo assumono meno pro­teine e spesso meno sodio, così hanno effettivamente bisogno di meno calcio).

In seguito analizzeremo le ragioni di queste controversie ri­guardo ai livelli consigliati di calcio. Per il momento, tuttavia, dovreste sapere che recentemente l'opinione scientifica si è orientata verso valori più alti, particolarmente per le donne vi­cino e dopo la menopausa. Ecco alcune dosi recentemente con­sigliate per donne tra i 40 e i 60 anni:

 

Larn degli USA (1989)

800

Consensus Panel dei Nih sull'osteoporosi (1984)

per donne che producono estrogeni

1000

Consensus Panel dei Nih sull'osteoporosi (1984)

per donne che non producono estrogeni

1500

Istituto della Nutrizione dell Olanda (1985)

1000

Convegno di Hong Kong sull'osteoporosi

(per donne che producono estrogeni)

1000

Convegno di Hong Kong sull'osteoporosi

(per donne che non producono estrogeni)

1500

 

Questi ultimi quattro valori, più alti di ciascuno dei Larn nazio­nali, rispecchiano la crescente consapevolezza che le donne vi­cino e dopo la menopausa possono aver bisogno di più calcio di quando erano più giovani e che la perdita di estrogeni al momento della menopausa fa aumentare ulteriormente il fabbisogno di calcio.

 

Dosi di calcio e periodi della vita

La modifica della dose consigliata per le donne di mezza età ri­specchia il fatto ormai generalmente riconosciuto che il fabbi­sogno di molte sostanze nutritive si modifica nel corso della vi­ta. Anche il periodo della crescita, la gravidanza e l'allattamen­to sono periodi speciali, con esigenze speciali, come lo sono gli anni pre e post-menopausali.

I valori ufficiali dei Larn di calcio, resi noti nel 1989 dal Comi­tato sui Livelli di Assunzione Alimentari del Consiglio Naziona­le delle Ricerche statunitense, sono i seguenti:

 

Bambini (2-11 anni)

800

Giogani (12-24 anni)

1200

Adulti (più di 25 anni)

800

Donne incinte

1200

Donne che allattano

1200

 

Il Larn per un bambino di due anni è uguale a quello di un adul­to, che probabilmente pesa da 6 a 10 volte tanto. Il bambino che cresce ha bisogno di formarsi lo scheletro e quindi gli occorre moltissimo calcio. Questo bisogno aumenta durante l'adolescenza - il periodo di maggior formazione di tessuto osseo - e perciò la dose sale a 1200 milligrammi. Solo da poco si è scoperto che la densità e il peso del tessuto osseo continuano a crescere oltre l'adolescenza, in effetti per tutti i primi trent'anni di vita. Negli Stati Uniti, nella più recente edizione dei Larn se ne è tenuto conto e si è spostato il fabbisogno di 1200 milligrammi preceden­temente limitato all'adolescenza, fino ai 24 anni. Infine, il valo­re di 1200 milligrammi per il periodo della gravidanza e dell'al­lattamento chiaramente rispecchia il bisogno di costruire lo sche­letro del bambino, sia quando è nell'utero che durante l'allatta­mento.

Nella maggioranza dei Paesi non si fanno distinzioni tra uomi­ni e donne e non vengono presi provvedimenti speciali per la ridotta efficienza dell'assorbimento del calcio alimentare che si verifica per le donne al momento della menopausa e per perso­ne di entrambi i sessi in età più avanzata, una modifica che fa aumentare l'effettivo bisogno di calcio. È probabile che saran­no sempre più numerosi i Paesi che aumenteranno il Larn per le donne di mezza età e probabilmente anche per le persone più anziane di entrambi i sessi.

 

 

 

 

come gli alimenti influiscono sull'utilizzo del calcio da parte dell'organismo

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Molti alimenti presenti nella dieta modificano il nostro bisogno di cal­cio. Le proteine e il sodio aumentare l'escrezione di calcio per via uri­naria. Diete ricche di fibra accelerare il passaggio del cibo attraverso gli intestini e possono quindi ridurre l'assorbimento del calcio. Anche la caffeina riduce leggermente l'assorbimento. Questi e altri fattori possono far aumentare il fabbisogno individuale di calcio alimentare.

 

È importante descrivere le interazioni esistenti tra il calcio e altre sostanze nutritive per due ragioni. Prima di tutto, perché se ne è sentito parlare molto; parte di quella informazione è accura­ta, parte no. Ma persino l'informazione accurata è difficile da interpretare se non si capisce in che modo interagiscono le so­stanze nutritive e che cosa questo significhi. Secondariamente, le interazioni nutritive spiegano alcune delle differenze esistenti fra fabbisogni, sia a livello individuale che di intere popolazio­ni. Perciò questo capitolo serve a prepararvi per la discussione più approfondita dell'argomento nel prossimo capitolo.

Per dirla in parole semplici, la quantità che ci occorre delle singole sostanze nutritive è determinata in parte da tutte le al­tre cose che mangiamo. Il calcio non fa eccezione.

Gli effetti negativi non sono di per sé pericolosi e sicuramen­te non suggeriscono di evitare le sostanze nutritive che li causa­no. Queste interazioni rispecchiano semplicemente il fatto che il fabbisogno dipende in parte dal resto dell'alimentazione.

 

Sostanza nutritiva

Effetto

Spiegazione

Fibra

negativo

diminuisce l'assorbimento intestinale del calcio

Proteine

negativo

Aumentano la perdita di calcio nelle urine

Caffeina

negativo

Aumenta la perdita di calcio negli intestini

Sodio

negativo

Aumenta la perdita di calcio nelle urine

Fosforo

neutro

Diminuisce la perdita di calcio nelle urine

Aumenta la perdita di calcio negli intestini

Alcuni zuccheri

positivo

Aumentano l'assorbimento intestinale di calcio

 

Fibre

Le fibre forniscono un buon esempio. Pare che l'organismo uma­no, nel corso dell'evoluzione, si sia adattato a un alto contenuto di fibre nella dieta. Le fibre forniscono volume, trattengono l'acqua e fanno muovere rapidamente attraverso l'intestino i re­sidui di cibo non assimilati. Negli ultimi anni siamo venuti sco­prendo che diete povere di fibre sono responsabili del rallenta­mento dei residui di cibo, dando quindi più tempo ai batteri in­testinali per convertire il materiale fecale in sostanze chimiche potenzialmente cancerogene. Perciò, una dieta a basso conte­nuto di fibre aumenta il rischio di cancro dell'intestino, mentre una dieta ricca di fibre ce ne protegge in qualche misura. È evi­dente che è una buona idea fare in modo che la nostra alimen­tazione includa una quantità sufficiente di fibre.

Ma se il contenuto intestinale procede più rapidamente attra­verso le viscere, ci può essere meno tempo per l'assorbimento del calcio. Inoltre, certi tipi di molecole fibrose possono legarsi con parte del calcio presente negli alimenti ed espellerlo dal cor­po. Per queste due ragioni una persona che abbia una dieta ric­ca di fibre può avere un più elevato fabbisogno di calcio. Tutta­via, se si considera l'assunzione di fibre più frequente nella mag­gior parte delle diete, l'effetto è relativamente modesto e gli ef­fetti positivi delle fibre superano di gran lunga quelli negativi sul calcio. Perciò non c'è nessuna ragione di preoccuparsi per lo stato di salute delle ossa quando si consuma una quantità ragionevolmente alta di fibre, né c'è ragione di evitare che alimenti ricchi di calcio si mescolino con cibi ricchi di fibre.

 

Proteine

La normale usura dei tessuti significa che alcuni dei mattoni delle proteine organiche devono essere sostituiti ogni giorno. Questa è la ragione per cui le proteine sono una parte essenziale della dieta, persino per adulti che non stanno più crescendo. Tutta­via, se mangiamo più proteine di quante ce ne occorrano per que­sta sostituzione, il sovrappiù viene bruciato come combustibile. I prodotti della demolizione di queste proteine in eccesso aumen­tano la perdita di calcio per via urinaria.

Uno di questi prodotti di demolizione è l'acido solforico, che quando viene eliminato dai reni si prende con sé un po' di cal­cio. Così un'assunzione maggiore di proteine fa aumentare la per­dita di calcio nelle urine. TI processo chimico è fondamentalmente uguale a quello che avviene quando un'industria brucia com­bustibili fossili che contengono zolfo. È il problema delle piogge acide in piccolo. Le ossa si impoveriscono quando si perde cal­cio attraverso i reni, proprio come gli edifici di calcare e le sta­tue (anch'esse fatte di calcio) vengono corrosi dalle piogge acide.

Assumere più proteine di quelle che ci servono aumenta quindi la perdita di calcio nelle urine. Come già per le fibre, questo non significa che non dobbiamo mangiare proteine. Ma se l'assun­zione di proteine aumenta, aumenta anche il nostro fabbisogno di calcio.

Cerchiamo di tradurre tutto questo in qualche cifra. Esperimenti condotti in tre diversi laboratori indicano che raddoppiare l'as­sunzione di proteine fa aumentare del 50 la perdita di calcio per via urinaria. Quindi l'effetto non è trascurabile. Perciò, se una donna che pesa 54 chilogrammi aumentasse l'assunzione di proteine da 44 a 88 grammi al giorno (che non è una quantità in­solita in molti paesi industrializzati), la sua perdita di calcio per via urinaria aumenterebbe di circa 50-60 milligrammi. Se l'effi­cienza dell'assorbimento intestinale del calcio fosse compresa tra il 25 e il 30 (come è comunemente nelle donne di mezza età), questa donna dovrebbe aumentare l'assunzione di calcio di 200-300 milligrammi (equivalenti a un bicchiere di latte in più al giorno) per compensare la perdita supplementare indotta dalle proteine.

Il rapporto tra fabbisogno di calcio e assunzione di fibre o di proteine non è un problema per la maggior parte degli animali, semplicemente perché la loro alimentazione naturale di solito contiene calcio in abbondanza. Ma può essere un problema per chi viva nel mondo occidentale, perché molti di noi hanno as­sunzioni di calcio al limite o sotto il limite della carenza. Qua­lunque cosa faccia aumentare l'effettivo bisogno di calcio ag­grava la carenza. Ma si può risolvere il problema aumentando la quantità di calcio alimentare per adeguarla all'assunzione di proteine. O non prendendo molte più proteine di quelle che ve­ramente ci servono.

Di quante proteine abbiamo bisogno? La dose consigliata per una donna adulta che pesi 54 chilogrammi è di 44 grammi al gior­no. Questa è circa la quantità di proteine presente in un piatto di lenticchie, o in due braciole di maiale. Non è una gran quan­tità di proteine. La maggioranza degli Europei ne assume molte di più ogni giorno, e quel sovrappiù aggrava il problema di un'as­sunzione di calcio generalmente bassa.

 

Caffeina

La caffeina fa aumentare la perdita di calcio per via urinaria, probabilmente perché interferisce con l'assorbimento del calcio. Tuttavia l'effetto è in genere molto modesto, e quasi trascura­bile, se l'assunzione di caffeina è moderata. La piccola perdita supplementare di calcio provocata da due o tre tazze di caffè al giorno può essere facilmente neutralizzata da qualche cuc­chiaiata di latte (o da qualunque alimento equivalente che con­tenga calcio). La caffeina diventa un problema per il calcio so­prattutto quando se ne assume molta, tipo 20 tazze di caffè al giorno, e quando l'assunzione di calcio è bassa. Di solito i grandi bevitori di caffè non bevono molto latte (dopo tutto, si riesce a bere solo una certa quantità di liquidi al giorno). Inoltre, i grandi consumatori di caffè spesso fumano, il che già di per sé aumen­ta il rischio di ammalarsi di osteoporosi. La combinazione di questi tre fattori negativi in una persona caffè-dipendente aggrava gli effetti pericolosi di ciascun fattore.

 

Sodio

L'organismo assorbe molto bene il sodio presente nell'intestino, rispecchiando così il fatto evolutivo che il sodio è scarso nell'am­biente degli animali terrestri e perciò l'assorbimento deve esse­re efficiente. Oggi, naturalmente, si può assumere molto più so­dio di quanto ne occorra.

Probabilmente il sodio non è così dannoso alla salute come vor­rebbero farci credere certe persone che si occupano di iperten­sione (vedi il capitolo 22). Ma noi non immagazziniamo il sodio in più e l'organismo deve eliminarlo. Questo avviene con note­vole efficienza grazie ai reni. Tuttavia, l'eliminazione del sodio porta anche a un'aumentata escrezione di calcio. In termini pra­tici, se mangiamo un mucchio di cibi salati, il fabbisogno giorna­liero di calcio è maggiore di quanto sarebbe altrimenti. Un gram­mo di sodio ci fa perdere circa 20 milligrammi di calcio. Vista la scarsa efficienza con cui utilizziamo il calcio, quella perdita in più può far aumentare il fabbisogno di calcio di una quantità variabile tra i 250 e i 500 milligrammi!

 

Fosforo

C'è, sia tra la gente comune che tra quanti se ne occupano di professione, una attenzione alle interazioni tra fosforo e calcio assolutamente sproporzionata alla loro effettiva importanza. Il fosforo aumenta sì la perdita di calcio nei succhi gastrici, ma di­minuisce anche quella per via urinaria. I due effetti si elidono a vicenda.

Perché ci si preoccupa tanto? Forse per via delle ricerche sul­la nutrizione di animali giovani in rapida crescita, dei neonati, dei bambini, per i quali il calcio e il fosforo sono essenziali per costruire il tessuto osseo e altri tessuti organici. Per sostenere una crescita rapida, l'organismo mantiene alta la concentrazio­ne del fosforo nel liquido extracellulare. Quando il livello del fosforo nel liquido extracellulare è alto, troppo fosforo nella dieta può disturbare l'economia del calcio. Ma livelli elevati di fosfo­ro nel liquido extracellulare si verificano solo nei bambini, non negli adulti. Inoltre, negli adulti il fattore crescita non incide più e l'equilibrio delle sostanze nutritive non è più critico come du­rante l'infanzia.

Comunque, parecchie ricerche hanno studiato l'effetto del fo­sforo sulle ossa e sul calcio. La Food and Drug Administration degli Stati Uniti (cioè l'equivalente del nostro Istituto Superiore di Sa­nità), per esempio, fin dal 1981 ha riunito due gruppi di scienzia­ti per esaminare tutti gli aspetti dell'assunzione del fosforo nella dieta americana. Si reagiva così all'aumento dell'assunzione di fosforo dovuta in particolare all'aumentato consumo di bibite. Ma, dopo aver esaminato i dati esistenti da tutti i punti di vista, i gruppi hanno concluso che sostanzialmente il problema non sussisteva. Il problema delle bibite - se di problema si tratta - consiste nel fatto che nella dieta moderna esse vengono usate invece dell'ac­qua e di altre bevande che contengono calcio, non nel fatto che il fosforo contenuto sia pericoloso.

 

Punti di vista

Per la maggior parte di queste interazioni non c'è da preoccu­parsi. In effetti, preoccuparsi della propria alimentazione è pro­babilmente un approccio sbagliato. Anche se la tesi espressa in questo libro è che quasi tutti noi faremmo meglio a consumare più calcio, ci sono modi relativamente semplici e diretti per riu­scirci. Noi siamo convinti che, una volta cambiate le proprie abi­tudini, tutta la faccenda dovrebbe essere dimenticata. Spesso ci chiedono se è opportuno evitare che gli alimenti che conten­gono calcio si mescolino nell'intestino con cibi che contengono fibra (come abbiamo già detto), o con certe verdure (come gli spinaci, che contengono acido ossalico che si lega con il calcio), e via dicendo. Ci sembra che questo tipo di preoccupazione tra­sformi il fatto di mangiare in un progetto di ingegneria chimica accuratamente calcolato, che richiede un mucchio di attenzio­ne. Noi pensiamo che questo approccio abolisca tutto il piacere di mangiare. Chi ci spinge ad adottare metodi di controllo così minuziosi ha delle idee ben strane per la testa.

 

 

 

 

perché qualcuno ha più bisogno di calcio di altri

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Ci sono tanti motivi per cui il fabbisogno di calcio varia da indi­viduo a individuo. In definitiva la capacità di farcela con una certa quantità di qualunque sostanza nutritiva è determinata in parte dallo stesso codice genetico che decide se i nostri occhi ~ no azzurri o i capelli ricciuti. Ma oltre a questa diversità gene­rica, ci sono anche cause ambientali, dietetiche e personali, co­me abbiamo già visto. Tre fattori influiscono sul fabbisogno di calcio nel singolo: la perdita obbligatoria; l'efficienza dell'assor­bimento intestinale e la re attività del tessuto osseo agli ormoni che regolano il calcio.

 

Perdita obbligatoria di calcio

La perdita obbligatoria è la perdita di calcio giornaliera che non e possibile evitare. Questa perdita diventa importante quando l'organismo deve adattarsi a una carenza di calcio. Allora la quan­tità persa ogni giorno determina la corrispondente quantità da assumere per evitare che il tessuto osseo venga demolito per impadronirsi del calcio che vi si trova. Che cosa determina l'entità di questa perdita? Le differenze genetiche, tanto per comincia­re. Ma anche certi fattori dietetici - come la caffeina, le pro­teine e il sodio - sono importanti, perché aumentano la perdita di calcio attraverso i reni. Questa è la ragione per cui nel capito­lo precedente abbiamo parlato delle interazioni dei vari alimenti.

Ripetiamo che la caffeina, le proteine e il sodio non sono pe­ricolosi di per sé. Ma se la quantità di calcio ingerita o assorbita è molto scarsa, allora un'assunzione eccessiva di sodio, protei­ne o caffeina (che aumentano la perdita obbligatoria), renderà più grave la carenza di calcio. Probabilmente le differenze so­stanziali nel fabbisogno di calcio tra individui di razza e nazio­nalità diversa, a parte le influenze genetiche, sono dovute alle incredibili diversità nella assunzione di proteine, sodio e caffei­na. È stato provato che una tipica donna bianca americana o in­glese ha una perdita obbligatoria di almeno 180 milligrammi di calcio al giorno. In altri paesi un individuo può avere una perdi­ta media equivalente alla metà, se non meno, di quella quanti­tà. Chiaramente il livello della perdita obbligatoria minima è un fattore decisivo per stabilire il fabbisogno di calcio.

 

Efficienza dell'assorbimento intestinale

Normalmente assorbiamo soltanto un terzo circa del calcio che ingeriamo (questa nostra inefficienza è un adattamento evolutivo sia alla generale abbondanza di calcio negli alimenti sia, come vedremo nel prossimo capitolo, alla possibilità che un essere umano assuma in condizioni di vita naturali una quantità eccessiva di calcio). Poiché molti individui che vivono nel mondo occidentale non hanno diete che forniscano un eccesso di calcio, è diventata importantissima la capacità di aumentare l'efficienza dell'assorbimento.

Quando certi individui hanno un maggior bisogno di calcio, semplicemente ne assorbono di più di quello che ingeriscono. Molti riescono a farcela anche con un'alimentazione molto povera. Ma per altri, particolarmente per donne di mezza età o anziane, il sistema funziona a rilento. L'assorbimento non aumenta abbastanza quando l'assunzione è modesta o quando la perdita obbligatoria è alta. dita obbligatoria è alta. Ne consegue una perdita di tessuto os­seo. Nessuno conosce con precisione le ragioni di questa ineffi­cienza. In alcuni casi ci può essere una carenza di vitamina D, o per via di un'inadeguata esposizione solare o perché i reni pro­ducono troppo lentamente il calcitriolo, l'ormone che aiuta ad assorbire il calcio e che viene prodotto dalla vitamina D.

 

Reattività del tessuto osseo

Abbiamo già visto nel capitolo 3 che l'ormone paratiroideo (PTH) mantiene la concentrazione del calcio nel liquido extracellulare a livello ottimale (1) facendo diminuire la perdita di calcio nelle urine, (2) aumentando l'efficienza dell'assorbimento del calcio alimentare, (3) aumentando la liberazione di calcio dalle ossa gra­zie a un'aumentata demolizione di tessuto osseo.

Le ghiandole paratiroidee producono il PTH in risposta a una modificazione del livello del calcio nel liquido extracellulare. Ma esse non hanno modo di sapere se i tre lontani organi bersaglio - rene, intestino e ossa - stanno facendo la parte che gli spet­ta. Le ghiandole continuano a liberare PTH, se necessario in quan­tità sempre maggiori, finché i livelli di calcio aumentano, ma sen­za curarsi di come questo aumento sia stato reso possibile. Per esempio, in una persona a digiuno o la cui dieta contenga ben poco calcio, l'effetto del PTH sull'assorbimento contribuirà po­co o niente a un maggior livello di calcio. Le ghiandole parati­roidee "non lo sanno", si limitano a far lavorare al massimo tutti e tre i meccanismi. Quelli che sono in grado di rispondere lo fan­no, quelli che non lo sono, non lo fanno. Chiaramente, avere tre meccanismi indipendenti per mantenere costante il calcio ex­tracellulare è un buon modo di assicurarsi contro un basso livel­lo di questo elemento.

Ma considerate che cosa succederebbe se uno di questi tre ber­sagli del PTH diventasse o più resistente o più re attivo all'azio­ne del paratormone. Prendete la reattività delle ossa. Se lo sche­letro risponde in modo eccessivo al PTH, contribuirà più di quanto gli compete a mantenere alti i livelli del calcio nel liquido extra­cellulare. I reni non diminuiranno quanto potrebbero la perdita nelle urine e l'intestino non assorbirà calcio alimentare con l'efficienza di cui sarebbe capace semplicemente perché le ossa stanno rispondendo più "generosamente" al PTH. In queste circostanze, però, l'adattamento a una dieta povera di calcio è scarso; la perdita nelle urine è ridotta in modo inadeguato, l'assorbimento intestinale aumenta in modo altrettanto inadeguato e le ossa subiscono un processo di demolizione per far fronte alle richieste interne. E' un po' come il caso di tre amici che vanno regolarmente a pranzo insieme, ma solo uno paga quasi sempre il conto.

Viceversa, se le ossa soffrono di una certa resistenza al PTH e sono in un certo modo "tirchie", allora le ghiandole paratiroidee devono produrre PTH in maggior quantità, il che costringe a un maggiore assorbimento del calcio alimentare e a una sua migliore conservazione da parte dei reni, in modo tale che le ossa vengono protette. Come abbiamo già visto, sono ancora a rischio, ma per lo meno vengono risparmiate fino all'ultimo.

Esistono davvero queste differenze nella reattività delle ossa? Due esempi lo evidenzieranno.

In primo luogo, si sa solo da poco che le ossa dei neri hanno una resistenza al PTH maggiore di quella dei bianchi. I ricercatori ritengono che questa sia in parte la ragione per cui i neri hanno scheletri più pesanti dei bianchi, anzi forse la spiegazione è tutta qui.

In secondo luogo, al momento della menopausa, quando le donne smettono di produrre estrogeno, c'è un aumento nella reattività ossea al PTH. La maggior parte dei ricercatori ritiene ormai che questa sia almeno in parte la ragione dell'ingente perdita di tessuto osseo nei mesi immediatamente successivi alla menopausa.

Anche se è bello essere generosi con gli amici e offrirgli il pranzo, il nostro scheletro non ci guadagna se le ossa fanno la parte dell'ufficiale pagatore nel terzetto di ossa, reni e intestino.

E' ormai chiaro come questi fattori influiscano sul fabbisogno individuale di calcio. Un individuo che assorba il calcio in modo soddisfacente non ha bisogno di assumerne quanto un individuo che lo assorba in modo inadeguato. Una persona che possa ridurre le perdite obbligatorie, particolarmente per via urinaria, non deve assorbirne - per restare in equilibrio - quanto una persona che non riesca a trattenere il calcio. E qualcuno che fac­cia tutte e due le cose ha un fabbisogno di calcio molto ridotto. Infine, la re attività ossea determina quanto PTH deve venir pro­dotto; e quindi quanto il nostro organismo deve darsi da fare per aumentare l'assorbimento e limitare le perdite. Le interazioni di altre sostanze nutritive con il calcio alimentare sono impor­tanti proprio perché incidono su questi processi. Alcune modi­ficano l'assorbimento, altre influiscono sulla perdita obbligatoria.

Il fabbisogno di calcio - la quantità che dobbiamo assumere ogni giorno per compensare le perdite quotidiane - è perciò di­verso a seconda delle persone. Ma, una volta ancora, è proprio qui che cade a proposito il concetto di livello di assunzione gior­naliero consigliato. Se tutti noi assumiamo almeno il Larn di calcio raccomandato, quasi tutti ne prenderemo più di quanto ce ne serva effettivamente e non saremo mai obbligati a sfruttare al massimo la capacità di adattamento del nostro organismo. Solo raramente dovremo diminuire le perdite al livello minimo ob­bligatorio e solo raramente ci troveremo a stimolare al massimo l'assorbimento. Anche se è confortante sapere di poter contare su questi dispositivi d'emergenza, non è certamente sensato far funzionare un organismo in stato di emergenza continua. Que­sto è quanto ci obbliga a fare una dieta povera di calcio.

 

 

 

 

l'assunzione "naturale" di calcio

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Gli uomini primitivi, che vivevano di caccia e raccolta, assumeva­no una media di 2000-3000 milligrammi di calcio al giorno. Que­sta quantità è circa 4 o 5 volte l'assunzione tipica degli uomini ci­vilizzati ed è più vicina alla dieta ricca di calcio propria della mag­gior parte degli animali. È probabile che sia questo il tipo di as­sunzione per il quale si sono evoluti i nostri sistemi. Assunzioni abitualmente inferiori a questi valori mettono a dura prova la ca­pacità di adattamento di molti individui.

 

Gli scienziati dell'alimentazione usano due metodi per capire in che cosa consista una buona nutrizione. Con il primo si identifi­ca la malattia causata da un' assunzione inadeguata di una certa sostanza nutritiva e se ne trova la quantità necessaria per im­pedire la malattia. Quando questo criterio viene adottato per tut­te le sostanze nutritive e vengono addizionati i singoli risultati, la somma complessiva viene considerata una buona dieta. L'al­tro metodo consiste nell' osservare gli individui allo' 'stato di na­tura", prendere nota delle quantità a cui si sono adattati e uti­lizzarle come standard di una buona nutrizione. La teoria alla base di questo approccio si basa sulla selezione naturale: gli or­ganismi incapaci di adattarsi all'ambiente non ce la fanno a so­pravvivere. Se una popolazione ha vissuto per migliaia, persino centinaia di migliaia di anni, in un determinato ambiente, deve aver stabilito un certo tipo di equilibrio evolutivo con quell'am­biente. Questo significa che, da una parte, l'ambiente fornisce tutte le sostanze nutritive in quantità sufficiente per mantene­re in vita la popolazione e, dall'altro, che la popolazione è di­ventata dipendente da quello che l'ambiente le fornisce.

Perciò, se l'assunzione di una sostanza nutritiva particolare è bassa, e i nativi sono in buona salute, qualunque sia lo stan­dard adottato possiamo essere abbastanza sicuri che in quelle particolari condizioni di vita per restare in buona salute non ne è richiesta una assunzione elevata. E se l'assunzione è alta, è probabile che la popolazione si sia adattata a quella assunzione elevata, e quindi ne abbia ormai bisogno.

L'intrinseca debolezza di questo modo di ragionare è rivelata dalla ormai generale consapevolezza che non tutte le mutazioni sono chiaramente vantaggiose o svantaggiose, e che non tutte le forme di equilibrio tra organismi e ambiente sono state messe a punto con esattezza. Così, anche se, per esempio, dovessimo scoprire che gli uomini primitivi avevano un'elevata assunzio­ne di calcio, questo non proverebbe assolutamente niente. Per­ciò dobbiamo procedere con cautela quando cerchiamo di capi­re quale fosse l'assunzione disponibile agli uomini primitivi.

D'altra parte, anche l'approccio basato sulla malattia è rischio­so. Possiamo non sapere con sicurezza quale malattia o disfun­zione cercare. E soprattutto se ci vuole molto tempo perché una carenza nutrizionale si manifesti sotto forma di malattia, non la centreremo quasi mai.

Una delle ragioni che inducono a studiare l'assunzione "na­turale" di calcio negli uomini primitivi è che parecchi esperti della nutrizione l'hanno utilizzata per sostenere che è sufficiente una quantità minima di calcio per star bene. Essi fanno notare che i latticini sono la fonte principale del calcio alimentare nel­la dieta del mondo occidentale; che l'uso dei latticini è dipeso dal livello di civiltà raggiunto; e che gli individui di alcune razze perdono dopo l'infanzia l'enzima necessario per digerire il lat­tosio (lo zucchero del latte). Concludono quindi che una dieta ricca di calcio non può essere naturale per gli adulti. Ma una dieta povera di latticini è necessariamente povera di calcio? Non lo è, come vedremo.

Ci sono molti modi di studiare la questione dell'assunzione "na­turale" del calcio negli uomini. Un modo è studiare popolazioni che vivano ancora oggi in società primitive, in condizioni il più simili possibile a quelle prevalenti in età preistorica, scarsamente modificate da quello che chiamiamo civiltà. L'altro è analizzare i dati raccolti dai ricercatori che hanno studiato le ossa di per­sone vissute in epoca preistorica e il cibo, sia vegetale che ani­male, disponibile a quei tempi.

Gli etnologi hanno preso in esame circa cinquanta gruppi di cacciatori-raccoglitori in Africa, Australia, nel Sudest asiatico e in Sudamerica. Questi uomini si nutrono più o meno come fanno gli animali in libertà, mangiando quello che cacciano, trovano, scavano o sradicano. Non hanno animali domestici e non colti­vano il terreno. Si spostano da un luogo all'altro, prendendo il cibo disponibile secondo la stagione, il che gli offre un'ampia va­rietà di alimenti. Si scopre che mangiano una grande quantità di selvaggina, e un'immensa varietà di prodotti vegetali, inclu­se noci, bacche, frutta, rizomi, radici, tuberi, foglie, piante ac­quatiche e via di seguito. Gli esperti della nutrizione cui accen­navamo prima hanno ragione: questi individui non ingeriscono praticamente né latte né prodotti derivati dal latte, dopo l'in­fanzia. Eppure, la loro assunzione di calcio è di circa 1600 milli­grammi al giorno. Essi tendono ad essere più piccoli di noi, e se rapportata alle nostre dimensioni corporee, la loro assunzione di calcio sarebbe di 2000-3000 milligrammi al giorno! (Questo va­lore non include il contributo di ossicini o frammenti ossei, che possono facilmente raddoppiare la quantità di calcio assunta con quel tipo di alimentazione. Per esempio, i nativi del Kenya che vivono lungo le sponde del lago Vittoria assumono circa 2700 milligrammi di calcio al giorno, grazie soprattutto alle lische dei pesciolini che sono un costituente essenziale della loro dieta. Altri popoli, che vivono lungo le coste di mari o fiumi e derivano una parte sostanziale del loro nutrimento dal pesce, hanno assun­zioni di calcio analogamente alte).

Il fatto che popolazioni che vivono di caccia e di raccolta as­sumano molto calcio non prova che gliene occorra tanto. Eppu­re questa conclusione sembra essere corretta per almeno alcu­ne delle sostanze nutritive che essi ingeriscono. Una delle tribù di cacciatori-raccoglitori che è stata oggetto di studio vive nel­l'Africa centro-meridionale, dove c'è ancora abbastanza spazio per potersi spostare un po', anche se non troppo. Poiché la tri­bù in questo secolo è diventata più numerosa, ed è venuta in contatto con la civiltà, alcuni gruppi vicino ai confini hanno dovuto imparare a coltivare il terreno, che nutre più gente che non la caccia o la raccolta, proporzionalmente all'area coperta. Ma l'agricoltura fornisce solo una varietà limitata di alimenti, an­che se alcuni di essi sono relativamente abbondanti. Il risulta­to, per quanto riguarda questa tribù, è stato una serie di caren­ze nutrizionali sconosciute nelle precedenti condizioni di liber­tà. Quando queste popolazioni abbandonarono la caccia e la rac­colta, l'assunzione ridotta di almeno due sostanze nutritive (il ferro e la folacina) fece sì che si ammalassero di malattie da ca­renze nutrizionali.

I resti fossili conducono a conclusioni analoghe. Dopo l'epoca glaciale (circa 50.000 anni fa) la densità della popolazione in Eu­ropa era bassa. Gli uomini vivevano di caccia e di raccolta e c'e­ra abbondanza di verdura e di selvaggina, cioè del cibo adatto. Gli scheletri di queste popolazioni primitive mostrano che era­no più grandi degli odierni bianchi europei (anche se noi usu­fruiamo di medicina preventiva) e che la loro struttura ossea era più pesante.

Ovviamente, c'erano molti altri fattori oltre la dieta. Già l'at­tività fisica associata a condizioni di vita "naturali" potrebbe di per sé spiegare gli scheletri più pesanti. Tuttavia, è interes­sante che i reperti fossili mostrino come nel corso di millenni, mentre le popolazioni aumentavano e l'ambiente cominciava a essere impoverito, gli scheletri siano diventati più leggeri e più piccoli. Esattamente la stessa storia ce la raccontano i reperti ossei degli indiani delle praterie nordamericane in epoca pre­colombiana. Quando la densità della popolazione era bassa e il cibo abbondante, gli scheletri erano più grandi e più pesanti, ma quando le popolazioni aumentarono di numero e per la terra di­ventò difficile nutrire tutta quella gente, gli scheletri diventa­rono più leggeri e più piccoli. L'alimentazione non sarà stato l'u­nico fattore responsabile di questo cambiamento, ma sembra ra­gionevole concludere che può aver avuto una parte importante.

La questione dell'assunzione "naturale" del calcio potrebbe essere affrontata anche in un altro modo, cioè osservando oggi individui appartenenti a civiltà diverse, analizzando quanto calcio assumono e come. Questo non è uno studio interessante come quello dei cacciatori-raccoglitori, perché nessuna civiltà umana è durata tanto da aver consentito l'evoluzione di un equilibrio tra ambiente e abitanti. Tuttavia, se i modelli culturali fossero stati seriamente inadatti, il gruppo non sarebbe sopravvissuto, quindi si può ottenere qualche informazione utile anche in que­sto modo.

Ancora una volta, i latticini non occupano un posto di rilievo nella dieta di un adulto nella maggior parte delle culture e dei gruppi etnici attuali, specialmente nel Terzo Mondo. I Masai del­l'Africa orientale rappresentano un' eccezione. Sono un popolo dedito alla pastorizia e la loro dieta consiste principalmente di latte liquido, con un'assunzione tipica di calcio che arriva a 6000 milligrammi al giorno e oltre. Di solito, un'ampia disponibilità di prodotti caseari dipende dalla possibilità di refrigerarli (o al­meno da un clima fresco) e da un buon sistema di trasporto e di distribuzione. Inoltre, come abbiamo già notato, i neri adulti e gli orientali hanno la tendenza a non produrre l'enzima inte­stinale necessario per digerire il lattosio. Ma questo non vuol di­re che la loro assunzione di calcio sia bassa (come lo sarebbe per noi, se dovessimo togliere latte e formaggio dalla nostra dieta). Molti popoli del Terzo Mondo assumono il calcio necessario in modi interessanti e insoliti per un occidentale. Abbiamo già sot­tolineato l'importanza delle ossa di animali nella dieta, sia di pic­coli pesci che di piccoli uccelli, mangiati arrostiti o in umido. Gli indiani dell'America centrale mescolano un po' di calce (idros­sido di calcio) alla farina di mais con cui fanno tortillas o altri tipi di pane cotto al forno. il tofu, un alimento fondamentale nella cucina orientale, è ricco di calcio perché il caglio di soia viene fatto coagulare aggiungendo solfato di calcio o cloruro di calcio. Le donne del Sudest asiatico che masticano noci di betel prepa­rano il loro "bolo" impastando noci di betel e calce. I contadini peruviani aggiungono la polvere di una roccia ricca di calcio a una pappa di cereali che è il loro alimento di base e uniscono una cenere ricca di calcio alle foglie di coca che masticano abi­tualmente. Alcuni vietnamiti, in particolare le donne incinte, bevono un liquido preparato mettendo a bagno degli ossi in ace­to fatto in casa. Questa preparazione è così ricca di calcio che due cucchiai contengono tanto calcio quanto una tazza di latte.

È stato stimato che l'assunzione media giornaliera per queste popolazioni che non usano latticini può facilmente raggiungere i 1200-2000 milligrammi al giorno.

L'assunzione di calcio è ed era alta per l'uomo che viveva in condizioni naturali o primitive. E molte culture, che per forza hanno una varietà di alimenti più ristretta rispetto a quella di­sponibile a una popolazione dedita alla caccia e alla raccolta, han­no preso l'abitudine di aggiungere calcio ai loro alimenti di ba­se. Ovviamente questa non è una prova sicura che non possia­mo farcela con quantitativi minori. Ma la scoperta pressoché ge­neralizzata che l'assunzione naturale di calcio è alta non favori­sce certamente l'affermazione di molti esperti della nutrizione che l'uomo ha bisogno di ben poco calcio.

 

 

 

 

quanto calcio assumiamo?

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La tipica donna nordamericana assume meno di 600 milligrammi di calcio al giorno dai 20 ai 50 anni, e meno di 500 milligrammi al giorno dai 50 in poi. Negli Stati Uniti soltanto una su sei ragaz­ze non ancora ventenni assume la dose di calcio consigliata.

 

Ormai abbiamo un'idea di quanto sia il nostro fabbisogno di cal­cio, quanto dovremmo prenderne secondo gli studi più recenti, e quanto ne assumevano popolazioni primitive di cacciatori­-raccoglitori. Adesso è utile vedere a che punto siamo noi.

La maggior parte dei Paesi non tiene registrazioni scrupolose dei consumi alimentari. Gli Stati Uniti rappresentano un'ecce­zione. Fin dagli inizi degli anni Settanta il governo degli Stati Uniti svolge attente indagini (chiamate Hanes, Health and Nu­trition Examination Surveys) sulle condizioni di salute e lo sta­to di nutrizione della popolazione. Queste indagini prendono in considerazione molte variabili relative alla nutrizione e allo sta­to di salute. Il calcio è solo una di queste. Sono campionate si­stematicamente persone di tutte le età; ricchi e poveri; neri e bianchi, di estrazione rurale o urbana, provenienti da aree di­verse. Le informazioni relative all'alimentazione dipendono da quello che la gente racconta di mangiare, e perciò contengono inevitabili inaccuratezze; ma sono i dati migliori che abbiamo. Anche tenendo conto di una certa imprecisione, ci raccontano una storia che dovrebbe farci rinsavire.

 

 

 

Secondo i grafici, il 25  degli uomini e delle donne prendono meno calcio.della linea inferiore, il 50 meno della linea me­diana, e il 75 meno della linea superiore. I grafici indicano an­che i Larn americani attuali, come termini di riferimento. Si vede che, mentre alcuni uomini si collocano all'estremità infe­riore della norma, l'assunzione media maschile (fiqura 12) è molto vicina alla dose consigliata. Invece la cifra media per le donne (figura 13) oscilla intorno ai 500 milligrammi al giorno per tutti gli anni della maturità, finché cala sotto i 500 al momento della menopausa. Una donna su quattro prende meno di 300 milli­grammi di calcio al giorno. Notate anche la bassa assunzione ~edia durante l'adolescenza, quando una ragazza forma la mag­gior parte del suo scheletro. La dose consigliata per adolescenti è di 1200 milligrammi al giorno, ma il grafico evidenzia come la tipica adolescente raramente assuma metà di quella dose. Me­no di una ragazza su sei assume il Larn. È particolarmente allar­mante che l'assunzione di calcio delle adolescenti sia risultata più bassa del 10 nella più recente indagine governativa. La ri­duzione della quantità di calcio proprio nel periodo in cui una donna ha più bisogno di calcio rappresenta una bomba ad orolo­geria destinata a scoppiare cinquanta anni dopo.

La tabella 3 indica la percentuale di donne di varia età la cui assunzione di calcio in un giorno qualunque rimane al di sotto di queste tre cifre: il Larn attuale; i 1000 milligrammi consiglia­ti per donne di mezza età che producono ancora estrogeno; i 1500 milligrammi consigliati per le donne ormai prive di estrogeno.

Queste cifre mettono in luce l'imponenza del fenomeno. Le donne giovani (tra i 18 e i 24 anni) si comportano meglio, ma ben due terzi assumono meno della dose attualmente raccoman­data. Le abitudini peggiorano di decennio in decennio, finché all'età di 70 anni quasi 1'80 assume meno di 800 milligrammi al giorno. Il Larn quasi certamente verrà alzato a 1000 milligram­mi. A meno che i modelli di assunzione si modifichino, questo vorrà dire che 1'84-90 di tutte le donne sopra i 35 anni finirà sotto la soglia della dose consigliata. E il 96-99  di tutte le donne sopra i 35 anni è già al di sotto della dose di 1500 milli­grammi.

 

 

 

Incidentalmente, spesso ci chiedono perché ragazze e giovani donne abbiano assunzioni di calcio inferiori a quelle dei maschi della stessa età e in particolare perché bevano meno latte. Non c'è davvero una risposta a questa domanda, a meno che si dica che la responsabilità ricade sulle pressioni esercitate dai coeta­nei. Le ragazze prima dei vent'anni sembrano avvertire che be­re latte non è un comportamento accettabile, almeno a giudica­re dagli inespressi standard del loro gruppo. Inoltre, associano il latte alla sorveglianza dei genitori e così rifiutano anche que­sta imposizione, insieme a molte altre. Spesso si preoccupano troppo di restare snelle e non sono disposte ad accettare nem­meno le poche calorie del latte parzialmente scremato. In più, molte ragazze che partecipano ai programmi sportivi delle scuole secondarie e dell'università spesso ricevono dai loro allenatori dei consigli sbagliati e, a dire la verità, molto pericolosi. Per esem­pio, un allenatore può insinuare che le ossa pesanti rallentano una nuotatrice. Inchieste fatte sulle conoscenze degli allenatori in fatto di nutrizione hanno dimostrato che il livello di informa­zione al riguardo è molto basso. Eppure spesso essi hanno più influenza di chiunque altro sulle scelte alimentari di una perso­na giovane.

 

Età

800 mg

1000 mg

1500 mg

18-24

67

-

-

25-34

70

-

-

35-44

76

84

96

45-54

78

87

98

55-64

78

88

98

65-74

79

90

99

 

Una volta abbandonata l'abitudine di bere latte, è difficile che una ragazza la riprenda, anche se una volta raggiunti i vent'an­ni riesce a sottrarsi alle pressioni esercitate dai coetanei. Curio­samente, lo yogurt è ritenuto chic da molte donne non più ado­lescenti che non bevono più latte. Eppure lo yogurt alla frutta ha più calorie e meno calcio del latte intero. Come si vede, cer­te scelte, come tante altre cose influenzate dalla moda, non so­no sempre razionali.

I ragazzi, invece, si comportano in base a un altro tipo di aspet­tative dei coetanei. Almeno negli Stati Uniti, la maggioranza dei ragazzi beve un mucchio di latte, come del resto i personaggi che gli servono da modello. Perciò un ragazzo che beve latte non si sente diverso dagli altri. Inoltre, la maggior parte dei ragazzi brucia più calorie delle ragazze, cosicché stare attenti al peso non è per loro una grossa preoccupazione.

 

 

 

 

che cosa significa avere l'osteoporosi

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L 'osteoporosi non è una malattia specifica, ma una condizione in cui la massa e la robustezza del tessuto osseo sono ridotte e in cui facilmente si verificano fratture. Le lesioni connesse provocano do­lore, deformità, invalidità, persino perdita della propria autono­mia. L 'osteoporosi può comportare fratture in qualunque porzione dello scheletro, ma la colonna vertebrale è la più colpita tra i 55 e i 75 anni. Dopo di che, diventare più comuni le fratture del femore e delle ossa lunghe. Le fratture della colonna vertebrale comprimono le vertebre e hanno come conseguenza una perdita di altezza, una postura curva, dolori di schiena cronici e difficoltà nelle normali attività quotidiane. Le fratture del femore, che si verificano per lo più nell'anziano ''fragile'', comportano una elevata incidenza di morte - circa uno su sei - anche se l'incidente che provoca la frat­tura è spesso banale.

 

L'osteoporosi è una condizione in cui le ossa, come indica la pa­rola stessa, sono porose. L'aspetto esterno può essere assoluta­mente normale, ma sono meno dense. Il vero problema dell'o­steoporosi è che la gente si frattura varie parti dello scheletro a seguito di incidenti banali, così banali che spesso non avreb­bero alcuna conseguenza su una persona con uno scheletro in buone condizioni. L' osteoporosi è prevalentemente un proble­ma femminile. Per ogni uomo tra i 55 e i 75 anni che ha una frat­tura, ci sono tra 6 e 8 donne con lo stesso problema, e dopo i 75 anni le donne che subiscono fratture sono quasi il triplo.

Nel corso degli ultimi anni, molte persone ammalate di osteo­porosi ci hanno scritto, raccontandoci le loro esperienze, e i nos­tri colleghi che lavorano nei servizi sociali hanno aggiunto al­tre evidenze a questa collezione di storie personali. Esse metto no in luce in modo drammatico e personale quello che l' osteo­porosi significa per alcune delle persone che ne soffrono, Lascia­mo che queste persone ve lo dicano con le loro parole:

 

La schiena mi si è ingobbita e l'addome si è dilatato, ma il dolore alla schiena non è più così forte, In genere mi sento molto male, de­bole e incapace di fare i soliti lavori di casa ... Mi hanno detto che ho parecchi punti a mio sfavore ... un'isterectomia quando avevo 36 anni... un'allergia al latte ... nonostante i miei handicap, spero di mi­gliorare prendendo qualche medicina ... Le sarei molto grata se po­tesse trovare il tempo di mandarmi delle informazioni su come pos­so guarire dall' osteoporosi.

 

Storie del genere sono piene di sofferenza, paura, coraggio e ri­sorse personali. Le persone che hanno condiviso con noi le loro preoccupazioni sono per lo più donne, di mezza età o più anzia­ne, con un'accentuata osteoporosi. Ci dicono che cosa succede quando la colonna vertebrale non riesce più a reggere il peso del corpo. Una donna scrive:

 

Al momento ho una vertebra fratturata ... In passato mi sono già rotta due vertebre. Non so proprio spiegare come succede, perché faccio molta attenzione quando sollevo qualcosa e cerco di non chinarmi troppo.

 

E un'altra:

 

Ho l'osteoporosi, e ultimamente mi sono rotta cinque vertebre. Ho avuto dei dolori terribili.

 

Un'altra confessa una paura che tormenta molte donne che han­no l'osteoporosi: quella di nuove fratture.

 

Gioco a golf da molti anni. .. ma ho paura di giocare ancora, dato che adesso mi sento bene, per paura di fare altri danni.

 

La riduzione della massa ossea nell'osteoporosi è certamente una delle ragioni principali per cui lo scheletro diventa fragile. Un tempo pensavamo che fosse tutto lì. Ora ci rendiamo conto che la malattia è molto più complessa.

Qualunque osso può essere sede di frattura, quando si ha l'osteoporosi. Tuttavia, alcune fratture sono più comuni di altre e le due fratture che hanno suscitato il maggior interesse, sia negli addetti ai lavori che nell'opinione pubblica, sono le frat­ture da compressione della colonna vertebrale e le fratture del femore .

Generalmente, la frattura da compressione (o schiacciamen­to) della colonna vertebrale si verifica quando una donna si pie­ga in avanti per sollevare qualcosa dal pavimento, per aprire una finestra bloccata, per togliere dal forno una pentola pesante, o per un qualunque movimento assolutamente normale. Quando si piega in avanti, la parte anteriore di una o di più vertebre si comprime su se stessa, come mostriamo nella figura 14.

Di solito, se il tessuto osseo è tanto fragile da permettere un cedi­mento del genere, lo è abbastanza per averne parecchi nel giro di po­chi mesi. Questo tipo di progressione è illustrato nella figura 15, rea­lizzata tenendo presente la radiografia della schiena di una donna che nel corso di alcuni mesi subì una serie di fratture da com­pressione. I corpi vertebrali compressi sono tratteggiati, e un aste­risco indica i successivi schiacciamenti.

 

 

Ogni vertebra schiacciata di solito provoca un dolore acuto (sebbene a volte una radiografia della colonna evidenzi parec­chi cedimenti del genere, senza che il paziente ricordi di aver avuto nemmeno un mal di schiena!). Generalmente il dolore acuto diminuisce in pochi giorni o settimane, ma un mal di schiena di intensità variabile può continuare per mesi e spesso diventa cro­nico. La colonna vertebrale si deforma, la donna si curva, spes­so ha una gobba evidente a metà schiena o più su.

Per la maggior parte dei pazienti, il processo che conduce a una osteoporosi conclamata si è svolto in modo silente per al­meno vent'anni - o anche più a lungo - prima di diventare palese in occasione di una frattura. Quando questa si verifica, almeno un terzo dello scheletro è già stato eroso e perso, per lo più irrimediabilmente. Un chilogrammo e più di struttura os­sea sarà stato demolito perché l'organismo ha bisogno di calcio per scopi immediati. Ma quel vantaggio a breve termine ha por­tato con sé un costo a lungo termine, evidente infine sotto for­ma di lesioni, dolore, deformità, invalidità e persino, probabil­mente, perdita di autonomia.

Le fratture della colonna vertebrale si verificano di solito intorno ai 60-65 anni, sebbene in alcune donne, altrimenti sa­ne, si possano verificare addirittura a 55 anni. (Abbiamo per­sino visto fratture da schiacciamento in giovani donne mala­te di anoressia mentale, che non avevano più di 25 anni! Ne par­leremo ancora al capitolo 19.) Nessuno sa con sicurezza quan­to siano comuni queste fratture, perché a volte si verificano in assenza di dolore e perché non tutti quelli che ne hanno sof­ferto sono andati all'ospedale. Una statistica citata di frequen­te indica che il 25 delle donne bianche di più di 65 anni ha avuto una frattura del genere - il che vuol dire circa 5 milioni di donne solo negli Stati Uniti. Questo calcolo è probabilmente un po' alto, ma anche se il cedimento vertebrale toccasse solo il 10 o il 15% delle donne, sarebbe ancora un problema molto grave.

Le conseguenze di una frattura da osteoporosi influiscono in

modo drammatico sul proprio modo di vivere.

 

Ho lavorato come contabile fino alla pensione. Quattro settimane do­po cominciai ad avere mal di schiena. Quattro mesi dopo scoprii fi­nalmente che avevo avuto quattro fratture da compressione. Dopo sei mesi mi sentii abbastanza bene, tanto da andare a fare la spesa, ma portare dei pesi mi provocò altre due fratture fra le scapole.

 

 

Molte donne riferiscono che hanno paura di guidare o persino di andare in macchina, nel timore che un movimento improvvi­so possa provocare altri guai. Hanno paura a prendere in brac­cio i loro nipotini o persino a "tenere i bambini". La paura di cadere può portare a una vita da reclusi, a starsene più o meno lontani da famigliari e amici, da contatti sociali e attività fuori casa, particolarmente durante i mesi invernali. C'è il pericolo di restare vittime dell'invalidità. Alcune donne che hanno avu­to un cedimento vertebrale fanno fatica ad alzarsi dal letto, a mettersi le calze, ad allacciarsi le scarpe, a fare i tanti piccoli gesti sui quali basiamo la nostra indipendenza. Esse trovano che un letto d'ospedale e un congegno a trapezio sono l'unica solu­zione possibile. E per molte questo significa anche che non pos­sono più dormire con i loro mariti.

Un'altra frattura importante, quella del femore, si verifica ge­neralmente in donne molto più vecchie. Ogni anno, ci sono ne­gli Stati Uniti all'incirca 200.000 fratture del femore, per la mag­gior parte in donne di età superiore ai 75 anni. A 85 anni, una donna bianca su tre si è rotta il femore.

Anche se la frattura della colonna vertebrale è estremamente invalidante, non ha conseguenze mortali. La frattura del femo­re, invece, può essere il fattore scatenante che fa scivolare la don­na in età avanzata lungo l'asse inclinato della invalidità e della dipendenza dagli altri fino alla morte. Negli Stati Uniti e in Euro­pa, tra il 12 e il 20 delle fratture del femore nelle persone mol­to anziane sono seguite dalla morte entro tre mesi. Tuttavia, non è del tutto corretto attribuire tutte queste morti all'osteoporosi. Molte di queste fratture si verificano in persone estremamente fragili di età avanzata, alcune delle quali già vicine alla morte. Così è fuorviante dire, come fanno molti esperti, che negli Stati Uniti ci sono 40.000 decessi all'anno connessi all'osteoporosi. Noi riteniamo che il numero sia più vicino ai 20.000.

Questo non vuol dire che il problema non sia grave. Tutt'al­tro. Non è esagerato definire impressionanti le sue statistiche. Molto chiaramente, la frattura del femore può mettere a repen­taglio l'indipendenza di una persona anziana e portare persino al ricovero in un istituto.

Perché le ossa si rompono in presenza dell'osteoporosi? Ci sono tre ragioni: una ridotta massa ossea, una qualità scadente del tessuto osseo e una caduta o un altro incidente che sottopone a sforzo delle strutture ossee fragili.

Ridotta massa ossea è la definizione scientifica dell'osteopo­rosi. Praticamente tutti gli studi su pazienti con fratture del fe­more e della colonna vertebrale hanno evidenziato una presen­za di ridotta massa ossea. A parità di altri fattori, una struttura che contiene meno materiale osseo sarà meccanicamente più de­bole di una struttura che ne contenga di più. Ma gli altri fattori non sono sempre uguali. Molte persone perdono materiale os­seo con l'andar del tempo; molte ne perdono molto; ma non tut­te subiscono fratture. Alcuni individui che presentano fratture hanno molto più tessuto osseo di altri senza fratture. Perché al­cuni subiscono fratture e altri no è diventata una domanda im­portante. In anni recenti, l'attenzione si è spostata su altre due concause.

Non sappiamo di sicuro se le persone che si fratturano le ossa siano più portate ad avere incidenti di altre, ma certo sappiamo che le donne sono in genere meno stabili e in casa cadono più spesso degli uomini. Sappiamo anche che la casa è spesso piena di situazioni rischiose: tappetini su pavimenti di legno sdruccio­levoli, illuminazione insufficiente di notte, mobili in cui andare a sbattere nel buio, insufficienti corrimano sulle scale e in ba­gno ecc. Scarpe con i tacchi sottili o suole consumate possono rappresentare altri elementi di rischio. Alcuni anziani vanno sog­getti a episodi di perdita di coscienza o svenimenti (come quan­do si gira la testa rapidamente o ci si alza in piedi di scatto). Al­cuni farmaci possono rendere maldestri o distratti, ed è proba­bile che le medicine usate per controllare "i nervi" o l'insonnia siano frequentemente causa di cadute in individui molto anzia­ni. Persino alzarsi di notte per andare in bagno può essere ri­schioso. Tutti questi pericoli devono essere presi in considera­zione se vogliamo ridurre i rischi di una frattura potenzialmen­te devastante per una persona anziana, fragile ma ancora auto­noma.

Un altro problema è il modo in cui cadono gli anziani. Le ri­cerche fatte hanno evidenziato che, quando cade, un individuo giovane si protegge con le braccia e automaticamente si mette in modo da proteggere le parti più delicate. Ma i riflessi degli anziani non sono così rapidi, e quando cadono la loro risposta protettiva non è altrettanto veloce. Le fratture del femore sono un esempio appropriato. Un colpo diretto all'anca può rompere il femore anche in un giovane, ma una persona anziana batte più spesso il femore quando cade. Inoltre, se si è anziani e ma­gri si ha poco grasso o muscolo sull'anca, mentre da giovani si ha questo "cuscinetto" che protegge l'osso sottostante.

Perciò, in definitiva, le ossa delle persone anziane sono sia più fragili sia meno protette. E questo le rende più soggette a possi­bili fratture.

L'ultimo fattore che contribuisce al problema delle fratture è quello che chiamiamo qualità scadente del tessuto osseo. O il materiale osseo è difettoso o la sua struttura architettonica è sca­dente. Ne consegue che l'osso è predisposto a cedimenti. Questi difetti di qualità del materiale osseo lo rendono molto più debo­le di quanto la sua massa ossea da sola farebbe pensare. Una ra­gione per cui nelle ossa è presente materiale difettoso è la man­cata riparazione degli effetti della normale usura quotidiana (si veda il capitolo 5). Per motivi che non comprendiamo ancora, il processo di riparazione può essere così lento o inefficace da permettere al danno di rimanere tale per molto tempo. In alcu­ni casi questo problema può persino essere completamente se­parato dalla riduzione della densità ossea. Ma in altri casi la ra­refazione della massa ossea e una riparazione troppo lenta sono chiaramente connesse. Le nostre ossa normalmente "cedono" o si flettono un pochino durante la normale attività fisica. E le ossa leggere e fragili si flettono e si torcono più di quanto fac­ciano le ossa pesanti e dense. Se cresce la quantità di flessione e torsione, aumenta anche il numero delle microscopiche incri­nature che contribuiscono a formare un micro-danno, perciò in persone che abbiano una ridotta massa ossea queste si accumu­lano più velocemente e richiedono un energico processo di ri­parazione. Ma in molte persone anziane il processo di riparazio­ne è lento. Così una ridotta massa ossea è per loro doppiamente rischiosa.

Il tessuto osseo presenta quella che si definisce "architettura ossea inefficiente" quando ha perso troppi dei suoi' 'tiranti" interni. (Vi ricorderete che il tessuto osseo presenta una struttu­ra a nido d'ape formata da lamelle verticali e da altre che si in­trecciano con queste e legano l'intera struttura. Questi "tiran­ti" rendono rigido l'osso e gli conferiscono il massimo della ro­bustezza con il minimo peso.) Studi recenti su pazienti con frat­ture da compressione (o schiacciamento) vertebrale hanno evi­denziato una perdita di queste lamelle di rinforzo. Altre perso­ne con esattamente la stessa riduzione di massa ossea, ma sen­za fratture, hanno un tessuto osseo che conserva ancora questo sistema di "tiranti", anche se parzialmente indebolito. Chiara­mente, a parità di massa, un buon sistema architettonico di "ti­ranti" che si intersecano ha come conseguenza una struttura meccanicamente più robusta.

In definitiva, le ossa sono fragili in presenza di osteoporosi per­ché la massa ossea è ridotta e le ossa non hanno più una buona struttura. Queste ossa fragili si rompono quando subiscono un impatto in seguito a una caduta o a un incidente.

 

 

 

 

calcio e osteoporosi: prevenzione e cura

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Diete povere di calcio inducono regolarmente l 'osteoporosi in ani­mali da laboratorio. Ma un'alimentazione carente di calcio non è l'unica causa dell'osteoporosi, così come un'alimentazione povera di ferro non è l'unica causa dell'anemia. Tuttavia, ci sono prove concrete del fatto che parte della perdita di tessuto osseo che si veri­fica in persone di mezza età può essere attribuita a un'assunzione inadeguata di calcio, a un minor assorbimento del calcio alimentare, o a tutte e due le cose. E assunzioni elevate di calcio possono ridurre il rischio di fratture, persino negli anziani. n calcio svolge un ruolo importante sia come causa sia come cura dell'osteoporosi.

 

Il lavoro di ricerca fatto nel nostro laboratorio all'Università di Creighton ha stabilito chiaramente e per la prima volta la con­nessione tra calcio e buono stato di salute delle ossa in donne di mezza età, e le dosi di calcio da noi raccomandate sono state adottate da vari comitati internazionali di esperti di osteoporo­si. Va però sottolineato che per quanto sia un fattore importan­te per avere delle ossa sane, il calcio non ne è l'unico responsa­bile.

L'osteoporosi è una malattia complessa che riguarda sia la quantità e la qualità del tessuto osseo, sia una certa tendenza a farsi male.

Per quanto si sa, l'assunzione di calcio non ha niente a che vedere con la probabilità di cadere. Né abbiamo motivo di cre­dere che un'elevata assunzione di calcio ci renderà più svegli. più coordinati, o meno maldestri. Sembra anche che l'assunzio­ne di calcio non abbia niente a che fare con il processo grazie al quale viene scoperto e riparato il materiale osseo danneggia to. Perciò questi aspetti dell'osteoporosi non sono influenzati dal­la quantità di calcio alimentare.

Tuttavia, l'assunzione di calcio influisce chiaramente sulla mas­sa ossea. Sappiamo con sufficiente sicurezza che una bassa as­sunzione di calcio può causare una ridotta massa ossea. Ma sap­piamo anche che una carenza di calcio non è l'unica causa re­sponsabile di una scarsa massa ossea. Per esempio, l'assunzione di calcio non impedirà né farà regredire la perdita di tessuto os­seo che si verifica in seguito a immobilità o inattività. Inoltre, c'è una tipica e rapida perdita di tessuto osseo da tutto o quasi tutto lo scheletro nei primi anni dopo la menopausa. Ormai sap­piamo che almeno parte della perdita è dovuta al calo della pro­duzione di estrogeno in quel periodo della vita femminile e che nemmeno cospicue assunzioni di calcio possono impedirla. Inol­tre, alcune parti dello scheletro sembrano essere più sensibili di altre sia alle variazioni della quantità di calcio assunta sia all'e­strogeno.

Per questo, anche se il calcio rimane una sostanza nutritiva fondamentale, ci sono dei limiti a quello che può fare. Per spie­gare sia l'importanza del calcio sia i limiti di quello che può fare per prevenire l'osteoporosi, può servire un paragone con il fer­ro e l'anemia. L'anemia è una riduzione della quantità comples­siva di emoglobina presente nel flusso sanguigno (l'emoglobina è la sostanza contenuta nei globuli rossi, che porta l'ossigeno ai tessuti). Il ferro è una parte essenziale della molecola dell'emo­globina. Se la dieta non contiene abbastanza ferro da sostenere la crescita dell'organismo o da compensare eventuali perdite, si manifesta un'anemia da carenza di ferro. L'anemia da caren­za di ferro può verificarsi anche in seguito a una perdita di san­gue, per esempio quando il flusso mestruale è lungo e abbon­dante. Ma si verificano anche anemie che non hanno nessun rap­porto con il ferro; anemie dovute a carenze di certe vitamine (folacina o vitamina B12), anemie dovute a difetti nel meccani­smo metabolico dei globuli rossi, anemie dovute all'invasione del midollo spinale da parte di cellule maligne (come nella leucemia), e via dicendo. Di tutte queste forme di anemia, è probabile che un'accresciuta assunzione di ferro serva a guarire solo quelle do­vute a un'insufficienza di ferro. Questo non significa affatto che il ferro non sia importante. In effetti, un caso di anemia su quat­tro è imputabile a una carenza di ferro.

Il rapporto tra calcio e osteoporosi è esattamente dello stesso tipo. Come l'anemia è una riduzione della massa complessiva del­l'emoglobina, così l'osteoporosi è una riduzione della massa com­plessiva del tessuto osseo. Parte di questa riduzione può essere dovuta a una diminuita assunzione di calcio, parte a una perdi­ta eccessiva di calcio, parte all'inattività, parte alla carenza di estrogeno, parte ai farmaci, e parte a malattie o al modo in cui vengono curate. Parte può persino essere dovuta a una carenza di altre sostanze nutritive (vedi capitolo 17). La scienza medica non sa ancora con precisione quanti casi di osteoporosi possano dipendere da una carenza di calcio, ma i dati disponibili sugge­riscono che si tratta di un buon numero.

Sappiamo che il calcio ha una funzione ben precisa sia nella formazione di una massa ossea ottimale, durante gli anni della crescita, sia nella conservazione di quella massa ossea durante la mezza età e la vecchiaia, sia infine nel trattamento di una ri­dotta massa ossea e/o dell'osteoporosi. Diamo un'occhiata a ognu­na di queste diverse funzioni.

 

Il ruolo del calcio nella formazione di una massa ossea ottimale

Contribuire a formare una massa ossea ottimale è probabilmen­te il compito più importante del calcio, fra i tre che abbiamo in­dicato. La quantità di calcio che assumiamo negli anni dell'ado­lescenza e della prima giovinezza determina in gran parte la quan­tità di tessuto osseo presente a 30-35 anni, approssimativamen­te l'età in cui si raggiunge il picco di massa ossea. Una ricerca su questo rapporto fu effettuata in quella che allora era la Ju­goslavia. Un gruppo di ricercatori paragonò la massa ossea e il tasso di fratture in persone appartenenti a due diverse regioni rurali. In una si allevavano capre e quindi nella dieta erano pre­senti latte e formaggio di capra. Nell'altra non si allevavano. Nella prima regione le persone assumevano circa il doppio della quan­tità di calcio assunta dalla gente della seconda.

Che cosa scoprirono i ricercatori? Il grafico della figura 16 indica la massa ossea, misurata nella mano, per i due gruppi. Nel distretto con alta assunzione le persone avevano ossa più dense di quelle degli abitanti del distretto a bassa assunzione. Questo dato era vero per qualunque età, anche per individui di 30 an­ni. La ricerca mette in evidenza che una bassa assunzione di cal­cio - in altre parole, un'assunzione equivalente a quella delle adolescenti e delle giovani donne nella nostra società attuale - non favorisce la formazione di una massa ossea ottimale. Non si può realizzare il potenziale genetico della massa ossea, se non si fornisce sufficiente materiale da costruzione. Gli scheletri di individui sia giovani che di mezza età non saranno quindi sani e robusti come avrebbero potuto essere. E allora, quando comin­cia la perdita ossea collegata all'invecchiamento si comincia da una quota più bassa.

 

 

Il grafico evidenzia che le persone più anziane in entrambi i gruppi avevano meno tessuto osseo delle persone più giovani. Ciononostante, i settantacinquenni che vivevano nella regione ad alta assunzione di calcio avevano tanto tessuto osseo quanto una persona con quarant'anni di meno in quella a bassa assun­zione! Quindi aver accumulato una maggior quantità di massa ossea, prima che ne cominci la riduzione che sembra inevitabile con il progredire dell'età, serve e come! Altrimenti non si saranno neanche formate quelle riserve di tessuto osseo che potrebbero rappresentare un ammortizzatore nei confronti della perdita po­st-menopausale.

Parecchie altre ricerche puntano nella stessa direzione. In ognuna di esse si è confrontata la misura della massa ossea in donne di mezza età e la loro assunzione di calcio nel corso della vita, in particolare nella sua prima parte. Le ricerche pubblica­te finora indicano che le donne con elevate assunzioni nella pri­ma parte della vita quando raggiungono la mezza età hanno una massa ossea superiore a quella delle donne la cui assunzione è stata bassa. Si devono fare ulteriori ricerche, certo, ma questi dati sono in accordo con tutto quello che sappiamo sul calcio e il tessuto osseo.

Per tutte queste ragioni raccomandiamo vivamente che si pren­dano delle misure per assicurare un'elevata assunzione di cal­cio durante l'adolescenza e la prima giovinezza (fino ai 30 an­ni), in particolare per le ragazze e le giovani donne. Tutto quel­lo che sappiamo al riguardo indica che questa è la migliore tatti­ca per prevenire l'osteoporosi negli anni successivi. Questa è la ragione per cui la sempre minore assunzione di calcio nelle ra­gazze del giorno d'oggi equivale a una bomba a orologeria già innescata.

 

Il ruolo del calcio per la conservazione della massa ossea

Se vi domandate se il calcio è utile per conservare la massa ossea che siamo riusciti a formarci, o almeno quella che ci rimane quando diventiamo consapevoli dell'importanza del calcio, la risposta è: "certamente sì". Non capiamo ancora tutte le ragioni per cui, quando invecchiamo, si verifica una perdita di tessuto osseo. Parte di questa perdita è di sicuro dovuta a una minore attività fisica e a una maggior grazia e scioltezza di movimenti. Parte è dovuta a un graduale accumulo di errori strutturali nel tessuto osseo, a un calo nella produzione dell'ormone della cre­scita oppure, in alcune persone, a un eccesso di ormone tiroi­deo. Quasi sicuramente il calcio può fare ben poco per fermare le perdite causate da questi fattori. Va ricordato che nelle ricer­che fatte in Jugoslavia le persone anziane in entrambi i gruppi avevano valori più bassi, relativamente alla massa ossea, di quelli riscontrati nei giovani. Questo sembra indicare che il calcio non riesce a impedire la perdita di tessuto osseo che si verifica con l'invecchiamento.

Tuttavia, ci sono prove concrete che parte della perdita di tes­suto osseo dopo la mezza età è dovuta o a un'inadeguata assun­zione di calcio o a un minor utilizzo del calcio alimentare, o a entrambi i fattori. Le cause della perdita di tessuto osseo sono come anelli in una catena. Se il calcio non è l'anello più debole della catena, aggiungere calcio non renderà più robusta la cate­na; si romperà ancora nel punto più fragile. Ma bisogna fare in modo che il calcio non sia il punto di minor resistenza, come in­vece è per alcune persone di mezz'età. Se la vostra assunzione di calcio è bassa, o se quella di proteine, caffeina e sodio è ele­vata, allora avete bisogno di una maggiore quantità di calcio.

Forse avete letto degli articoli in cui si dice che il calcio non ha nessuna influenza, che l'estrogeno è l'unica cosa che può ser­vire a una donna di mezza età. Di chi fidarsi? Prima di tutto, va tenuto presente che in campo scientifico ci sono delle opi­nioni assolutamente contrastanti, e che i ricercatori sono spes­so in sostanziale disaccordo fra di loro. E quando l'argomento è di interesse generale, i media sfruttano le differenze di opi­nione e ingigantiscono le polemiche per vendere più giornali e riviste.

E allora che cosa c'è dietro questa controversia? Nel corso degli ultimi trent'anni ci sono state più di cinquanta ricerche di am­pio respiro, che hanno valutato l'effetto del calcio sulla massa ossea e sulla perdita di tessuto osseo in centinaia di persone di mezza età e più anziane. La maggior parte delle ricerche ha evi­denziato che l'assunzione di calcio ha un effetto rilevante. Le

altre ricerche non sono riuscite a individuare un rapporto che non fosse puramente casuale. La prevalenza dei dati afferma quindi un ruolo positivo del calcio. Qualunque singola ricerca, particolarmente se su scala minore, non può cancellare la mas­sa dei dati esistenti, non può disattendere le conclusioni a cui tutte le altre ricerche sono pervenute. Sembra che alcuni dei giornalisti che si sono occupati di questa recente polemica non l'abbiano capito.

Se venissero fatte nuove ricerche, e se esse fossero tutte ne­gative, allora l'ago della bilancia punterebbe nella direzione op­posta. Ma per ogni nuova ricerca che afferma che non c'è nes­sun effetto calcio, ce ne sono almeno tre o quattro che eviden­ziano come il calcio protegga le ossa persino nell'adulto. Perché le ricerche non sono d'accordo? Se il calcio è così importante, non dovremmo essere in grado di provarlo una volta per tutte?

Ci sono due ragioni per cui una ricerca non riesce a dimostra­re l'effetto benefico del calcio. Prima di tutto, molte ricerche sono basate su questo metodo: si domanda alle persone che co­sa mangiano e poi si calcola il contenuto di calcio alimentare ba­sandosi su quanto quelle persone ricordano. Ma la gente spesso non ricorda bene o dice quello che pensa voi vogliate sentire. Inoltre, il contenuto nutritivo degli alimenti naturali varia no­tevolmente. Quindi tutte le valutazioni di questo genere sono fondamentalmente inaccurate. Viceversa in altre ricerche, chia­mate "caso controllo", i ricercatori fanno prendere a un grup­po delle compresse di calcio, e danno altre compresse apparen­temente identiche, ma prive di calcio (placebo), a un altro grup­po. Qualunque sia l'effettiva assunzione di calcio alimentare in ciascun gruppo, si può essere sicuri che l'assunzione complessi­va di un gruppo sarà superiore a quella dell'altro (perché uno assume compresse di calcio e l'altro no). Successivamente, i ri­cercatori misurano la densità del tessuto osseo, o contano il nu­mero delle fratture nei due gruppi.

Quando si classificano secondo il metodo di ricerca gli articoli pubblicati, si capisce quanto sia importante controllare l'assun­zione di calcio e perché certe ricerche non siano riuscite a di­mostrarne l'effetto positivo. Quasi tutte le ricerche negative si basavano esclusivamente su informazioni relative alla dieta, mentre quasi tutte le sperimentazioni controllate evidenziavano l'ef­fetto chiaramente positivo di una dose supplementare di calcio.

Per farla breve, se il calcio non può bloccare tutta la perdita di tessuto osseo che si verifica nella prima fase della menopau­sa, può fermarla almeno in parte. Noi vogliamo impedire qua­lunque perdita di tessuto osseo oltre a quella dovuta al proces­so dell'invecchiamento, vogliamo impedire cioè la perdita di tes­suto osseo dovuta a una carenza di calcio. Questa è la ragione per cui le raccomandazioni del NIH (l'Istituto Nazionale della Sa­nità statunitense) del 1984 e il Consensus Panel di Hong Kong del 1983 hanno senso. Queste raccomandazioni suggeriscono al­le donne che producono ancora estrogeno di assumere 1000 mil­ligrammi di calcio al giorno e 1500 milligrammi a quelle che non lo producono più.

 

Il ruolo del calcio nella cura dell' osteoporosi

Per formare o riformare il tessuto osseo occorre sia l'attività fi­sica - lavoro o esercizio fisico - sia il calcio. Ma se noi assicu­riamo una dieta ricca di calcio, possiamo essere almeno sicuri di non peggiorare un problema già grave e di non ostacolare il miglioramento che altre terapie potrebbero favorire .

Di solito l'osteoporosi viene diagnosticata solo dopo che si so­no verificate una o due fratture. Parecchie ricerche evidenzia­no chiaramente che un'elevata assunzione di calcio può servire a ridurre il numero di fratture successive. Per questa ragione il NIH - che sostiene e finanzia la maggior parte delle ricerche mediche negli Stati Uniti - ha recentemente chiesto che non si studi nessuna nuova cura se i pazienti non curati, nel gruppo di controllo, non ricevono almeno un'elevata quantità di calcio.

Sappiamo anche da altri dati che certi tipi di cure sperimen­tali - come per esempio la somministrazione di fluoruro di so­dio - devono includere il calcio per poter aver effetto. Il fluo­ruro provoca un aumento sostanziale della massa ossea nella co­lonna vertebrale di molte persone. Ma se non si assorbe una quan­tità adeguata di calcio alimentare, l'organismo sottrarrà il cal­cio da ::ltre parti dello scheletro per metterlo nelle ossa trabecolari. E il solito sistema di fare un buco per tapparne un altro.

Quello che noi vogliamo è mettere una maggiore quantità di tes­suto osseo nello scheletro, non distribuire in modo diverso quello che già esiste.

Per tutte queste ragioni, il calcio ha una parte importante nella cura dell'osteoporosi. Bisogna assicurarsi un'assunzione quotidiana di almeno 1500 milligrammi. Molti medici vogliono spingere l'as­sunzione a 2500-3000 milligrammi per pazienti che hanno l'osteoporosi. Come dimostreremo in seguito, queste dosi sono an­cora ben al di sotto della soglia di sicurezza, particolarmente per la tipica donna che soffre di osteoporosi e che di solito assorbe male il calcio.

C'è una cura per l'osteoporosi ancora in fase di sperimenta­zione (e può darsi che non ne venga mai approvato l'utilizzo ge­nerale da parte dei medici), in cui è sconsigliabile una dieta ric­ca di calcio, perché potrebbe essere addirittura pericolosa. Questa cura consiste nella somministrazione di calcitriolo, la forma at­tiva della vitamina D. Il calcitriolo fa salire l'assorbimento del calcio a livelli molto alti. Elude tutti i sistemi di controllo natu­rali dell'organismo, lasciandolo senza difese di fronte alla possi­bilità che si accumuli troppo calcio nel liquido extracellulare se si assumono diete ricche di calcio o integratori a base di calcio. Quindi un'elevata assunzione di calcio può essere pericolosa se ci si sta curando con il calcitriolo. L'uso di questo ormone richiede un'attenta supervisione medica. Per quanto se ne sa attualmente, questo farmaco rappresenta l'unica eccezione alla regola che nel­la cura dell'osteoporosi occorre il calcio. Qualunque altra cura, incluse quelle che contemplano una somministrazione supple­mentare di vitamina D, deve includere il calcio.

 

 

 

 

oltre al calcio, cosa occorre per avere ossa sane?

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Costruire e conservare delle ossa sane richiede decine di sostanze nutritive. Dopo il calcio, il fosforo e la vitamina D sono le più im­portanti. Una carenza di fosforo, sebbene sia rara, si associa a gravi problemi ossei. il manganese, il rame, lo zinco e il magnesio so­no stati identificati come oligoelementi indispensabili, ma non è chiaro il loro ruolo specifico per quanto riguarda lo stato di salute delle ossa nell'adulto.

 

Il tessuto osseo contiene molti elementi oltre il calcio, e il pro­cesso di costruirlo e conservarlo in buono stato richiede, come tutti i processi dell'organismo, decine di sostanze nutritive. Ogni volta che si è in presenza di uno stato di malnutrizione, la cre­scita e il rimodellamento del tessuto osseo sono messi a repen­taglio, così come la crescita e la riparazione di altri tessuti. Nel­la maggior parte dei casi di alimentazione sbagliata, tuttavia, i problemi dello scheletro sono di solito meno evidenti di altri. Di solito, ma non sempre.

Un buon esempio è il fosforo. Il minerale del tessuto osseo, come abbiamo visto, è costituito soprattutto da fosfato di cal­cio, e quindi non sorprende che la carenza di fosforo possa in­fluire negativamente sul tessuto osseo, un po' come la carenza di calcio.

Il fosforo è generalmente abbondante nella nostra dieta. Ma ci sono parecchie situazioni che determinano un ridotto livello di fosforo nel liquido extracellulare: malattie ereditarie come l'i­pofosfatemia congenita, una carenza di vitamina D e l'uso di grandi quantità di antiacidi che contengono alluminio. Qualun­que ne sia la causa, bassi livelli di fosforo nei liquidi organici portano effettivamente a gravi malattie ossee. La normale attività degli osteoblasti - le cellule che costruiscono il tessuto osseo - si altera e in tutti i centri di accrescimento e rimodellamento del tessuto osseo si accumula della matrice ossea demineraliz­zata. Nei bambini questo disturbo si chiama rachitismo e negli adulti osteomalacia. Queste anomalie sono ben diverse dall'o­steoporosi. Non è molto probabile che l'assunzione di fosforo svol­ga una funzione significativa nell'osteoporosi. Ma questo esem­pio ci fa capire che per avere un'ossatura sana sono importanti anche altre sostanze nutritive, oltre al calcio. E alcuni individui che hanno l'osteoporosi possono ammalarsi anche di osteoma­lacia nutrizionale.

Un altro buon esempio è la vitamina D, che è importante per almeno due aspetti: perché facilita l'assorbimento del calcio e perché mantiene in buono stato le ossa, impedendo che si am­malino di osteomalacia. Il calcio, il fosforo e la vitamina D, che per quanto riguarda le ossa sono le sostanze nutritive più im­portanti, non sono le sole responsabili del loro stato di salute. Ne abbiamo scoperte altre studiando i problemi ossei riscontra­ti nei bovini, nei cavalli e nelle pecore allevati su pascoli sca­denti o nutriti con mangimi decisamente inadeguati. Non si sa se un deficit di queste sostanze potrebbe portare a problemi os­sei negli esseri umani, ma potrebbe darsi.

Vale la pena ricordare quattro di queste sostanze nutritive: manganese, rame, zinco e magnesio. Come molti oligoelementi, sono indispensabili alla salute perché funzionano da siti attivi degli enzimi o catalizzatori nell'apparato cellulare. Senza un'a­deguata provvista del particolare oligoelemento di cui l'enzima ha bisogno, questo non può svolgere il suo compito. Il mangane­se, il rame e lo zinco sono importanti per la salute delle ossa sem­plicemente perché lavorano con gli enzimi che producono la ma­trice proteica del tessuto osseo. Ognuno di loro ha un compito diverso, ma una loro carenza conduce sempre a una crescita di­fettosa o a una deformità dello scheletro.

È evidente che il manganese, il rame, lo zinco e il magnesio sono importanti anche per la produzione di matrice ossea nel pro­cesso di rimodellamento del tessuto osseo nell'adulto. Eppure, attualmente non si conoscono stati di carenza di questi minerali negli adulti, almeno per quanto riguarda il tessuto osseo, e in effetti non ne occorrono grandi quantità nella dieta. Essi sono generalmente presenti negli alimenti, e se si segue una dieta va­riata è improbabile che si verifichi una carenza. Inoltre, l'orga­nismo tende a trattenere questi elementi, e a non lasciarseli scap­pare.

Tuttavia, non tutti hanno un'alimentazione varia e ben equi­librata, e a volte la quantità di minerali eliminata può essere mag­giore di quella assunta. Quindi nell'adulto sono sempre possibili delle carenze. I candidati più soggetti a questo tipo di problemi sono gli atleti molto magri e le donne con malattie dell'alimen­tazione come l'anoressia o la bulimia. Molte di queste persone presentano gravi e prolungate carenze nutrizionali. Molti spor­tivi, invece, fanno un'intensa attività fisica e sudano molto, per­dendo così con il sudore parecchi oligoelementi. Molti hanno an­che seri problemi ossei, sotto forma di osteoporosi o di fratture che non si saldano bene. Un atleta professionista molto noto ave­va un'alimentazione incredibilmente squilibrata e gravi proble­mi di ossa. Non aveva traccia di manganese nel sangue. Questo non prova che la carenza di manganese abbia provocato i pro­blemi ossei, ma almeno lo fa pensare. E una recente ricerca ha evidenziato che pazienti con fratture vertebrali dovute all'osteo­porosi avevano livelli di manganese considerevolmente più bassi di quelli di persone della stessa età senza fratture analoghe. Ap­pare evidente da ciò quanto sia necessario approfondire le ri­cerche sul rapporto tra oligoelementi e stato di salute delle ossa.

Sarebbe un grave errore pensare, a questo punto: «Beh, vo­glio stare tranquillo, prenderò degli integratori che contengano questi oligoelementi!» È vero, ne abbiamo bisogno, ma a pren­derne più di una quantità minima, sono veleno.

Il magnesio è un'altra sostanza nutritiva per cui c'è molto in­teresse. Esiste la diffusa convinzione che non si prenda abba­stanza magnesio. Uno degli integratori che forniscono un sup­plemento di calcio, la dolomite, in certi paesi è molto popolare semplicemente perché è una miscela di calcio e magnesio. Non sapremmo dire che cosa ci sia alla base della convinzione che esista una diffusa carenza di magnesio. Un deficit di questo ele­mento generalmente comporta una grave debolezza muscolare

e mancanza di coordinazione, ma non si sa se provochi proble­mi di ossa. Il magnesio è ampiamente presente nella maggior parte degli alimenti e sarebbe difficile avere una carenza di magnesio senza prima avere una grave forma di malnutrizione. In effetti, il Comitato Scientifico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, incaricato di fissarne il Larn raccomandato per gli Stati Uniti, nel 1985 suggerì di abbandonare questa prescrizione, dato che non c'era nessuna prova di carenze di magnesio di origine ali­mentare.

Un'altra sostanza nutritiva interessante è la vitamina K, a cui generalmente si pensa soprattutto per il suo ruolo nella coagu­lazione del sangue. La vitamina K è necessaria per la sintesi di una importante proteina del tessuto osseo. Se manca, quella pro­teina risulta difettosa. Inoltre, è noto che i livelli di vitamina K nel sangue di pazienti affetti da osteoporosi sono bassi. Ma non si sa ancora se questo si verifichi in conseguenza di un'alimen­tazione errata, e se in qualche modo contribuisca alla fragilità delle loro ossa.

 

 

 

 

se non lo usi lo perdi: il calcio e l'attività fisica

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Generalmente le persone tendono ad avere tanto tessuto osseo quan­to ne occorre per la quantità di attività fisica che esse svolgono. In effetti, il lavoro o comunque l 'esercizio fisico sono fondamentali per la salute delle ossa. Eppure, atlete che fanno molto esercizio e smet­tono di avere le mestruazioni possono manifestare segni precoci di osteoporosi, con danneggiamento permanente del tessuto osseo. Que­ste donne tendono ad assumere troppo poche calorie e la loro assun­zione di calcio è generalmente bassa. Uno stato generalizzato di de­nutrizione e una carenza ormonale, e non l 'attività fisica, sono re­sponsabili della perdita di tessuto osseo.

 

Il calcio e l'attività fisica agiscono di conserva. Entrambi costrui­scono il tessuto osseo e l'uno non funziona senza l'altro. L'atti­vità fisica è utilissima per formarsi delle ossa robuste, ma è in genere molto sottovalutata. L'esercizio fisico stimola l'appara­to preposto al rimodellamento, in modo da fargli depositare un maggior quantitativo di tessuto osseo in ogni centro di rimo dell'aumento. Questo rende le ossa più dense e robuste, e quindi ca­paci di sopportare meglio il carico a cui sono sottoposte. È un sistema organizzato in modo stupendo.

Ma se non siamo molto attivi, se non carichiamo mai molto lo scheletro, allora non permetteremo alle ossa di svilupparsi quanto i nostri geni avrebbero consentito. Oppure se un tempo siamo stati tanto attivi da costruirci uno scheletro robusto, ma poi abbiamo smesso di esserlo - per colpa di un cambiamento di lavoro, o di modo di vivere, o per una malattia - allora il tes­suto osseo non più necessario viene perduto. Non di colpo, certo, perché il rimodellamento è un processo lento, ma a poco a poco la massa ossea diminuirà fino allivello appropriato al cari­co a cui attualmente sottoponiamo lo scheletro. Questa è la ra­gione per cui per avere delle ossa sane è fondamentale un pro­gramma di attività fisica lungo tutto l'arco della vita.

Qual è il migliore esercizio fisico? Alcuni esperti affermano che il sollevamento pesi e altri tipi di esercizi di resistenza alla forza di gravità sono i più indicati, ma è probabile che qualunque eser­cizio - sollevare, portare, camminare, correre - sia meglio che niente. Probabilmente l'abitudine all'esercizio fisico è più im­portante del tipo specifico di esercizio. "Abitudine" significa in­cludere un'attività fisica nelle nostre occupazioni quotidiane; camminare, portare, usare congegni manuali invece che elettri­ci ecc. Un modo di vivere che comporti un'attività fisica sarà, alla lunga, più efficace di saltuari esercizi in palestra o di una sporadica partita di tennis per il mantenimento di ossa robuste.

Cosa c'entra il calcio con tutto questo? Molto semplicemente, se non abbiamo un apporto sufficiente di calcio alimentare, o se non ne assorbiamo abbastanza dal cibo che ingeriamo, non c'è modo di accrescere la nostra massa ossea. Infatti da dove mai verrebbe la materia prima per la nuova costruzione? Cosa suc­cede allora, quando un centro di rimodellamento viene stimola­to dall'attività fisica a depositare più tessuto osseo di quanto ne è stato demolito in precedenza? Come fa il centro a "sapere" che non c'è abbastanza calcio per bastare a tutto? Non lo sa, per­ché il livello di calcio nel liquido extracellulare rimane stabile, anche se c'è una bassa assunzione di calcio. Il nuovo tessuto os­seo prende tutto il calcio di cui ha bisogno dal sangue che gli scorre vicino e lascia che siano le ghiandole paratiroidee a preoc­cuparsi del problema (si veda il capitolo 3). Il tessuto osseo prende il calcio che gli occorre da qualche altra parte dello scheletro, una parte che non sia sottoposta a così intensa attività fisica.

In un certo senso è come fare un buco per tapparne un altro.

Ma è anche un altro esempio di come il sistema sia ben organiz­zato. Di fronte a un'insufficienza di calcio, l'organismo risiste­ma la sua massa scheletrica in modo da rendere più robuste le parti che in quel momento hanno più bisogno di esserlo. Eppu­re, sarebbe molto meglio prendere il calcio che occorre all'esterno dell'organismo, cioè dalla dieta, e mantenere robusto tutto lo scheletro. Così abbiamo bisogno sia del calcio sia dell'esercizio fisico per garantire una buona salute dello scheletro.

Ora, che cosa pensare di tutti i resoconti sui problemi di ossa in certi atleti, in particolare giovani donne? Alcune di loro pre­sentano una grave forma di osteoporosi, a volte persino frattu­re da compressione della colonna vertebrale, e sono donne vi­gorose, donne di 20 anni! Forse l'eccessiva attività fisica è dan­nosa per le ossa? No, non è questo che non funziona. Esse ma­nifestano parecchie e serie anomalie. La prima e più ovvia è la denutrizione. Generalmente le atlete che mostrano segni di osteo­porosi hanno un livello di grasso corporeo estremamente basso, spesso il 10 del peso corporeo complessivo, o persino meno. (Una donna ha bisogno di almeno il 17 di grasso corporeo per una normale funzionalità ovarica durante l'adolescenza, e di al­meno il 22-26 durante la maturità.) L'apporto calorico della loro dieta oscilla tra le 1200 e le 1600 calorie al giorno. Il che sarebbe adeguato per molte persone, ma non per queste donne che stanno facendo una grossa fatica fisica. Corrono infatti una media di 10-12 chilometri al giorno. Questo lavoro richiede ener­gia, combustibile, calorie. Persino al massimo dell'efficienza, il corpo umano brucia circa 800 calorie a fare quel genere di lavo­ro. Il che lascia solo 600-800 calorie per tutto il resto. Questo vuol dire essere denutriti. Il corpo umano non può conservarsi sano con così poco combustibile.

I ricercatori sanno molto sulla denutrizione ed è tragico che sia così, perché vuol dire che abbiamo avuto modo di osservarla frequentemente. L'organismo fa del suo meglio per ridurre tut­te le attività non essenziali e concentra l'energia disponibile nello sforzo di mantenersi in vita. Una delle prime cose che elimina è la funzione ovarica. Atlete con problemi associati alla massa ossea hanno spesso livelli di estrogeno molto bassi. Di solito non hanno più le mestruazioni. Tuttavia, diversamente dalla meno­pausa vera e propria, questa situazione ormonale è reversibile; quando riacquistano un po' di peso, di solito la funzione ovari­ca torna normale e hanno di nuovo mestruazioni regolari. Pa­recchie atlete tenute in osservazione sono riuscite a rimanere incinte e ad avere bambini, dopo aver rimesso su peso. Però non è sempre sicuro che i loro problemi di ossa siano reversibili e se hanno avuto delle fratture della colonna vertebrale, la defor­mità conseguente è di certo definitiva.

Una carenza di estrogeno influisce sulle ossa indipendentemen­te da quando si verifica, se al momento di una menopausa natu­rale (intorno ai 50 anni), al momento dell'asportazione chirurgi­ca delle ovaie (in donne più giovani), o persino in donne anzia­ne che smettono il trattamento ormonico post-menopausale (spes­so a 60 o 65 anni). Come abbiamo visto, una carenza di estroge­no si manifesta anche quando una dieta da fame fa sì che l'or­ganismo sospenda la funzione ovarica, persino in una donna gio­vane. La perdita di tessuto osseo associata con la menopausa non è in effetti una questione di età ma di ormoni e si verifica ogni volta che l'estrogeno si abbassa a livelli minimi. È chiaro che la carenza di estrogeno è uno dei fattori nei problemi di ossa di que­ste atlete. Ma da sola non è probabilmente sufficiente a spiega­re tutto quello che vediamo. Tanto per cominciare, la perdita di tessuto osseo si verifica molto rapidamente, molto più rapi­damente che dopo una menopausa naturale. Questo può essere dovuto, in parte, al fatto che il rimodellamento del tessuto os­seo è di solito molto più lento nelle donne anziane, cosicché la perdita di tessuto osseo è più lenta. Tuttavia, c'è probabilmen­te qualcos'altro.

Potrebbe essere l'assunzione di calcio? Quasi tutte le atlete sotto osservazione assumevano 600-800 milligrammi di calcio al giorno. Non il quantitativo raccomandato per donne mature, ma pari o superiore al quantitativo assunto dalla maggior parte del­le donne della loro età. Tuttavia, la maggior parte delle donne della loro età produce estrogeno e, come abbiamo visto, l'estro­geno aiuta a utilizzare il calcio in modo efficiente. Questa è la ragione per cui il fabbisogno di calcio per donne prive di estro­geno dovrebbe essere probabilmente di 1500 milligrammi al gior­no. Quindi l'assunzione di calcio di quelle atlete era ancora più inadeguata di quanto si fosse pensato.

Cosa dire poi di una perdita eccessiva di calcio? Anche que­sto è quasi certamente un problema. Durante uno sforzo soste­nuto, i muscoli non riescono a ricevere abbastanza ossigeno da bruciare completamente il combustibile usato per sviluppare energia. I frammenti parzialmente bruciati sono immessi nel flusso sanguigno. Questi frammenti consistono soprattutto in un com­posto detto acido lattico, che si accumula nel sangue quando l'or­ganismo è sottoposto a un grosso sforzo. Successivamente viene re­cuperato e riciclato (perché ha ancora un mucchio di energia po­sitiva). Tuttavia, parte dell'acido lattico viene eliminato attraverso i reni e persino con il sudore, e quando questo succede si porta dietro molti minerali, incluso il calcio. In questo modo le atlete perdono più calcio di quanto farebbe una persona meno attiva.

Infine, queste donne non mancano solo di calorie e di calcio. Molto semplicemente, non mangiano abbastanza e così tendono ad avere una carenza di molte sostanze nutritive, incluse pro­babilmente alcune per le quali non è ancora stata definita la quan­tità ottimale da raccomandare. Se il magnesio, il manganese, lo zinco e il rame sono fondamentali per lo stato di salute delle os­sa in un individuo adulto, si può supporre che queste donne mal­nutrite siano carenti anche di una o più di queste sostanze.

Uno dei grossi vantaggi di una vita attiva è che ci consente di mangiare di più, sia per quanto riguarda la quantità che la varie­tà di alimenti, e perciò di assumere tutte le sostanze nutritive con­tenute in quello che ingeriamo. In questo modo assumiamo sia le sostanze nutritive di cui conosciamo già l'importanza, sia quelle di cui non è ancora nota. Sembra assurdo che in certe atlete l'e­sercizio fisico abbia l'effetto opposto. Ma il problema non è l'at­tività fisica, è la dieta da fame che esse si impongono. Perché lo fanno? Perché sono spinte a "eccellere", a essere più veloci e migliori delle altre, a superare le loro precedenti prestazioni. Quan­do questo diventa lo scopo principale, allora i chili, persino i gram­mi, diventano un ostacolo. Se esse riducono il peso finché il gras­so corporeo raggiunge livelli subnormali e poi limitano l'assun­zione di cibo per mantenere quel peso, allora, anche se i loro tempi e la loro velocità sono da record, la loro salute va in malora.

Eppure c'è una giusta via di mezzo. E a quel punto le ossa sa­ranno sane e robuste, più sane e più robuste che in persone meno attive fisicamente. In ultima analisi, l'esercizio fisico rimane un fat­tore d'importanza capitale per costruire e conservare robusto e sa­no lo scheletro. Ed è un fattore che noi possiamo tenere sotto con­trollo. Diremo qualche altra cosa sull'attività fisica nel capitolo 34.

 

 

 

 

il problema dell'anoressia mentale

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Le ragazze e le donne che soffrono di anoressia mentale di solito so­no affette da una grave forma di osteoporosi. Con un 'assunzione as­solutamente insufficiente di sostanze nutritive, l'organismo smet­te di produrre ormoni femminili; chi ne soffre perde tessuto osseo proprio come fanno le donne in menopausa. Inoltre, l'alimentazio­ne delle anoressiche è molto povera di calcio e di altre sostanze fon­damentali. Praticamente in tutte le donne con una forma di ano­ressia conclamata la quantità di tessuto osseo nella colonna verte­brale è fortemente diminuita. Sebbene sia possibile guarire, molte donne anoressiche rimangono pericolosamente magre per il resto della vita.

 

L'anoressia mentale è una malattia dell'alimentazione. Esiste da molto tempo, ma fino a poco tempo fa era rara. Dalla metà degli anni settanta ha assunto proporzioni epidemiche. Attualmente forse una studentessa universitaria su cento soffre di anoressia mentale e molte di più soffrono di bulimia, una sua parente stretta.

Nessuno sa con precisione perché queste malattie siano diven­tate così frequenti negli ultimi vent'anni. Gli psichiatri ritengo­no che la società in cui viviamo incoraggi in molti modi la ma­grezza femminile, servendosi delle immagini di gente dello spet­tacolo, di modelle, di personaggi famosi grazie ai media, e con­tando sulle pressioni dei coetanei. Poiché le vittime di queste malattie si vedono grasse, riducono la quantità di cibo da assu­mere o cercano di eliminare quello già ingerito, nel tentativo di perdere peso. Le persone colpite da anoressia e bulimia sono quasi tutte donne giovani. In entrambi i casi pensano di essere grasse

- che questo sia vero o no poco importa - e prendono misure drastiche per perdere peso. Le donne anoressiche patiscono la fame e quelle che soffrono di bulimia inducono il vomito e abu­sano di lassativi. In questo libro ci occupiamo solo dell'anores­sia, poiché per quanto si sa la bulimia non ha conseguenze ne­gative a carico dello scheletro (e questo non sorprende, in quanto il cibo in effetti arriva nel loro organismo ed esse hanno un pe­so normale o superiore al normale).

Le donne che soffrono di anoressia mangiano poco, molto po­co. Dapprima limitano semplicemente la quantità di cibo, ma in seguito perdono l'appetito e non riescono più a mangiare mol­to. Il loro peso cala a livelli da campo di concentramento. Muoiono letteralmente di fame. Per alcune donne si tratta davvero di una malattia mortale. Chi se ne occupa di professione ritiene che at­tualmente una anoressica su sei muoia di questa malattia.

Le giovani anoressiche di solito soffrono anche di una grave forma di osteoporosi, al punto da subire fratture da compressione della colonna vertebrale ancora prima dei 30 anni. Spie­gare la presenza dell'osteoporosi nelle anoressiche è molto faci­le. Quando né l'assunzione di sostanze nutritive né le riserve di energia sono in grado di mantenere in funzione il metabolismo di base delle cellule, l'organismo fa cessare tutte le funzioni non essenziali, e questo include la produzione di ormoni femminili da parte delle ovaie. Dal punto di vista ormonale, una giovane anoressica non è diversa da una donna di 50 anni in post-meno­pausa. Più precisamente, chi soffre di anoressia perde tessuto osseo proprio come le donne in post-menopausa.

Ma le donne anoressiche di solito hanno anche un'alimenta­zione molto povera di calcio e di altre sostanze nutritive essen­ziali. Quindi almeno per queste due ragioni, se non per altre che non conosciamo ancora, le anoressiche quasi sempre soffrono di una grave forma di osteoporosi. Nel laboratorio all'Universi­tà di Creighton, noi e i nostri colleghi abbiamo misurato la mas-

a ossea di decine di donne vittime dell'anoressia. Abbiamo sco­perto che praticamente in tutte le donne con un'anoressia con­clamata la quantità di tessuto osseo nella colonna vertebrale era drasticamente diminuita. Parecchie avevano avuto delle fratture da compressione.

L'anoressia è molto difficile da curare, ma non è incurabile e la guarigione è possibile. Nelle donne che vengono aiutate a riprendere peso, e ci riescono, le ovaie possono rimettersi a fun­zionare, diversamente dalla vera menopausa nelle donne di mez­za età, che è definitiva. Alcune ricerche evidenziano che la massa scheletrica aumenta e ritorna a livelli quasi normali. Tuttavia, se una donna ha avuto qualche frattura da compressione della colonna vertebrale, le lesioni e la deformità saranno definitive. Non conosciamo nessun modo di distanziare nuovamente una vertebra collassata. Ma la rarefazione delle ossa, la loro fragili­tà, la quantità ridotta di materiale osseo nello scheletro, cioè tutto ciò che costituisce l'osteoporosi, possono almeno parzialmente regredire.

Però non tutte le donne anoressiche guariscono. Molte riman­gono pericolosamente magre per il resto della vita e per loro l'osteoporosi, con le fratture connesse, è praticamente una certezza.

L'anoressia e la bulimia non sono malattie che si possono cu­rare da soli. Se pensate di soffrire di anoressia o di bulimia o se avete paura che vostra figlia possa avere l'una o l'altra, rivolge­tevi senza indugio a una persona qualificata che possa aiutarvi a uscirne.

 

 

 

 

l'importanza del calcio per una bocca sana

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Una carenza di calcio può contribuire alla comparsa di parecchi problemi dentari. Sia la malattia periodontale che l'aderenza e la funzionalità della dentiera possono peggiorare a seguito della per­dita di tessuto osseo e di sofferenza della mascella. Un 'insufficiente assunzione di calcio probabilmente favorisce quella perdita. La ca­duta di denti dopo la menopausa può essere un primo segnale di future fratture osteoporotiche.

 

Diversamente dalle ossa, i denti non subiscono un processo di rimodellamento e di riparazione. Possono venire attaccati dai batteri presenti nella cavità orale, ed essere danneggiati in mol­ti altri modi, ma non vengono demoliti per soddisfare il bisogno di calcio dell' organismo. Tuttavia, l'ossatura della mascella e della mandibola subisce un processo di rimodellamento, e può essere indebolita da una insufficiente assunzione di calcio.

In passato, la carie e i suoi effetti a lungo termine costituiva­no il problema dentario più serio, ma ormai, grazie alla diffusa fluorizzazione dell'acqua e all'uso di dentifrici al fluoro, il pro­blema della carie è molto meno importante di un tempo. Quello che attualmente preoccupa di più è la malattia periodontale, un'infiammazione delle strutture di sostegno dei denti, con per­dita di tessuto osseo e di tessuto molle e infine anche la perdita di denti ancora completamente sani.

Alcuni ricercatori ritengono che il calcio svolga un ruolo im­portante in questa malattia, ma i dati finora disponibili indica­no solo un contributo indiretto. La maggior parte degli esperti ritiene che la vera causa del problema sia un'infezione batteri­ca nelle tasche gengivali e del periodonto; l'organismo reagisce con un'infiammazione e una perdita localizzata di tessuto osseo. Tuttavia, se una persona con la periodontite ha anche un'assun­zione insufficiente di calcio e attiva quindi un processo di de­molizione del tessuto osseo in tutto lo scheletro per mantenere costanti i livelli del calcio nel liquido extracellulare, spesso nel­le sedi della periodontite si verificherà una perdita più accen­tuata di tessuto osseo. Quindi questa malattia e la carenza di cal­cio possono interagire e produrre un danno maggiore di quello che avrebbe potuto verificarsi altrimenti.

Qualcosa del genere sembra succedere a persone che hanno perso molti denti definitivi e hanno bisogno di una dentiera, par­ziale o completa. La stabilità, il comfort e la funzionalità di una dentiera esigono che il bordo gengivale mantenga le dimensioni e la forma che aveva quando è stata 'Presa l'impronta ed è stata applicata la dentiera. La retrazione del bordo causa grossi pro­blemi a chi porta la dentiera. Quello che si ritrae, ovviamente, è l'osso e questo succede grazie al processo ormai familiare del rimodellamento. E ogni volta che abbiamo a che fare con un ri­modellamento del tessuto osseo sappiamo che l'assunzione di cal­cio può svolgere un ruolo importante. Sebbene questo proble­ma non sia stato studiato con la profondità necessaria, ci sono prove che l'assunzione di calcio modifica sensibilmente la situa­zione.

Nel corso di uno studio, i ricercatori confrontarono la quanti­tà di calcio assunta da persone con la dentiera nelle quali si era verificata una notevole perdita di tessuto osseo mascellare con quella assunta da persone che avevano registrato solo una per­dita minima. La differenza era molto forte e la perdita maggio­re di tessuto osseo era evidente per lo più nelle persone con die­te povere di calcio. In un'altra ricerca attentamente controlla­ta, a un gruppo di pazienti venne dato un integratore di calcio, a partire dal momento dell'estrazione dei denti e dell'applica­zione della dentiera. A un altro gruppo con caratteristiche simi­li fu dato un placebo. Un anno dopo, le persone che prendeva­no il placebo avevano una perdita di tessuto osseo quasi doppia rispetto al gruppo che prendeva il supplemento di calcio. Que­ste ricerche suggeriscono che persino una bocca sana dipende da un'assunzione adeguata di calcio.

Infine, la perdita di denti dopo la menopausa può essere un segnale precoce di future fratture osteoporotiche. È stato osser­vato che donne a cui è stata diagnosticata l'osteoporosi a 65 an­ni riferiscono una perdita di denti nei primi cinque o dieci anni dopo l'insorgere della menopausa ben maggiore di quella di donne della stessa età con ossa più dense. Se questo rapporto venisse confermato da altre ricerche, potrebbe servire da segnale d'al­larme. I dentisti potrebbero essere in grado per primi di sugge­rire ad alcune loro pazienti in post-menopausa di farsi consiglia­re le misure da prendere per prevenire l'insorgere di fratture da compressione della colonna vertebrale e di tutti gli altri pro­blemi connessi a un'osteoporosi conclamata.

Una volta c'era un detto popolare (sogni bambino un denti­no»), che rispecchiava la credenza che per mettere al mondo e allattare un figlio le donne potevano aspettarsi di perdere parte delle proprie ossa e dei propri denti. Anche se un tempo quel detto aveva un minimo di fondamento, non è certamente vero oggigiorno. Come descriviamo in un altro capitolo, al momento della menopausa la massa ossea nelle donne che hanno avuto parecchi figli è superiore a quella di donne che ne hanno avuti pochi o nessuno.

 

 

 

 

se siete malati: gli effetti di una malattia grave sullo scheletro

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Le ossa incominciano a deteriorarsi quando smettiamo di adope­rarle. L'assunzione di calcio non ha niente a che vedere con questo tipo di perdita ossea, che si verifica ogni volta che siamo ammalati o abbiamo avuto un 'operazione seguita da una lunga convalescen­za. Quando si riprende una normale attività fisica, il tessuto osseo perso in questo modo viene spesso recuperato, se la dieta provvede calcio a sufficienza.

 

Quando qualcuno - uomo o donna - è costretto all'immobilità da un incidente, un serio intervento chirurgico, o una malattia grave, le sue ossa ne risentono. Per tutto il tempo in cui si resta immobilizzati o inattivi, lo scheletro non è sottoposto al carico consueto e la quantità di tessuto osseo diminuisce. Il processo di rimodellamento comincia a togliere più di quanto rimetta e le ossa diventano più leggere e più fragili. Questo è un altro esem­pio di come l'organismo adegui la sua massa scheletrica a un nuo­vo livello di utilizzo. La tendenza a perdere tessuto osseo a se­guito di inattività è stata chiaramente dimostrata da ricerche in cui volontari in ottima salute furono messi a riposo completo e confinati a letto. In quattro mesi questi volontari persero fino al 40% del tessuto osseo in certe parti dello scheletro, per esem­pio il calcagno. Questa perdita di tessuto osseo è l'altra faccia della medaglia dell'esercizio e della massa ossea. E in caso di ma­lattia grave, vi si aggiungono i danni della febbre e la messa in circolo di potenti ormoni con i quali l'organismo cerca di reagi­re alle lesioni o alla malattia. Entrambi i fattori aggravano la per­dita di tessuto osseo causata dall'immobilità.

Per quel che ne sappiamo, l'assunzione di calcio non ha niente a che vedere con questa perdita di tessuto osseo e un inte­gratore di calcio certamente non la impedirà o la farà regredire, Tuttavia, quando si è in convalescenza e si riprende una vita normale e attiva, nella maggior parte dei casi è possibile recu­perare il tessuto osseo andato perduto, ma solo se nella dieta c'è calcio a sufficienza. Perciò, durante la convalescenza dopo una malattia grave, è essenziale avere un'elevata assunzione di calcio.

In passato i medici non badavano molto alla perdita di tessu­to osseo, che si accompagna inevitabilmente a una malattia gra­ve o a un incidente, e di conseguenza non prendevano delle mi­sure particolari per favorire il recupero del tessuto osseo per­duto. Ora ne sappiamo di più. Durante la convalescenza sono necessari sia l'esercizio fisico che una dieta ad alto contenuto di calcio. Un'alimentazione che sia appena adeguata al fabbiso­gno giornaliero di calcio può bastare a una persona sana con una massa ossea normale, ma non consentirà la reintegrazione del tessuto osseo andato perso. Occorre una dose supplementare di calcio per sanare il deficit.

Una o più malattie gravi senza un'adeguata riparazione del tessuto osseo perduto possono aggravare in modo decisivo il pro­blema generale della perdita di tessuto osseo collegata all'età e alla menopausa. Sebbene un'osteoporosi possa rivelarsi in tutta la sua gravità solo molti anni dopo, parte del deterioramento sche­letrico può venir attribuito alle malattie precedenti.

Non occorre aspettare il parere del medico per pensare a una dieta ricca di calcio durante la convalescenza dopo un inciden­te, un'operazione chirurgica o una malattia grave. Se non è pos­sibile assumere una dieta naturalmente ricca di calcio, è il mo­mento di ricorrere agli integratori. 1500 milligrammi di calcio al giorno dovrebbero essere sufficienti. E fate attenzione a pren­dere anche abbastanza vitamina D. Spesso ci dimentichiamo della vitamina D durante una malattia grave, e in seguito, quando in­comincia la convalescenza, siamo privi di vitamina D e perciò non riusciamo ad assorbire il calcio in quantità sufficiente a rein­tegrare la perdita di tessuto osseo subita.

Ma, come abbiamo già raccomandato, non esagerate con la vi­tamina D. Come dice il proverbio, «l'assai basta e il troppo guasta». Un'esposizione quotidiana al sole è un ottimo metodo per assumere tutta la vitamina D che occorre, ma si può anche prendere una capsula al giorno di un complesso multivitaminico.

 

 

 

 

oltre l'osteoporosi: cancro, ipertensione, problemi dentali

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Per alcune persone un'insufficiente quantità di calcio alimentare è probabilmente una delle cause dell'ipertensione; aumentare l'as­sunzione di calcio spesso riduce la gravità di questo problema. Al­cuni casi di cancro del colon possono essere causati da diete troppo povere di calcio. Diete ricche di calcio ne lasciano molto, non as­sorbito, nei residui di cibo che arrivano al colon. Questo calcio può neutralizzare le sostanze irritanti che potrebbero risvegliare una predisposizione latente al cancro dell'intestino.

Quando una persona anziana si fa estrarre dei denti e si fa mettere una dentiera, l'osso alveolare tende a recedere e la stabilità della protesi può venir compromessa. Diete povere di calcio peggiorano questo problema e diete ricche di calcio aiutano a ridurlo.

 

La connessione tra calcio, ipertensione e cancro è stata oggetto di ricerche molto tempo prima che i media se ne impadronissero (co­me del resto era successo con l'osteoporosi). Per quel che riguarda l'ipertensione, si afferma che una bassa assunzione di calcio pre­dispone ad ammalarsi di ipertensione, o la peggiora. Un'assun­zione più elevata invece farebbe abbassare la pressione sangui­gna. Per quel che riguarda il cancro del colon, si asserisce che una bassa assunzione di calcio aumenta il rischio di cancro del colon, particolarmente in persone con una predisposizione familia­re a quel tipo di tumore, e che un'alta dose di calcio può servire da protezione. Quanto corrispondono al vero queste affermazioni?

 

Ipertensione

L'ipertensione, o alta pressione sanguigna, è un problema di sa­lute ben noto. Come l'osteoporosi, la si conosce da lungo tempo, ha molte cause, e si può fare molto per migliorare le cose, ma per il momento non c'è una cura o una prevenzione sicura. Qualunque ne sia la causa specifica in un dato individuo, il pro­blema alla base è un restringimento anormale e continuo delle piccole arterie che portano il sangue ai vari tessuti. Per far cir­colare il sangue nonostante questa maggiore resistenza, il cuore deve contrarsi con più forza, producendo quindi un'alta pres­sione del sangue. Ma anche così, alcuni tessuti non ricevono un'a­deguata irrorazione sanguigna. Prima o poi il cuore si stanca di tutto questo lavoro extra, oppure le pareti delle arterie, dan­neggiate dal costante martellamento dell'alta pressione, posso­no cedere e rompersi. Nella maggior parte dei casi le conseguenze sono un cedimento del cuore, un infarto, un ictus o un cedimento dei reni, isolatamente o insieme.

Soltanto in alcuni casi si capisce perché le arterie si restringo­no; per la maggior parte degli individui non c'è nessuna spiega­zione. Molti ricercatori ritengono che un'alta assunzione di sale (cloruro di sodio) possa a volte essere un fattore influente, ma praticamente nessuno crede che il sale sia la causa fondamen­tale del problema nella generalità dei casi. Attualmente si valu­ta che forse il 15 degli adulti possa essere sensibile alla quan­tità di sale nella dieta. Nel rimanente 85, l'assunzione di sale non porta a nessuna modifica della pressione sanguigna. Ciò no­nostante, parecchie organizzazioni nazionali della sanità consi­gliano una riduzione di sale per tutti. Questo perché non si sa, né è facile individuare chi è sensibile al sale e chi non lo è.

I ricercatori hanno analizzato un'ampia raccolta di dati sulla nutrizione, come per esempio, negli Stati Uniti, gli studi Hanes, per capire se c'erano più ipertesi tra le persone con alte assun­zioni di sale. La correlazione potrebbe essere labile, perché molte persone non sono sensibili al sale. Eppure, con un campione ab­bastanza ampio e un corretto approccio analitico, dovremmo es­sere in grado di individuarla, se ci fosse. Ma non la troviamo. Quello che è stato trovato, invece, e in modo del tutto inatteso, è che le persone con una bassa assunzione di calcio hanno la pres­sione più alta di quelle con una assunzione elevata.

Molti ricercatori che legano l'ipertensione al consumo di sale hanno utilizzato un particolare ceppo di ratti da laboratorio che si ammala di ipertensione a seguito di un'elevata assunzione di sale. È particolarmente interessante notare che lavori recenti han­no evidenziato come questi ratti siano invece ancora più sensibi­li al calcio che al sale. Una dieta ricca di calcio può proteggere questi animali dal rischio dell'ipertensione anche se la quantità di sale assunta è alta, mentre si può provocare l'ipertensione som­ministrando basse dosi di calcio, anche se l'assunzione di sale è bassa. Queste evidenze spiegano perché il calcio ha suscitato l'in­teresse dei ricercatori medici che studiano l'ipertensione.

Nessuno ha ancora spiegato in modo del tutto soddisfacente come il calcio alimentare potrebbe influire sulla pressione san­guigna o come potrebbe persino proteggere certi individui dal­l'ipertensione. Come fanno i muscoli nelle pareti delle piccole arterie - quelle che presentano un costante, anormale restrin­gimento - a "sapere" quanto calcio viene assorbito dal cibo? Come abbiamo visto, modificare l'assunzione di calcio influisce molto poco sul livello del calcio nel liquido extracellulare. Forse gli ormoni che regolano il calcio trasmettono l'informazione ai muscoli delle pareti arteriose. I livelli dell'ormone paratiroideo (PTH) e di calcitriolo sono alti quando l'assunzione di calcio ali­mentare è bassa; si sa che entrambi influiscono in vario modo sul metabolismo cellulare, ma non sono stati fatti studi appro­fonditi, perché sembrava che avessero poca importanza nell'e­conomia del calcio.

Che gli ormoni calcio-regolatori possano fungere da mediato­ri tra il calcio alimentare e il restringimento delle arterie è sug­gerito anche da un altro fatto ben noto: l'ipertensione è molto comune nelle persone che hanno un tumore che produce un ec­cesso di ormone paratiroideo. Si arriva alla stessa conclusione anche osservando una caratteristica dei neri americani. A qua­lunque livello di assunzione del calcio, i neri mantengono livelli più elevati di PTH e calcitriolo nel liquido extracellulare, e que­sto provoca un migliore assorbimento del calcio alimentare e una migliore ritenzione del calcio nei reni. Se c'è del vero nella teo­ria che lega una bassa assunzione di calcio alla pressione del san­gue, l'ipertensione dovrebbe essere più diffusa tra i neri che tra i bianchi. E in effetti lo è. In generale i neri americani assumo­no meno calcio dei bianchi e l'osteoporosi è molto meno diffusa tra loro che tra gli americani bianchi. In altre parole, si adatta­no meglio dei bianchi a basse assunzioni di calcio, almeno per quanto riguarda le loro ossa. Ma il fardello dell'ipertensione può far parte dei costi di questo adattamento a basse assunzioni di calcio.

Inoltre, in alcuni individui l'ipertensione può aggravarsi con una dieta povera di calcio proprio come nei ratti sensibili al sale l'ipertensione peggiora con una alimentazione carente di calcio.

Un'indiscriminata limitazione del sale nei malati di iperten­sione può, in alcuni casi, fare più male che bene. I latticini, che sono la principale fonte di calcio nella dieta occidentale, sono alimenti anche relativamente ricchi di sodio (180 milligrammi di sodio in un bicchiere di latte di 240 grammi). Perciò le perso­ne che si preoccupano della quantità di sodio nella loro alimen­tazione tendono a ridurre anche l'assunzione di calcio. Una ri­duzione non voluta e non inevitabile. Come abbiamo visto, ci sono molte altre fonti di calcio fra gli alimenti, e ovviamente si può prendere un integratore di calcio. Ma la realtà dei fatti è che, per la maggior parte delle persone, una dieta povera di sa­le finirà per essere anche una dieta povera di calcio, e questo può aggravare la loro ipertensione.

Effettivamente molte volte, in persone con una leggera iper­tensione, la pressione sanguigna sale quando queste seguono die­te povere di sodio (e quindi povere di calcio). In questi casi il medico può essere portato a ridurre ulteriormente la loro assun­zione di sodio (e di calcio), ma riesce solo a farle peggiorare. Al­lora può prescrivere una serie di farmaci, con tutti i loro effetti collaterali, senza però riuscire a controllare, se non in misura minima, l'ipertensione. Per poi vederla quasi scomparire quan­do i pazienti riprendono una dieta normale con più sale ma an­che più calcio. Tutto questo però non è stato controllato con studi accurati e sarebbe un grave errore saltare subito a conclusioni affrettate. Certamente queste esperienze rafforzano l'ipotesi che, almeno per certi individui, l'assunzione di calcio può essere im­portante per controllare l'ipertensione. È chiaro che devono es­sere fatte ricerche più approfondite.

L'ipertensione è un problema molto complesso. È troppo pre­sto per dire con precisione che ruolo vi abbia il calcio. Ma negli ultimi anni abbiamo raccolto abbastanza dati da poter indicare che, almeno per certe persone con questa malattia, il calcio in effetti svolge un ruolo. Ci azzardiamo persino ad affermare che esistono individui che, con una dieta ricca di calcio, non si am­malerebbero di ipertensione, ma lo farebbero con una dieta po­vera di calcio. Viceversa, altri individui si ammalano di iperten­sione per cause diverse, e la loro ipertensione non è influenzata dall'assunzione di calcio. Inoltre, esiste probabilmente un grup­po di individui ipertesi effettivamente sensibili al sodio, e non è sicuro che includa anche alcune di quelle persone sensibili al calcio. Sembra opportuno suggerire alle persone con diete po­vere di sodio di assumere dosi adeguate, magari anche alte, di calcio. Probabilmente questo è uno di quei casi che richiedono l'uso di un integratore .

 

Cancro del colon

Il cancro, come l'ipertensione e l'osteoporosi, ha molte cause. In molti casi i ricercatori ritengono che ci siano dei geni che in certe particolari condizioni si attivano dando luogo alla crescita anormale e incontrollata di cellule che caratterizza il cancro.

Una di queste condizioni scatenanti sembra essere la prolife­razione cellulare. Sappiamo da almeno cinquant'anni che alcu­ni tipi di cancro non si verificano nei tessuti a meno che le loro cellule non si dividano. Così gli scienziati si sono messi a cercare le sostanze - come per esempio quelle irritanti - che portano a una divisione cellulare non necessaria.

Per quanto riguarda il cancro del colon, o intestino crasso, ci si domandava: «Che cosa c'è nella dieta che irrita le cellule che rivestono il colon?» Per individui che hanno ereditato la tendenza ad ammalarsi di cancro del colon, questa irritazione può essere la causa scatenante di un cancro. Alcuni ricercatori hanno con­siderato la possibilità che ne fossero responsabili gli acidi grassi non assorbiti presenti nei residui di cibo che arrivano nel colon. La maggior parte del grasso nelle nostre diete è costituito da com­posti formati da tre molecole di acido grasso combinate con un'u­nica molecola di glicerolo a formare quello che i chimici chia­mano un "trìgliceride". Durante la digestione, gli enzimi intestinali scindono questa molecola nelle sue componenti e noi le assorbiamo. Ma se la dieta è molto ricca di grassi, alcuni degli acidi grassi liberati durante la digestione possono oltrepassare i tratti dell'intestino tenue preposti all'assorbimento e finire nel colon. In un certo senso è uno spreco di nutrimento, ma che si verifica in misura limitata. Ora è risaputo che questi acidi grassi non assorbiti irritano il rivestimento del colon.

Il calcio entra in gioco perché si lega naturalmente con gli aci­di grassi, e in un certo senso li neutralizza. (L'incrostazione che si forma nella vasca da bagno è una conseguenza del calcio pre­sente in un'acqua dura, che si combina con gli acidi grassi del sapone.) I ricercatori hanno pensato che un surplus di calcio si sarebbe legato con gli acidi grassi non assorbiti e li avrebbe neu­tralizzati. Quando questa ipotesi fu verificata su animali da la­boratorio, funzionò esattamente come era stato previsto.

Con l'alimentazione moderna, la quantità di calcio che raggiun­ge il colon è bassa e la quantità di acidi grassi alta in confronto alle diete dei nostri antichi progenitori. Quindi nei residui di ci­bo non c'è abbastanza calcio per legarsi con tutte le sostanze ir­ritanti lasciate da una dieta ricca di grassi. L'analisi chimica delle feci evidenzia in effetti che questo è proprio quello che succede in molti individui. Questa messe di teorie e dati sembrerebbe of­frire la speranza di poter prevenire almeno un tipo di cancro, grazie alla dieta. Ma finora non c'è nessuna evidenza che diete ricche di calcio abbiano impedito anche un solo caso di cancro del colon negli esseri umani. L'anormale proliferazione cellula­re nel rivestimento del colon in persone con un'anamnesi fami­liare di cancro al colon è regredita con la somministrazione di integratori di calcio; il calcio funziona abbastanza bene con gli animali negli esperimenti di laboratorio, ma né l'uno né l'altro di questi dati indica che sia possibile prevenire il cancro nell'uo­mo. Ancora una volta, occorre fare altre ricerche.

 

Retrazione del bordo gengivale e protesi dentarie

Un'altra spiacevole conseguenza dell'adattamento a una bassa assunzione di calcio è la retrazione del bordo gengivale, di cui abbiamo già parlato nel capitolo 20. In alcuni individui, dopo l'estrazione dei denti si riscontra una marcata retrazione del bor­do gengivale e questo rende molto difficile mantenere una buo­na aderenza della dentiera, Individui con alte assunzioni di cal­cio evidenziano una minore retrazione del bordo gengivale e una migliore stabilità della dentiera, rispetto a quella di persone con basse assunzioni di calcio. La re trazione del bordo gengivale in persone con ridotta assunzione di calcio non indica, per quanto ne sappiamo, una perdita generalizzata di tessuto osseo, né si­gnifica che quella persona ha, o avrà, l'osteoporosi. Essa è do­vuta a un cambiamento nelle forze meccaniche esercitate sul­l'osso mascellare durante la masticazione. La forma e la robu­stezza dell'osso dipendono dalle forze trasmesse attraverso i denti nel processo di masticazione. Una dentiera completa o parziale trasmette un insieme di forze molto diverso da quello trasmes­so dai denti nei loro alveoli individuali. Perciò non sorprende che, a seguito dell'estrazione di denti, l'osso sotto stante si mo­difichi.

Perché mai una persona con una bassa assunzione di calcio dovrebbe perdere una maggiore quantità di tessuto osseo dal­l'osso mascellare rispetto a una persona con un' assunzione ele­vata? Perché un integratore di calcio dovrebbe proteggere da questa perdita, come in effetti succede? La spiegazione più at­tendibile è che le persone con basse assunzioni di calcio hanno costantemente alti livelli di PTH e calcitriolo nel liquido extra­cellulare. In questo modo riescono ad adattarsi a una bassa as­sunzione di calcio. Questi cambiamenti ormonali costringono a un miglior assorbimento del calcio alimentare e inducono i reni a una conservazione ottimale del calcio. Ma il PTH e il calcitrio­lo stimolano anche potentemente il processo di rimodellamento osseo, in particolare la sua prima fase, quella distruttiva. Per­ciò, questi ormoni provocano un'eccessiva demolizione di tes­suto osseo in un punto già destinato a un rimodellamento a se­guito del mutamento del carico meccanico locale, come è appunto l'osso mascellare di una persona che ha subito da poco un'estra­zione dentaria. È un problema particolare di queste ossa, per­ché il processo innesca un circolo vizioso. Infatti quando il bor­do gengivale si ritrae e la stabilità della dentiera peggiora, chi la porta mastica sempre meno, o usa meno la protesi stessa. Si verifica perciò un'ulteriore riduzione di carico sulle mascelle, che a sua volta porta a un'ulteriore perdita di tessuto osseo e a una peggiore stabilità della protesi.

Il sistema, nel tentativo di adattarsi a una bassa assunzione di calcio, coglie l'opportunità di prendere parte del calcio che gli occorre da un osso che non gli sembra molto usato, in questo caso dall'osso mascellare nel punto in cui sono stati estratti i den­ti. Ma aumentare l'assunzione di calcio riduce i livelli di PTH e di calcitriolo, e quindi la demolizione di tessuto osseo. Ed è iro­nico che siano proprio gli individui che più si adattano a una bassa assunzione di calcio quelli maggiormente esposti a questo tipo di razzia opportunistica nelle regioni dello scheletro sottoposte a un minor carico meccanico.

Un'unica causa? È possibile che qualche forma di ipertensione, di cancro del colon, di osteoporosi e persino di retrazione dell'osso alveo­lare dopo l'estrazione dei denti abbiano la stessa causa, cioè una dieta troppo povera di calcio? Ricordatevi che quando la die­ta è povera di calcio, il livello dell'ormone paratiroideo aumen­ta, mentre l'organismo cerca di assorbire e di trattenere meglio il calcio.

Nelle persone sane, specialmente nei giovani, questo sistema funziona egregiamente, specialmente se la ridotta assunzione di calcio è temporanea. Ma se il sistema funziona, giorno dopo gior­no, al limite della sua capacità di adattamento, allora il PTH e il calcitriolo verranno mantenuti costantemente ad alti livelli. Molta parte - forse la maggior parte - del calcio alimentare verrà assorbito, e lo scheletro verrà in qualche modo protetto. Ma in alcune persone le arterie possono essere particolarmente sensibili ai livelli costantemente alti degli ormoni calcio-regolatori, e arterie di questo tipo possono dar segno di problemi che con­durranno all'ipertensione. In altre il rivestimento del colon è par­ticolarmente sensibile ai processi irritativi indotti dagli acidi grassi lasciati privi di legame chimico a seguito di una carenza di cal­cio non assorbito, e i loro intestini possono presentare dei pro­blemi che condurranno a un cancro del colon. Individui a cui sono stati estratti i denti possono evidenziare una perdita ec­cessiva di tessuto osseo nell'osso alveolare.

Queste difficoltà, naturalmente, tendono a manifestarsi di più in persone insolitamente sensibili a quei fattori. Qualcosa nella loro costituzione genetica o nella loro situazione specifica li rende più sensibili di altri a una carenza di calcio. Questo succede sem­pre quando l'apporto di una sostanza nutritiva raggiunge livelli di carenza.

Tutto ciò è ancora allo stadio di ipotesi. Ma questo è anche il modo in cui noi colleghiamo osservazioni diverse e cerchiamo di scoprirvi un significato. Questa teoria integrata richiama il con­cetto di "malattie dell'adattamento" introdotto negli anni do­po la seconda guerra mondiale da Hans Selye dell'Università McGill di Montreal. Egli riteneva che molte malattie dei giorni nostri fossero dovute al fatto che le ghiandole surrenali devono lavorare in modo eccessivo per aiutarci ad adattarci a situazio­ni di stress. Per qualche anno questa idea è stata molto di mo­da, ma non è mai attecchita profondamente e i testi di endocri­nologia e metabolismo più recenti non nominano più Selye. Ep­pure l'idea di una malattia causata da un eccessivo adattamen­to può servire da stimolo a farci studiare meglio il rapporto che intercorre tra il calcio e malattie come l'ipertensione o il can­cro. Adattarsi a un'assunzione troppo bassa di calcio può avere più effetti collaterali di quelli che già conosciamo .

 

 

 

 

come calcolare il vostro fabbisogno di calcio

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Le affermazioni scientifiche sono una bella cosa, ma ora forse vi chiederete quanto calcio vi occorra ogni giorno. Come abbiamo già indicato, ci sono ancora molte domande senza risposta per quanto riguarda il bisogno di calcio, e per questa ragione non possiamo darvi una risposta univoca. Tuttavia, le vostre decisioni riguardo all'alimentazione da seguire non possono certo aspettare che gli scienziati risolvano le loro controversie e completino le loro ricer­che. La valutazione del bisogno di calcio riportata qui sotto vi aiu­terà a considerare praticamente tutti i fattori che influiscono sul vostro fabbisogno di calcio.

 

Il primo passo per determinare il fabbisogno di calcio è valutare la vostra assunzione attuale. (Questo perché alcuni dei fattori che influiscono sull'assimilazione del calcio agiscono in modo di­verso quando lo si assuma in piccole o grandi quantità). Il no­stro scopo al momento è solo quello di collocare la vostra assun­zione giornaliera di calcio - sia da fonti alimentari che da inte­gratori - in tre ampie categorie:

 

Meno di 500 milligrammi

500-1000 milligrammi

Più di 1000 milligrammi

 

I passi indicati vi aiuteranno a farlo, almeno in modo approssi­mativo.

Primo passo: valutare la vostra assunzione di calcio Calcolate quante volte alla settimana consumate ciascuno degli alimenti elencati nella lista seguente. Fate attenzione alle dimensioni della porzione. Noi abbiamo indicato porzioni normali, ma se le vostre porzioni sono diverse e volete che le vostre valuta­zioni siano accurate, dovrete modificare le cifre. Per esempio, la nostra tabella indica per il latte una porzione standard di cir­ca 240 grammi. Se voi bevete 120 grammi di latte per volta, e consumate una sola porzione del genere al giorno, dovrete met­tere come assunzione settimanale 3,5 porzioni standard, non 7. Fate lo stesso per tutti gli altri alimenti. Inoltre, fate pure delle sostituzioni dettate dal buonsenso. Se non mettete mai il formag­gio sui maccheroni ma se di tanto in tanto mangiate una porzio­ne di patate gratinate, e pensate che ci sia più o meno la stessa quantità di formaggio che usereste per i maccheroni, contate pure le patate gratinate come se fossero maccheroni al formaggio. Ma non contate gli spinaci, sia crudi che cotti, come verdura, per­ché il calcio che vi è contenuto non è utilizzabile.

Prima di tutto, negli spazi vuoti:

 

  indicate il vostro consumo abituale di ciascun alimento (in porzioni settimanali secondo la porzione standard indica­ta) nella colonna a sinistra;

 

  usando il moltiplicatore indicato, assegnate un punteggio a ogni alimento e segnatelo nella colonna a destra;

 

  sommate i punteggi nella colonna a destra e riportate la ci­fra nello spazio che indica il punteggio totale.

 

Calcolate la vostra assunzione di calcio da fonti alimentari (in milligrammi al giorno) nel modo seguente:

 

punteggio totale .................... per 10 diviso 7 uguale ....................

Arrotondate questo numero ai più vicini 100 milligrammi.

 

Aggiungete a questa cifra il calcio che eventualmente pren­dete in compresse sotto forma di integratore in milligrammi al giorno. Potrete sapere quanto calcio c'è in una pastiglia leggen­do attentamente l'etichetta. Fate attenzione: non è il peso del­la compressa che importa, ma proprio il suo contenuto di cal­cio. È stato scoperto da poco che molti integratori di calcio non si disgregano completamente nello stomaco. Se l'integratore che usate non è un prodotto masticabile o non soddisfa le norme stan­dard di disgregazione e scioglimento stabilite dalla farmacopea degli Stati Uniti, probabilmente non dovreste includere nel con­teggio il calcio supplementare contenuto nelle pastiglie. (Nel ca­pitolo 27 vi diciamo come potete determinare da soli se le com­presse soddisfano questi standard.)

Per favore, ricordatevi che lo scopo di questo procedimento è solo di darvi un'idea approssimativa di quanto calcio assume­te. Se volete una valutazione più precisa occorrerà che per al­meno una settimana registriate accuratamente sia il tipo che la quantità di tutti gli alimenti ingeriti. Poi un dietologo analizze­rà attentamente il rapporto che gli sottoporrete.

 

alimento

Consumo

(porzioni

per

settimana)

 

punteggio

Latte (120 g)

…………

x 14 =

…………

Biscotti (80 g)

…………

x 14 =

…………

Pasta o riso (conditi) (100 g)

…………

x 14 =

…………

Carni bianche (120 g)

…………

x 14 =

…………

Carni rosse (150 g)

…………

x 14 =

…………

Merluzzo (180 g)

…………

x 14 =

…………

Palombo (180 g)

…………

x 14 =

…………

Sogliola (180 g)

…………

x 14 =

…………

Trota (180 g)

…………

x 14 =

…………

Prosciutto crudo (50 g)

…………

x 14 =

…………

Mozzarella (80 g)

…………

x 14 =

…………

Groviera (80 g)

…………

x 14 =

…………

Uova (uno)

…………

x 14 =

…………

Fagioli (200 g)

…………

x 14 =

…………

Piselli (200 g)

…………

x 14 =

…………

Broccoletti (200 g)

…………

x 14 =

…………

Carciofi (200 g)

…………

x 14 =

…………

Indivia (200 g)

…………

x 14 =

…………

Radicchio (200 g)

…………

x 14 =

…………

Lattuga (100 g)

…………

x 14 =

…………

Pane (100 g)

…………

x 14 =

…………

Frutta (200 g)

…………

x 14 =

…………

Gelato (80 g)

…………

x 14 =

…………

Dolce alla crema (130 g)

…………

x 14 =

…………

Cioccolato al latte (50 g)

…………

x 14 =

…………

Yoghurt (125 g)

…………

x 14 =

…………

punteggio totale:

…………

 

Assunzione da fonti alimentari:  Punteggio totale: …… x 10/7  = …… mg

Assunzione di calcio da integratori:   ………………….

Assunzione di calcio complessiva:   ………………….

 

Contenuto medio di proteine (gr)

in 100 gr di alimento

Pane

7

Carne

20

Pesce

15

Formaggio

25

Uova

15

Pasta

12

Latte

4

 

Secondo passo: calcolare il vostro fabbisogno di calcio Alcuni fattori fanno sì che abbiate più bisogno di calcio, altri agi­scono in senso contrario. Altri ancora, anche se importanti per il buono stato delle ossa, agiscono direttamente su queste e non influiscono affatto sul vostro bisogno di calcio.

Prendete un foglio di carta e fate due colonne, una per i nu­meri da sommare - la colonna A - e una per i numeri da sot­trarre - la colonna B. Quando avrete risposto a tutte le doman­de, sommate i numeri che avete scritto nelle colonne A e B. Vi diremo che cosa fare di questi numeri una volta che avrete ri­sposto a tutte le domande.

 

1)   Se il vostro consumo di proteine (vedi tabella 4) è:

- basso (meno di 50 grammi al giorno) scrivete 200 nella colonna B

- alto (più di 70 grammi al giorno) scrivete 200 nella colonna A

 

2)   Se avete calcolato che la vostra assunzione di calcio è superiore ai 1000 milligrammi al giorno, passate alla domanda 5 e non scrivete niente per le domande 3 e 4

 

3)   Se la vostra assunzione di sale è:

- bassa (sotto i 4 grammi al giorno) scrivete 100 nella colonna B

- alta (superiore agli 8 grammi al giorno) scrivete 100 nella colonna A

4)   Se il vostro consumo di fibra è:

- basso, scrivete 200 nella colonna B

- alto, scrivete 100 nella colonna A

 

5)   Se il vostro peso è:

- inferiore più del 20 a quello giusto per la vostra altezza, scrivete 100 nella colonna A

- superiore più del 20 a quello giusto per la vostra altezza, scrivete 200 nella tabella B

 

6)   Dal numero di tazze di caffè o tè (con caffeina) che bevete ogni giorno sottraete 3. Se il numero che risulta è maggiore di zero, moltiplicatelo per 2,5 e mettete il risultato nella colonna A

 

7)   Se prendete regolarmente una compressa al giorno di un integratore multivitaminico che contenga 400 unità internazionali (I.U.) di vitamina D, o se state al sole una o due volte alla settimana tutto l'anno, o se bevete tre o quattro porzioni di latte al giorno, pas­sate alla domanda 8.

Se state poco o mai al sole, scrivete 800 nella colonna A .

Se invece l'esposizione al sole è saltuaria o moderata, scrivete 400 nella colonna A.

 

8)   Prendete il numero dei vostri anni oltre i 40, moltiplicateli per 15 e scrivete il risultato nella colonna A (massimo 300)

 

9)   Se siete in post menopausa e non state seguendo una terapia sostitutiva di estrogeno, scrivete 100 nella colonna A

 

10) Se negli ultimi dieci anni avete perso peso in modo drastico, a seguito di una dieta o di esercizio fisico, al punto che le mestruazioni sono cessate, scrivete 500 nella colonna A (se lo avete fatto passate alla domanda 12).

 

11) Se avete avuto uno o più episodi di malattie gravi, interventi chirurgici o incidenti con lesioni negli ultimi due anni, scrivete 250 nella colonna A

 

12) Sommate gli anni dalla pubertà in poi in cui l'assunzione regolare di calcio è stata infe­riore ai 500 milligrammi al giorno; moltiplicate questo numero per 6 e scrivete il risultato nella colonna A (massimo 300)

 

Totale per A = ……………………

 

Totale per B = ……………………

 

Differenza (sottrarre B da A) = ……………………

 

Aggiungere 800 milligrammi …………………… + 800

 

Il vostro fabbisogno di calcio è di …………………… milligrammi al giorno

 

Questo questionario è concepito per dosi di calcio variabili tra i 500 e i 2500 milligrammi al giorno. Valutazioni inferiori o su­periori a queste cifre non dovrebbero essere considerate affi­dabili. Così se i vostri calcoli vi danno un numero inferiore a 500, fermatevi lì. E fate altrettanto se il numero risulta superiore ai 2500. Non imbrogliate. Assunzioni al di sotto o al di sopra di questi limiti potrebbero essere pericolose e non dovrebbero essere con­siderate il vostro effettivo fabbisogno, a meno che questa con­clusione sia confermata da un dietologo competente che abbia accuratamente valutato la vostra situazione personale.

Per alcuni di voi basterà questo. Ma per altri esistono dei fat­tori aggiuntivi che andrebbero presi in considerazione, perché possono influire sul fabbisogno di calcio. Per esempio, se usate regolarmente uno degli antiacidi basati su composti dell'alluminio dovrete senz'altro aumentare la vostra assunzione di calcio, e pro­babilmente prendere almeno 500 milligrammi in più della quanti­tà che avete appena calcolato. In modo analogo, ci sono certe ma­lattie che possono far aumentare il vostro fabbisogno di calcio. Ma esulano dalle intenzioni di questo libro, e dovrebbero venire di­scusse con il vostro medico. Queste malattie includono sprue, insufficienza pancreatica, ileite, colite e altre malattie che pos­sono interferire con l'assorbimento. L'uso cronico di lassativi può avere lo stesso effetto e creare lo stesso tipo di bisogno.

D'altra parte, alcuni dei farmaci usati per controllare l'iper­tensione possono modificare la perdita di calcio per via urina­ria, in entrambi i sensi. Per esempio, alcuni diuretici (tiazoici) riducono la perdita di calcio nelle urine e quindi in effetti dimi­nuiscono il bisogno giornaliero di calcio; altri invece provocano una maggior perdita di calcio e quindi ne aumentano il bisogno. Perciò, se state prendendo questo tipo di medicine, parlate ne con il vostro medico.

Se state prendendo farmaci anticonvulsivanti può darsi che abbiate bisogno di un maggior apporto di vitamina D e di calcio. Parlate anche di questo con il vostro medico.

Infine, è importante essere molto chiari sulle cose che non si possono sanare con una maggiore dose di calcio.

  Inattività. Se siete inattivi e fate poco o niente esercizio fisico, perderete tessuto osseo. Non potete compensare que­sta perdita aumentando l'assunzione di calcio.

  Consumo di alcol. Se bevete regolarmente più di due o tre bicchieri di superalcolici al giorno, danneggerete le vostre ossa. Il calcio non potrà impedirlo. Le persone che abusa­no di alcolici di solito hanno una bassa assunzione di calcio e per questa ragione possono averne bisogno in maggior quantità. Certamente dovrebbero aumentare la loro assun­zione di calcio per impedire almeno il deterioramento del­lo scheletro dovuto alla carenza di questo minerale. Ma sa­rebbe un errore pensare che il calcio da solo possa neutra­lizzare i cattivi effetti di un consumo eccessivo di alcol.

  Fumo. Il fumo è dannoso per le vostre ossa, proprio come è dannoso per gli altri tessuti organici. E purtroppo il cal­cio non serve. Non potete evitare i danni causati dal fumo aumentando l'assunzione di calcio.

 

 

 

 

il calcio è innocuo?

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Un'alimentazione molto ricca di calcio non è nociva. Molte catego­rie di individui consumano cinque o dieci volte la quantità di cal­cio assunta abitualmente dalle tipiche donne di mezza età in Euro­pa o in America, e senza problemi. Anche se è possibile esagerare, un 'assunzione di calcio fino a 2500 milligrammi è innocua prati­camente per tutti ed è quindi possibile aumentare l'assunzione di calcio con assoluta sicurezza. È molto meglio commettere un errore e prenderne un pachino più del necessario, piuttosto che rischiare di prenderne troppo poco.

 

Ci chiedono spesso che cosa si rischia a prendere una maggiore quantità di calcio. È possibile prenderne troppo? Può essere no­civo? Che cosa succederebbe se ne prendeste troppo?

La risposta più ovvia è che è possibile assumere una quantità eccessiva di qualunque cosa. In questo capitolo vedremo quali problemi potrebbero insorgere, e quanto calcio si dovrebbe pren­dere per mettersi nei guai. Ma per la maggior parte delle perso­ne il calcio è assolutamente innocuo. Ancora più importante, è praticamente impossibile assumere troppo calcio solo con il cibo. (Questa è una delle ragioni per cui nel capitolo 27 esortiamo uo­mini e donne ad assumere il calcio di cui hanno bisogno dagli alimenti, piuttosto che con un integratore.) Per assumere trop­po calcio, bisognerebbe prendere dosi molto abbondanti di inte­gratori di calcio e combinare assunzioni elevate con farmaci (co­me il calcitriolo) che bloccano il controllo del livello del calcio da parte dell'organismo.

Un modo per risolvere questa faccenda della pericolosità del calcio è trovare persone che ne consumino regolarmente grosse quantità e vedere se sono in buona salute e, se non lo sono, che problemi hanno. I dati ricavati dalle ricerche sui consumi alimen­tari negli Stati Uniti (Hanes) indicano che più del 25 dei ma­schi in età compresa fra i 12 e i 24 anni consumano più di 1500 milligrammi di calcio al giorno. Questo vuol dire che circa sei milioni di persone ne prendono più di 1500 milligrammi. Circa il 10 dei giovani maschi - equivalenti a 2,5 milioni di indivi­dui - ne assumono più di 2200 milligrammi al giorno, e quasi il 5 - cioè 1,25 milioni di persone - ne prende più di 3000 milligrammi, l'equivalente di dieci bicchieri di latte! Inoltre, poi­ché l'efficienza dell'assorbimento è generalmente migliore ne­gli adolescenti e nei giovani adulti, questi ragazzi e giovanotti assorbono molto più calcio di quanto farebbe una donna di mez­za età. Questo ingente consumo di calcio va avanti da anni ma, per quanto se ne sa, nessuno di quei giovani ha mai avuto il più piccolo problema al riguardo.

Analogamente, gli individui che oggigiorno vivono in società primitive hanno assunzioni medie di 1600-2700 milligrammi di calcio al giorno. Forse in cima alla lista si trovano i Masai, pa­stori dell' Africa orientale, che hanno assunzioni tipiche di 6000-7000 milligrammi al giorno. Di nuovo, per quanto se ne sa, non sono mai stati riscontrati effetti nocivi in nessuno di questi gruppi.

Infine, c'è un'ampia categoria di persone che soffre di catti­va digestione o di iperacidità gastrica e che consuma grandi quan­tità di antiacidi. Non tutte le compresse antiacidità contengono calcio, ma molte sì, e per ridurre il bruciore di stomaco e le dif­ficoltà di digestione si usano molto pastiglie di carbonato di cal­cio praticamente puro. Nessuno ha mai calcolato con precisio­ne quante compresse prendano ogni giorno questi individui, e il numero varia indubbiamente e in modo notevole da un giorno all'altro. Normalmente succede che queste persone assumano .1000 milligrammi di calcio solo grazie alle compresse antiacidi­tà, oltre a tutto quello che assumono con gli alimenti. Eppure, non si conoscono problemi che si possano far risalire a questo elevato consumo.

Perciò sembra evidente che un'assunzione quotidiana di alm­eno 2500 milligrammi, e probabilmente fino a 4000 milligrammi non è assolutamente nociva. (Tra parentesi, nel 1979 la Food and Drug Administration negli Stati Uniti ha dichiarato che una quantità di 2500 milligrammi è assolutamente sicura). Poiché que­sti livelli sono superiori alla quantità che la maggior parte delle persone assume con l'alimentazione - o persino con gli antiaci­di - è ragionevole dire che il calcio è sostanzialmente privo di effetti collaterali dannosi, ai livelli di assunzione ragionevolmente prevedibili per la maggior parte degli esseri umani.

Ma se una persona prendesse troppo calcio, che cosa succe­derebbe? Se il calcio venisse ìngurgitato in una quantità supe­riore a quella escreta nelle urine, i livelli del calcio nel liquido extracellulare si innalzerebbero. Se questi livelli si innalzano oltre una certa soglia, la comunicazione intercellulare si interrompe, i muscoli si rilassano, sopravvengono nausea e vomito e infine sopraggiungono uno stato di incoscienza e la morte. Ma questi cambiamenti sono estremi ed è difficile immaginare che si veri­fichino semplicemente perché si prendono troppe compresse di integratori di calcio. Tuttavia, potrebbero succedere se si veri­ficassero certe condizioni. Conosciamo una donna di 73 anni che prendeva trenta compresse al giorno di antiacidi contenenti cal­cio, oltre al suo solito integratore. E riusciva a gestire senza pro­blemi questo enorme quantitativo, probabilmente 7000 o 8000 milligrammi al giorno, finché le venne una gastroenterite con vomito e diarrea, che le provocarono disidratazione. Allora, e solo allora, il suo livello di calcio salì notevolmente e dovette essere ricoverata in ospedale per riportarlo a valori normali. Al­cune persone, che assorbono meno bene, possono tollerare un'as­sunzione più alta, mentre altri, che assorbono meglio, potreb­bero cominciare a dare segni di un innalzamento dei livelli del calcio nel liquido extracellulare con assunzioni più modeste. Per­ciò è ragionevole non esagerare con gli integratori di calcio, se si devono proprio prendere. Come regola generale, nessuno do­vrebbe prendere un integratore (con dosi superiori ai 2500 mil­ligrammi al giorno) se non sotto stretta sorveglianza medica.

Il problema di cui si sente più parlare in associazione ad alte assunzioni di calcio è quello dei calcoli renali. Nel nostro siste­ma urinario possono formarsi molti tipi di calcoli per molte cau­se diverse che includono infezioni, gotta, e rare anomalie ereditarie che provocano l'eliminazione per via urinaria di composti chimici normalmente assenti in quella sede. Ma ancor oggi non conosciamo le cause della forma di calcolo renale più comune in Europa e nel Nord America. Questi calcoli contengono calcio e un assortimento di altre sostanze, soprattutto acido ossalico.

I sali di calcio tendono a essere poco solubili, e quando le sostanze solide nelle urine compaiono sotto forma di re nella o di piccoli sassolini, quasi sempre il calcio è uno dei loro componenti. Chi vive in zone dove l'acqua è dura ha osservato qualcosa di simile, nell'impianto idraulico delle case; l'accumulo di sassolini negli aeratori dei rubinetti o nelle valvole che aprono e chiudono l'ac­qua. Questi sassolini non scorrono nei tubi dell'acqua: si forma­no proprio nella valvola o nel rubinetto.

Poiché i calcoli renali contengono calcio, e anche l'urina lo con­tiene, è venuto spontaneo pensare che il calcio nelle urine ab­bia provocato la formazione dei calcoli. Un tempo era anche nor­male curare questi pazienti mettendoli a diete povere di calcio. Ma adesso risulta che quel modo di ragionare era sbagliato. La maggior parte delle persone, per la maggior parte del tempo, eli­mina urina che ha più calcio Ce altri ioni) in soluzione di quanto sarebbe teoricamente possibile in soluzioni pure in provetta. I reni producono uno stabilizzatore di soluzione che mantiene di­sciolta la grossa quantità di materiali eliminati e impedisce che si trasformino in renella. È in effetti biologicamente importan­te che i reni si comportino in questo modo.

L'acqua è essenziale alla vita, e quando la gente lavora o vive in un ambiente caldo i reni conservano l'acqua in modo molto efficace, eliminando un'urina molto concentrata. Ma se la quan­tità di materiale in soluzione passasse allo stato solido e formas­se piccoli sassi ogni volta che ci fosse penuria d'acqua, la capa­cità di conservarla ci avrebbe soltanto fatto cadere, per così di­re, dalla padella della disidratazione nella brace dei calcoli renali.

Perciò nel corso dell'evoluzione si è trovato il modo di tenere quel carico in soluzione, anche quando non c'è molta acqua in cui discioglierlo .

Si è scoperto che se certe persone hanno i calcoli renali è perché i loro reni non producono quantità adeguate di questi stabi­lizzatori di soluzione. Il calcio non fa venire i calcoli. Il calcio è presente nei calcoli perché è presente nell'urina. Avere molto calcio nell'urina può aggravare una tendenza a formare calcoli, ma non è la causa determinante. In generale la quantità di cal­cio nella dieta non influisce sul calcio nelle urine. In una perso­na normale, aumentare l'assunzione di calcio di 1000 milligrammi fa aumentare il calcio nelle urine soltanto di circa 60 milligram­mi. Ma se il calcio nelle urine peggiora il problema, non sarebbe già una ragione sufficiente per diminuire l'assunzione di calcio? Per la maggioranza delle persone, la risposta è no. La fonte prin­cipale dell'acido ossalico nelle urine, l'altro costituente dei cal­coli, è nel cibo che mangiamo. L'acido ossalico è comune in molti alimenti vegetali. Una dieta ricca di calcio riduce l'assorbimen­to di questa sostanza chimica che costituisce i calcoli e perciò in effetti riduce il rischio di farsi venire i calcoli renali.

Ci sono persone che assorbono il calcio particolarmente be­ne, anche quando non ne hanno bisogno. Di solito hanno un fab­bisogno di calcio estremamente limitato, semplicemente perché lo assorbono così bene. Sfortunatamente, in presenza di un'alta assunzione di calcio non sono in grado di ridurne l'assorbimen­to, come fanno le persone normali, perché c'è qualcosa che non funziona nel loro sistema di regolazione. I reni devono elimina­re la quantità assorbita in eccesso e perciò questi individui ten­dono ad avere un'elevata concentrazione di calcio nelle urine. Questo in sé non è un male, ma sfida il destino. Se capita che la produzione degli stabilizzatori dell'urina sia bassa, o se un gior­no per caso precipita verso valori bassi, allora è più probabile che venga la renella a loro piuttosto che a qualcuno con una bassa concentrazione di calcio nelle urine. Nessuno sa con sicurezza quanto sia comune questo problema. Sembra raro nelle donne di mezza età. Su quasi cinquecento donne di mezza età tenute in osservazione all'Università di Creighton, a Omaha, abbiamo trovato solo due persone con questo problema e né l'una né l'altra avevano i calcoli renali.

Alcuni medici sanno che esiste una malattia chiamata "sin­drome da combinazione latte-alcali" e la citano come esempio di problema che potrebbe presentarsi con un'elevata assunzio­ne di calcio. Parecchi anni fa l'ulcera peptica veniva curata con grandi quantità di latte e dosi abbondanti di alcali assorbibili (soprattutto bicarbonato di sodio). La maggioranza dei pazienti rea­giva bene, almeno per quanto riguardava l'ulcera. Tuttavia, al­cuni evidenziarono altri problemi: aumento del livello del cal­cio nel liquido extracellulare con calcificazione dei reni, insuf­ficienza renale, calcoli renali contenenti calcio. In alcuni di questi pazienti l'assunzione di calcio era così alta che da sola avrebbe potuto provocare l'aumento del calcio nel liquido extracellula­re, ma questo non era vero per la maggioranza dei casi. I ricer­catori ora ritengono che l'equilibrio chimico dell'organismo sia stato alterato dalle grosse dosi di alcali assorbibili. Un'elevata concentrazione di alcali nei reni provocò depositi di calcio in quel­la sede. Quei depositi ostacolarono gravemente la capacità dei reni di eliminare qualunque tipo di materiale in eccesso o di scar­to, incluso il calcio. Di conseguenza, molti di quei pazienti non riuscivano a gestire in modo soddisfacente nemmeno piccole quantità di calcio.

I ricercatori oggi ritengono che la sindrome latte-alcali possa essere imputata a un'eccessiva assunzione di alcali, non al cal­cio. In effetti, in alcune ricerche è stata indotta tramite la som­ministrazione di un alcale da solo, senza aggiungere altro calcio nella dieta. Inoltre non è mai stata osservata somministrando semplicemente del calcio, persino a dosi estremamente eleva­te. Possiamo quindi asserire con assoluta certezza che non do­vete preoccuparvi che insorga questo problema, come conseguen­za di un'aumentata assunzione di calcio.

Infine, nelle parole o nelle lettere di persone che ci chiedono consiglio si avverte spesso preoccupazione a proposito di possi­bili depositi di calcio in varie parti dell'organismo. Un marito scri­ve che sua moglie ha depositi di calcio intorno all'articolazione della spalla e che il suo medico le ha detto di evitare i latticini. Un'altra donna riferisce che il suo medico ha notato depositi di calcio nelle arterie e le ha consigliato di stare attenta a non consumare troppo calcio.

Ci sono parecchi fattori che hanno a che fare con questi depositi. Ma un fattore che certamente non c'entra è il calcio ali­mentare. Un medico che raccomandi di ridurre l'assunzione di calcio in circostanze del genere ha semplicemente torto. Forse qualche anno fa, prima che venisse scoperto che il calcio ha un ruolo essenziale nella nostra alimentazione per tutta la durata della vita, consigliare di stare lontani da alimenti ricchi di cal­cio poteva sembrare una raccomandazione innocua. Ma non oggi.

Nessuna dimostrazione scientifica ha mai suffragato l'opinio­ne popolare che il calcio alimentare possa causare depositi di cal­cio intorno alle articolazioni o nelle arterie, o da qualunque al­tra parte. Il calcio non ha nessuna tendenza naturale a deposi­tarsi, se non nel tessuto osseo. In effetti, gli osteoblasti devono creare condizioni speciali perché il calcio e il fosforo vengano incorporati nella matrice ossea. A meno che le concentrazioni di calcio e fosforo nei liquidi organici raggiungano livelli estre­mamente elevati, il calcio non ha la minima tendenza a deposi­tarsi da nessun'altra parte. Tuttavia, si ritrovano regolarmente dei depositi di calcio in punti in cui si è verificato un danno al tessuto connettivo. Quando si formano dei depositi di calcio nella spalla, per esempio, è perché una borsite, o un incidente, o qual­che altro problema ha provocato dei cambiamenti nei tessuti lo­cali che li fanno reagire come una matrice ossea. Il meccanismo non è ancora del tutto chiaro, ma sappiamo almeno che è un pro­blema locale, provocato da un danno locale. Non è provocato dal calcio presente negli alimenti e non può essere impedito o curato modificando l'apporto di calcio alimentare.

La raccomandazione di diminuire l'assunzione di calcio, mol­to frequente da parte di molti medici, non solo non serve a ri­solvere il problema dei depositi di calcio, ma ne crea uno nuo­vo, in quanto sottrae il calcio necessario per mantenere in buo­na salute le proprie ossa.

Riassumendo, è possibile abusare di qualunque cosa, incluso il calcio. Ma un'assunzione giornaliera di calcio fino a 2500 mil­ligrammi non è assolutamente nociva e negli ultimi anni è stata dichiarata tale da svariati comitati scientifici indipendenti. Cer­tamente non si dovrebbe prendere di propria iniziativa un inte­gratore di calcio in dosi superiori a quella indicata. Infine, quei pochi individui che assorbono troppo bene il calcio, e che non possono ridurre l'efficienza del loro assorbimento quando l'as­sunzione aumenta, certamente non dovrebbero prendere un in­tegratore di calcio e forse dovrebbero addirittura evitare di as­sumere grandi quantità di calcio alimentare. Comunque, è dubbio che corrano grandi rischi, a meno che abbiano anche una predisposizione ai calcoli renali.

Infine, che cosa dovrebbero fare le persone che hanno avuto i calcoli? Quanto calcio dovrebbero assumere? Per i medici era normale ridurre la loro assunzione di calcio. Ma questo è un buon consiglio solo se i pazienti appartengono a quella rara categoria che assorbe il calcio in maniera eccessiva. Altrimenti, limitare il calcio vuol dire indebolire lo scheletro. Soltanto pochi indivi­dui che hanno i calcoli renali dovrebbero avere una dieta pove­ra di calcio. Con le analisi appropriate, un medico può riuscire a determinare se un paziente assorbe il calcio in modo eccessivo.

Il calcio è quanto di più vicino ci possa essere a una sostanza non tossica. Faremmo tutti meglio a sbagliare assumendone un po' più di quello che ci occorre, piuttosto che rischiarne una carenza.

 

 

 

 

come aumentare il calcio nell'alimentazione

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Il modo migliore di aumentare la vostra assunzione di calcio è con l'alimentazione. Tra i cibi facilmente reperibili sul mercato, i latti­cini sono quelli più ricchi di calcio. Per coloro che non possono o non vogliono bere latte esistono parecchie ottime alternative.

 

Abbiamo già visto che il calcio è ampiamente presente negli ali­menti naturali e che individui che vivono in società primitive come cacciatori e raccoglitori possono facilmente procurarsi una dieta che fornisca più di 1500 milligrammi di calcio al giorno. Ma la domanda che poniamo è: «Come possono fare gli europei e gli americani del giorno d'oggi a scegliersi un'alimentazione con più calcio di quello che assumono attualmente?» La tabella 1 del capitolo 9 vi può aiutare a identificare gli alimenti ricchi di calcio. Il modo più semplice per aumentare la vostra assun­zione di calcio è quello di provare alcuni di quegli alimenti che ne sono ricchi e aumentare la varietà della vostra dieta. Inevi­tabilmente, però, vi scontrerete con il fatto che, tra i cibi nor­malmente disponibili, i latticini sono la fonte di calcio più ricca e più economica. E perciò qualunque strategia per aumentare la quantità di calcio alimentare si baserà inevitabilmente sui tanti modi di utilizzare i latticini.

Se volete aumentare la vostra assunzione di calcio e quella della vostra famiglia, è importante che troviate il modo di inserire ci­bi ricchi di calcio nella scelta e nella preparazione delle vivan­de. In questo modo non dovrete pensare granché al calcio. Al­trimenti la vostra dieta ricca di calcio finirà come la maggior parte delle diete per il controllo del peso, che vengono seguite solo per brevi periodi; persino quando funzionano, queste diete non ci fanno cambiare abitudini ormai consolidate e un modo di nu­trirci che ci ha messo nei guai.

Una fonte di calcio veramente pratica, versatile ed economi­ca, anche se difficile da trovare nei negozi, è il latte magro in polvere. Quando cucinate, dovreste tenerne un barattolo a por­tata di mano. Ecco alcuni esempi di come potete usarlo. Aggiun­gete tre o quattro cucchiai da tavola di latte magro in polvere a una tazza di caffè. Ne risulta un caffelatte perfetto, e vi dà il valore nutritivo di mezza porzione di latte. O mettete qualche cucchiaiata di latte in polvere in salse, intingoli, minestre e piatti in umido. Aggiunge consistenza e nutrimento. Potete anche met­tere un po' di latte magro in polvere nel purè, nei budini e in altri cibi preparati con il latte.

Ricordate che, a seconda della marca, ogni cucchiaio colmo di latte in polvere contiene circa 60-70 milligrammi di calcio e meno di 20 calorie. Calcolate quante persone ci sono in famiglia e quanto calcio volete aggiungere in questo modo.

Il formaggio grattugiato è un'altra risorsa eccellente per ar­ricchire il contenuto di calcio dei cibi che preparate. Una por­zione abbondante di parmigiano sui maccheroni fornisce un muc­chio di calcio (un cucchiaio ne contiene circa 120 milligrammi). L'emmenthal o il cheddar grattugiati sono ottimi sulle verdure cotte al vapore, e vanno benissimo nelle minestre a base di car­ne, nello spezzatino e nel ragù. Un cucchiaio di cheddar grattu­giato contiene circa 60 milligrammi di calcio. Un cucchiaio di em­menthal, circa 90 milligrammi.

Cosa si può fare se non si vuole usare il latte? Una possibilità per chiunque prepari la minestra usando per il brodo anche qual­che osso, è mettere nella pentola alcuni cucchiai di aceto, per sciogliere parte del calcio presente negli ossi. Provate. Più ace­to mettete meglio è, ma dovrete trovare il quantitativo che si adatti al vostro gusto; è meglio cominciare con poco e aumenta­re gradatamente la dose, perché l'acetato di calcio prodotto dal­l'interazione dell'aceto con gli ossi ha un gusto particolare. Non è sgradevole, ma è insolito, e probabilmente non vorrete che pre­valga sugli altri sapori della minestra. Una porzione di minestra preparata in questo modo può contenere tanto calcio quanto un bicchiere di latte.

Questo trucchetto dell'aceto non costa ed è praticamente senza calorie. Altre opzioni per chi non vuole il latte sono più costose, e molte hanno anche parecchie calorie. Per esempio le mandor­le, che come la maggior parte della frutta secca hanno molte ca­lorie, sono anche un'eccellente fonte di calcio. Si sposano bene con molte verdure, piatti in umido e pesce. Ma sarebbe difficile pensare di ricavare dalle mandorle una consistente porzione del proprio fabbisogno di calcio. Tuttavia, tutto serve, e fra la frut­ta secca che si accompagna bene ad altri alimenti, le mandorle hanno la meglio quanto a contenuto di calcio.

In Italia, come in altri Paesi europei, è comune l'uso dell'ac­qua minerale. Scegliere un'acqua minerale ricca di calcio può essere un modo comodo per aumentare l'assunzione di questo minerale, particolarmente in quei casi in cui si dovrebbero evi­tare calorie supplementari. Suggeriamo di controllare la compo­sizione dell'acqua sull'etichetta e di scegliere la marca che ha il più alto tenore di calcio e il più basso di sodio.

Infine, cercate alimenti arricchiti. Molti produttori di cibi e bevande stanno mettendo sul mercato prodotti arricchiti con cal­cio. Questi alimenti possono darvi modo di aumentare notevol­mente la presenza di cibi ricchi di calcio nella vostra alimenta­zione quotidiana.

 

 

 

 

quante fandonie si dicono sul latte!

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Spesso si evitano i latticini perché non si conoscono o non si capi­scono bene le cose. Ci si preoccupa per il colesterolo, il lattosio, le calorie. In realtà, i latticini hanno un basso tenore di colesterolo. E soltanto il latte fresco e quello in polvere pongono dei problemi a quanti hanno un'intolleranza per il lattosio. Infine, il latte par­zialmente scremato ha meno calorie di quanto si creda.

 

Ogni volta che sottolineiamo l'importanza dei latticini, siamo bombardati da una serie di domande e commenti a base di «Sì, ma…», «Sì, ma il colesterolo non è pericoloso?», «Sì, ma che cosa fare per l'intolleranza al lattosio?», «Sì, ma contengono troppe calorie ...» , Ciascuna di queste domande ha una sua giustifica­zione, ma ci sono anche molti pregiudizi in proposito.

 

Colesterolo

Per una persona normale, il colesterolo è una brutta parola. Ma questo atteggiamento tradisce una profonda mancanza di com­prensione per come stanno le cose. Il colesterolo è essenziale per la vita animale. È presente nella membrana di ogni cellula orga­nica, è la materia prima con cui l'organismo produce gli acidi biliari necessari per la digestione dei grassi, ed è anche il mate­riale di partenza di molti ormoni, inclusi gli ormoni sessuali ma­schili e femminili. Perciò non c'è dubbio che sia importante. In effetti, un individuo, normalmente, ne produce 700-800 milli­grammi al giorno nei propri tessuti organici. Questa quantità è tre o quattro volte superiore a quella assorbita dagli alimenti. Tra quello che l'organismo produce e quello che assumiamo con il cibo, abbiamo complessivamente circa 1000 milligrammi di co­lesterolo "fresco" al giorno.

Il colesterolo ha una cattiva reputazione perché si accumula sotto forma di depositi di grasso nelle pareti delle arterie e con­tribuisce al problema dell'aterosclerosi. Non c'è dubbio che alti livelli di colesterolo nel sangue (superiori a un valore di 240, espresso come milligrammi di colesterolo per 100 millilitri di siero di sangue) aggravino l'aterosclerosi. Inoltre, chi ha ereditato qual­che anomalia nel trasporto del colesterolo ha elevati livelli di colesterolo ematico e rischia maggiormente una malattia cardio­vascolare. È evidente che il colesterolo ha un aspetto negativo.

In certi individui si possono raggiungere elevati livelli emati­ci di colesterolo con un'alimentazione ricca di grassi saturi (ani­mali). Per controllare il colesterolo nel sangue, molti cardiologi raccomandano una dieta in cui i grassi complessivi di qualsiasi origine non costituiscano più del 30 delle calorie complessive, i grassi saturi siano scarsi e il rapporto tra grassi saturi e insatu­ri sia alla pari. I latticini, persino il burro e la panna, in effetti contengono ben poco colesterolo. Un bicchiere di latte intero ne contiene soltanto circa 30 milligrammi, e il latte scremato nien­te del tutto. (Paragonatelo a un solo uovo, che ne contiene cir­ca 275 milligrammi.) Potete bere un mucchio di latte e mangia­re un sacco di certi formaggi senza modificare granché la vostra assunzione complessiva di colesterolo. Tuttavia, il latte intero, il gelato e molti tipi di formaggio contengono grassi. Il grasso nei latticini è effettivamente dello stesso tipo dei grassi animali sa­turi. Perciò i grassi contenuti nei latticini fanno salire l'assun­zione complessiva di grassi e modificano il rapporto tra grassi saturi e grassi insaturi in un senso che secondo molti esperti è negativo. Ci sono, ovviamente, latticini a basso tenore di grassi, come per esempio il latte parzialmente scremato e magro, lo yo­gurt parzialmente scremato, la ricotta magra e persino il comu­ne parmigiano (che ha un contenuto di grassi inferiore a quello di molti altri formaggi).

Che cosa significa tutto questo per voi? Tanto per cominciare, solo circa il 20-25  degli adulti ha un livello di colesterolo superiore a 240. Per costoro la dieta può contare veramente mol­to. Ma per l'altro 75-80 - la grande maggioranza - è molto difficile modificare anche di poco il colesterolo ematico, persi­no con la più drastica delle diete. Quando riduciamo il coleste­rolo nel cibo, l'organismo compensa la mancanza producendo­ne di più, almeno quando i livelli ematici del colesterolo sono inferiori a 240. Perciò per la maggior parte delle persone non ha molto senso preoccuparsi delle piccole quantità di colesterolo presenti nei latticini.

Perché, allora, si è parlato tanto di colesterolo, usando anche tattiche allarmistiche? Il 20-25 della popolazione rappresenta una discreta quantità di persone che possono trarre giovamen­to da un abbassamento del livello del colesterolo nel sangue. Sfor­tunatamente, di solito non sappiamo chi siano queste persone, così la pubblicità negativa nei confronti del colesterolo viene ri­volta a tutti, partendo dal presupposto che toccherà sia chi può trarre giovamento dal controllo della quantità di grassi assunta, sia chi non ha davvero motivo di preoccuparsi.

Di solito questa è una strategia valida nei confronti della sa­lute pubblica, almeno fintantoché il cambiamento auspicato non sia nocivo. Ma è in corso una polemica infuocata riguardo all'at­teggiamento da assumere nei confronti del colesterolo. Parec­chi esperti affermano che una dieta povera di grassi non solo non serve alla maggioranza delle persone, ma può essere noci­va ad alcuni (ad esempio ai bambini). Un altro problema impor­tante nel contesto di questo libro è l'effetto che la maggioranza delle diete povere di grassi ha sullo stato di salute delle ossa . Di sicuro non c'è bisogno di molto grasso per avere delle ossa sane, ma c'è certamente bisogno di calcio. Molte diete povere di grassi escludono il latte intero, come pure i formaggi fatti con latte intero. Anche se è tecnicamente possibile assumere 800 mil­ligrammi di calcio al giorno con una dieta del genere, rimane si­curamente non facile. Inoltre, se si segue una dieta di questo tipo è praticamente impossibile raggiungere lo scopo fissato dal Consensus Panel del NIH per le donne di mezza età (1000 e 1500 milligrammi di calcio al giorno). Può non essere facile risolvere questo conflitto di raccomandazioni a livello generale, perché non c'è un'unica risposta valida per tutti. Ma ci sono risposte ragionevoli a livello individuale.

Tanto per cominciare, il problema del colesterolo è meno comune nelle donne che negli uomini. Donne in cui le ovaie pro­ducono ancora estrogeno, o che seguono una terapia sostituti­va di estrogeno, sono molto meno a rischio degli uomini per quan­to riguarda le malattie cardiovascolari. Inoltre, il loro colestero­lo ematico, anche quando ha valori alti, tende a essere del tipo "innocuo" o "buono". Non vediamo nessuna ragione perché la maggioranza delle donne che producono o ricevono estrogeni debba preoccuparsi del colesterolo. Sicuramente non dovrebbero preoccuparsene se sono donne giovani, che stanno ancora fa­cendosi le ossa e hanno bisogno di tutto il calcio possibile. Negli anni dopo la menopausa occorre un approccio diverso. Se una donna sa che il suo colesterolo è inferiore a 240 milligrammi, pro­babilmente non deve preoccuparsi. (Se avete dei dubbi, fatevi misurare il colesterolo.) Oppure, se sa di essere ad alto rischio per l'osteoporosi ma non sa qual è il suo livello di colesterolo, molto probabilmente farà meglio a scegliere un'alimentazione ricca di calcio, anche se questo comporta un'alta assunzione di grassi. Per lei il rischio dell'osteoporosi è maggiore del rischio di una malattia cardiovascolare. Se sa di essere a rischio per en­trambe le malattie (e ben poche donne lo sono), allora una dieta povera di grassi e un integratore di calcio potrebbero rappre­sentare la strategia vincente.

Se decidete di seguire una dieta povera di grassi, è importan­te capire che le raccomandazioni riguardano solo l'assunzione complessiva, non i singoli alimenti. Dopo tutto, un rapporto al­la pari tra grassi polinsaturi e saturi vuol dire che state ancora prendendo metà dei grassi consentiti sotto forma di grassi satu­ri. Se dovete ridurre l'assunzione di questi, farete meglio ad as­sumerne di più sotto forma di latticini e meno sotto forma di car­ne. Le donne tendono a consumare più proteine di quante oc­corrano, perciò un approccio di questo tipo è molto ragionevole.

Quest'ultima osservazione significa che per la maggioranza del­le persone, e particolarmente per chi è maggiormente a rischio riguardo all'osteoporosi, la quantità di colesterolo nei latticini non è assolutamente un problema.

 

Lattosio

Il problema successivo è quello dell'intolleranza al lattosio. Il lat­tosio è lo zucchero presente nel latte. È composto da due zuc­cheri semplici e per essere assorbito deve essere scisso nei suoi costituenti. A questo scopo l'intestino produce un enzima chia­mato lattasi e nel corso della digestione lo mescola al cibo. Tutti i neonati e i bambini producono questo enzima, perché il latte è ovviamente l'alimento naturale fondamentale nell'infanzia.

La maggior parte dei bianchi continua a produrre lattasi per tutta la vita, ma un gran numero di neri e di orientali non riesce più a produrre questo enzima una volta raggiunta la maturità. Si dice che essi sono "carenti di lattasi" o, più accuratamente, "non lattasi-permanenti" (perché la loro capacità di produrre lattasi ha smesso di esistere). La mancata permanenza della lat­tasi può creare un problema, perché il lattosio non assorbito passa nell'ultimo tratto dell'intestino dove i batteri presenti lo fanno fermentare, con produzione di gas spesso accompagnata da cram­pi, gonfiore e qualche volta diarrea. Non tutti quelli a cui man­ca l'enzima presentano questi sintomi, ma molti sì. Quindi per molti adulti neri e orientali, una grossa quantità di latticini fre­schi non è la fonte migliore di calcio. Per i neri questo non è un grosso problema, perché hanno ossa particolarmente robuste, si adattano meglio dei bianchi a basse assunzioni di calcio e non hanno la tendenza ad ammalarsi di osteoporosi. Gli orientali, in­vece, vi sono predisposti e per loro una adeguata assunzione di calcio alimentare è critica.

Soltanto il latte fresco e in polvere presentano difficoltà per chi ha un'intolleranza al lattosio. I formaggi non creano nessun problema; perché le muffe che hanno prodotto il formaggio han­no già demolito la maggior parte del lattosio. Persino lo yogurt, che contiene ancora quasi tutto il lattosio, è solitamente tolle­rato molto bene. La ragione è che nello yogurt ci sono dei batte­ri che contengono essi stessi la lattasi. Quando mangiamo lo yo­gurt, ingeriamo anche i batteri; questi liberano la lattasi conte­nuta, che agisce nell'intestino proprio come se l'avesse prodot­ta il nostro organismo. Inoltre, oggigiorno vengono prodotti molti tipi di latte con un ridotto contenuto di lattosio. In realtà, relativamente poche donne bianche hanno un'intolleranza al latto­sio. Molto più comune è la frase «il latte non mi fa bene» oppure «sono allergica al latte». Alcune dicono che il latte gli fa colare il naso o aumenta il muco in gola. Altre sono molto vaghe. È dif­ficile che queste lamentele abbiano un fondamento concreto. Quando il latte o altri latticini vengono somministrati in condi­zioni controllate, quasi sempre sono ben tollerati. Eppure, è im­probabile che questo tipo di persone abbandoni l'abitudine ben radicata di escludere il latte dall'alimentazione, se pensa che non gli "faccia bene".

Alcuni bambini smettono di bere latte nell'infanzia perché sono "allergici". Molti bambini piccoli hanno problemi di alimenta­zione, ma in genere questi problemi non sono vere e proprie al­lergie. Hanno piuttosto cause che non vengono mai chiarite com­pletamente e la maggioranza dei bambini le supera con l'età. Si può cambiare preparato dopo preparato per l'allattamento arti­ficiale, eliminare un alimento dopo l'altro, senza mai sapere quale alimento o quale sostanza sia responsabile, e di solito senza nes­suna sicurezza che il problema sia dovuto al cibo. Quando un bambino del genere raggiunge l'età scolare, i genitori dovreb­bero chiedere alloro pediatra se è il caso di aggiungere - pru­dentemente - dei latticini all'alimentazione del bambino. Se ri­sulta che non c'è una ragione specifica per escludere il latte, è una buona idea introdurlo nell'alimentazione quotidiana in un momento in cui le abitudini alimentari sono ancora in formazione.

 

Calorie

Molti dicono: «Bene, mi piace il latte e mi piacciono i formaggi, ma non mi piacciono tutte quelle calorie». Ecco alcuni dati. Una porzione da 240 grammi di latte parzialmente scremato contie­ne solo 120 calorie, e se si usa latte magro solo 86. Confrontate­lo con una lattina di birra a 148 calorie (persino la birra "lìght" ne ha ancora 100), una lattina di coca a 144, o un bicchiere di succo d'arancia a 110. E il latte è molto di più di una semplice bevanda; è una buona fonte di calcio e di fosforo, come pure di riboflavina, proteine e altre sostanze nutritive. Per poche ca­lorie, fate un grande affare dal punto di vista nutrizionale. Faremmo molto meglio a ridurre gli spuntini, le caramelle, i des­sert dolci, dove le calorie, oltre all'apporto energetico, non hanno un valore nutritivo di rilievo, e le patatine fritte. Ma forse, per quanto riguarda il calcio, l'affare migliore, perché privo di calo­rie, è un'acqua minerale ricca di calcio. In un litro d'acqua di questo tipo possono esserci più di 300 milligrammi di calcio.

 

 

 

 

gli integratori di calcio

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Gli integratori di calcio sono una alternativa scadente al cibo. Ci sono ottime ragioni per pro curarvi il calcio che vi occorre nell'orto, in latteria, nei negozi di alimentari, piuttosto che in farmacia. Tutta­via, è meglio usare un integratore che assumere troppo poco calcio. Ci sono dozzine di integratori sul mercato e non sono tutti uguali.

 

«Quanto calcio dovrei prendere?» «Qual è il migliore integratore di calcio?» Prima di tutto dovete sapere che cosa sono gli inte­gratori, che cosa integrano, quali situazioni richiedono un inte­gratore e quali no.

 

Che cosa sono gli integratori?

Prima di tutto, gli integratori di calcio sono fondamentalmente sali di calcio - il calcio esiste in natura sotto forma di sali, com­posti chimici di ioni di calcio caricati positivamente e di alcuni ioni caricati negativamente che bilanciano elettricamente il com­posto. Persino il calcio che ricaviamo dagli alimenti esiste sotto forma di sali di vari tipi; combinati con proteine, fosfati, o con una varietà di molecole organiche complesse. Di solito gli alimenti sono chimicamente così complessi che non riusciamo sempre a definirne con precisione la composizione. Ma il calcio che con­tengono è sempre sotto forma di sali di qualche tipo, di solito vari tipi nello stesso alimento.

Gli integratori di calcio, invece, sono sali raffinati, relativa­mente semplici, ottenuti da prodotti naturali o da minerali estratti dal terreno o persino prodotti da sostanze chimiche pure. Ci so­no molti sali che potrebbero essere usati come integratori. Diversi sali di calcio sono molto diffusi nei mercati dei diversi Paesi. Negli Stati Uniti l'integratore preferito è il carbonato di calcio. Nella maggior parte dell'Europa è un prodotto effervescente, che di solito contiene acido citrico o gluconico.

Il calcio in alcuni alimenti o integratori si scioglie più facilmente di altri e così viene assorbito meglio, ma la solubilità non li ren­de così diversi come chi li produce vorrebbe farvi credere e, una volta dissolti, tutti gli integratori sono più o meno uguali, alme­no per quanto riguarda il calcio. Tuttavia, ci sono circostanze speciali in cui altre sostanze nutritive possono migliorare l'as­sorbimento del calcio. Lo zucchero del latte (lattosio), e proba­bilmente anche altri zuccheri, possono favorirne l'assorbimen­to. Quanto lo migliorino in un adulto normale, non si sa, ma pro­babilmente non molto. Qualunque affermazione contraria fac­ciano i pubblicitari, quasi sicuramente è una sciocchezza.

Negli Stati Uniti, negli ultimi anni il mercato degli integratori è cresciuto enormemente. Fonti dell'industria farmaceutica di­cono che nel 1980 aveva fatturato un modesto 17 milioni di dol­lari, che è salito a più di 120 milioni di dollari nel 1985 e a 200 milioni nel 1988. È un mercato estremamente concorrenziale, e il consumatore è aggredito dalle affermazioni di superiorità di un prodotto su un altro. È consigliabile un certo scetticismo.

 

Perché il cibo è meglio degli integratori

Perché prendere integratori? E che cosa "integrano"?

Lo scopo di un'assunzione supplementare di calcio è portar­ne l'assunzione complessiva ai livelli necessari per il buono sta­to di salute delle ossa, quando non lo si possa fare solo con l'ali­mentazione. Per esempio, se una persona fosse allergica a tutti i latticini e avesse bisogno, tanto per fare un esempio, di 1000 o 1500 milligrammi di calcio al giorno, avrebbe difficoltà ad as­sumerne una quantità simile con gli alimenti comunemente re­peribili. Quindi in alcune circostanze un integratore può essere appropriato e necessario. Ma gli integratori dovrebbero soltan­to aggiungere quello che l'alimentazione non fornisce. Il modo naturale e comune di assumere sostanze nutritive è procurar­sele nell'orto o in un negozio di alimentari, non in farmacia.

Noi crediamo che questo sia un principio molto importante, e prima di descrivere e paragonare i vari integratori, vorremmo elencare otto ragioni per cui gli integratori sono una ben misera alternativa al calcio presente negli alimenti.

1) Occorre che tutte le sostanze nutritive di cui il nostro orga­nismo ha bisogno siano in proporzioni equilibrate tra di lo­ro. Come abbiamo visto, il minerale osseo non è costituito so­lo dal calcio, ma anche dal fosforo e non è possibile formare o mantenere il tessuto osseo senza l'uno o senza l'altro. In ge­nere è probabile che la nostra alimentazione sia meno caren­te di fosforo che di calcio, ma tuttavia questo bisogno va te­nuto presente. Forse anche il magnesio, il manganese, il ra­me e lo zinco sono importanti per la salute delle ossa. Ancora più importante è il fatto che non sono ancora state individuate altre sostanze nutritive anch'esse utili per avere delle ossa sane. Inoltre, ci possono essere sostanze che ci aiutano ad as­sorbire e a trattenere il calcio. Certo, prendere integratori con­sente di assumere il calcio e forse anche il fosforo, ma di soli­to nient'altro, mentre, se il calcio viene assunto con il cibo, si accompagna ad altre sostanze nutritive, anche a quelle di cui, per ora, non abbiamo ancora scoperto l'importanza. Mag­giore è la varietà della dieta, più è probabile che includa tut­te le sostanze di cui abbiamo bisogno.

2) Integratori di un 'unica sostanza nutritiva possono creare uno squilibrio con altre sostanze. Spesso, se una dieta ha un bas­so apporto di una sostanza nutritiva, rischia di averlo anche per altre. E quando si prende un integratore a base di un'u­nica sostanza, particolarmente qualora se ne prendano gran­di dosi, c'è il rischio di squilibrare tutta la situazione e di creare una carenza di alcune di quelle sostanze. I dietologi si sono resi conto di questo fenomeno molti anni fa e da poco se ne stanno vedendo sempre più casi, in particolare associati a me­gadosi di alcune vitamine del complesso B, come la B6. Negli animali si possono indurre carenze di ferro o di zinco con un uso abbondante di integratori di calcio. Sebbene questo non sia stato ancora verificato negli esseri umani, è stato evidenziato l'effetto opposto; è stato provato che un integratore di zinco come unica sostanza nutritiva interferisce con l'assor­bimento del calcio nell'uomo. Così, con gli integratori di un'u­nica sostanza, si può risolvere un problema creandone un al­tro. Il fatto è che persino gli esperti non ne sanno tanto da poter gestire la nutrizione umana con le pillole. Se abbiamo bisogno di una maggior quantità di una sostanza nutritiva, quello che ci occorre è cibo, cibo che non solo ci fornisce la sostanza di cui sappiamo di aver bisogno, ma ce la fornisce in equilibrio con altre sostanze essenziali.

3) Non sappiamo se gli ioni negativi che accompagnano il cal­cio negli integra tori possono essere dannosi nel lungo perio­do e ad alte dosi. Per ogni 1000 milligrammi di calcio nel car­bonato di calcio, si assumono anche 1500 milligrammi di car­bonato. Quantità del genere sono innocue? Probabilmente sì, ma nessuno lo sa con sicurezza e in particolare nessuno sa quali possono essere i suoi effetti se presi ogni giorno per 10 o 20 anni. E per ogni 1000 milligrammi di calcio nel gluconato di calcio si assumono in effetti circa l l. 000 milligrammi di gluco­nato. È una quantità pericolosa? Probabilmente no, ma, di nuo­vo, nessuno lo sa di certo. Invece, quando il calcio entra nel­l'organismo con gli alimenti, si combina con un assortimento di ioni negativi ed è probabile che non se ne assumano troppi di un unico tipo.

4) Con gli alimenti, non è possibile prendere una overdose di calcio, ma con gli integratori sì. Il calcio non è assolutamen­te nocivo ed è praticamente impossibile che una persona sa­na assuma una quantità eccessiva di calcio solo da fonti ali­mentari. Ma con gli integratori è possibile farlo. Quasi sicura­mente, ci sarà chi prenderà troppe compresse, pensando che se un pochino fa bene, tanto fa meglio. Inoltre, tenere in giro bottigliette di integratori di calcio ne favorisce l'ingestione da parte di bambini piccoli e grandi. Il sapore e la forma di alcu­ni integratori certamente suggeriscono l'idea che siano una specie di caramella. Il calcio è sicuramente molto meno peri­coloso di molte compresse che si trovano in casa. Ma il cibo rimane certamente più sicuro degli integratori.

5) Prendere regolarmente delle pillole è meno probabile che se­guire delle buone abitudini alimentari. Se decidete che avete bisogno di calcio in più, e scegliete un integratore, dovrete ricordarvi di prendere le vostre compresse ogni giorno, per tutta la vita. L'esperienza ci dice che la gente spesso si dimen­tica, o si stanca, delle pillole e semplicemente smette di pren­derle. Persino soggetti con malattie croniche gravi, che han­no bisogno di farmaci ogni giorno (come i pazienti con il dia­bete, l'ipertiroidismo, o l'epilessia), spesso si ribellano all'i­dea di dover prendere delle pillole in continuazione. È pen­sabile che si continui a prendere un integratore del quale non si possano vedere immediati e ovvi benefici? Difficilmente. Viceversa, pochi si dimenticano di mangiare, o si stancano di farlo. Un esempio in più che conferma come le pillole sono meno affidabili del cibo.

6) Prendere delle pastiglie è più costoso che seguire buone abi­tudini alimentari. Anche quando la materia prima di una pil­lola è poco costosa (come lo è il guscio dell'ostrica o altre for­me di carbonato di calcio), ci sono i costi di produzione, im­ballaggio, distribuzione, pubblicità, e profitto. Il prezzo degli integratori varia, ma paragonati con i latticini e altre fonti ali­mentari, essi si dimostrano dei cattivi affari per quanto riguar­da il calcio, milligrammo per milligrammo. E poi con gli ali­menti non ricavate solo il calcio, ma anche altre valide sostanze nutritive.

7) L'idea che una persona normale debba prendere delle medi­cine per essere sana è un'idea sbagliata. Le medicine posso­no essere fantastiche per curare una malattia acuta (gli anti­biotici per le infezioni batteriche ne sono un buon esempio), ma una volta che si sta di nuovo bene di solito non se ne ha più bisogno. Inoltre, non ci sono medicine che curino un mo­do di vivere sbagliato. Abbiamo già visto che il calcio non im­pedirà la perdita di tessuto osseo dovuta all'inattività. Se la vostra assunzione di calcio è bassa perché mangiate poco, è possibile che non siate molto attivi e, in questo caso, gli inte­gratori di calcio faranno ben poco per voi. Forse avete biso­gno di una maggior quantità di calcio, ma avete anche bisogno di esercizio fisico o di un lavoro manuale e il calcio da solo non potrà darvi delle ossa sane.

8) Le diete povere di calcio sono spesso diete scadenti anche da altri punti di vista. Secondo la nostra esperienza all'Univer­sità di Creighton, le donne sane che assumono calcio a suffi­cienza con l'alimentazione quasi sempre assumono quantità sufficienti anche di altre sostanze nutritive essenziali. Quel­le invece che assumono meno di due terzi della dose di calcio consigliata sono in genere carenti di altre sostanze nutritive importanti. Queste sostanze differiscono da donna a donna, e questa scoperta dimostra che una bassa assunzione di cal­cio è spesso un'indicazione che la dieta complessiva è scadente. Esaminata in modo più approfondito, si scopre che l'alimen­tazione di queste donne consiste soprattutto in quello che negli Stati Uniti viene definito junk food, cioè "porcherìole", que­gli stuzzichini e merendine che forniscono calorie e hanno un buon sapore, ma contengono ben poche sostanze nutritive. Quello che occorre a queste donne non è una pillola di calcio, ma un'attenta valutazione e una revisione delle loro abitudi­ni alimentari.

 

Come scegliere un integratore

Se c'è una buona ragione per cui non potete ricavare quello che vi occorre dall'alimentazione, sarà opportuno ricorrere agli in­tegratori. Anche se sono un'alternativa di seconda scelta, è an­cora tutto sommato meglio prendere il calcio che occorre con gli integratori che non prenderlo affatto. Eccovi alcuni suggeri­menti che vi possono aiutare a scegliere in modo responsabile. Non di tutti gli integratori è stata provata la capacità di essere assorbiti, e per alcuni può darsi che non venga mai provata, co­sicché non siamo in grado di dire quanto efficacemente ognuno di loro venga assorbito. Tuttavia, la maggior parte dei sali di calcio che sono stati analizzati mostra valori di assorbimento che non si discostano più o meno del 30 dall'assorbimento medio del calcio alimentare. Perciò dal punto di vista chimico non ci sono ragioni valide per scegliere tra di loro. Ma per alcuni tipi di integratori occorre prendere un maggior numero di compresse per poter coprire il fabbisogno giornaliero, perché contengono me­no calcio per compressa. Una migliore capacità di venire assor­bito certamente conta, ma è raramente il fattore decisivo. Per esempio, diamo per scontato che il citrato di calcio sia assorbito meglio del carbonato di calcio per un 25. (Nessuno lo sa con certezza, perché non sono state fatte abbastanza ricerche. Al­cuni studi evidenziano un miglior assorbimento per il citrato di calcio, altri non evidenziano differenze.) Però, dovete ingoiare cinque compresse di citrato di calcio per assumere la stessa quan­tità di calcio fornita da due compresse di carbonato di calcio. Il vantaggio del 25  del citrato di calcio farebbe diminuire la dose richiesta da cinque a quattro compresse al giorno, il che non è un gran cambiamento. Il carbonato di calcio vuol dire an­cora meno compresse, e probabilmente costa anche meno.

Analogamente, sebbene i dati siano scarsi anche in questo ca­so, il fosfato di calcio sembra essere meno assorbito del carbo­nato di calcio di un 25-30, ma in termini pratici questa diffe­renza può essere facilmente neutralizzata aumentando di una pastiglia il dosaggio giornaliero di fosfato di calcio.

Se le compresse vengono assunte a stomaco vuoto, e se la pro­duzione di acido gastrico è deficitaria, i preparati a base di ci­trato sembrano essere un po' meglio assorbiti dei preparati, per esempio, di carbonato di calcio. Ma la differenza sparisce del tutto o quasi se le compresse vengono assunte a stomaco pieno. Co­me abbiamo appena detto, qualunque residua superiorità dei pre­parati a base di citrato può essere facilmente annullata se si pren­de una dose leggermente superiore di un preparato senza citra­to. Tuttavia, i preparati a base di citrato di calcio hanno un leg­gero vantaggio su alcuni degli altri preparati, se avete predispo­sizione ai calcoli renali. La quantità abbastanza consistente di citrato che si assume con questo tipo di integratori (circa 3750 milligrammi di citrato per ogni 1000 milligrammi di calcio) pro­voca l'escrezione per via urinaria di parte del citrato. Lo ione citrato serve a mantenere in soluzione il calcio presente nelle urine, cosicché è meno facile che i calcoli si formino o aumenti­no di dimensioni. Ma se non avete una predisposizione a forma­re calcoli, questo vantaggio è irrilevante.

C'è un altro aspetto degli integratori che è forse più impor­tante della capacità di venire assorbito. Ed è la formulazione far­maceutica. Esiste una tecnica speciale per fabbricare una com­pressa che non si spezzi nel flacone durante la spedizione, ma che si disgreghi nello stomaco in modo tale che l'apparato dige­rente abbia la possibilità di assorbirlo. Una compressa talmente dura che vi attraversi come un proiettile non vi gioverà affatto. Ecco dove gli integratori differiscono più profondamente l'uno dall'altro. Sfortunatamente per il consumatore, i regolamenti at­tualmente in vigore in molti Paesi non esigono che le case pro­duttrici rendano noto fino a che punto i prodotti si disgregano e si dissolvono. Così non siete in grado di saperlo con precisio­ne. Una cosa che potete fare, però, è metterli alla prova voi stessi. Prendete una compressa di un integratore che vi ispiri, e lascia­tela cadere in un bicchiere di acqua calda. Ogni tanto date una rimescolata. Se dopo un'ora non è completamente disgregata, avrete ragione di chiedervi se si comporterebbe molto meglio nel vostro stomaco. I preparati di carbonato e di fosfato non si dis­solveranno se trattati allo stesso modo, ma dovrebbero disgre­garsi, dandovi una sospensione di aspetto latteo uniforme.

Come dovreste scegliere un integratore, allora? Finché non si abbiano informazioni sicure sulla relativa innocuità o sugli ef­fetti nocivi degli ioni negativi che accompagnano il calcio in questi integratori, non possiamo davvero scegliere tra di loro in base alla loro composizione chimica. Un preparato di fosfato di cal­cio per alcuni sembra avere il vantaggio di contenere fosforo, l'altro minerale essenziale presente in gran quantità nelle ossa. Ma non c'è nessuna prova per sostenere che il fosfato di calcio funzioni meglio. Così vi suggeriamo poche regole molto semplici:

1) scegliete un tipo di integratore che vi dia la massima quanti­tà di calcio con il numero minore di compresse; in questo ca­so è meno probabile che dimentichiate di prendere tutta la vostra dose giornaliera;

2) scegliete un tipo che vi dia la maggior quantità di calcio ri­spetto al prezzo;

3) scegliete una buona marca. Ogni volta che si apre un nuovo mercato, come quello che la "mania del calcio" ha creato in molti Paesi in Europa e in Nord America, molti industriali poco scrupolosi partono all'arrembaggio per sfruttare l'interesse del­la gente. Anche case farmaceutiche di buona reputazione pos­sono sfruttare la situazione, ma è più probabile che seguano corrette procedure di fabbricazione. Non sono in gioco solo la purezza e l'omogeneità. Occorre considerare anche se la compressa si disgrega e si scioglie completamente nello stomaco.

Riassumendo, per alcuni può essere necessario prendere un in­tegratore di calcio. Normalmente essi sono coloro che non pos­sono assumere tutto il calcio di cui hanno bisogno con gli alimenti perché: 1) hanno problemi di salute che gli precludono di man­giare latticini nella quantità necessaria a soddisfare il loro fab­bisogno di calcio; 2) non gli piacciono i latticini o altri alimenti ricchi di calcio e, realisticamente, non è probabile che cambino abitudini alimentari; 3) mangiano così poco che è difficile che assumano abbastanza calcio, indipendentemente dai cibi che in­geriscono. Abbiamo notato che di solito quest'ultima ragione si accompagna a inattività fisica, e se è così è probabile che la ca­renza di calcio non sia il loro unico problema; perciò assumere una maggiore quantità di calcio potrebbe non servire. Ma per le prime due ragioni forse un integratore di calcio sarebbe be­nefico. Anche in questo caso rimarrebbero però il problema del costo e quello di ricordarsi di prendere le compresse, oltre agli aspetti negativi di cui abbiamo già detto.

 

 

 

 

migliorare gli alimenti arricchendoli di calcio

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Negli ultimi anni si è andato diffondendo l'uso di arricchire con il calcio vari alimenti naturali. In linea di massima, pensiamo che sia una buona abitudine. È meglio assumere il calcio in alimenti arricchiti che in compresse. Gli alimenti arricchiti possono servi­re a farci prendere il calcio necessario senza doverci ricordare di ingoiare delle pillole e, a lungo andare, in modo meno costoso.

 

Esiste un'alternativa agli integratori che secondo noi è da pre­ferire: l'arricchimento degli alimenti. Durante la produzione o la lavorazione di alcuni degli alimenti che compriamo e mangia­mo possono essere aggiunti dei preparati di calcio. In questo modo si prende del calcio supplementare senza doversi ricordare di prendere delle pastiglie, senza doverle pagare, e persino senza pensare a che cosa stiamo facendo.

Durante gli ultimi cinquant'anni, la generalizzata riduzione di dispendio energetico nelle società industrializzate ha provoca­to una diminuzione della quantità di cibo assunta. Il che è stato necessario per evitare un'epidemia di obesità. Ma con meno ci­bo assumiamo anche meno sostanze nutritive fondamentali, co­me il calcio e il ferro. Gli Stati Uniti e molti Paesi europei si sono resi conto della necessità di arricchire la catena alimentare du­rante la Seconda guerra mondiale, quando il grosso della produ­zione di certi alimenti chiave fu riservato alle Forze armate. Gli Stati Uniti aggiunsero ferro e vitamine alla farina bianca per fa­re il pane, e la Gran Bretagna arricchì il pane con il calcio. Con la ridotta assunzione di cibo, si era arrivati al punto che molte donne, con la loro dieta abituale, non riuscivano ad assumere abbastanza ferro da compensarne la perdita dovuta al flusso mestruale O al parto. Anche prima della guerra, si aggiungeva io­dio al sale da cucina per assicurarne un'assunzione abbastanza elevata da permettere il normale funzionamento della tiroide. Ci sono parecchi altri esempi. Gli Stati Uniti aggiungono da mol­to tempo le vitamine A e D al latte. Persino la fluorizzazione del­l'acqua potabile per prevenire la carie dentaria è un esempio di arricchimento.

Si dovrebbe arricchire di calcio la catena alimentare delle na­zioni industrializzate? Ci sono tre modi in cui un Paese può af­frontare questo problema. Uno sarebbe scegliere alcuni alimen­ti e specificare che per legge devono contenere una certa quan­tità di calcio (come l'arricchimento con il ferro del pane bianco negli Stati Uniti). Un altro sarebbe modificare le norme esisten­ti che senza volerlo fanno sì che il cibo contenga meno calcio di quanto potrebbe. E il terzo è la volontaria immissione sul mer­cato di alimenti arricchiti di calcio da parte dell'industria alimen­tare.

Non è probabile che nella maggior parte dei Paesi venga reso obbligatorio arricchire certi alimenti. Sembra invece fattibile ri­vedere gli standard attuali riguardo alla composizione degli ali­menti, anche se potrebbe essere difficile. Per esempio, potrem­mo rivedere gli standard del latte. (Si potrebbe pensare che il latte sia già "standardizzato", ma in effetti la maggior parte delle nazioni e persino le regioni all'interno delle nazioni hanno nor­me che definiscono il contenuto di grassi e di sostanze solide in qualunque prodotto messo sul mercato come latte. Questo ser­ve a proteggere dagli imbottigliatori poco scrupolosi che potreb­bero annacquare il prodotto.) Negli Stati Uniti, per esempio, la California ha per il latte standard più alti della maggior parte degli altri Stati. Ne consegue che il latte venduto in California contiene anche il 20 di calcio in più del latte venduto in altre parti degli Stati Uniti.

Un'altra iniziativa utile sarebbe rivedere le disposizioni che regolano la presenza di frammenti ossei nelle carni lavorate. Sem­pre più spesso la carne che mangiamo, soprattutto al ristoran­te, nei punti di vendita del fast food, in aeroplano ecc., è stata ampiamente trattata, per rimuovere ossi e altri elementi indesi­derabili. (In effetti quasi metà della carne che viene consumata negli Stati Uniti è "trattata" a macchina.) Talvolta le attrezza­ture per disossare, tagliando il più vicino possibile all'osso per ridurre gli scarti, lasciano minime particelle di osso nella carne. Per controllare questo fenomeno, varie disposizioni governati­ve specificano la quantità e le dimensioni delle particelle di os­so che possono ritrovarsi nella carne. Queste norme sono difese a spada tratta da due categorie: i macellai, il cui lavoro è messo in pericolo dalle macchine disossatrici, e i sostenitori dei diritti dei consumatori, che interpretano la presenza di frammenti d'os­so, per quanto minima, come una prova dell'avidità degli indu­striali. Le pressioni dei due gruppi hanno fatto alzare il costo dei prodotti carnei lavorati, perché hanno portato il livello accetta­bile di frammenti d'osso a quantità microscopiche. Secondo noi, forse hanno anche reso il prodotto meno nutriente, perché le ossa, come abbiamo visto, possono essere una fonte eccellente di calcio.

Un terzo approccio potrebbe rappresentare un'occasione d'oro, sia per il consumatore che per l'industria alimentare. Ci riferia­mo all'aggiunta volontaria di un adeguato quantitativo di calcio a vari alimenti. Riteniamo che l'industria alimentare possa con­siderare questa proposta come un'occasione per aprire nuovi mercati, e confidiamo di vedere presto una proliferazione di ali­menti arricchiti di calcio sugli scaffali dei supermercati. Alcuni prodotti ai quali è stato aggiunto calcio sono attualmente recla­mizzati negli Stati Uniti in modo aggressivo, facendo leva pro­prio sul loro contenuto di calcio, da poco aumentato.

Citiamo alcuni prodotti arricchiti solo per darvi un'idea sia della varietà dei modi in cui si può procedere al riguardo, sia dell'in­gegnosità dei produttori alimentari.

Negli Stati Uniti, alcuni produttori di farina aggiungono pic­cole quantità di solfato di calcio alle loro farine multiuso. Re­centemente, uno dei maggiori produttori di pane ha aggiunto al suo pane bianco tanto calcio (sotto forma di solfato di calcio) da far sì che una fetta ne contenga quanto un bicchiere di latte, cioè da tre a cinque volte di più di una fetta di pane normale, succhi di frutta e bibite a base di frutta si prestano egregiamente a essere arricchiti di calcio. Succhi di arancia, pompelmo e mela possono ormai essere acquistati in forma "arricchita" negli Stati Uniti e in molti Paesi europei. In generale, i produttori alimentari hanno aggiunto abbastanza calcio da far sì che una porzione di succo o nettare contenga tanto calcio quanto una porzione di latte.

Le fonti di calcio che i produttori potrebbero usare sono simi­li ma non uguali, a quelle degli integratori. Uno dei più vecchi additivi è il carbonato di calcio. E quello che gli inglesi usavano nella Seconda guerra mondiale per arricchire la farina di fru­mento.

Un'altra buona fonte "multiuso" è il latte magro in polvere. È un ottimo additivo per il pane, perché ne migliora la consi­stenza e ne arricchisce il valore nutrizionale in vari modi. Il lat­te magro in polvere costa più del carbonato di calcio e per que­sto viene usato meno spesso, ma oltre al calcio fornisce anche altre sostanze nutritive, quindi è ancora un buon affare. Inol­tre, mettere a buon uso una parte dell'eccedenza mondiale di latte sarebbe utile all'economia internazionale.

Un'altra buona fonte di calcio come additivo alimentare è il siero di latte. Il siero è un liquido ricco di vitamine e di minerali ed è un sottoprodotto della lavorazione di certi tipi di formaggio.

La farina ossea sarebbe un'altra buona fonte naturale di cal­cio da arricchimento. Piccole quantità di farina ossea pura, ag­giunte a salsicce, carni in scatola, wurstel, spezzatini, sughi per spaghetti e prodotti analoghi aumenterebbero notevolmente il loro valore nutrizionale. La farina ossea potrebbe fare per la car­ne quello che le lische fanno per le sardine. Inoltre, l'assunzio­ne di proteine fa salire il nostro fabbisogno di calcio. Se conti­nueremo ad essere, come pare, dei grandi mangiatori di carne, sembra sensato fare in modo che almeno parte della carne che mangiamo ci fornisca un po' di calcio.

Il minerale della farina ossea è, come abbiamo visto, il fosfa­to di calcio. Al suo posto si potrebbe benissimo usare un fosfato di calcio chimicamente puro, e in effetti alcuni produttori ali­mentari adoperano il fosfato di calcio, oltre ai concentrati di siero. Si potrebbero usare anche altri composti del calcio. La chimica degli alimenti è un settore complicato. Tuttavia, dovrebbe es­sere chiaro che sono stati usati, e possono essere usati, molti di­versi composti del calcio. Visto il crescente interesse per una maggiore assunzione di questo elemento, è possibile che ne vedre­mo usati altri composti anche nei prodotti alimentari.

L'arricchimento degli alimenti solleva lo stesso problema di direttive generali suscitato dalla dose consigliata per varie so­stanze nutritive. Proprio come non tutti hanno bisogno della dose consigliata, ma alcuni sì, così non tutti avranno bisogno del cal­cio in più presente in un alimento o bevanda arricchiti. Alcuni, e forse molti, ne avranno bisogno. Ma questo è vero per tutti gli additivi alimentari. La gente che vive vicino al mare e man­gia molto pesce non ha bisogno di aggiungere iodio al sale. La maggioranza degli uomini non ha bisogno del ferro in più nel pane bianco. Allo stesso modo, un ragazzo sotto i 20 anni che beva due litri di latte al giorno non ha bisogno di un cereale da cola­zione o di pane arricchiti di calcio. Questa è la ragione per cui la faccenda della non nocività diventa importante ogni volta che consideriamo la possibilità di aggiungere agli alimenti alcune so­stanze nutritive essenziali. Lo scopo, a livello di direttive gene­rali, è di definire standard che giovino alla maggioranza delle persone, senza esporre altri a rischi inaccettabili. Non è un com­pito facile. Il ferro in più non fa male agli uomini che mangiano pane bianco e lo iodio in più non è dannoso per chi abita vicino al mare. Dobbiamo essere sicuri che il calcio in più non sia dan­noso a chi non ne ha bisogno. Per questa ragione, noi preferi­remmo quantità relativamente minori in un gran numero di ali­menti, invece di quantità maggiori in pochi alimenti. Se alcuni alimenti vengono arricchiti a livelli molto alti, è possibile assu­mere un eccesso di calcio alimentare, proprio come è possibile se si usano gli integratori. Un cereale da colazione che fornisca 1000 milligrammi di calcio in una singola porzione potrebbe con­fermare il detto: «l'assai basta e il troppo guasta».

Optare per bassi livelli di arricchimento in un gran numero di alimenti presenta un altro vantaggio, vale a dire che in questo mo­do è più probabile che assumiamo le altre sostanze nutritive di cui abbiamo bisogno per l'utilizzo del calcio e la salute delle ossa. Una alimentazione variata è ancora alla base di una buona nutrizione.

Noi consideriamo nel complesso molto favorevolmente que­sta aggiunta di calcio, in particolare se fatta volontariamente, alimento per alimento, marca per marca. Chi non ha bisogno di calcio in più non è obbligato a prenderlo se non vuole. Ed è probabile che questo approccio faccia aumentare l'assunzione media di calcio più velocemente di qualunque modifica imposta dall'alto.

 

 

 

 

chi rischia l'osteoporosi?

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Le donne con ossa sottili, pelle chiara, occhi azzurri, capelli biondi e una vita sedentaria rischiano di ammalarsi di osteoporosi più delle donne che hanno le ossa grosse, sono sovrappeso o lavorano mol­to. Non c'è un'unica causa per tutti i casi di osteoporosi. In genera­le ne è responsabile un insieme di cause e persone diverse hanno un insieme di cause diverse. Si sa che vi concorrono molti fattori: un'assunzione inadeguata di calcio, perdita di ormoni femminili in menopausa, insufficiente attività fisica, abuso di alcol, fumo ed ereditarietà. Probabilmente ci sono altri fattori ancora sconosciuti.

 

Rischiate di ammalarvi di osteoporosi? Certi tratti, o caratteri­stiche, o fattori legati al modo di vivere - quelli che noi chia­miamo fattori di rischio - ci permettono di dire: «È probabile che a questa categoria di donne venga l'osteoporosi, e a quella no». Ma per quanto siamo in grado di descrivere alcune catego­rie per le quali le probabilità sono alte o scarse, per quel che riguarda i singoli individui non si possono fare previsioni sicu­re. Alcune donne che sembrano appartenere alla categoria a basso rischio avranno fratture osteoporotiche e altre che sem­brano essere ad alto rischio non le avranno. Ma saranno ec­cezioni. Tuttavia, anche se la nostra capacità di fare previsio­ni è limitata, è sempre utile sapere quali sono i vostri fattori di rischio.

C'è qualcos'altro che dovete sapere sui fattori di rischio: per la maggior parte di questi fattori, non c'è un livello di assoluta sicurezza. Più aumenta l'esposizione, più aumenta il rischio. A bassi livelli di esposizione il rischio può essere così ridotto che uno se ne può tranquillamente dimenticare. Praticamente qualunque cosa facciamo nella vita comporta qualche rischio. E non intendiamo spaventarvi. Piuttosto, vogliamo dirvi quali fatto non possono far aumentare o diminuire il vostro rischio di ammalar­vi di osteoporosi, in modo che possiate tenere la situazione sot­to controllo e modificare quei fattori che potrebbero accrescere le probabilità.

Esistono fattori di rischio dovuti all'ereditarietà e alla costi­tuzione fisica, allo stile di vita, e altri di tipo medico. Ciascun di questi fattori ha un rapporto più o meno stretto - gli scien­ziati ritengono che sia un rapporto di causa ed effetto con l' osteoporosi.

Prima di tutto, i fattori ereditari o costituzionali. Donne con parenti più anziane, per parte di padre o di madre, che hanno avuto fratture osteoporotiche possono aver ereditato alcune delle caratteristiche che hanno portato le loro parenti ad ammala - di osteoporosi. Ovviamente, questo non significa che qualcun avrà di sicuro l'osteoporosi. Ma se raggruppassimo tutte le don­ne con parenti anziane che hanno avuto l'osteoporosi e tutte quelle con parenti anziane senza osteoporosi, e seguissimo en­trambi i gruppi per trenta o quarant'anni, ci sarebbero più casi di osteoporosi nel primo gruppo che nel secondo. Finora nessu­no sa dire con precisione quanti casi in più ci sarebbero.

In modo analogo, le donne piccole, che non hanno mai pesato più di 58-59 chilogrammi, che sono sottili, con la pelle chiara hanno i capelli biondi o gli occhi azzurri, o scarsa peluria, sem­brano essere più a rischio, per esempio, delle donne di razza bian­ca più grosse e scure. Non sorprende, perciò, che le donne deci­samente sovrappeso rischino meno di ammalarsi di osteoporosi In effetti, il rischio per loro è circa un terzo di quello della don­na "tipo". (Questa è probabilmente la prima volta che sentite dire qualcosa di positivo sull'essere sovrappeso.) Dopo la meno­pausa, le donne continuano a produrre piccoli quantitativi di or­moni femminili; alcuni ricercatori suggeriscono che le donne più pesanti rischiano meno l' osteoporosi perché dopo la menopau­sa producono più ormoni femminili delle donne magre. Altri ri­cercatori fanno notare che le donne pesanti hanno più muscoli che grasso e altri ancora tirano in ballo la fatica di portarsi ad­dosso tutti quei chili in più. Nessuno sa con certezza le ragioni vere. Alcuni ricercatori australiani hanno scoperto da poco un gene che sembra influisca sulla quantità di tessuto osseo. È un gene strettamente legato al modo in cui la vitamina D agisce nel nostro organismo e viene trasmesso in modo molto simile a quello con cui si trasmette il gene responsabile del colore degli occhi. Si presenta in due tipi e se ne eredita uno da ciascun genitore. A parità di condizioni, se si eredita il tipo dell'osso pesante da entrambi i genitori, si avranno ossa più pesanti che se lo si ere­dita da un genitore solo.

Ma la cosa importante riguardo a questo gene è che il singolo individuo ha ancora modo di esercitare un controllo su quello che gli succede. La natura e la nutrizione non sono entità prive di collegamento. Un'alimentazione ricca di calcio può compen­sare il fatto di non avere il gene che favorisce le ossa pesanti.

La gravidanza e l'allattamento sono due fattori costituzionali che influiscono sulle probabilità di avere l' osteoporosi. Alcuni ritengono che la gravidanza aumenti il rischio dell'osteoporosi. Eppure, più figli hanno, le donne, in Europa e in Nord America, e meno rischiano di avere fratture da osteoporosi. Parecchie ri­cerche l'hanno evidenziato in modo inequivocabile. Sembra che si possa dire altrettanto delle donne che allattano, sebbene in questo caso le prove siano meno stringenti. La protezione non è granché, ma certo esiste .

Ci sono poi i fattori legati al modo di vivere. Il più importante è l'attività fisica - esercizio o lavoro - intessuta nella nostra vita quotidiana. Più ne facciamo, meglio è. Per le donne inatti­ve il rischio è decisamente maggiore che per quelle che fanno grosse fatiche fisiche. C'è stato un tempo in cui non era consi­derato appropriato non solo che una donna facesse sport, ma che compisse qualsiasi fatica fisica. Le donne che potevano per­metterselo assumevano altri per fare i lavori manuali e perciò, in un certo senso, avere l'osteoporosi era una cosa da signora . Si sa da molti anni che questa malattia è legata a una situazione di benessere.

La dieta è un altro fattore legato al modo di vivere. Come ab­biamo già visto, una dieta povera di calcio è insufficiente a sod­disfare il fabbisogno giornaliero, e diete ricche di proteine o di sale lo fanno ulteriormente aumentare. Se sapete che la vostra assunzione di calcio è bassa, o che l'assunzione di proteine o di sale è alta, o entrambe, dovreste anche sapere che siete mag­giormente a rischio.

Anche il fumo, l'alcol e la caffeina sono decisamente fattori di rischio per l'osteoporosi. Fumare sigarette aumenta di circa il 50 il rischio di un'osteoporosi che provochi fratture. La den­sità delle ossa delle donne che fumano è minore di quella delle donne che non fumano e la menopausa si manifesta uno o due anni prima nelle donne che fumano. Si sospetta anche che nelle fumatrici l'estrogeno si scinda più rapidamente che nelle non fumatrici, cosicché in genere le prime tendono ad avere livelli di estrogeno più bassi. Il fumo è stato chiamato in causa in una lunga serie di problemi di salute: peggioramento delle allergie, lesioni dovute a bruciature, bronchiti croniche, enfisema, iper­tensione, malattie cardiovascolari, ictus, ulcera peptica, abor­to, nascite premature, minor peso alla nascita, feti nati morti, cancro (del polmone, esofago, laringe, stomaco, intestino, ve­scica e seno) e così via. Il fumo presenta talmente tanti pericoli e le conseguenze sono così gravi che nessuno che fumi per anni può aspettarsi di farlo impunemente. Il fumo minaccia in modo particolare la salute delle donne.

L'abuso di alcol è persino peggio del fumo dal punto di vista della salute delle ossa. Nessuno sa con precisione quanto peg­gio, perché gli alcolisti hanno molti problemi di salute e l'osteo­porosi di solito non è il maggiore. Eppure, le ricerche hanno evi­denziato che la massa ossea del tipico alcolista si riduce allivel­lo che ci si aspetterebbe in una persona dello stesso sesso con quaranta anni in più. Elevati livelli ematici di alcol avvelenano le cellule viventi di molti dei nostri tessuti, di sicuro quelli del fegato e del cervello e, come si è visto, anche del tessuto osseo. Esiste una linea di demarcazione molto sottile fra un'assunzio­ne accettabile di alcol e un abuso. Per quel che ne sappiamo, bere in modo moderato non danneggia lo scheletro. Ma più di tre dosi di superalcolici al giorno è probabilmente troppo, dal punto di vista dello stato di salute delle ossa. Probabilmente ci sono molte donne di mezza età che di nascosto bevono troppi alcolici. Soltanto voi potete sapere se questo fattore di rischio esiste anche per voi. Se sì, non può essere neutralizzato da una maggiore assunzione di calcio. Dovete ridurre l'assunzione di al­col, o eliminarlo del tutto.

La caffeina, assunta sotto forma di caffè, tè, o bevande a ba­se di cola, porta a un aumento della perdita di calcio attraverso i reni e l'intestino. L'effetto, tuttavia, è limitato, e se non pren­dete più di due o tre caffè al giorno, la perdita di calcio può ve­nire compensata con poche sorsate di latte. Ma se bevete molto caffè - da dieci a venti tazze al giorno - l'assunzione di caffei­na può essere un grosso fattore di rischio.

 

Tabella 5 - Fonti principali

di caffeina (mg per porzione)

Caffè fresco

100-200

Caffè solubile

50-75

Tè fresco

30-70

Tè solubile

30-40

Coca cola

35-50

 

Ci sono altre, meno cospicue, fonti alimentari di caffeina o di sostanze simili alla caffeina, come il cioccolato. Ma anche prese tutte insieme, è improbabile che contribuiscano ad apportare più caffeina di quella contenuta in un'unica tazza di caffè. Come abbiamo già detto, non esiste un numero magico di milligrammi dal quale far cominciare il fattore rischio. Immaginatelo come un processo continuo.

Infine, i fattori di natura medica. Il più importante è l'uso di ormoni steroidei, chiamati "glucorticoidi", "corticosteroidi", o semplicemente "steroidi". Questi farmaci a volte vengono uti­lizzati come estremo rimedio nella cura di alcune malattie dei polmoni o dei tessuti connettivi e possono dare un certo sollie­vo, ma avere spesso anche gravi effetti collaterali. Questi far­maci, nelle dosi necessarie per produrre l'effetto desiderato, pro­vocano la distruzione di molti tessuti organici - pelle, muscoli e ossa. Nei pazienti che vengono trattati a lungo con corticoste­roidi, le probabilità di avere una frattura osteoporotica sono circa dieci volte superiori alla media. La medicina al momento può fare ben poco per ridurre questo rischio, sebbene si stia cercan­do sia di trovare cure meno nocive per le malattie in cui vengo­no impiegati questi farmaci, sia di proteggere le ossa quando gli steroidi devono assolutamente essere usati.

Anche la terapia con ormone tiroide o per l'insufficienza tiroi­dea si accompagna a un maggior rischio di osteoporosi. L'ormo­ne tiroide o è estremamente importante e dovrebbe certamente essere usato per pazienti che hanno una reale insufficienza tiroidea. Ma è importante che i medici individuino la dose corret­ta, perché troppo ormone tiroide o sembra aumentare il rischio dell'osteoporosi. Lo stesso vale per l'ipertiroidismo, dove è la tiroide stessa del paziente a funzionare in modo eccessivo.

Si sa che anche gli individui a cui è stato asportato lo stomaco - di solito per via di un'ulcera - sono maggiormente a rischio nei confronti dell'osteoporosi. Lo si è attribuito a problemi di assorbimento del calcio e della vitamina D. Tuttavia, di recente è stata avanzata un'altra spiegazione, che riguarda un numero molto maggiore di pazienti. Gli antiacidi a base di alluminio so­no da lungo tempo largamente usati nel trattamento dell'ipera­cidità gastrica, cattiva digestione, "bruciore di stomaco" e ul­cere peptiche. Sfortunatamente, uno degli effetti di questo ti­po di antiacido è un aumento dell'escrezione di calcio con l'uri­na. (Questo succede perché l'alluminio presente nell'antiacido si lega con il fosforo presente nell'intestino e perciò impedisce il suo assorbimento. Spesso questo provoca un abbassamento del livello del fosforo nei liquidi organici. Quando i livelli di fosforo nel liquido extracellulare sono alti, l'escrezione di calcio nell'u­rina diminuisce, e quando i livelli di fosforo diminuiscono nel liquido extracellulare, il calcio nelle urine aumenta.)

Solo da poco abbiamo scoperto l'effetto negativo che hanno sul calcio gli antiacidi contenenti alluminio. Ciò ci aiuta a spie­gare il problema dell' osteoporosi in persone che hanno avuto una resezione gastrica, perché, di solito, si asporta lo stomaco solo dopo anni di inutile terapia antiacidità. Così, prima che lo sto­maco venga asportato, possono esserci stati anni di perdita inav­vertita di calcio nelle urine e di conseguenti danni al tessuto os­seo. Bisogna che la gente sia consapevole dell'esistenza di que­sto problema, perché anche senza una gastrectomia l'uso pro­lungato di antiacidi contenenti alluminio può provocare danni irreversibili al tessuto osseo.

Questi problemi non sono però inevitabili. Per neutralizzare l'effetto degli antiacidi, basta aumentare l'assunzione di calcio.

Un modo per farlo - prendendo due piccioni con una fava - è usare il latte come antiacido. Prima di tutto fornisce il calcio necessario e, secondariamente, funziona da antiacido. Oppure si può usare un'acqua minerale ricca di bicarbonato di calcio. Funziona da antiacido e fornisce anche calcio. Come si vede esi­stono diverse possibilità.

Un altro esempio di come la cura di certe malattie possa in­fluire sul rischio dell'osteoporosi è il trattamento dei pazienti con calcoli renali. Come abbiamo spiegato in precedenza, i cal­coli renali possono formarsi per parecchie ragioni. Qualunque ne sia la causa, la maggioranza dei casi di calcoli contiene cal­cio. Di solito i medici raccomandano ai pazienti con calcoli re­nali una dieta povera di calcio, anche se il calcio alimentare è un fattore significativo solo in una piccola parte dei casi di cal­coli renali. In passato, si credeva che gli adulti non avessero molto bisogno di calcio, perciò i medici ritenevano che diminuirne l'as­sunzione nelle persone con i calcoli non potesse far male, anzi potesse giovare. Oggi sappiamo che il calcio è importante per gli adulti, specialmente per le donne. È stato dimostrato che pa­zienti con calcoli renali hanno una massa ossea già ridotta e quelli che seguono una dieta povera di calcio hanno ancora meno tes­suto osseo. Bisogna che i medici siano molto cauti nel prescrive­re a una donna una dieta povera di calcio. Devono essere sicuri che l'assunzione di calcio sia davvero parte in causa.

Infine, c'è un'altra malattia che segnala una modifica del ri­schio di osteoporosi. È una forma di artrite che normalmente si manifesta in vecchiaia e viene spesso definita "osteoartrite ipertrofica". Una delle sue manifestazioni è la presenza di pic­coli noduli duri ai lati delle ultime falangi delle dita. Curiosa­mente, solo raramente le persone che hanno questo problema sembrano manifestare segni di osteoporosi. Perciò, se avete que­sto tipo di artrite, o se è comune fra le vostre parenti anziane, è probabile che per voi il rischio dell'osteoporosi sia inferiore alla media.

Alcuni fattori di rischio sono indubbiamente più seri di altri.

Un abuso prolungato di alcol o un trattamento protratto con glu­corticoidi per via parenterale quasi certamente provocano un danno al tessuto osseo.

 

Tabella 6 - I fattori di rischio per l'osteoporosi

RISCHIO MAGGIORE

RISCHIO MINORE

fattori ereditari o costituzionali

Osteoporosi in famiglia

Obesità

Proporzioni minute, carnagione chiara, occhi azzurri

Molti figli

Pochi o nessun figlio

 

modo di vivere

Bassa assunzione di calcio

Adeguata assunzione di calcio

Inattività

Lavoro fisico intenso,

esercizio fisico regolare

Abuso di alcol

 

Fumo

 

Elevata assunzione di proteine

 

Elevata assunzione di sodio

 

Elevata assunzione di caffeina

 

fattori legati alla salute

Trattamento con corticosteroidi

Osteoartrite ipertrofica

Eccessivo ormone tiroideo

Terapia sostitutiva di estrogeno

Uso di antiacidi contenenti alluminio

 

Gastrectomia

 

Ridotta mobilità

 

Limitazione del calcio per calcoli renali

 

Menopausa precoce

 

 

È utile pensare ai fattori di rischio come a un'addizione. Per esempio, una bassa assunzione di calcio alimentare, una ridotta attività fisica, il fumo, un elevato consumo di caffeina e un ele­vato consumo di alcol spesso si verificano nella stessa donna. E tutti insieme significano guai seri. .. Ma tutte le voci di questa lista sono fattori dovuti al modo di vivere, fattori che voi pote­te modificare. In effetti, molti dei fattori di rischio associati al­l'osteoporosi dipendono dalle abitudini personali e da scelte in­dividuali. Non potete cambiare alcuni fattori di rischio, come l'e­reditarietà, ma sono proprio loro che dovrebbero consigliarvi a prendere molto sul serio i fattori che voi potete cambiare.

 

 

 

 

i metodi per misurare la massa ossea

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Alcune tecniche diffuse da poco consentono di misurare con note­vole precisione la quantità di tessuto osseo nello scheletro. Questo tipo di informazione può servire a capire se correte il rischio di una frattura osteoporotica. Serve anche al vostro medico per decidere che trattamento prescrivervi.

 

"Densitometria ossea" o "assorbimetria" sono i termini che in­dicano le tecniche per misurare la massa ossea di una persona. Tutte queste tecniche utilizzano un tipo di radiazione elettro­magnetica simile ai raggi X (tuttavia, normalmente la quantità di esposizione alle radiazioni è molto minore che nelle solite ra­diografie). Le varie apparecchiature per misurare la massa os­sea si basano sul fatto che il tessuto osseo e i tessuti molli assor­bono quantità diverse dell'energia emessa con questa radiazio­ne. Il densitometro osseo fa passare un sottile fascio di radiazio­ni attraverso il corpo con un procedimento a riflessione e misu­ra quanta energia passa attraverso il corpo e quindi quanta ne viene assorbita dal tessuto osseo. Questo viene fatto punto per punto e, in questo modo, gli strumenti possono utilizzare l'in­formazione per riprodurre sullo schermo di un computer l'im­magine della struttura ossea mentre viene misurata.

Le apparecchiature disponibili includono quelle che misura­no la massa ossea dell'avambraccio, una tecnica chiamata as­sorbimetria a singolo fotone (SPA). Altre misurano ossa situate a maggiore profondità, come la colonna vertebrale e l'anca, e alcune misurano lo scheletro nel suo insieme (quello che si chia­ma il minerale osseo complessivo). Queste tecniche si chiamano assorbimetria a doppio fotone (DPA) e assorbimetria a raggi X a energia duale (DEXA).

I risultati delle misurazioni della massa ossea possono essere lette o come contenuto minerale dell'osso (BMC), cioè la quan­tità di minerale presente in un osso, o come densità minerale dell'osso (BMD), che misura quanto l'osso è compatto o denso. Con i metodi DP A e DEXA, la BMD in realtà permette una valu­tazione di "densità per area", che significa la quantità di mine­rale osseo, misurando l'area unitaria dell'ombra dei raggi X proiettata dall'osso quando il fascio di radiazioni "illumina" la parte.

I punti standard in cui vengono prese le misure (colonna vertebrale, polso e anca) corrispondono alle sedi di fratture da fra­gilità particolarmente associate all'osteoporosi. La porzione lom­bare della spina dorsale viene utilizzata per rappresentare com­plessivamente la colonna vertebrale o, più precisamente, le por­zioni cilindriche delle vertebre chiamate corpi vertebrali. Sono i corpi vertebrali a essere coinvolti nelle fratture a cuneo o da schiacciamento della colonna vertebrale. L'anca, ovviamente, è il punto dove si verificano in genere le fratture del femore. Infine, è il radio a essere coinvolto nella tipica frattura del pol­so (spesso chiamata "frattura di Colles").

Il metodo chiamato' 'tomografia quantitativa computerizza­ta" può essere usato anche per misurare la densità delle ossa nelle porzioni centrali dei corpi vertebrali. Questo metodo com­porta una quantità di radiazioni molto maggiore che con il DEXA (o con il DPA).

Anche i normali raggi X a volte danno qualche indicazione di ridotta massa ossea. Tuttavia, non sono un modo molto affida­bile per scoprire una perdita, in quanto non sono sensibili a pic­cole quantità di perdita e di solito non evidenziano notevoli dif­ferenze finché circa un terzo dello scheletro non è andato per­duto. Inoltre, i normali raggi X, particolarmente sulle parti più spesse del corpo come la colonna vertebrale o l'anca, liberano dosi di radiazioni molto maggiori di quelle emesse dalla densito­metri a ossea con il metodo DPA o DEXA.

Prima che la densitometria diventasse ampiamente disponi­bile, erano stati scoperti altri metodi (come l'assorbimetria ra­diografica) per ricavare dei dati quantitativi sulla massa ossea da radiografie più o meno normali delle mani e dell'avambraccio. Questi metodi sono relativamente a bassa tecnologia ed eco­nomici, ma permettono informazioni utili, e si possono ancora trovare in uso. Un'altra tecnica, un procedimento chiamato "ra­dìogrammetrìa", misura lo spessore delle ossa lunghe dell'avam­braccio o dei metacarpi (le ossa lunghe della mano che collega­no le dita al polso), e permette di calcolare sia il contenuto mi­nerale delle ossa che la densità del minerale osseo. Questa tec­nica è abbastanza sensibile da scoprire modifiche avvenute nel­l'arco di cinque anni. Poiché le radiografie riguardano mani e avambracci, è possibile evitare radiazioni sulla parte centrale del corpo.

I risultati delle misurazioni della massa ossea sono spesso messi in relazione con misurazioni analoghe fornite da un gruppo di confronto. Di solito il gruppo è composto da donne sane in età pre-menopausale, talvolta chiamate "giovani normali" (a volte è stato usato un gruppo di confronto di donne sane della stessa fascia di età della paziente; in questi casi si parla di "normali assortite per età". In entrambi i casi il confronto è comunemente fatto per grado percentile). Un valore di BMD della spina dorsa­le pari all'85° percentile è uguale o superiore nell'85 delle don­ne sane pre-menopausali e inferiore solo nel 15. Un valore di TBBM pari al 100 percentile è tale o maggiore solo nel 10 delle donne sane in premenopausa. In genere l'interpretazione dei dati è che più alto è il valore, più bassa la probabilità di una frattu­ra. Sebbene abbia senso prendere le misure nei punti che sono sedi probabili di fratture, la misurazione accurata di un unico punto (per esempio il medio-radio con BMD) sembra riuscire a prevedere la possibilità di una frattura nella maggior parte dei punti.

Che cosa ci dice la misurazione della massa ossea? Ci dice quan­to tessuto osseo abbiamo nelle varie porzioni dello scheletro. Co­me abbiamo già visto, la robustezza di un osso dipende in parte dalla sua densità, cioè da quanto tessuto osseo è presente. Que­sta, a sua volta, è una misura del rischio di frattura. In genera­le, il rischio di frattura in una persona raddoppia per ogni calo nella massa ossea di circa il 15 . Perciò una persona con una massa ossea dell'85 rispetto a quella di un'altra persona avrà il doppio del rischio di frattura, e una terza persona con un valore del 30 in meno avrà quattro volte il rischio di frattura, e così via.

Cercate di visualizzare per un momento il rapporto tra ictus e ipertensione. Un individuo può avere l'ipertensione per anni. Poi improvvisamente un giorno si verifica un incidente cerebro­vascolare, un ictus causato dal danno provocato alle arterie del cervello da anni di alta pressione sanguigna. La misura della pres­sione sanguigna prima che questo accada è quindi molto utile per allertare sia il paziente sia il medico su una situazione po­tenzialmente pericolosa, prima che produca gravi danni.

La massa ossea e le fratture osteoporotiche sono in fondo la stessa cosa. Una ridotta massa ossea è una delle cause della fra­gilità che provoca la frattura, come la pressione alta è di solito inavvertita finché si verifica l'ictus. La misurazione della mas­sa ossea significa per l'osteoporosi quello che misurare la pres­sione significa per un ictus (o per le altre conseguenze dell'iper­tensione).

Sfortunatamente, diversamente dalla pressione sanguigna, che risponde molto rapidamente alle cure, la massa ossea si modifi­ca solo molto lentamente. Così, nella maggioranza dei casi, ri­petere le misurazioni della massa ossea non sarà molto indicati­vo, almeno per un anno o due dopo l'inizio della cura. Questo perché, anche se le misure della massa ossea sono ormai molto precise e accurate, i suoi valori hanno ancora un margine di in­certezza dell'1-2. La massa ossea in un anno si modifica solo raramente più di così. Questa è la ragione per cui, nella maggior parte dei casi in cura, non ci sono valide ragioni per misurare la massa ossea più spesso che ogni anno o due.

 

 

 

 

il problema estrogeno

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Assumere o no estrogeni dopo la menopausa è una scelta personale, che però si può basare su fatti precisi ed esigenze individuali, oltre che sulle proprie preferenze. La terapia sostitutiva di estrogeni (ERT) controlla i sintomi della menopausa e riduce le probabilità sia di fratture osteoporotiche sia di malattie cardiovascolari. Tuttavia, questa terapia aumenta il rischio di malattie alla cistifellea e di cancro all'utero, provoca il protrarsi delle mestruazioni e richiede un controllo medico.

 

Nel corso di conferenze sull'osteoporosi, persino quando l'argo­mento è il calcio, qualcuno tra il pubblico ci chiede sempre: «Do­vrei prendere degli estrogeni?» È una domanda importante e ov­viamente moltissime donne vorrebbero una risposta.

Probabilmente già la parola "dovrei" ci fa partire con il pie­de sbagliato. Nessuna donna dovrebbe pensare che c'è un'uni­ca risposta valida per tutte, o che sia obbligata a fare una cosa invece di un'altra. Ci sono talmente tanti pro e contro che la scel­ta deve essere assolutamente personale. Alcuni aspetti della te­rapia sostitutiva di estrogeni (ERT) possono essere importanti per una donna e del tutto insignificanti per un'altra. E così una risposta positiva andrà bene per la prima donna, ma non per la seconda. Soltanto voi potete scegliere se fare questa terapia. Quello che noi faremo in questo capitolo è elencarvi i principali vantaggi e svantaggi dell'ERT, e spiegarveli. A quel punto la vo­stra scelta potrà basarsi su conoscenze più approfondite.

 

Vantaggi

  La terapia sostitutiva di estrogeni, iniziata al momento della menopausa e continuata per almeno 5-10 anni, riduce il ri­schio di fratture osteoporotiche almeno del 40-50, forse più.

  Riduce il rischio di malattie cardiovascolari almeno del 50 .

  Riduce o elimina le vampate di calore.

  Impedisce l'atrofia (secchezza e irritazione) dei tessuti vul­vari e vaginali.

  Previene altri disturbi della menopausa comuni a molte don­ne, come nervosismo e irritabilità.

 

Svantaggi

  Provoca di solito il protrarsi delle mestruazioni (sebbene non prolunghi la fertilità).

  Richiede un controllo medico e rientra in quella che alcuni definiscono la "medicalizzazione" della menopausa, volendo significare che un periodo normale della vita di ogni donna viene trattato come se fosse una malattia.

  Aumenta il rischio di cancro al rivestimento dell'utero. Gli esperti non sono d'accordo sull'entità, ma probabilmente come minimo raddoppia il rischio.

  Aumenta il rischio di malattie alla cistifellea almeno del 50 .

  Può aumentare molto leggermente il rischio di cancro al se­no. La misura dell'aumento, se anche c'è, è ignota. Proba­bilmente non più del 20.

  Se avete ancora l'utero, la maggior parte dei medici vi pre­scriverà dei composti a base di progesterone insieme agli estrogeni (estroprogestinici). Questo trattamento elimina completamente il rischio di cancro all'utero ma presenta al­cuni svantaggi. Per alcune donne contribuisce alla sindro­me premestruale (PMS) e i progestinici prescritti più di frequente contrastano alcuni effetti benefici dell'ERT per quanto riguarda le malattie cardiovascolari. Perciò quel che una donna guadagna in termini di protezione dal can­cro può perderlo abbondantemente in termini di rischio di un attacco di cuore.

 

Tabella 7 - Rischio relativo dell'ERT senza progestinici

malattia

rischio relativo

cambiamento

nella mortalità

su 100.000 donne

Fratture osteoporotiche

0,4

-563

Malattie della cistifellea

1,5

+2

Cancro all'utero

2,0

+63

Cancro al seno

1,1

+187

Malattie cardiovascolari

0,5

-5250

 

 

 

Differenza netta

 

-5561

 

Questi sono i fatti. Ma conoscerli può creare a volte tanta con­fusione quanto non conoscerli. È difficile prenderli tutti in con­siderazione ed essere sicuri di avere la risposta giusta. Per esem­pio, come fare a paragonare il maggior rischio di avere un can­cro all'utero con il minor rischio di una malattia cardiovascolare?

Noi possiamo aiutarvi a valutare alcuni di questi "baratti", almeno i rischi e i benefici più facilmente misurabili, esaminan­do con voi alcuni dati desunti dai migliori studi scientifici pub­blicati finora in questo campo. I dati riportati nella tabella 7 dan­no un'idea di quante morti sarebbero risparmiate e provocate dall'ERT in donne tra i 50 e i 75 anni.

Qui il "rischio relativo" è un approccio quantitativo ai van­taggi e svantaggi dell'ERTo Un rischio relativo di 1,0 significa che l'ERT non modifica il vostro rischio di soccombere alla malattia in questione. Un rischio relativo di 0,5 significa che l'ERT di­mezza il rischio. Un rischio di 2,0 significa che il rischio raddop­pia. Le cifre relative alla mortalità sono espresse come morti su 100.000 donne. (Questo perché fattori di rischio del genere so­no validi solo quando si fa una media su grandi numeri.) I nu­meri positivi (come + 187) rappresentano le morti in più causa­te dall'ERT, e i numeri negativi (come - 563) rappresentano le morti evitate.

Per quanto riguarda l' osteoporosi, si può presumere che l'ERT salvi la vita a 563 donne su 100.000, donne che altrimenti mori­rebbero per via delle complicazioni successive a una frattura del femore causata dall'osteoporosi. Ma a controbilanciare quel gua­dagno ci sarebbero 252 vite perdute a causa complessivamente di malattie alla cistifellea, cancro al rivestimento dell'utero e can­cro al seno. In ciascun esempio le previsioni prendono in consi­derazione il rischio naturale che una donna avrebbe di morire di quella malattia se non si sottoponesse alla terapia sostitutiva di estrogeni. Questa è in parte la ragione per cui l'aumento del 10  nel rischio di cancro al seno (rischio relativo di 1,1) si pre­sume che produca più morti che un aumento del 100 del ri­schio di cancro all'utero (rischio relativo del 2,0). (In effetti, non si sa se l'ERT aumenti il rischio di un cancro al seno, ma la mag­gior parte degli esperti, facendo questo tipo di valutazione, mette in conto un piccolo aumento del genere proprio per essere sicu­ri di sbagliare, se mai, sul versante della sicurezza.) Si presume che il cancro al seno possa causare un maggior numero di morti sia perché, tanto per cominciare, è più diffuso, sia perché non è facile da curare come il cancro all'utero. Tuttavia, considera­ti complessivamente, i vantaggi derivati dalla prevenzione del­l'osteoporosi superano ancora le perdite dovute al cancro.

Ma più sorprendente di tutte queste differenze è l'effetto del­l'ERT sui decessi dovuti ad attacchi di cuore, che fa scomparire tutti gli altri effetti. Abbastanza stranamente, la maggioranza dei medici non parla di questo vantaggio alle pazienti in meno­pausa. Diciamo "stranamente" perché non c'è nessun mistero riguardo a questa protezione nei confronti delle malattie cardia­che. Lo sappiamo da anni. Quante volte avete sentito dire che una donna di 30 o 40 anni è morta per un infarto? Quasi mai. Questa è una cosa che capita agli uomini. Anche le donne han­no attacchi di cuore, certamente, ma molto raramente prima della menopausa, per la semplice ragione che gli ormoni femminili fan­no sì che il colesterolo e i grassi nel sangue siano "sistemati" in quello che è stato definito un modello "sicuro". Gli ormoni maschili (e la mancanza di ormoni femminili) rovesciano quel mo­dello e lo rendono "insicuro". Così le donne sono relativamen­te protette da problemi di aterosclerosi e malattie cardiovascolari, e la protezione dura finché l'organismo ha una riserva di ormoni femminili. (E non fa nessuna differenza se quegli ormo­ni provengono dalle ovaie della donna o dalla terapia sostitutiva.)

Ma c'è qualcos'altro. La tabella 7 presenta i dati per l'ERT sen­za i progestinici, che la maggior parte dei medici ormai prescri­ve per impedire il cancro all'utero. La tabella 8 ricalcola i rischi preventivati per l'ERT, tenendo conto questa volta dei proge­stinici, i quali proteggono dal cancro all'utero, e abbiamo sup­posto che proteggano anche dal piccolo aumento nel rischio pre­visto per il cancro al seno. Notate che il rischio relativo per il cancro sia all'utero che al seno diminuisce a 1,0. Ma abbiamo anche dovuto prendere in considerazione una diminuzione di al­cuni dei vantaggi dell'estrogeno per quanto riguarda le malat­tie cardiovascolari; per essere prudenti, abbiamo mantenuto la maggior parte della protezione dell'ERT, lasciando che il rischio relativo di una malattia cardiovascolare si alzi di poco, dallo 0,5 allo 0,6 (in effetti, può crescere più di così). Anche con queste cifre prudenti, guardate cosa succede in termini di decessi com­plessivi.

Confrontate le cifre della tabella 8 con quelle precedenti. Mol­te vite vengono ancora salvate, ma non tante come prima. Sì, con i progestinici abbiamo impedito che aumentassero le morti per cancro e abbiamo tirato un respiro di sollievo per questo risulta­to. Ma abbiamo perso molto più di quello che abbiamo guadagna­to per via della minore protezione nei confronti delle malattie car­diache.

 

Tabella 7 - Rischio relativo dell'ERT con progestinici

malattia

rischio relativo

cambiamento

nella mortalità

 su 100.000 donne

Fratture osteoporotiche

0,4

-563

Malattie della cistifellea

1,5

+2

Cancro all'utero

1,0

0

Cancro al seno

1,0

0

Malattie cardiovascolari

0,6

-4200

 

 

 

Differenza netta

 

-4761

 

 

Molte scelte in medicina sono così. Si guadagna qualcosa, ma si perde qualcos'altro. Non serve fingere che non succeda. E que­sti sono soltanto i problemi che si possono quantificare. Questo tipo di calcolo non riesce a valutare il fastidio di continuare ad avere le mestruazioni, e la relativa sindrome premestruale, i con­trolli medici annuali e le periodiche biopsie uterine, la preoccu­pazione e l'ansia che suscita l'improvvisa comparsa di sangue durante la terapia sostitutiva e cose analoghe. Per alcune don­ne questi problemi associati alla qualità della vita possono esse­re molto più importanti che per altre e così la loro decisione può essere diversa.

C'è un altro aspetto di cui non si parla spesso. Un numero sorprendentemente alto di donne ha subito un'isterectomia prima di arrivare all'età della menopausa. Le cifre cambiano a secon­da della zona geografica, ma è comunque tra il 35 e il 45%, più o meno due donne su cinque. Per loro, non c'è nessuna paura che venga il cancro all'utero, visto che non ce l'hanno più. Ep­pure incontriamo spesso donne che hanno avuto un'isterecto­mia ma sono ugualmente preoccupate e temono di prendere estrogeni perché hanno sentito dire che provocano il cancro. Al­meno questo problema gli è stato risparmiato.

Ci sono altri fatti, relativi alla terapia sostitutiva in donne che hanno subito un'isterectomia, che devono essere chiariti. A queste donne molti medici prescrivono la terapia sostitutiva in modo ciclico, proprio come farebbero con una donna che aves­se ancora l'utero. E spesso prescrivono anche i progestinici. La ragione per cui lo fanno è che sperano che questo sistema sia più' 'naturale" e abbia meno probabilità di provocare un can­cro al seno. Ma la realtà dei fatti ci dice che una terapia or­monale ciclica non è, in fondo, più naturale di una terapia con­tinuativa, e - per essere più precisi - in primo luogo non c'è alcuna prova certa che l'ERT aumenti il rischio di cancro al se­no o che la ciclicità o l'aggiunta di un progestinico sia realmen­te di aiuto, anche se potrebbe aumentare il rischio di cancro al seno. Così sia la spesa in più che il fastidio di aggiungere un pro­gestinico per una parte del mese sono probabilmente del tutto inutili. Ancora più importante, aggiungere un progestinico può fare più male che bene, perché annulla alcuni dei benefici che la terapia sostitutiva offre riguardo alle malattie cardiovasco­lari.

Può darsi che vi stiate ancora chiedendo: «Che cosa dovrei fa­re?" Dovreste studiare i dati e decidere la vostra linea di con­dotta. Noi vi abbiamo detto come stanno le cose al momento. Ricordate che qualunque decisione prendiate non è per forza di cose irrevocabile. Se decidete di cominciare la terapia al momento della menopausa, potete sempre smetterla quando volete. A volte sentirete dire che se non si continua per cinque-dieci anni non fa nessun bene. Queste sono sciocchezze. Quello che vi stanno dicendo (o dovrebbero dirvi) quelle persone è che i vantaggi che possono derivare da una terapia di breve durata possono essere relativamente piccoli, così piccoli che una ricerca scientifica trova difficile stabilirli con precisione. Ma questo non significa che il vantaggio non ci sia, o che non valga la pena assicurarselo.

In modo analogo, non lasciatevi persuadere a prendere una decisione affrettata. Se per un po' di tempo non riuscite a deci­dervi, è certamente meglio che non facciate qualcosa su cui poi finireste per arrovellarvi. Potete sempre cominciare l'ERT in un altro momento e riceverne ancora dei benefici. Poiché la mag­gioranza della perdita di tessuto osseo in post-menopausa si ve­rifica nei primi cinque anni dopo la scomparsa degli ormoni fem­minili, la terapia sostitutiva sarà più efficace se fatta prima piut­tosto che dopo. Ma vi farà comunque del bene, non importa quan­do la cominciate.

Se vi è stato asportato l'utero, l'insieme delle prove tende a suggerire l'assunzione quotidiana di estrogeni, a basso dosaggio, senza progestinico fino all' età di 60 o 65 anni.

Se però avete ancora l'utero, ci sono buoni argomenti pro e contro la decisione. A favore della terapia è il guadagno netto sia in termini di vita che di qualità della stessa, dopo aver mes­so sulla bilancia tutti gli effetti positivi e negativi dell'ERT. A sfavore è la medicalizzazione della menopausa, la conversione di un evento normale della vita in una malattia da tenere sotto continuo controllo medico. Soltanto voi potete decidere che co­sa conta di più per voi.

Fra l'altro, e per considerare questo problema da un altro punto di vista, se fumate regolarmente avete scelto di aumentare il rischio di tutta una serie di malattie potenzialmente mortali a un livello molto superiore a quello rappresentato dall'assunzione di estrogeni. Noi pensiamo che non bisognerebbe fumare, ma non è questo il punto quando si affronta il problema. Piuttosto è per sottolineare il fatto che questo tipo di scelte non viene sempre fatto a rìgor di logica. Inoltre, vi può servire a farvi un'idea e a raggiungere una decisione riguardo all'ERT se la considerate alla stessa stregua di altre scelte di vita. Pensate a una donna che per tutta la sua vita da adulta è stata a dieta, ha fumato molto e ha bevuto troppo alcol, ha fatto pochissimo lavoro manuale e un'attività fisica molto limitata e ha avuto pochi o nessun fi­glio. Spesso si può aggiungere a questi fattori un'alimentazione che fin dall'adolescenza ha avuto un apporto insufficiente di cal­cio, e probabilmente anche di altre sostanze nutritive. Sembra poco coerente che una persona di questo tipo rifiuti di sottopor­si alla terapia sostitutiva al momento della menopausa perché è "innaturale". Sembra discutibile l'onestà intellettuale di un atteggiamento del genere, che difende una fedeltà alla' 'natu­ra" di tipo così selettivo. È possibilissimo che, se tutti gli altri fattori fossero ottimali, si potrebbe anche non chiedere agli estro­geni di proteggere le ossa in menopausa. Però, anche se non ci piace la sua medicalizzazione, non possiamo certamente rifiu­tare in toto la terapia sostitutiva di estrogeni.

La decisione è strettamente personale, basata su una attenta analisi di quello che è prudente e giusto fare per venire incon­tro alle esigenze di ogni donna nel contesto della sua vita.

 

 

 

 

dedicato ai genitori

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Alcune caratteristiche della società attuale, come la partecipazio­ne sempre più diffusa a sport agonistici da parte delle donne, uno standard di "bellezza" di estrema magrezza e una nutrizione ina­deguata, possono significare un cattivo stato di salute per le ossa delle vostre figlie. Voi potete aiutarle ad acquisire quelle abitudini che consentono di costruire e mantenere robusto il loro scheletro. Vi offriamo dei consigli pratici perché voi, come genitori, possiate educare, incoraggiare, e dare il buon esempio.

 

Forse ricordiamo ancora come i nostri genitori sottolineassero l'importanza di certe abitudini di onestà e operosità. Ma a parte la pulizia e certe idee abbastanza strane sull'importanza di una regolare evacuazione, essi non si preoccupavano granché di al­cune abitudini veramente importanti per la salute. In parte que­sto era dovuto al fatto che, prima della seconda guerra mondia­le, non si sapeva molto degli effetti dello stile di vita sulla salu­te futura. In parte era anche dovuto al fatto che fino a forse cin­quanta anni fa la maggior parte delle persone nella società occi­dentale aveva un modo di vivere più sano di quello attuale. Si era più attivi fisicamente nel corso della vita quotidiana; si pas­sava più tempo all'aperto; lavorando di più, si mangiava di più, e quindi automaticamente si assumeva una maggior quantità di sostanze nutritive essenziali. Durante gli ultimi cinquant'anni ci sono stati dei grossi cambiamenti, sia come standard di vita che come modo di vivere, probabilmente più grandi di quelli av­venuti in qualunque altro periodo della storia dell'umanità. Que­sti cambiamenti hanno conseguenze di rilievo per la salute fu­tura di tutti gli esseri umani. E sebbene queste conseguenze siano ancora oggetto di studio, i genitori che ne comprendano i punti fondamentali possono aiutare i loro figli ad acquisire delle abi­tudini che gli serviranno negli anni futuri.

Vi sono mutamenti del modo di vivere che influiscono in vario modo sulla salute, e in particolare sullo stato di salute delle ossa:

  Una diminuzione della quantità media di lavoro o di eserci­zio fisico quotidiano, particolarmente quando si comincia un lavoro regolare e ci si abitua a certi orari. Gente che corra o faccia jogging è ancora un'eccezione nella nostra società. In generale oggigiorno facciamo meno fatica fisica dei nostri nonni;

  Una diminuzione corrispondente nella quantità complessi­va del cibo assunto, e perciò una riduzione della quantità di sostanze nutritive ingerite;

  Un cambiamento nel tipo di cibo che mangiamo, e una mag­gior quantità di calorie' 'vuote" , grassi, dolci, alcol. Anche se questi alimenti soddisfano il bisogno di calorie, fornisco­no una quantità minima di altre sostanze nutritive;

  Un aumento del benessere, che ci permette di comprare ali­menti più ricchi, più raffinati, che spesso contengono meno calcio.

Questi quattro cambiamenti hanno ridotto la nostra assunzione di calcio proprio nel momento in cui si capiva finalmente l'im­portanza di mantenerne per tutta la vita un'assunzione eleva­ta. Perché negli ultimi cinquant'anni c'è stato un ulteriore cam­biamento, un mutamento dell'accettazione scientifica del fatto che il calcio è importante sempre, e specialmente fino ai 30 anni.

Infine, devono essere ricordati altri due cambiamenti culturali:

  Una maggiore partecipazione agli sport agonistici da parte delle ragazze;

  Un mutamento del concetto di bellezza, che sembra ormai identificarsi con un'estrema magrezza.

Questi due ultimi punti hanno aumentato considerevolmente il rischio che le ragazze patiscano la fame al punto che le loro ovaie smettono di funzionare con perdita delle mestruazioni. Quando questo succede, si verifica una perdita di tessuto osseo, proprio come succede alle donne mature quando perdono gli ormoni fem­minili al momento della menopausa. Che una giovane donna non mangi perché vuole essere eccessivamente magra o perché vuole correre più velocemente e competere negli sport con un peso inferiore, il risultato sfortunatamente per le sue ossa può esse­re lo stesso: una grave perdita di tessuto osseo, fino al punto di avere fratture osteoporotiche della colonna vertebrale ancora prima di raggiungere i trent'anni.

Dati questi cambiamenti, ecco alcune cose che i genitori de­vono fare per proteggere le loro figlie e per aiutarle a formarsi delle abitudini alimentari che possano accompagnarle per il re­sto della vita. Ma prima di tutto, una parola di incoraggiamento ai genitori. Non cedete. Voi potete influire sulle abitudini che le vostre figlie stanno acquisendo. Tutte le adolescenti si ribel­lano in qualche modo. Ma se voi stessi seguite una buona ali­mentazione, e se spiegate loro perché queste cose sono impor­tanti, nella maggior parte dei casi le vostre figlie seguiranno il vostro esempio e i vostri consigli negli anni successivi. Perciò:

  seguite voi stessi delle buone abitudini alimentari; assumete molto calcio e fate vedere, cucinando, come usare vari ali­menti ricchi di calcio. Siate espliciti su questo punto. Vo­stra figlia deve sapere cosa fate e perché. Questa è una della molte cose che potete insegnarle;

  fate in modo che siano disponibili a ogni pasto dei latticini.

  Se avete problemi di peso, usate latte magro o parzialmen­te scremato. O provate il latte magro in polvere quando cu­cinate, o formaggi a basso tenore di grasso, come il parmi­giano;

  scegliete come acqua da tavola un'acqua minerale ad alto contenuto di calcio, e spiegate perché; dite che il suo teno­re di calcio è importante;

  scoprite quali cibi ricchi di calcio piacciono a vostra figlia e basatevi su questi. Se non le piace il latte e non vuole sentirne parlare, non costringetela. Provate con lo yogurt, con condimenti per insalata a base di yogurt, formaggio e ali­menti arricchiti di calcio. Capirà che il calcio è importante;

  educate vostra figlia. Come insegnate altre cose, potete in­segnare l'importanza di assicurarsi una buona assunzione di calcio; dite come non possa pensare di assumerne a suf­ficienza dagli alimenti attualmente in uso, senza sapere qual è il loro contenuto di calcio;

  sottolineate l'importanza di un'assunzione adeguata di cal­cio, particolarmente durante la fanciullezza e l'adolescenza;

  siate certi di capire in che quantità vanno presi i diversi ali­menti per essere sicuri che vostra figlia assuma ogni giorno la quantità di calcio consigliata. Per esempio, versare del latte sui cereali della prima colazione, anche se è una buo­na cosa, fornisce probabilmente solo il 10-20 del fabbiso­gno di calcio;

  incoraggiate l'attività fisica sotto qualunque forma gradita a vostra figlia. L'esercizio fisico fa bene al suo scheletro, e, bruciando calorie, le permette di mangiare di più e per­ciò di assumere in modo naturale una maggiore quantità di sostanze nutritive essenziali;

  state attente che stia regolarmente, ma moderatamente, al sole. Spiegate perché - perché è il modo in cui i nostri cor­pi ricevono la vitamina D di cui hanno bisogno. Se vivete in regioni settentrionali, o se la città in cui vivete è nebbio­sa o coperta dallo smog un bel po' di giorni all'anno, può darsi che in inverno non riusciate a prendere tanto sole da produrre abbastanza vitamina D. Un supplemento vitami­nico del tipo' 'una pillola al giorno" le darà tutta la vitami­na D di cui ha bisogno. Ma non esagerate! Una quantità ec­cessiva di certe vitamine può essere dannosa come una do­se insufficiente, e la vitamina D ne è un buon esempio;

  scoraggiate un'eccessiva magrezza e spiegate perché;

  non condividete la sua voglia di vincere a ogni costo nelle competizioni sportive. I costi possono essere troppo alti per la sua salute negli anni a venire. Aiutatela a capirlo;

  fate in modo che gli allenatori nell'ambito della scuola non esercitino sui giocatori pressioni pericolose. Molti di loro lo fanno, e voi dovreste sapere che cosa dicono ai vostri figli. La maggior parte degli allenatori sa poco o niente di alimen­tazione. Eppure esercitano una notevole autorità sui ragaz­zini con cui lavorano;

  assicuratevi che le scuole abbiano buoni programmi diete­tici. I genitori sono ancora la fonte principale di informa­zioni per i loro figli, ma è irragionevole aspettarsi che siate esperti di tutto. In passato, quando la maggioranza della gen­te lavorava sodo, mangiava molto, coltivava e conservava parte del cibo coltivato e non era abbastanza ricca da po­tersi permettere un mucchio di calorie inutili, era proba­bilmente più facile essere ben nutriti senza doversene preoc­cupare. Questo non è più vero oggigiorno. Fate un esame di coscienza. Vi preoccupate eccessivamente di perdere peso e di essere magre? In questo modo trasmetterete i vostri standard alle vostre figlie. Voi stesse potete anche non es­sere magre, ma loro possono diventarlo e anche in modo eccessivo. E state attente a non prenderle in giro a propo­sito dell' essere "cicciottelle". Sappiate anche che ci sono differenze genetiche nella distribuzione del grasso. Non po­tete modificare queste differenze con l'alimentazione. Se pensate che le vostre cosce sono troppo grosse, ma siete "a. posto" da tutte le altre parti, e vi mettete a dieta finché le vostre cosce siano come le volete, sarete troppo magra da tutte le altre parti. Così stanno le cose. Non permettete a nessuno di convincervi del contrario.

 

 

 

 

dedicato ai figli di genitori anziani

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Vostra madre può già avere una osteoporosi conclamata, o può es­sere a rischio. Ci sono molti modi per aiutarla a evitare fratture. Ripetiamo che è importante farsi dare dei buoni consigli e seguir­li, prevenire possibili cadute e altri incidenti, comunicare con il suo medico e affrontare le vostre paure e preoccupazioni.

 

Se avete una madre che sta invecchiando, o zie anziane, o una persona cara che ha l'osteoporosi, forse vi chiederete: «Che co­sa posso fare?» o «Che cosa dovrei dirle?», «Come posso aiutar­la?" Ci rendiamo conto che non tutti i genitori accetteranno dei consigli dai propri figli, ma vi offriamo alcuni suggerimenti che vi potranno servire.

Sia che la persona in questione abbia avuto o meno una frat­tura da osteoporosi:

  assicuratevi che prenda abbastanza calcio. Non è possibi­le, solo con il calcio, avere lo scheletro di una trentenne, ma una alimentazione ricca di calcio può servire a rallen­tare la perdita di tessuto osseo. In effetti, non è mai troppo tardi per cominciare! 1500 milligrammi di calcio al giorno dovrebbero essere la dose minima - con 1'eccezione di quei rari casi in cui, per ragioni mediche, è necessaria una bas­sa assunzione di calcio;

  non trascurate l'importanza dell'acqua da bere. Un'acqua minerale ad alto contenuto di calcio può rappresentare una parte cospicua della razione di calcio giornaliera;

  incoraggiatela a fare esercizio fisico, con moderazione. Camminare, seguire un corso di ginnastica dolce, o di ballo li­scio, di danze popolari. Aiutatela a trovare un gruppo di persone anziane con gusti affini. La dimensione sociale del gruppo stimola e aiuta a non abbandonare l'attività;

  incoraggiatela a fare i movimenti giusti. Dovrebbe impara­re a raccogliere gli oggetti dal pavimento (accovacciata, te­nendo la schiena dritta, senza chinarsi), a sollevare e por­tare piccoli pesi e così via. Alcuni movimenti comportano una serie di piegamenti e sollevamenti che sottopongono la colonna vertebrale a grosse sollecitazioni. Aiutatela a ren­dersi conto che dovrebbe evitare certe cose, come togliere dal forno una pentola pesante, o cercare di aprire una fi­nestra bloccata. Dovrebbe anche stare attenta a chinarsi per rifare il letto;

  consigliatevi con un buon fisioterapista e fatevi indicare de­gli esercizi per rafforzare la schiena e aiutatela a eseguirli regolarmente. Un buon portamento eretto serve molto;

  assicuratevi che prenda abbastanza vitamina D. Molte per­sone anziane non stanno molto all'aperto, così è difficile pensare che si possa prendere la vitamina D in questo mo­do. Una o due pillole multivitaminiche al giorno dovrebbe­ro bastare. Come abbiamo già fatto notare altrove, gli an­ziani possono avere bisogno di vitamina D più di un giova­ne (ma non troppa! Troppa vitamina D può essere perico­losa come troppo poca!);

  aiutatela a sistemare l'ambiente in cui vive per ridurre il rischio di un incidente. Per esempio:

- fate attenzione ai tappeti, specialmente su pavimenti di legno; anche se il tappeto non scivola, è facile inciampare nei bordi;

- assicuratevi che ci sia abbastanza luce di notte, per ridurre il rischio di cadute;

- assicuratevi che sulle scale, nella vasca e nella doccia ci siano sufficienti maniglie e corrimano;

  aiutatela a trovare delle scarpe solide che offrano un buon appoggio. Non devono per forza essere brutte, ma i tacchi a spillo sono decisamente da sconsigliare a una donna an­ziana;

  sappiate che certi problemi dovuti ai farmaci sono una del­le cause di cadute. Qualunque cosa che influisca negativa­mente su vista, andatura, equilibrio, prontezza di riflessi è un potenziale pericolo. Dovreste stare attenti a farmaci che la rendano confusa, o le diano giramenti di testa. Gli anzia­ni spesso reagiscono alle medicine più di un giovane. Per esempio, i sistemi organici che demoliscono ed eliminano i farmaci - fegato e reni - funzionano in modo meno effi­ciente negli anziani. Di conseguenza, in generale essi hanno bisogno di dosi più basse. Il gruppo di farmaci per cui occor­re la ricetta medica, definiti' 'tranquillanti importanti", de­vono essere usati con grande precauzione dagli anziani, per­ché possono causare confusione mentale, instabilità della pressione sanguigna, perdita di coscienza e cadute. Altri col­pevoli sono i sonniferi e gli analgesici. Spesso un anziano vede più di un medico e spesso prende farmaci che raddoppiano o aumentano gli effetti reciproci, o hanno interazioni ina­spettate. Di solito un medico non sa che cosa ha ordinato l'altro. Questo è un problema molto comune e, anche se la classe medica non dovrebbe permettere che succeda, in real­tà invece lo consente. Perciò dobbiamo esercitare tutti quanti un certo controllo sulla situazione;

  come ulteriore precauzione contro le cadute per vertigini, suggeritele di prendersela calma quando si alza dal letto. Prima di tutto, dovrebbe sedersi sul bordo del letto per mez­zo minuto o poco più. Poi dovrebbe alzarsi in piedi restan­do vicino alletto per un altro mezzo minuto. A quel punto il sistema di controllo della pressione sanguigna si sarà adat­tato alla posizione verticale e lei potrà cominciare a cam­minare senza correre rischi.

Se ha già l'osteoporosi - in genere una o più fratture da com­pressione della colonna vertebrale - ecco alcune delle cose che potete fare:

  parlate con il suo medico, e fate in modo che anche lei di­scuta la situazione con lui. Scoprite se il medico si interes­sa di osteoporosi. In caso contrario, trovatene uno che se ne interessi. I medici spesso si scoraggiano di fronte a pro­blemi cronici come l'osteoporosi e a volte assumono un at­teggiamento disfattista. Questa è l'ultima cosa di cui avete bisogno o che dovreste tollerare. I pazienti hanno bisogno di essere incoraggiati e aiutati a essere il più attivi possibi­le e a mantenersi in esercizio, entro margini di sicurezza;

  esaminate l'ambiente in cui vive per aiutarla nelle attività quotidiane. Per esempio, niente di quello che le serve do­vrebbe stare in cassetti bassi o su mensole alte. Il buon senso può servire molto in questo campo;

  fatevi aiutare da un esperto in terapia occupazionale o da un fisioterapista a trovare i cosiddetti' 'sussidi per il vive­re quotidiano". Questi professionisti sanno come aiutare le persone handicappate di tutti i tipi e possono insegnare a usare attrezzi per raccogliere oggetti dal pavimento, rag­giungerne altri sulle mensole più alte, mettersi le calze, al­lacciarsi le scarpe e molte altre cose. È importante render­si conto che queste cose, così banali, per lei sono difficili da fare e che ci sono persone e attrezzi che possono aiutarla;

  cercate di trovare nella vostra comunità un gruppo di so­stegno per l'osteoporosi. Se non ne esiste uno, prendete in considerazione la possibilità di formarne uno voi. Le per­sone che soffrono di osteoporosi e le loro famiglie possono aiutarsi reciprocamente in molti modi. Tanto per cominciare, serve sapere che non si è soli, che altri hanno lo stesso pro­blema e sanno affrontarlo. In secondo luogo, potete condi­videre con altri alcune strategie. In terzo luogo, potete la­vorare insieme, in modo vantaggioso, per ottenere per il gruppo un aiuto da parte di fisioterapisti (per insegnare gli esercizi fisici giusti, per esempio), da esperti in terapia oc­cupazionale (per i sussidi al vivere quotidiano), o da infer­miere. In quarto luogo, l'osteoporosi tende a isolare le per­sone (perché hanno paura di farsi male o perché stanno male). È terapeutico anche solo farle uscire e metterle in con­tatto con altre persone, specialmente con persone che ca­piscano il loro problema e possano aiutarle perché esso non diventi una presenza troppo invadente;

  infine, tenete presente che forse potreste trovarvi ad af­frontare due problemi: i problemi di salute di una parente anziana e le vostre paure e preoccupazioni. Troppe restri­zioni, imposte in parte per alleviare le vostre preoccupa­zioni, potrebbero farne una prigioniera. Certamente voi vo­lete impedirle di cadere. Ma è bene capire che ci sono tan­te cose da mettere sui piatti della bilancia.

 

 

 

 

se avete l'osteoporosi

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Se avete subito una frattura dovuta all'osteoporosi - di solito una frattura da compressione della colonna vertebrale - avete un pro­blema serio, che richiede competenti cure mediche. Purtroppo, molte donne che hanno l'osteoporosi si lamentano di ricevere, da parte dei loro medici, informazioni, consigli e cure inadeguati. Noi vi offriamo suggerimenti di buon senso per capire chi è il medico giu­sto e perché possiate far qualcosa per voi stesse. Descriviamo anche, per quanto riguarda la postura e la meccanica corporea, posizioni e movimenti da evitare, come pure esercizi da fare tutti i giorni, da sdraiate e in piedi.

 

Se avete recentemente subito una frattura o un incidente - di solito, un improvviso, acuto mal di schiena che secondo il vo­stro medico è imputabile alla compressione di una vertebra - avete un problema di tipo medico e avete bisogno delle cure di un medico competente; qualcuno che sappia bene cos'è l'osteo­porosi, che abbia fatto molta esperienza con persone come voi, che trovi il tempo per rispondere alle vostre domande e che ab­bia un atteggiamento paziente nei confronti di problemi cronici come il vostro. Avete bisogno del vostro medico, non solo di que­sto libro, perché in un libro non possiamo praticare la medicina. Vi possiamo dire alcune delle cose che occorre sapere, ma non possiamo né fare una diagnosi né prescrivervi delle cure: sareb­be contrario all'etica medica oltre che poco pratico.

Che tipo di medico dovreste cercare? Non c'è un'unica rispo­sta a questa domanda, perché per ogni regola che vi potremmo dare potremmo citarvi subito parecchie eccezioni. Ma essenzial­mente avete bisogno di qualcuno che sia paziente quando ha a

che fare con problemi di salute a decorso cronico, che non pos­sono essere risolti con una bacchetta magica, e che abbia fatto la fatica di imparare bene quello che c'è da sapere sull'osteopo­rosi. Al momento in tutto il mondo ci sono ben pochi corsi che preparino in modo specifico i medici che vogliono specializzarsi in osteoporosi. Di solito succede che alcuni medici, dopo aver completato la loro preparazione accademica, concentrino la lo­ro attenzione su questa malattia. In genere troverete questi me­dici tra gli internisti, i geriatri, o quelli specializzati in fisiatria (medicina e riabilitazione fisica). In due sottospecializzazioni di medicina interna (endocrinologia e reumatologia) spesso si tro­vano medici che si interessano di osteoporosi. Perciò il medico che vi occorre può provenire da molti campi.

Viceversa, potrete non trovare molto sostegno tra i medici or­topedici. Sebbene siano spesso chiamati "specialisti delle ossa", in effetti la loro bravura consiste soprattutto nell'aggiustare os­sa rotte o nel sostituire giunture usurate, e spesso sono molto bravi in quello che fanno. Ma per lo più non sono sintonizzati sul vostro tipo di problema. Ovviamente, anche qui ci sono ec­cezioni.

Da quanto risulta dalla corrispondenza che riceviamo e da lun­ghe conversazioni, sembra che il processo per arrivare a una dia­gnosi di osteoporosi sia spesso molto lungo, richieda molti mesi e persino molti medici dopo l'insorgenza del dolore, che alla fi­ne viene attribuito a un cedimento vertebrale. E spesso, inol­tre, quello che succede dopo questo lungo processo è che alla paziente viene diagnosticata questa malattia e basta. La paziente non riceve nessuna informazione, nessun consiglio medico, nes­suna "istruzione per l'uso", realmente nessuna cura, in qualsi­voglia senso del termine. Ma lasciamo parlare direttamente le nostre corrispondenti.

 

Sebbene abbia consultato sia un reumatologo che un ortopedico, ci sono voluti quattro mesi prima che un terzo dottore finalmente ca­pisse che soffrivo di osteoporosi, che nel frattempo mi aveva già pro­curato sei fratture vertebrali e un fortissimo mal di schiena. L'orto­pedico che diagnosticò la malattia prescrisse un bustino e poi mi con­gedò. Dopo avermi detto che il problema era così serio che non po­teva far niente per me, mi mandò da un endocrinologo ...

Dopo due settimane all'ospedale tutto quello che ho saputo è stato il nome di questa malattia...

 

Il mio dottore non sembra preoccuparsi granché ....

 

Mi è stato detto da parecchi dottori che ho l'osteoporosi alla schiena. Nessuno di loro mi ha mai dato una medicina o un consiglio .

 

Forse non ci si sente liberi di fare domande o di parlare delle pro­prie preoccupazioni con i propri medici. A ogni modo è più che evidente che c'è molta insoddisfazione nei confronti del loro at­teggiamento. E quando leggiamo le centinaia di lettere ricevute, molte volte non riusciamo a reprimere la rabbia per delle storie da cui risulta l'insensibilità e l'incompetenza di molti medici.

Sarebbe facile sfogare la nostra delusione in una nuova dia­triba contro la medicina, ma non lo riteniamo utile. Crediamo che l'insoddisfazione dei pazienti abbia ragioni più profonde che una semplice mancanza d'interesse o l'incompetenza da parte dei medici. Comprendere queste ragioni può aiutare sia voi che noi, che ci occupiamo per professione di medicina, a darci da fare per migliorare l'assistenza a chi soffre di malattie croniche. In parole povere, c'è un abisso tra quello che la società si aspet­ta dai medici e ciò che questi hanno imparato a fornire (o che sono capaci, per temperamento, di dare).

Vogliamo anche richiamare la vostra attenzione sulle organiz­zazioni sorte da poco in molti Paesi, di solito chiamate Fonda­zioni Nazionali per l'Osteoporosi. Esse sono nate per richiamare l'attenzione pubblica su questa malattia e anche per aiutare i pazienti e le loro famiglie a trovare l'aiuto di cui hanno bisogno e che si meritano. Speriamo che diventino centri di informazio­ne sull'osteoporosi, ed enti nazionali a cui possano fare riferi­mento i gruppi locali di sostegno e solidarietà. * Ci si aspetta molto da queste iniziative, che offrono ai pazienti la possibilità di co­municarsi i propri successi nell'affrontare la sfida di vivere con l' osteoporosi.

In Italia esiste la Siop (Società italiana osteoporosi), alla quale potete rivolgervi per ot­tenere nominativi di specialisti e informazioni. L'indirizzo è: Seconda Clinica Medica, Uni­versità La Sapienza, viale del Policlinico 155, 00166 Roma.

Le fratture osteoporotiche, come altre malattie croniche, appartengono alla categoria "prima la brutta notizia, poi quella buo­na". La brutta notizia è che senz'altro avete un problema serio. La buona notizia è che probabilmente potete fare qualcosa per migliorare. Pensate agli uomini che hanno avuto un attacco di cuore, si sono ristabiliti, hanno cambiato modo di vivere e sono vissuti felicemente e in modo produttivo per molti anni. La pri­ma frattura osteoporotica può essere qualcosa del genere. È una brutta notizia, in quanto avreste preferito farne a meno. Ma è anche l'occasione per cambiare, per fare qualcosa di buono per voi stessi. È importante capire che molte fratture da compres­sione della colonna vertebrale passano inavvertite. Danno così poco fastidio che non vengono diagnosticate fino a molti anni dopo, quando ormai se ne sono verificate parecchie ed è ormai evidente la deformazione della schiena. Spesso le donne colpite non ricordano un mal di schiena particolare. Una frattura non vi condanna a una vita di crescente invalidità e sofferenza. Ma è certamente un richiamo all'ordine. Ecco alcuni consigli di buon senso che vi spiegheremo meglio in seguito:

  elaborate un programma di cura con un medico che si in­tenda di osteoporosi e seguitelo con costanza;

  evitate accuratamente i fattori a rischio legati al modo di vivere di cui parliamo in questo libro;

  assicuratevi di prendere abbastanza vitamina D;

  imparate ad acquisire e mettete in pratica una buona po­stura e una buona meccanica corporea, per proteggere la schiena da sforzi;

  imparate e mettete in pratica una buona strategia per usa­re le ossa e rafforzare i muscoli. Fatevi un programma per camminare e fare esercizi fisici ogni giorno;

  non scoraggiatevi.

Esponete chiaramente al vostro medico le vostre esigenze e i vo­stri desideri, e non abbiate paura di essere insistenti o di fare troppe domande. Ricordatevi che è la vostra vita, il vostro cor­po, la vostra ansia, il vostro dolore, il vostro futuro (e anche il vostro denaro). Può darsi che abbiate bisogno di un medico di­verso, qualcuno che sappia bene cos'è l'osteoporosi e sia dav­vero interessato a lavorare con pazienti che hanno questo pro­blema. È essenziale che abbiate un medico in cui avere fiducia. Non preoccupatevi di offendere il vostro medico attuale se non ne siete completamente soddisfatte .

La cura a questo punto di solito includerà:

  estrogeno;

  un'elevata dose giornaliera di calcio (1,5-3,0 grammi). Pro­babilmente avrete bisogno di un integratore per assumer­ne così tanto;

  terapia fisica, inclusi esercizi per rafforzare i muscoli della schiena e l'educazione a una meccanica corretta per pro­teggere le vertebre già indebolite;

  analgesici non narcotici (come l'aspirina);

  farmaci vari, come calcitonina, o bifosfonati ecc.

Abbandonate le abitudini che favoriscono la perdita di tessuto osseo e l'osteoporosi. Queste abitudini includono: bere più di una o due dosi di superalcolici al giorno, fumare, essere troppo ma­gri, avere una alimentazione con troppe proteine, bere troppo caffè (cioè più di tre tazze al giorno). Se prendete degli antiaci­di, dovreste prenderne uno che non contenga alluminio. E leg­gete le etichette!

Anche se siete anziani (in effetti, specialmente se lo siete) avete bisogno di vitamina D per avere delle ossa sane. Come abbiamo già detto in un capitolo precedente, il modo naturale di assume­re vitamina D è attraverso un'esposizione moderata della cute ai raggi del sole (bastano 15 minuti al giorno). Potete anche pren­dere la vitamina D con un ìntegratore multivitaminico del tipo "una capsula al giorno". Questi preparati di solito contengono 400 unità internazionali (LV.) per compressa, e potete prender­ne una o due al giorno. Ma se prendete un integratore di vitami­na D, non dovreste assolutamente superare la dose giornaliera di 1000 LV. Come per tante altre cose che riguardano la salute, vale il detto: non troppo, non troppo poco.

Una postura perfetta e una buona "meccanica corporea" non sono più solo degli optional. Sono essenziali per proteggere la vostra colonna vertebrale da sforzi e danni ulteriori. Dovete im­parare a evitare certe posizioni e movimenti, e vi illustriamo qui sotto tre di questi esercizi da evitare.

 

 

A.Evitate faticose flessioni addominali.

B.Evitate di toccarvi le dita dei piedi.

C.Evitate di incurvare la schiena quando state sedute.

 

Non dovete fare nessun esercizio che comporti piegare la schie­na. È particolarmente pericoloso chinarsi e contemporaneamente tirare o sollevare. È importante imparare il modo giusto di fare i lavori di casa e di sollevare oggetti. L'infermiera o il fisiotera­pista che collaborano con il vostro medico potranno insegnarvi. Le vostre parole d'ordine dovrebbero essere: sta diritta quando sei in piedi, sta diritta quando sei seduta, sta diritta quando sei sdraiata.

Usate una poltrona solida, con lo schienale diritto e braccioli robusti. I braccioli sono utili per sostenere la parte superiore del corpo, dato che potete appoggiarvi i gomiti quando vi si stanca la schiena. Dovreste anche afferrare i braccioli della poltrona quando vi sedete o vi alzate. L'infermiera o il fisioterapista pos­sono aiutarvi a imparare questi e altri movimenti.

Anche se dovete risparmiare la schiena, dovete fare esercizio fisico, e molto. In effetti, probabilmente dovrete impegnarvi a fare una quantità di esercizi fisici del tutto insolita per voi. Se volete aver successo nel ridurre le probabilità di ulteriori frat­ture, dovete cominciare a usare ossa e muscoli. Camminare (con scarpe da ginnastica o scarpe da passeggio senza tacchi, così non correte il rischio di prendervi una storta) rimane una forma ef­ficace, facile, sicura e gradevole di esercizio in presenza di cari­co. Un corso di ginnastica studiato in particolare per donne con l'osteoporosi e condotto da una persona debitamente preparata sarebbe molto utile, così come ci sono corsi con esercizi adatti a persone che si stiano rimettendo da un attacco di cuore. La tipica ginnastica aerobica che dà ampio spazio ai salti e a eserci­zi di elasticità e di vigoroso allungamento non è adatta a chi ha avuto una frattura osteoporotica.

Vi indichiamo qui alcuni esercizi che potete fare a casa pa­recchie volte al giorno. Dato che non abbiamo modo di valutare le vostre condizioni fisiche, dovreste sentire il vostro medico, l'infermiera o il fisioterapista, prima di cominciare. Per gli eser­cizi in posizione sdraiata, sdraiatevi su un letto con un materas­so duro. Non cercate di mettervi sul pavimento. Ecco le istru­zioni per gli esercizi da sdraiati che illustriamo qui di seguito.

 

 

A. Allungare braccia e gambe al massimo. Contrarre i musco­li addominali, per appiattire la schiena contro il letto.

B. Con le ginocchia piegate e la schiena appiattita, allungare un braccio sopra la testa e premerlo contro il letto.

C. Sollevare le ginocchia, una alla volta, e avvicinarle al pet­to, per allungare l'estremità della colonna vertebrale.

D. Premere i gomiti contro il letto, tenendoli ad angolo retto rispetto al corpo.

E. Con la schiena piatta e le ginocchia piegate, tendere e pie­gare parzialmente le gambe, una alla volta.

F. Con la schiena piatta, premere mani e ginocchia contro il letto contraendo i muscoli della schiena, delle natiche e delle cosce.

Ecco le istruzioni per gli esercizi in piedi:

 

 

A. Appiattire il corpo contro la parete, sollevare un braccio sopra la testa e allungarlo al massimo. Mantenere la schiena contro la parete.

B. Spingere il corpo contro la parete mantenendo la schiena diritta.

C. Piegare parzialmente le ginocchia mantenendo la schiena diritta (ad esempio con le mani appoggiate alla spalliera di una sedia).

D. Premere la schiena contro lo schienale diritto di una sedia.

Abbiamo utilizzato le illustrazioni e le istruzioni per gli eserci­zi della dottoressa Carol Goodman, che è stata specialista in medicina fisica e riabilitazione alla Clinica Ochsner di New Or­leans.

Certi tipi di indumenti intimi (ma non i busti a mutandina, che possono causare problemi di circolazione) a volte possono for­nire un sostegno confortevole alla zona lombare. In modo ana­logo, alcune donne amano indossare un reggiseno di sostegno con ampie bretelle che si incrociano sulla schiena. Mettersi questi indumenti è davvero una questione di scelte e gusti personali, però alcune donne li trovano utili.

Non scoraggiatevi se i progressi sembrano lenti. Ci sono volu­ti molti, molti anni perché arrivaste allo stato attuale. Non è rea­listico aspettarsi di uscirne in un batter d'occhio. Ma voi potete fare progressi e non dovreste arrendervi. Non siate sorprese e non sentitevi frustrate se più o meno entro un anno dalla prima frattura subirete un'altra piccola frattura da compressione. Le vostre ossa sono deboli, ci vuole tempo per rinforzarle. Una se­conda frattura non significa che i vostri sforzi sono inutili o che non ci avete messo abbastanza impegno. Prendetela invece co­me un modo per ricordarvi che la prima frattura non è avvenu­ta per caso, che avete un problema potenzialmente serio e che val la pena raddoppiare gli sforzi.

Ora, se la vostra situazione è peggiore di quella che abbiamo descritto, se avete avuto parecchie fratture da compressione, siete gravemente invalida e quasi costantemente avete dolori, che cosa possiamo fare per voi? Prima di tutto, quello che ab­biamo appena detto per i casi leggeri presi all'inizio è valido an­che per voi, e in alcuni casi doppiamente valido.

Il trattamento dell'osteoporosi è spesso insoddisfacente. Non è possibile curarla del tutto, perché il danno che si è accumula­to nel corso degli anni non può essere riparato completamente. Tuttavia è possibile fare qualcosa. È possibile impedire un'ulte­riore perdita di tessuto osseo, diminuire i dolori nella maggio­ranza dei casi e affrontare complicazioni e invalidità, persino se dovessero verificarsi altre fratture.

Forse il consiglio migliore che possiamo darvi è di trovarvi un medico motivato e capace. Le persone con una osteoporosi or-

mai avanzata sono così diverse l'una dall'altra che sarebbe po­co saggio fare delle affermazioni generalizzate. Per questo è im­portante trovare il medico giusto. Lui o lei saprà trattarvi come una persona.

Ci chiedono spesso cosa ne pensiamo di certe forme di tratta­mento, come l'uso di busti ortopedici. Questi busti sono disegnati in modo da raddrizzare le spalle e far sostenere dal bacino il pe­so della parte superiore del corpo, così da diminuire le sollecita­zioni sulla colonna vertebrale. Sembrano una buona idea. Sem­brano funzionare abbastanza bene per i giovani che hanno pro­blemi di colonna vertebrale o che hanno avuto interventi chi­rurgici alla spina dorsale, ma secondo la nostra esperienza sono di ben poco aiuto a una donna che soffra di osteoporosi. Le no­stre pazienti nel corso degli anni hanno speso un mucchio di soldi per comprarsi apparecchi di questo tipo e la nostra impressione è che pensino di aver buttato il loro denaro al vento.

D'altra parte, supponiamo che non abbiate avuto nessuna frat­tura, ma che abbiate fatto analizzare le vostre ossa in uno dei mol­ti centri che sono sorti un po' dovunque e il referto dell'esame dichiari che siete una persona ad alto rischio. Oppure avete fat­to una radiografia per qualche altra ragione e il vostro dottore vi dice che le vostre ossa sembrano un po' "sottili". Se vi hanno detto cose di questo genere, ma non avete ancora avuto frattu­re, che cosa dovreste fare? Lasciarvi prendere dal panico? Asso­lutamente no. Prima di tutto, l'etichetta che vi hanno messo ad­dosso potrebbe essere sbagliata. Stiamo cominciando a sentire don­ne che sono uscite dal centro diagnostico con una diagnosi di osteo­porosi e probabilmente non ne soffrono. La semplice verità è che qualsiasi diagnosi medica - inclusa quella per l'osteoporosi - non può venir fatta con un semplice test e un'altissima tecnolo­gia ed elaborati tabulati non modificano questa verità elementare.

Tuttavia dovrebbe essere ormai ben chiaro che, sia che la vo­stra massa ossea sia pericolosamente scarsa o no, dovreste sor­vegliare la dieta per essere certe di prendere abbastanza calcio e vitamina D. Dovreste fare molto esercizio fisico, e dovreste evitare l'abuso di alcol, caffeina e tabacco. Se poi volete avere il referto di un centro diagnostico per l'osteoporosi e questo vi può servire a prendere alcune misure fondamentali che proteg­gano la vostra salute, tanto di guadagnato.

 

 

 

 

non ci sono pillole magiche

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C'è molta disinformazione nei confronti del calcio e dell'osteoporo­si. Iniziative commerciali poco scrupolose hanno dato l'impressio­ne che l'osteoporosi sia semplicemente una malattia da carenza di calcio. Questa idea sbagliata fa sì che la gente ignori che molti altri fattori provocano il deterioramento delle ossa, in particolare fuma­re, bere e fare una vita sedentaria. Inoltre, alcune strategie messe a punto per prevenire l 'osteoporosi sono state erroneamente spac­ciate per cure. Anche se la prevenzione è possibile, una vera "cu­ra" non è neanche all'orizzonte.

 

Fin da quando il calcio fu scoperto dai media nel 1982, la gente è stata vittima di molta disinformazione, in parte dovuta a vec­chie idee sopravvissute, sconfessate ma ancora ritenute valide da moltissime persone. Noi stessi ne abbiamo illustrate parec­chie nel corso del libro. Poi ci sono i problemi causati da certe manie, come l'idea che magro è sano. Infine, persone di pochi scrupoli, per vendere le loro idee e i loro prodotti (dagli integra­tori alle cliniche per misurare la massa ossea) hanno speculato sulla paura delle donne.

La pubblicità ha reclamizzato l'idea che l'osteoporosi sia sol­tanto una malattia da carenza di calcio, prevenibile con una sem­plice pillola. Sarebbe bello che le cose fossero così semplici. Ma le prove scientifiche disponibili indicano sempre più spesso che l'osteoporosi è analoga ad altri problemi cronici; probabilmente affonda le sue radici nei primi anni di vita; si sviluppa inavver­tita nel corso di molti anni; ha molteplici cause, inclusi i fattori dovuti a un certo modo di vivere e talvolta ad altre malattie; emerge infine con la comparsa di un problema clinico - in questo caso una frattura - nella persona di mezz'età o più anzia­na. Questo andamento, che si adatta anche al diabete insorto in età adulta, a molti tipi di cancro, alle malattie cardiovascola­ri, all'ipertensione e all'ictus - è tipico delle malattie croniche in generale. Per ognuno di questi problemi, è un errore pensare che l'evento drammatico che alla fine annuncia la presenza della malattia ne sia l'inizio, o concludere che il problema è compar­so da poco o ha una singola causa.

In particolare ci opponiamo all'idea che le compresse di cal­cio possano in qualche modo neutralizzare tutti gli altri fattori che provocano il deterioramento del tessuto osseo, come fatto­ri alimentari, il fumo, l'abuso di alcol e una vita sedentaria, tra le altre cose. È evidente che le ossa devono essere usate o an­dranno alla malora, eppure ben poca della pubblicità delle pa­stiglie di calcio sottolinea l'importanza dell'attività fisica.

Prima che le nostre vite venissero medicalizzate, la gente non si aspettava che una medicina o un'operazione chirurgica an­nullassero anni di trascuratezza. Gli antibiotici e il miglioramento delle iniziative a favore della salute pubblica non avevano co­minciato ad aver ragione delle malattie infettive. A quei tempi si sottolineava l'importanza del moto, dell'aria fresca, della lu­ce del sole, di un'alimentazione sana, di un riposo adeguato, e così via - i "consigli della nonna", di cui la scienza sta risco­prendo la permanente saggezza. Ci si assumeva la responsabili­tà del proprio star bene. Ora, vista la capacità della medicina moderna di curare e risolvere almeno alcuni problemi di salute (per esempio, interventi di bypass per le malattie cardiovasco­lari), ci siamo erroneamente convinti della sua onnipotenza. Ab­biamo gradualmente perso - e stiamo solo ora cominciando a riguadagnare - il senso della responsabilità individuale per la nostra salute. C'è anche molta malafede, o forse ignoranza, sul­la nocività del fumo, dell'abuso di alcol, delle cattive abitudini alimentari, della mancanza di attività fisica e via di seguito.

Pochissima attenzione è stata data al fumo, come problema che riguarda la salute delle donne. Questa è in effetti una notevolis­sima omissione, perché il fumo è certamente un pericolo per la salute, e un pericolo dalle molte facce. Le prove sono schiaccianti: per il sistema respiratorio (cancro al polmone, peggioramento delle allergie, enfisema); per la gravidanza (minor peso alla nascita, na­scite premature, problemi respiratori nel neonato e persino na­scite di feti morti); per il sistema cardiovascolare (ipertensione, ictus e malattie delle arterie coronarie); per la cute (rughe, sec­chezza e invecchiamento precoce); e per altri cancri (esofago, la­ringe, stomaco, intestino, vescica e seno). Inoltre, come abbiamo notato, il fumo favorisce la perdita di tessuto osseo e perciò l'in­sorgere dell'osteoporosi. Ci chiediamo come un fumatore possa pensare di sfuggire a tutti questi pericoli per la salute.

Si è generalmente d'accordo che la prevenzione è la strategia più efficace per tutte le malattie croniche. Se si capisce a fondo la natura complessa delle malattie croniche e il loro percorso lun­go e insidioso prima che vengano alla luce, si potrà anche capi­re che è del tutto irrealistico sperare di potersi curare con una singola medicina o un singolo intervento chirurgico. Ovviamen­te noi siamo convinti che si debbano continuare a cercare me­todi migliori per trattare e curare l'osteoporosi (e altre malattie croniche). Ma vogliamo distinguere fra trattamento e cura, fra metodi più efficaci per alleviare il dolore (trattamento) ed ef­fettiva sostituzione di una struttura ossea danneggiata (cura). Il primo obiettivo è raggiungibile, il secondo non è neanche vi­sibile all'orizzonte.

Diffidate delle soluzioni miracolose a problemi complessi. Siate critici, anche se non scettici, su quello che sentite e vedete e su quello che altri dicono e vedono.

In questo libro abbiamo sottolineato l'ìmportanza di "capire".

Capire come si formano delle ossa sane, cosa vuol dire l'assun­zione del calcio, e come influisca sullo stato di salute delle ossa, e cose del genere. L'abbiamo fatto perché, capendo le cose, po­trete esercitare un certo controllo su quello che succede a voi e ai vostri cari.

Alcuni non vogliono né la responsabilità né il controllo. Sen­tiamo donne che dicono: «Beh, se mi viene l'osteoporosi, mi vie­ne ... non posso farci niente ... » Come se fosse solo questione di fortuna! Questo non è vero. I fatti dicono che, anche se la re­sponsabilità è indistinta e il controllo è incompleto, potete an­cora assumervi una buona parte di responsabilità ed esercitare una buona dose di controllo. La verità è: la prevenzione paga.

Inoltre, i saggi provvedimenti che abbiamo illustrato sono tutti abbastanza semplici da mettere in pratica: una buona alimenta­zione, sole, esercizio fisico, evitare il fumo e l'abuso di alcol. Do­vete sapere in che modo metterli in pratica, naturalmente, per­ché sono semplici, ma non ovvi. E dovete sapere perché sono importanti; altrimenti potreste non essere costanti. Eppure so­no abbastanza semplici da seguire, una volta che abbiate capito.

Questo, stranamente, può essere uno svantaggio. La gente sem­bra più disposta a provare qualcosa di bizzarro o di faticoso che qualcosa di semplice. Nel Secondo libro dei Re c'è la storia di Naaman, che si irritò quando il profeta Eliseo gli disse di lavarsi sette volte nel fiume Giordano. Era una cosa troppo semplice per una cosa seria come la sua lebbra e per una persona impor­tante come un generale siriano. Ma i suoi servitori gli ricordaro­no che, se Eliseo gli avesse chiesto di fare qualcosa di faticoso e di complesso l'avrebbe fatta. A maggior ragione, gli dissero, avrebbe dovuto fare la cosa molto semplice che gli aveva pre­scritto.

 

 

 

 

il calcio e la vita

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Il calcio nell'ambiente

Il calcio è il quinto elemento in ordine di abbondanza nella crosta ter­restre, più abbondante di qualunque altro, eccetto l'ossigeno, il silicio, l'alluminio e il ferro. Composti di calcio costituiscono il gesso che usia­mo per scrivere sulla lavagna, il gesso che ricopre le pareti di casa, e gran parte della pietra usata per costruire. Un composto di calcio, la calce, era il costituente principale della malta che è stata usata per se­coli per tenere insieme i mattoni. Insieme al magnesio e ad altri ele­menti, il calcio costituisce la dolomite, che forma intere catene di mon­tagne. Il calcio è il minerale principale delle stalattiti e stalagmiti pre­senti nelle grotte. Esso rende dura l'acqua potabile e provoca incro­stazioni nelle caldaie degli impianti di riscaldamento ad acqua calda e a vapore. Il calcio è la sostanza di cui sono fatti marmo, corallo, per­le, conchiglie, gusci d'uovo e denti. E quello che è più importante per noi, il calcio è il materiale che costituisce lo scheletro.

Che cos'è il calcio? È uno dei novantadue elementi chimici che com­pongono la terra e tutto quello che vi si trova. Tutto il calcio presente sulla terra si formò contemporaneamente alla nostra galassia. Oggi il calcio non viene né prodotto né distrutto, né nel nostro organismo né altrove. (L'unica eccezione è rappresentata dai reattori nucleari e dal­le esplosioni nucleari.) La Terra ha tanto calcio quanto ne aveva 15 mi­liardi di anni fa, più o meno. Come la maggior parte degli elementi, il calcio forma composti chimici con altri elementi. È sotto questa forma che il calcio è presente nello scheletro, nel cibo e negli integratori di calcio.

L'atomo del calcio, come tutti gli atomi, consiste in un nucleo centrale che contiene particelle dotate di una carica positiva, circondate da un numero uguale di particelle a carica negativa chiamate elettro­ni, disposte in uno strato orbitante. Lo strato esterno di elettroni, nel caso del calcio, contiene due elettroni; ma il calcio, come altri metalli, tende a perdere questi elettroni esterni a favore di altri elementi che si legano con loro più strettamente. Un atomo di calcio che manca di queste due cariche negative è uno ione di calcio a carica positiva.

Gli ioni di calcio, essendo a carica positiva, formano facilmente dei composti con ioni caricati negativamente, dando luogo a composti elet­tricamente equilibrati, o neutri, con un numero uguale di ioni positivi e negativi. Questi composti di ioni positivi e negativi si chiamano "sa­li". Il sale da tavola, o cloruro di sodio, è il più noto di questa ampia categoria di sali (nel sale da tavola, il sodio è lo ione positivo e il cloru­ro lo ione negativo).

I composti chimici del calcio nell'ambiente che ci circonda includo­no l'ossido di calcio che si presenta come calce; il carbonato di calcio sotto forma di gesso, calcare, marmo, conchiglie, perle; il fosfato di cal­cio presente nelle ossa e nei denti. Il calcio si trova nel latte e in altri latticini soprattutto sotto forma di citrato di calcio e fosfato di calcio. Ci sono centinaia di altri sali di calcio, alcuni prodotti dall'uomo, ma per la maggior parte naturali. Gli integratori di calcio fondamentalmente non sono altro che sali di calcio (si veda il capitolo 27).

Questa abbondanza di calcio significa che ce n'è molto nei terreni in cui crescono le piante, nell'oceano e nella maggioranza dei laghi e dei fiumi. Il calcio è essenziale alla vita così come la conosciamo. La maggior parte delle piante non crescerebbe in terreni poveri di calcio, e fiumi poveri di calcio non permetterebbero molta vita. Ci sono molte ragioni per tutto questo. Il calcio è fondamentale per l'attività delle cellule viventi, come vedremo nella prossima sezione. Ma il calcio ser­ve anche a mantenere in soluzione nell'acqua l'anidride carbonica. L'a­nidride carbonica è il materiale di base usato da tutte le piante per co­struire molecole complesse tramite la fotosintesi. Le piante che vivo­no sulla terra ricavano l'anidride carbonica dall'aria, ma le piante ac­quatiche la ricavano solo da quella dissolta nell'acqua. Le piante mo­nocellulari fotosintetiche sono alla base della catena alimentare di tutte le forme di vita acquatica. A questo livello fondamentale il calcio e la vita sono inestricabilmente legati.

 

 

 

 

il calcio e i processi vitali

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Tre miliardi di anni fa, quando le forme viventi presero a evolversi ne­gli estuari paludosi del nostro pianeta, cominciarono a svilupparsi usan­do e incorporando in qualche modo il calcio disponibile tutt'intorno. Altri elementi anche più comuni, come il silicio e l'alluminio, furono largamente ignorati. Gli scrittori di fantascienza si chiedono che cosa avrebbe potuto essere la vita se a quel punto l'evoluzione avesse pre­so un'altra strada - scegliendo il silicio, per esempio, invece del cal­cio. Non lo sapremo mai. La vita scelse la strada del calcio. Da quel punto in poi, c'è stato un rapporto molto stretto tra il calcio e le mole­cole della vita.

Alcune di queste molecole, le proteine, sono strutture molto grandi e complesse, che contengono centinaia di migliaia di atomi, soprattut­to carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. Gli atomi sono disposti in ca­tene complesse, ripiegate, di molecole più piccole chiamate aminoaci­di. Diversamente dai sali, che consistono in ioni di carica opposta at­tratti elettricamente, gli atomi che compongono le proteine sono so­prattutto neutri, legati tra di loro in quanto condividono gli elettroni dei loro strati esterni. Ma anche se complessivamente neutre, alcune regioni delle molecole proteiche sono più negative e altre più positive. Questa distribuzione delle cariche superficiali ha notevoli influenze sulle proprietà e attività delle molecole della vita.

Fra le altre cose, alcune di queste molecole possono riprodursi e al­tre, dette enzimi, possono ricavare energia da altre molecole o modifi­carle in qualche altro modo. Come utensili in un'officina, gli enzimi funzionano da trapani o seghe o saldatrici. Ma diversamente dai mac­chinari di un'officina, queste macchine biologiche sono molto selettive riguardo alloro campo di operazioni. Per esempio, gli enzimi che scindono le proteine in pezzi più piccoli agiranno soltanto su certi le­gami all'interno di una catena proteica. Così, invece di una o due se­ghe multiuso, certi organismi hanno centinaia di enzimi, ognuno di lo­ro al lavoro su materiali leggermente diversi. Perciò alcuni organismi hanno anche centinaia di enzimi altamente specializzati, che uniscono parti diverse per produrre nuove molecole.

In questo quadro, dove fa la sua comparsa il calcio? Gli enzimi sono sospesi nel protoplasma, il materiale acquoso delle cellule viventi. In questo liquido, molte molecole enzimatiche sono duttili, assumono una varietà di forme, spesso decisamente diverse dalla forma che le rende capaci di funzionare come utensili. Esse adottano e conservano quella forma importantissima solo quando certe altre sostanze, soprattutto ioni metallici, si legano con loro. Lo ione metallico si inserisce in una piega o incrinatura della struttura proteica; la sua carica positiva attrae le regioni negative della grande molecola proteica e le unisce per dar for­ma e durezza all'enzima. Ora questo può agire. Quale ione metallico funziona meglio per ciascun enzima dipende dalle dimensioni dello io­ne, dalla sua carica, dalle dimensioni della cavità nella proteina. Gli ioni del calcio sono esattamente della forma giusta e della carica giu­sta per infilarsi in molte delle molecole enzimatiche di base. Il calcio è la chiavetta che le accende. Nessun altro elemento funzionerà altret­tanto bene o si potrà sostituire al calcio.

Ma c'è un problema. Con così tanto calcio intorno, gli enzimi potreb­bero lavorare sempre, come un'officina con tutte le macchine in fun­zione contemporaneamente. Potrebbero persino attaccarsi l'un l'altro. Questa chiave così potente deve essere controllata.

Negli organismi primitivi, monocellulari, una pelle o membrana se­para la macchina biologica all'interno della cellula dal mondo esterno. Nel tempo si sono evoluti dei meccanismi di controllo di quello che passa attraverso la membrana, in entrata o in uscita. Alcuni di questi mec­canismi sono cancelli che si aprono e si chiudono; altri sono pompe che aspirano quello che occorre ed espellono quello che non serve. Il cal­cio è una delle sostanze che vengono espulse. In questo modo la con­centrazione del calcio nell'acqua all'interno della cellula finisce per es­sere soltanto un milionesimo circa della sua concentrazione nell'am­biente esterno. Ne risulta che, in condizioni di riposo, il macchinario della cellula è inoperoso. Poi, quando una cellula ha bisogno di certi enzimi in forma attiva, i cancelli vengono aperti per far entrare il cal­cio. Gli enzimi interessati vengono attivati e il lavoro specifico viene eseguito. Per fermare il sistema, la cellula ripompa all' esterno il calcio e fa ritornare il macchinario molecolare a uno stato di riposo.

Quando le cellule diventarono più complesse e diversificate, risultò poco efficiente che si limitassero a lasciar entrare il calcio dall'ester­no. Per una grossa cellula, il processo avrebbe potuto richiedere trop­po tempo e non consentire una risposta rapida. Per impedire questa situazione, molte cellule si sono gradualmente create dei magazzini in­terni dove tengono al sicuro il calcio, quando non sta attivando enzimi come quelli coinvolti nella contrazione dei muscoli.

Oltre la contrazione dei muscoli, quali sono alcuni dei processi vitali attivati dal calcio? Uno è la coagulazione del sangue, risultato di una serie complessa di reazioni enzimatiche in cui un passaggio critico ri­chiede l'intervento del calcio. Un altro riguarda la risposta che prati­camente tutte le cellule danno a messaggi o segnali esterni. Nei grandi organismi complessi, pluricellulari, sia nelle piante che negli animali, i miliardi di cellule che concorrono a formare un individuo devono co­municare, in modo da poter coordinare le loro attività. Gli impulsi ner­vosi e gli ormoni sono i principali segnali che l'organismo utilizza per coordinare le sue parti. In entrambi i casi, il messaggio viene ricevuto sulla superficie della cellula e fa sì che la concentrazione del calcio aumenti in certi punti critici all'interno della cellula, mettendo in moto una serie di reazioni biochimiche a cascata, che faranno in modo che la cellula compia quanto è stata programmata a compiere. Il primo mes­saggero è l'impulso chimico o nervoso ricevuto dall'esterno della cel­lula; il calcio è una specie di secondo messaggero universale, che tra­duce quel primo messaggio nelle attività cellulari specifiche delle di­verse cellule, che reagiscono ciascuna secondo la propria funzione - muscoli che si contraggono, ghiandole che secernono, nervi che tra­smettono, e così via.

In un organismo complesso, pluricellulare, c'è anche bisogno di re­golare il livello del calcio all 'esterno della cellula, in quella specie di mare interno che bagna tutti i tessuti organici. Le ragioni per cui il cal­cio extracellulare deve essere regolato sono molto diverse da quelle che abbiamo appena descritto e le vedremo nel prossimo paragrafo. La re­golazione del calcio extracellulare è ancora più pertinente alle proble­matiche fondamentali di questo libro, cioè il rapporto tra calcio e salu­te. Il calcio all'interno delle nostre cellule è così importante per i pro­cessi vitali che le cellule gli stanno aggrappate tenacemente. In defini­tiva non ci sono malattie attualmente riconosciute dalla medicina in cui ci sia una regolazione anormale del calcio all'interno delle cellule . È interessante oltre che utile comprendere questo legame strettissimo tra calcio e processi vitali. Le malattie legate all'assunzione del calcio hanno invece a che fare con il controllo del calcio intorno alle cellule, piuttosto che all'interno di queste.

 

Dove è situato il calcio nel nostro organismo

Un uomo adulto ha circa 1000-1200 grammi di calcio nel suo organi­smo, e una donna adulta circa 900-1000 grammi. Il calcio è presente in tre punti. Il 99 del calcio organico è nello scheletro. Il rimanente 1  - all'incirca 8 o 9 grammi - è nei tessuti molli del nostro corpo (fegato, muscoli, cervello ecc.). 7 o 8 di questi 9 grammi sono distribui­ti tra tutte le cellule dell'organismo; questo è il calcio che è vitale alle funzioni essenziali delle cellule. L'altro grammo circa è disciolto nel liquido extracellulare (ECF) che include il plasma sanguigno e bagna ogni cellula dell'organismo.

La maggior parte degli organi e dei tessuti corporei consiste princi­palmente di cellule viventi. Tra queste cellule c'è un po' di spazio, riem­pito dal mare interno che abbiamo chiamato liquido extracellulare. Que­sto liquido è sia dentro il sangue che intorno alle cellule. L'organismo fa del suo meglio per regolare il livello di molti elementi critici in questo mare interno. Tra l'altro, ce n'è molto; circa il 15 del peso corpo­reo è dovuto a questo liquido che pervade tutti i nostri tessuti e organi.

Esaminando un campione di sangue, possiamo misurare che cosa sta succedendo nel liquido extracellulare. Il sangue, naturalmente, circo­la e perciò collega tutte le regioni del liquido extracellulare, si mescola con loro e le nutre, rifornisce ciò che ogni parte ha consumato e porta via quello che non occorre più. Quando parliamo di calcio nel liquido extracellulare potremmo anche parlare di calcio nel sangue, poiché que­sto è quello che misuriamo. Eppure, il liquido extracellulare è qualco­sa di più del sangue; inoltre è quello che le cellule effettivamente' 'vedono".

Come abbiamo notato in precedenza, le cellule stanno tenacemente attaccate alloro calcio. Esso è indispensabile alla loro sopravvivenza. Le cellule non si aspettano di essere rifornite dal resto dell'organismo, né condividono il loro calcio con le altre cellule. La medicina non rico­nosce ancora nessuna malattia che alteri il calcio all'interno della cel­lula. Tuttavia, attualmente alcuni ricercatori ritengono che certi tipi di ipertensione possano dipendere proprio da una malattia del genere. Comunque, quando parliamo di calcio e salute, ci preoccupiamo soprat­tutto del calcio disciolto nel liquido intorno alle cellule (il liquido ex­tracellulare) e del calcio nello scheletro, visto che le loro interazioni sono molto importanti.

Il calcio nel liquido extracellulare, sebbene conti solo per lo 0,1  del calcio presente complessivamente nell'organismo, sostiene un ruolo fon­damentale nel coordinamento di tessuti e organi. Come abbiamo già notato, le cellule devono coordinare le loro attività. Il modo più im­portante in cui comunicano è attraverso il sistema nervoso, e questo vuoi dire non solo i nervi che mediano l'attività conscia, volontaria, ma anche quelli che controllano l'attività involontaria, come il ritmo cardiaco, la pressione sanguigna e la digestione.

In ogni caso, una lunga fibra della cellula nervosa, quasi come un filo elettrico, porta il messaggio. La sua estremità viene a contatto con la superficie di una o più cellule da controllare (per esempio, le cellule del muscolo della coscia, della parete intestinale o di un'arteria, o cel­lule speciali che producono i succhi gastrici, o persino altre cellule ner­vose). Quando una cellula nervosa trasmette un segnale, produce so­stanze chimiche esattamente nel punto di contatto con le cellule ber­saglio e queste sostanze chimiche si diffondono rapidamente attraver­so lo spazio ultramicroscopico tra le cellule per stimolare le cellule ber­saglio. Ma una cellula bersaglio non sempre reagisce, a volte sembra ignorare il segnale. Questo succede perché la quantità di sostanza chimica liberata non è sufficiente a provocare una reazione, a passare ol­tre la "soglia di percettibilità" della cellula bersaglio. A volte la cellu­la ha talmente alzato la propria soglia che persino uno stimolo di una certa intensità non suscita reazioni.

La concentrazione del calcio nel liquido che riempie lo spazio mini­mo tra le due cellule è cruciale per la reazione della cellula bersaglio. Gli spazi tra cellula nervosa e cellula muscolare, per esempio, sono im­mersi nel liquido extracellulare. La concentrazione ottimale del calcio nel liquido extracellulare è di circa 4 o 5 milligrammi per 100 millilitri. Questo è all'incirca il livello del calcio in molti fiumi e laghi che per­mettono un'abbondante vita acquatica. Molti scienziati ritengono che le forme della vita pluricellulare si siano evolute in un ambiente del genere, e anche che i meccanismi per la comunicazione intercellulare si siano adattati al livello di calcio prevalente in quelle acque.

Gli organismi che abbandonarono l'ambiente acquatico primordiale dovettero imparare a regolare la concentrazione di molte sostanze nei loro liquidi interni. Il calcio è una di queste sostanze e sappiamo che la comunicazione intercellulare viene profondamente alterata ogni volta che i livelli di calcio si modificano anche di poco.

In poche parole, quando il livello del calcio si abbassa troppo, le cel­lule bersaglio - particolarmente le cellule muscolari - tendono a rea­gire troppo facilmente. Persino uno stimolo nervoso molto modesto può suscitare una reazione imponente. Perciò, se il livello del calcio nel li­quido extracellulare è troppo basso, si verificano rigidità, spasmi mu­scolari, e persino convulsioni.

All'altro estremo, quando i livelli di calcio aumentano troppo, si ma­nifestano debolezza, scadente tono muscolare, grave stipsi e senso di affaticamento. A livelli estremamente alti, cessa praticamente qualun­que comunicazione che coinvolga le cellule nervose; ne deriva uno stato di incoscienza, e il cuore smette addirittura di battere. (Questo non suc­cede quasi mai spontaneamente, ma è riscontrato soprattutto in certi tipi di tumori endocrini estremamente gravi, o in uno stato di avanza­ta intossicazione da vitamina D.)

Può sembrare strano che troppo calcio provochi questo rilassamen­to, in quanto come abbiamo appena visto il calcio attiva le proteine contrattili dei muscoli. Si sarebbe potuto aspettare, quindi, proprio il contrario; una continua contrazione ad alti livelli di calcio nel liquido extracellulare, e inattività a livelli bassi. Ma questo vuol dire aver con­fuso il calcio all'interno delle cellule con il calcio intorno alle cellule.

Il calcio esterno, o extracellulare, influisce sulla comunicazione tra cellula e cellula. Come abbiamo visto, le cellule regolano il loro livello

interno che è in larga misura indipendente dalle fluttuazioni del calcio fuori della cellula. Nessuno sa ancora con precisione in che modo il cal­cio influisca sulla trasmissione da cellula a cellula, ma gli effetti sono abbastanza chiari.

Poiché ogni scostamento dai livelli ottimali del calcio nel liquido ex­tracellulare interferisce con la comunicazione tra le cellule necessaria per il funzionamento coordinato degli organismi pluricellulari, si sono sviluppati dei meccanismi per mantenere entro quei limiti molto stret­ti i livelli del calcio nel liquido extracellulare. Questi meccanismi non solo sono della massima importanza per una buona salute, ma riguar­dano anche la grande quantità di calcio presente nello scheletro.

Molti biologi ritengono che il ruolo essenziale dello scheletro non sia quello strutturale o di sostegno, ma piuttosto quello di riserva di calcio e fosforo. Con una riserva interna, gli organismi diventano indipendenti dalle fluttuazioni giornaliere o stagionali del livello del calcio nell'am­biente acquatico circostante. Questo ruolo primordiale dello scheletro non è mai scomparso e rimane significativo, come vedremo, anche per gli esseri umani.

Tuttavia, noi tendiamo a pensare allo scheletro soprattutto in termi­ni di meccanica. Lo scheletro ci dà forma e rigidità. Ci rende possibile sollevare e trasportare, prendere e saltare. I pesci non hanno bisogno di uno scheletro come sostegno strutturale nello stesso modo in cui ne abbiamo bisogno noi, perché loro sono sostenuti esternamente dall'ac­qua. Ma quando gli organismi si trascinarono sulla terraferma dovette­ro procurarsi un sistema di sostegno (scheletri esterni nel caso di inset­ti, scheletri interni nel caso della maggior parte degli altri animali terre­stri). li tessuto osseo, che già esisteva come scorta tampone nei confronti delle fluttuazioni del livello del calcio nel liquido extracellulare, fu chia­mato a svolgere un nuovo compito: quello di sostegno meccanico.

La biologia evolutiva è piena di esempi di composti, strutture e per­sino funzioni che si sono formati per uno scopo e poi, in organismi più evoluti, si sono adattati a scopi diversi. Ma spesso, come nel caso del tessuto osseo, lo scopo primitivo non è andato perduto, anche se è di­venuto meno ovvio. Nel caso dello scheletro, il tessuto osseo funziona ancora come serbatoio di calcio. Se c'è una perdita di calcio dall'im­portante liquido extracellulare, l'organismo distruggerà parte dello scheletro per ricavarne il calcio che vi è contenuto. In effetti, questo processo di demolizione continuerà finché lo scheletro sarà talmente indebolito che non riuscirà più a sostenere il corpo.

In questo modo il liquido extracellulare, che contiene solo lo 0,1 di tutto il calcio nell'organismo, influisce in modo predominante sullo scheletro, che ne contiene circa il 99 per cento.