ANTOLOGIA
DI BRANI SPIRITUALI mistici e filosofi occidentali dei secoli XVIII-XX |
❍ Le
parole dello spirito all’alchimista (Cyliani, Hermes dévoilé )
❍ Il canto del
minatore (Novalis, Enrico di Ofterdingen
)
❍ Ciò che
l’acqua simboleggia (Novalis)
❍ L’ultima
pagina di Winckelmann (Dal trattato Storia dell’arte nell’antichità, ultima
pagina)
❍ Shelley, Mondi
e mondi precipitano
❍ William Blake, Tiger, tiger, burning bright
❍ William Blake, Attorno a me il mio spettro notte e giorno
❍ William
Blake, da I quattro Zoa
❍ William Blake, Vedere un mondo in un grano di sabbia
❍ Lascia infuriare il caos!
(Robert Frost, Pertinax)
❍ Fichte, L’Io e il
Non-io (Fondamenti dell’intera dottrina
della scienza)
❍ Giacomo
Leopardi, L’infinito
❍ Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante
dell’Asia
❍ Giacomo Leopardi, Coro di morti nello studio di Federico
Ruysch (Operette Morali)
❍ Søren Kierkegaard, O Dio che ci hai amato per primo
(Preghiere)
❍ John Henry Newman, Effonda
ovunque il tuo profumo
❍ Edgar Allan Poe, A dream
within a dream
❍ Charles
Baudelaire, Corrispondenze
❍ I fari (Baudelaire, I fiori del male)
❍ Huysmans, Il Dies irae (En route, I, I)
❍ Gerard
de Nerval, La visione del sole nero (Aurelia
)
❍ Walt Whitman, Rapida sorse in me
❍ Emily Dickinson, How
good to be alive
❍ Emily Dickinson, Alla mia sete sola ricompensa
❍ Emily Dickinson, Ho una sorella nella nostra casa
❍ Emily
Dickinson, da Ero della genziana
diffidente
❍ Emily Dickinson, Quando
conto i semi
❍ Emily Dickinson, Cuore! Lo dimenticheremo!
❍ Emily
Dickinson, Sottratta agli uomini –
stamani –
❍ Emily Dickinson, O babbo di lassù!
❍ Emily Dickinson, Lo vedo in ogni cosa che vola
❍ Emily
Dickinson, Lento discendi, o Paradiso
❍ Emily Dickinson, Sicuri nelle stanze di alabastro
❍ Emily
Dickinson, Sola non posso essere
❍ Emily Dickinson, Di tutti i suoni che l’aria diffonde
❍ Emily
Dickinson, In due diversi modi si matura
❍ Emily Dickinson, Il volto che io porterò con me
❍ Emily
Dickinson, Forse troppo domandai
❍ Emily
Dickinson, Se i nostri istanti migliori
❍ Emily Dickinson, Verde è il colore della tomba
❍ Emily
Dickinson, Così avviene con tenebre più
vaste
❍ Christina Rossetti, Who has seen the wind?
❍ Bertrand Arthur William
Russell, dalla Autobiografia (La
passione della verità)
❍ Gustav Meyrinck, Das grüne Gesicht
(Il volto verde)
❍ Giovanni Pascoli, Alexandros
❍ D’Annunzio, La sabbia del tempo
❍ D’Annunzio,
La sera fiesolana
❍ D’Annunzio, La pioggia nel pineto
❍ D’Annunzio, La visita alla madre
morente (Notturno , 84)
❍ D’Annunzio, La contemplazione della
morte (Notturno, 94)
❍ D’Annunzio, La notte nella casa d’Ilse,
a Parigi (Notturno, 102)
❍ D’Annunzio, Il vecchio nel giardino
di Kiel (Notturno, 102)
❍ D’Annunzio,
la “beffa di Buccari” (dai Canti della
guerra latina e dal Notturno)
❍ L’ostensione
mattutina del santo (D’Annunzio, Novelle
della Pescara )
❍ Teresa di Lisieux, Dal più piccolo fiore
❍ Teresa di Lisieux, dalla poesia
Quello che amai
❍ Suor Elisabetta della Trinità,
dalla lettera alla signorina Margherita Gollot, 16 ottobre 1900
❍ Rainer Maria Rilke, Rivela quel che giace in fondo a noi
❍ Rainer
Maria Rilke, Il povero tu sei
❍ Rainer Maria Rilke, Dona a ciascuno la sua morte
❍ Jacques Leclercq, Un giorno io verrò
❍ Elizaveta
Jur’evna, Ho accolto la vita
❍ Tutti gli uomini sognano (da I Sette Pilastri della Saggezza di T.E.
Lawrence)
❍ La sottile arte del demonio (Etudes carmelitaines, 1933, p. 11)
❍ Marthe Robin, Il velo d’ombra
❍ David
Maria Turoldo, A stento il nulla
❍ David Maria Turoldo, Mio ospite
❍ The Old Astronomer to his Pupil (Sarah Williams)
❍ Meditazioni sulla morte (Allan Edward
DePrey)
❍ Notte,
notte (antica filastrocca inglese)
❍ Il
canto degli angeli (Anthony De Mello)
❍ L’ultima cosa da vedere (Anthony De Mello)
❍ La bellezza interiore (Anthony De Mello)
❍ Le parole con cui Egli mi
parlava (Anthony De Mello)
❍ Una sola ora di vita (Anthony De Mello)
❍ L'oscurità
e la fiamma (Anthony De Mello)
❍ L’eterno fluire (Anthony De Mello)
❍ Per ogni fiore che sboccia (Anthony De Mello)
❍ Charles
Baudelaire, Elevazione (da I fiori del male )
❍ Il pensiero di Dio (Srinivasa Ramanujan, matematico)
❍ I matematici
(Vito Volterra)
❍ La
bellezza della matematica
❍ La dedica del nativo di Flatlandia agli
abitanti delle dimensioni superiori (Abbott, Flatlandia)
❍ Le ombre delle persone scomparse (Andrew
Hagan, The Missing)
❍ L’incisione sulla soglia della
stanza della caccia infernale (Clive Barker, Il canyon delle ombre)
❍ Essere uomo
(Rudyard Kipling)
❍ La contemplazione del filosofo
(Bertrand Russell, I problemi della
filosofia)
❍ Elogio dell’ombra (Jorge Luis Borges)
❍ Il passo d’addio (Cristina Campo)
❍ La voce degli alberi (Robert
Frost)
❍ Furono ultime a staccarsi le
voci
(Margherita Guidacci)
❍ Il canto dell’ora presente (Victor Hugo)
❍ Uno sconosciuto è il mio amico (Par Lagerkvist)
❍ Da Alla
sua donna (Giacomo Leopardi)
❍ El pueblo quieto (Federico Garcìa Lorca)
❍ Da Il giorno (Robert Lowell)
❍ Ascoltate! (Vladimir Majakovskij)
❍ Canto funebre (Herman
Melville, Clarel, pellegrinaggio in Terrasanta)
❍ Da
Vieni creatore (Czeslaw Milosz)
❍ La potentissima morte m’invitò più
volte (Pablo Neruda, Canto generale)
❍ Verrà
la morte e avrà i tuoi occhi (Cesare
Pavese)
❍ Litania notturna (Ezra Pound)
❍ Saliremo sugli altipiani (Antonia Pozzi)
❍ Mi sembra che saprei aspettare
la tua voce per secoli (Antonia Pozzi)
❍ Qualunque cosa tu faccia (Clemente Rebora)
❍ Gli angeli
(Rainer Maria Rilke)
❍ La luce nella tua mano (Peter Wild)
❍ Le proprie paure (Jean Déchanet)
❍ Come alberi
(David Maria Turoldo)
❍ Ogni volta che ti sentirai
smarrita (Susanna Tamaro)
❍ La visione spirituale
(Ludwig Hohl)
❍ L’ultima rosa (da una poesia di Attilio Bertolucci)
❍ Misteriosa è la rosa (Ruggero Guarini)
❍ Io sono la sabbia nella
clessidra (Rose Ausländer)
❍ E’ pur sempre un prodigio
sperare (David Maria Turoldo)
❍ Un altro giorno, un’altra
notte ancora (Attilio Bertolucci)
❍ Il vero amore (Bede Griffiths)
❍ La potenza della
meditazione (Bede Griffiths)
❍ Si fatica per anni (Leonardo Sinisgalli)
❍ Chi
ama non riconosce (Leonardo Sinisgalli)
❍ Le radici (Hans
Leopold Davi)
❍ Benedetta tu, nuda materia (Teilhard de Chardin)
❍ Loto
immacolato (Franz Fassbind)
❍ Ama
i tuoi nemici (Norbert Loacker)
❍ Preghiera di un
alpino la notte prima di essere ucciso in combattimento
❍ Oh i camini sulle ingegnose
dimore della morte (poesia ebraica
sull’Olocausto)
❍ Poesia per i
bambini dei campi di concentramento
❍ Dalle ultime
lettere di Vincent Van Gogh ai familiari
❍ Se è in me qualcosa che è più
di me (Maurice Blondel)
Quando sono sola nell’oscurità
e l’universo rivela ancora un altro segreto, dico i nomi delle mie lontane,
perdute sorelle, dimenticate nei libri che registrano la nostra scienza –
Aganice, Ipazia, Ildegarda di Bingen, Catherina Hevelius, Maria Agnesi – come
se le stelle stesse potessero ricordarle. Sapevi che Ildegarda di Bingen
propose un universo eliocentrico trecento anni prima che lo facesse Copernico?
Che scrisse della gravitazione universale cinquecento anni prima di Newton? Ma chi
l’avrebbe ascoltata? Era solo una monaca, una donna. Che era sarebbe la nostra,
se quella era oscura? Così il mio nome, anch’esso, sarà dimenticato, ma io non
sono accusata di essere una strega, come Aganice, e i cristiani non minacciano
di condurmi alla chiesa, di uccidermi, come fecero ad Ipazia ad Alessandria,
l’eloquente giovane donna che ideò gli strumenti atti a misurare accuratamente
la posizione e il movimento dei corpi celesti.
❍ Le parole dello spirito
all’alchimista (Cyliani, Hermes dévoilé
)
Non aggiungerò alcuna
riflessione per non aggravare le tue disgrazie, io posso addolcirle. La mia
essenza è celeste, tu puoi anzi considerarmi una deiezione della stella polare.
La mia potenza è tale, che io animo tutto: Io sono lo spirito astrale, dono la
vita a tutto ciò che respira e vegeta, conosco tutto. Parla: cosa posso fare
per te?
Così chiediamo e chiediamo fin
quando un pugno di terra ci viene a chiuder la bocca: ma che risposta è mai
questa?
❍ Il canto del minatore (Novalis, Enrico di Ofterdingen )
E’
signore della terra chi misura le sue profondità e dimentica nel suo seno ogni
affanno.
Chi
intende la segreta costruzione delle sue membra rocciose e discende
infaticabile per lavorarla.
A
lei è congiunto e intimamente affidato, e si infiamma di lei, come della sua
sposa.
Ogni
giorno la guarda con nuovo amore: non lo spaventa nessun sforzo e nessun
travaglio, ed ella non gli dà mai riposo.
Ma
è sempre pronta benignamente a svelargli le potenti storie di tempi da lungo
trascorsi.
I
venti sacri della preistoria spirano attorno al suo volto, e la notte degli
abissi raggia su lui una luce eterna.
Su
tutte le strade egli incontra un ben conosciuto paese, ed ella volentieri
accoglie l’opera della sua mano.
Tutte
le acque lo seguono soccorrenti su per il monte, e il grembo di ogni roccia gli
apre i suoi tesori.
Alla
casa del suo re egli guida i fiumi d’oro e i diademi adorna con nobili gemme.
Sicuro
e fedele egli stende al re la mano che riccamente dona, ma poco ne domanda, e
in gioia resta povero.
Possano
gli altri insanguinarsi giù nel piano per terre e per denaro: sulle alte
montagne egli resta il dominatore della terra.
❍ Ciò che l’acqua simboleggia
(Novalis)
Il liquido isola il solido e
viceversa. Il liquido non si potrà forse chiamare corpo: esso è il caos
sensibile
❍ L’ultima pagina di Winckelmann
(Dal trattato Storia dell’arte
nell’antichità, ultima pagina)
Come
la donna amata che dalla riva del mare segue con gli occhi colmi di pianto
l’amato che si allontana (…), anche a me, come alla donna amata, resta solo
l’ombra dell’oggetto dei miei desideri [l’arte classica]
❍ Shelley, Mondi e mondi precipitano
Mondi e mondi precipitano
dalla loro creazione fino al
dissolvimento;
come bolle d’aria trascinate
da un fiume, brillano e
scoppiano.
❍ William Blake, Tiger, tiger, burning bright
Tigre! Tigre! Divampante
fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l’immortale mano o
l’occhio
Ch’ebbe la forza di formare
La tua agghiacciante simmetria?
❍ William Blake, Attorno
a me il mio spettro notte e giorno
Il mio coltello ha privato di
vita sette miei amori
Il mio spettro ha costruito
loro tombe di marmo con le lacrime del ricordo
e con le fredde, raggelanti
paure.
Sette altri amori piangono
notte e giorno intorno alle tombe.
E ogni notte sette altri amori
vigilano intorno al giaciglio del ricordo con torce splendenti.
E altri sette amori incoronano
d’ebrietà il loro cupo ricordo.
Finché non mi distolga
dall’amore di donna
Finché non sradichi l’infernale
roveto
Degno non diverrò
Di varcare l’Eterno
E la vegetazione d’inferno
venga sradicata.
E allora avverrà che tornati
vedremo
I mondi di felice eternità.
❍ William Blake, da I quattro Zoa
Ma subito sorse una voce dentro
la notte, un fondo grido notturno sopra le montagne:
"Destati, ecco lo
Sposo!"
Mi destai per non addormentarmi
più.
❍ William Blake, Vedere
un mondo in un grano di sabbia
Vedere un mondo in un grano di
sabbia,
E un cielo in un fiore
selvatico,
Tieni l’infinito nel palmo di
una mano,
E l’Eternità in un’ora.
Il tempo trafigge il rigoglio
della giovinezza
e scava solchi sulla fronte
della bellezza,
si nutre delle preziose rarità
della natura,
e nulla esiste se non per
essere mietuto dalla sua falce
❍ Lascia infuriare il caos! (Robert Frost, Pertinax)
Let
chaos storm!
Let
clouds shapes swarm!
I wait for form.
Lascia
infuriare il caos!
Lascia
correre le nubi dai contorni
mutevoli!
E’ la forma ch’io aspetto.
❍ Fichte, L’Io e il Non-io (Fondamenti dell’intera dottrina della
scienza)
Il Non-Io è esso stesso un
prodotto dell’Io che determina se stesso, e non è nulla di assoluto o posto
fuori dell’Io
❍ Giacomo Leopardi, L’infinito
Sempre
caro mi fu quest’ermo colle,
E
questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo
orizzonte il guardo esclude.
Ma
sedendo e mirando, interminati
Spazi
di là da quella, e sovrumani
Silenzi,
e profondissima quiete
Io
nel pensier mi fingo1; ove per poco
Il
cor non si spaura. E come il vento
Odo
stormir tra queste piante, io quello
Infinito
silenzio a questa voce
Vo
comparando: e mi sovvien l’eterno,
E
le morte stagioni, e la presente
E
viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità
s’annega il pensier mio:
E
il naufragar m’è dolce in questo mare.
(1) Immagino, quasi dando una forma a quanto ogni
forma rifiuta
❍ Giacomo Leopardi, Canto
notturno di un pastore errante dell’Asia
Che
fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa
luna?
…
Ancor
non sei tu paga
Di
riandare i sempiterni calli?
…
Dimmi,
o luna: a che vale
Al
pastor la sua vita,
La
vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo
vagar mio breve,
Il
tuo corso immortale?
…
Se
la vita è sventura,
Perché
da noi si dura?
Tu
forse intendi,
Questo
viver terreno,
Tu
certo comprendi
Il
perché delle cose, e vedi il frutto
Del
mattin, della sera,
Del
tacito, infinito, andar del tempo.
…
Quando
miro in cielo arder le stelle;
A
che tante facelle?
Che
fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito
seren? che vuol dir questa
Solitudine
immensa? ed io che sono?
…
Degli
eterni giri,
Dell’essere
mio frale,
Qualche
bene o contento
Avrà
fors’altri; a me la vita è male.
Forse
s’avess’io l’ale
Da
volar su le nubi,
E
noverar le stelle ad una ad una,
Più
felice sarei, candida luna.
O
forse erra dal vero,
Mirando
all’altrui sorte, il mio pensiero:
Forse
in qual forma, in quale
Stato
che sia, dentro covile o cuna,
E’
funesto a chi nasce il dì natale.
(1) Mantenere
(2) L’universo
(3) Il genere umano
(4) Anch’io, al pari del gregge, provo pochi
piaceri
Sola nel mondo eterna, a cui si
volve
Ogni creata cosa,
In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura1;
LIeta no, ma sicura
Dall’antico2 dolor.
Profonda notte
Nella confusa mente3
Il pensier grave4
oscura;
Alla speme, al desio, l’arido
spirto5
Lena mancar si sente:
Così d’affanno e di temenza è
sciolto,
E l’età vote e lente
Senza tedio consuma.
Vivemmo: e qual di paurosa
larva,
E di sudato sogno,
A lattante fanciullo erra
nell’alma
Confusa ricordanza:
Tal memoria n’avanza
Del viver nostro: ma da tema è
lunge
Il rimembrar. Che fummo?
Che fu quel punto acerbo
Che di vita ebbe nome?
Cosa arcana e stupenda
Oggi è la vita al pensier
nostro, e tale
Qual de’ vivi al pensiero
L’ignota morte appar. Come da
morte
Vivendo rifuggia, così rifugge
Dalla fiamma vitale
Nostra ignuda natura;
Lieta no ma sicura,
Però ch’esser beato
Nega ai mortali e nega a’ morti
il fato.
(1) Essere privo di vita
(2) Alla "confusa mente" dei morti il
dolore si presenta come ricordo indefinitamente remoto
(3) Memoria confusa dei morti
(4) Appesantito, privo dell’agile vivacità con cui
si muove nella mente dei vivi
(5) La mente del morto è un terreno infecondo per
il prodursi dei sentimenti che sono connessi con la vita
❍ Søren Kierkegaard, O
Dio che ci hai amato per primo (Preghiere)
Quando mi allontano dalle
distrazioni,
e mi raccolgo per pensare a te,
tu sei stato il primo.
E così sempre.
Die
Energie der Welt ist kostant. Die Entropie der Welt strebt einem Maximum zu“ 1
(1) L’energia dell’universo è costante, mentre
l’entropia dell’universo tende ad un massimo
Il principio dell’entropia
esprime il fatto che tutte le trasformazioni che si effettuano in natura
possono aver luogo da se stesse […] in un senso determinato […] ma che esse non
possono aver luogo in senso contrario […] a meno che non siano compensate da
trasformazioni positive simultanee. L’applicazione di questo principio positivo
all’intero Universo conduce a una conclusione […] Se, in effetti, in tutti i
cambiamenti di stato che hanno luogo nell’Universo, le trasformazioni in un
certo senso sopravvanzano quelle di senso contrario, lo stato dell’Universo
deve modificarsi sempre più nel primo senso, e l’Universo deve avvicinarsi
incessantemente a uno stato limite.
❍ John Henry Newman, Effonda
ovunque il tuo profumo
Inonda la mia anima del tuo
Spirito
e della tua vita.
Rimani in me.
Allora risplenderò del tuo
splendore
e potrò fare da luce per gli
altri.
❍ Edgar Allan Poe, A dream within a dream
Tutto
ciò che vediamo o sembriamo
non
è altro che un sogno in un sogno
❍ Charles Baudelaire, Corrispondenze
E’
un tempio la Natura ove viventi
pilastri
a volte confuse parole
mandano
fuori; la attraversa l’uomo
tra
foreste di simboli dagli occhi
familiari.
I profumi e i colori
e
i suoni si rispondono come echi
lunghi
che di lontano si confondono
in
unità profonda e tenebrosa,
vasta
come la notte ed il chiarore.
Esistono
profumi freschi come
carni
di bimbo, dolci come gli òboi,
e
verdi come praterie; e degli altri
corrotti,
ricchi e trionfanti, che hanno
l’espansione
propria alle infinite
cose,
come l’incenso, l’ambra, il muschio,
il
benzoino, e cantano dei sensi
e
dell’anima i lunghi rapimenti.
❍ I fari (Baudelaire, I fiori del male)
Rubens, fiume d’oblio, giardino della
pigrizia,
guanciale di carne fresca ove non si può
amare,
ma la vita affluisce e vibra senza tregua,
come l’aria nel cielo e il mare nel mare;
Leonardo da Vinci, specchio profondo e
oscuro,
ove angeli stupendi, con un dolce riso
tutto pieno di mistero, appaiono dall’ombra
dei ghiacciai e dei pini che chiudono quei
luoghi;
Rembrandt, triste ospedale pieno di
lamenti,
e decorato soltanto d’un gran crocefisso,
ove la preghiera in lacrime sale dalle
piaghe,
e violentemente traversato d’un raggio
invernale.
Michelangelo, spazio vago ove si vedono
Ercoli
confondersi a Cristi, e alzarsi diritti
fantasmi potenti che nei tramonti
stracciano i loro sudari con la forza delle
mani;
rabbia di boxeur, impudenze di fauno,
tu che hai saputo raccoglier la beltà dei
ceffi,
gran cuore pieno d’orgoglio, uomo fiacco e
giallo,
Puget, malinconico imperatore dei forzati;
Watteau, carnevale ove molti cuori
illustri,
come farfalle, errano e s’incendiano,
ornamenti freschi e leggeri tra splendori
che danno follia a questo ballo vorticoso;
Goya, incubo ricco di realtà sconosciute,
di feti messi a cuocere al centro dei
sabba,
di vecchie allo specchio e di fanciulle
ignude,
che per tentare i demoni aggiustano le
calze;
Delacroix, lago di sangue sfiorato da
angeli perversi,
adombrato da un sempre verde bosco d’abeti,
ove, sotto un cielo opprimente, strambe
fanfare
passano, come un sospiro soffocato di
Weber.
Queste maledizioni, bestemmie, pianti,
queste estasi, grida, lacrime, e questi Te
Deum, sono un eco ripetuto per mille labirinti,
per i cuori mortali un oppio divino!
E’ un grido ridato da mille sentinelle,
un ordine rilanciato da mille messaggeri:
è un faro acceso su mille cittadelle,
un richiamo di cacciatori perduti nei
grandi boschi!
Perché veramente, Signore, la miglior
testimonianza
che noi possiamo dare della nostra dignità
è questo ardente singhiozzo che va di era
in era
e viene a morire al confine della vostra
eternità!
Dapprima
fu studio. Scrivevo silenzi, notti, notavo l’inesprimibile. Fissavo delle
vertigini.
A
nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
io
dirò un giorno i vostri ascosi nascimenti:
A
nero vello al corpo delle mosche lucenti
che
ronzano al di sopra dei crudeli fetori
golfi
d’ombra; E, candori di vapori e di tende,
lance
di ghiaccio, brividi di umbelle, bianchi re;
I,
porpore, rigurgito di sangue, labbra belle
che
ridono di collera, di ebbrezza penitente;
U,
cicli, vibrazioni sacre dei mari viridi,
quiete
di bestie al pascolo, quiete dell’ampie rughe
che
alle fronti studiose imprime l’alchimia.
O,
la suprema Tuba piena di stridi strani,
silenzi
attraversati dagli Angeli e dai Mondi:
-
O, l’Omega ed il raggio violetto dei Suoi Occhi!
❍ Huysmans, Il Dies irae (En route, I, I)
Era
il grido della desolazione assoluta e del terrore.
E
in effetti la collera divina soffiava tempestosa in quelle strofe.
Esse
sembravano indirizzarsi meno al Dio di misericordia, al Figlio inesorabile, che
al padre inflessibile, a Colui che l’Antico Testamento ci mostra stravolto dal
furore, malamente quietato dalle fumigazioni dei roghi, dalle incomprensibili
attrattive degli olocausti. In questo canto si ergeva ancora più feroce, perché
minacciava di sconvolgere le acque, di fracassare i monti, di sventrare a colpi
di folgore, gli oceani del cielo. E la terra spaventata gridava di paura.
❍ Gerard de Nerval, La visione del
sole nero (Aurelia )
Credevo
di vedere un sole nero nel cielo deserto e un globo rosso sangue sopra le
Tuileries. Mi dissi: "La notte eterna comincia e sarà terribile. Che
capiterà quando gli uomini si accorgeranno che non c’è più il sole?"
❍ Walt Whitman, Rapida sorse in me
Rapida
sorse in me, e per me si diffuse la pace e la scienza,
che
superano ogni terrestre argomento,
E
so che la mano di Dio è la promessa della mia,
E
so che lo spirito di Dio è fratello del mio.
❍ Emily Dickinson, How good to be alive
How good to be alive
How infinite to be alive twofold
The birth I had
And this, besides in you1
E’ stupendo essere vivi
E’ infinito esserlo due volte
Perché sono nata alla vita
E ora anche perché sono nata dentro
di te.
❍ Emily Dickinson, Alla mia sete sola ricompensa
Chiedo
da bere
sapendo
che alla mia sete
sola
ricompensa,
sono
le grandi acque a occidente –
chiamate
immortalità.
❍ Emily Dickinson, Ho una sorella nella nostra casa
Ho una sorella nella nostra casa,
ed una alla distanza di una
siepe.
Di queste una soltanto è
registrata,
ma entrambe mi appartengono.
Una venne dalla mia stessa
strada
ed indossava le mie gonne
smesse;
l’altra come un uccello fece il
nido
fra i nostri cuori.
Il suo canto non somigliava al
nostro,
aveva un’altra melodia.
Era in se stessa musica,
come l’ape di giugno.
Oggi siamo lontane
dall’infanzia,
ma su e giù per i colli
tengo più stretta la sua mano,
che abbrevia le miglia,
e sempre la sua musica,
nel passare degli anni,
inganna la farfalla;
e nei suoi occhi
restano le viole
che avvizziron da molte
primavere.
Io versai la rugiada
ma serbai la mattina –
io scelsi questa sola stella
dalle vaste regioni della notte
–
o Sue – per sempre!
❍ Emily Dickinson, da Ero della genziana diffidente
Così le guglie della sera
bruciano
negli occhi che si chiudono –
e il cielo sta sospeso, lontano
da mani di quaggiù.
❍ Emily Dickinson, Quando conto i semi
Quando conto i semi
sparsi sottoterra
che poi fioriranno –
quando penso a tanti
che giacciono là sotto
e che saranno accolti in alto –
e quando credo nel giardino
che i mortali non vedono,
quando colgo i suoi fiori con
la fede
e ne scanso le api,
so allora rinunziare a
quest’estate
senza rimpianto.
❍ Emily Dickinson, Cuore! Lo dimenticheremo!
Cuore! Lo dimenticheremo!
tu ed io – questa notte!
Tu scorderai il calore che ci
dava –
io scorderò la luce!
Quando hai finito, dillo –
sicché incominci io!
Svelto, perché se indugi
io lo ricorderò!
❍ Emily Dickinson, Sottratta agli uomini – stamani –
Sottratta agli uomini – stamani
–
trasportata da uomini
quest’oggi –
accolta dagli dei con vessilli
–
che via di qui la scortarono –
Una bambina – sottratta ai
compagni –
un’allieva di meno nella scuola
–
Ospiti in abbondanza ha il
Paradiso –
non c’è una stanza libera –
Lontani – come dalla sera l’Est
–
pallidi – come stella di
confine –
i nostri morti sono i
cortigiani
bizzarri, di case regali.
❍ Emily Dickinson, O babbo di lassù!
O padre di lassù!
considera il topolino
ucciso dal gatto!
Serbagli una dimora nel tuo
regno!
Ch’egli possa in serafiche
dispense
tutto il giorno tranquillo
rosicchiare,
mentre cicli
solenni,inconsapevoli,
ruotano intorno a lui!
❍ Emily Dickinson, Lo vedo in ogni cosa che vola
Gilbert godeva dei segreti… Con
quale minaccia di luce gridava: “non dirlo, zia Emily…”. Non conosceva momenti
avari, la sua vita era piena di tesori; I giocattoli dei dervisci erano meno
stravaganti dei suoi… Lo vedo nella stella e ritrovo la sua velocità in ogni
cosa che vola…
❍ Emily Dickinson, Lento discendi, o Paradiso
Come
slowly –
Lips
unused to Thee –
Bashful
– sip thy Jessamines –
As
the Fainting Bee –
Reaching
late his flower,
Round
her chambers hums –
Counts
his nectars –
Enters
– and is lost in Balms
Lento
discendi, Paradiso
Labbra
a te non avvezze
Timide
delibano i tuoi effluvi di gelsomino,
Come
l’ape vinta d’ebbrezza
Che
raggiunse tardi il proprio fiore
Sussurra
intorno al suo talamo,
Conta
i suoi nettari – entra
Ed
è perduta nei balsami.
❍ Emily Dickinson, Sicuri nelle stanze di alabastro
Safe
in their alabaster chambers –
Untouched
by Morning
And
Untouched by
Sleep
the meek members of the Resurrection –
Rafter
of satin
And
Roof of stone
Grand
go the Years – in the Crescent – above them –
Worlds
scoop their Arcs –
And
Firmaments – row –
Diadems
– drop – and Doges – surrender –
Soundless
as dots – on a Disc of Snow
Sicuri
nelle stanze di alabastro,
dove
l’alba e il meriggio non li sfiorano,
dormono
i miti membri della resurrezione
sotto
travi di raso, con un tetto di pietra.
Solenni
vanno gli anni,
di
sopra, nel cielo illuminato dalla luna
i
mondi scivolano lungo le loro orbite
cadono
le corone e si arrendono i dogi
taciti
come bruscoli su un disco di neve immacolata.
❍ Emily Dickinson, Sola non posso essere
Alone,
i cannot be –
The
Hosts – do visit me –
Recordless
Company –
Who
baffle Kay –
They
have no Robes, nor Names –
No
Almanacs – nor Climes –
But
general Holmes
Lime
Gnomes –
Their
Coming, may be known
By
Couriers within –
Their
going – is not –
For
they’re never gone –
Mi
è impedito di esser sola –
mi
visitano gli ospiti –
creature
inafferrabili
che
eludono la chiave
non
hanno vesti, o nomi –
non
calendari o stagioni –
ma
dimore comuni
come
spiriti della terra
Il
loro arrivo possono annunciarlo
intimi
messaggeri –
ignota
è la partenza –
ché
non partono mai
❍ Emily Dickinson, Di tutti i suoni che l’aria diffonde
Of
all the sounds despatched abroad,
There’s
not a Charge
Like
that old measure in the Boughs –
That
phraseless Melody –
The
Wind does – working like a Hand,
Whose
fingers Comb the Sky –
Then
quiver down – with tufts of Tune –
Permitted
Gods, and me
I
cannot vouch the merry Dust
Do
not arise and play
In
some odd fashion of it’s own,
Some
quainter
When
Winds go round and round in Bands –
And
thrum upon the door,
And
Birds take places, overhead,
To
bear them orchestra.
Di
tutti i suoni che l’aria diffonde
nessun
altro mi turba
come
l’antico ritmo dei rami;
melodia
senza frase
che
il vento fa, a sembianza di una mano,
le
cui dita sfiorano il cielo,
poi
tremando discendono con refoli di armonia
concesse
a me e agli dei
La
polvere danza forse in festa
quando
i venti girano attorno, a schiere,
e
battono alla porta
e
gli uccelli conquistano le altezze
a
formare un’orchestra.
❍ Emily Dickinson, In due diversi modi si matura
There
are two Ripenings – one – of sight –
Whose
forces Spheric wind
Until
the Velvet product
Drop
spicy to the ground -
A
homelier maturing –
A
process in the Bur –
That
teeth of Frosts alone disclose
In
far October air
In
due diversi modi si matura –
uno
lo vedi, e le sue forze ruotano
a
sfera, finché il frutto vellutato
scivola
a terra, carico di aromi –
è
l’altro un maturare più segreto,
un
tormeto nel mallo –
solo
i denti del gelo lo disserrano
nell’aria
dell’ultimo Ottobre.
❍ Emily Dickinson, Il volto che io porterò con me
The
face I carry with me – last –
When
I go out of Time –
To
take my Rank – by – in the West
That
face – will just be thine –
I’ll
hand it to the Angel –
As
one that bore her Master’s name –
Sufficient
Royalty!
Il
volto che io porterò con me – infine –
quando
emigrerò dal tempo –
Per
prendere il mio rango ad Occidente –
quel
volto altro non sarà che il tuo -
La
mostrerò all’Angelo
Come
colei che vanta come titolo regale
il
nome di chi le è stato maestro.
❍ Emily Dickinson, Forse troppo domandai
Perhaps
I asked too large –
I
take – no less than skies –
For
Earths, grow thick as
Berries,
in my native town –
My
Basket holds – just – Firmaments –
Those
– dangle easy – on my arm,
But
smaller bundles – Cram.
Forse
troppo domandai –
ma
non voglio che cieli –
perché
terre ce n’è fin troppe, crescono
simili
a bacche, nella mia città –
Porto
nel mio canestro firmamenti –
che
sul mio braccio dondolano lievi,
ma
più piccoli involti non ci stanno.
❍ Emily Dickinson, Se i nostri istanti migliori
Did
our best moment last –
‘Twould
supersede the Heaven –
A
few – and they by Risk – procure –
So
this Sort – are not given –
Except
as stimulants – in
Cases
of Despair –
Or
Stupor – The Reserve –
These
Heavenly Moments are –
A
Grant of the Divine –
That certain as it Comes –
Withdraws
– and leaves the dassled Soul
In
her unfurnished Rooms.
Rari
sono i momenti divini,
dati
come rimedio alla disperazione o allo stupore
Una
concessione che certa come viene
si
ritrae, e lascia l’anima abbagliata
nella
sua vuota dimora.
❍ Emily Dickinson, Verde è il colore della tomba
The
color of the Grave is Green –
The
Outer Grave – I mean –
You
would not know it from the Field –
Except
it own a stone –
The
color of grave is white –
The
outer Grave – I mean –
You
would not know it from the Drifts –
In
winter – till the sun
Has
furrowed out the Aisles
The
color of the Grave within
The
Duplicate – I mean –
Not
all the Snows c’d make it white –
Not
all the summers – Green
You’ve
seen the Color - maybe –
Upon
a Bonnet Bound
Verde
è il colore della tomba – all’esterno –
non
potresti distinguerla dall’erba –
se
non la coprisse una pietra –
Bianco
è il colore della tomba – in inverno –
non
potresti distinguerla dai mucchi di neve –
se
il sole sciogliendo
non
rivelasse le punte delle dimore dei nostri cari –
Il
colore della tomba dentro –
l’hai
visto sul nastro nero di un cappello –
tutte
le nevi non potrebbero farlo bianco –
nessuna
estate lo potrà inverdire.
❍ Emily Dickinson, Così avviene con tenebre più vaste
A
moment – we uncertain step
For
newness of the night –
Then,
fit our vision to the Dark –
And
meet the Road – erect –
And
so of larger – Darknesses –
Those
Evenings of the Brain –
When
not a Moon disclose a sign –
Or
Star – Come out within
Così
avviene con tenebre più vaste –
quelle
notti dell’anima
in
cui nessuna luna ci fa segno,
nessuna
stella interiore si mostra.
Per
un momento ci muoviamo incerti
perché
la notte ci rimane nuova,
ma
poi la vista si adatta alla tenebra
e
affrontiamo la strada a testa alta.
❍ Christina Rossetti, Who has seen the wind?
Who
has seen the wind?
Neither
I nor you;
But
when the leaves hang trembling
The
wind is passing through.
Who
has seen the wind?
Neither
you nor I;
But
when the trees bow down their heads
The
wind is passing by.
Chi
ha visto il vento?
Né
io né voi;
Ma
quando le foglie si agitano tremule dal ramo
Il
vento sta attraversando le fronde.
Chi
ha visto il vento?
Né
voi né io;
Ma
quando gli alberi chinano le loro chiome
Il
vento sta passando.
❍ Bertrand Arthur William Russell, dalla Autobiografia (La passione della verità)
Tre
grandi passioni semplici ma irresistibili hanno governato la mia vita: la sete
d’amore, la ricerca della conoscenza e una struggente pietà per le sofferenze
dell’umanità.
Ogni giudizio ordinario, ogni
cosa che possiamo dire intorno al mondo, è crivellato di contraddizioni, ed è
quindi mera Apparenza e non Realtà.
❍ Gustav Meyrinck, Das grüne Gesicht (Il volto verde)
La lotta per l’immortalità è
una battaglia per il dominio sui suoni e sui fantasmi che hanno in noi la loro
dimora.
Questo è tutto ciò che te ne
posso dire. Ogni consiglio che ti si voglia dare riguardo codesta lotta è
veleno. Qui c’è uno scoglio ad evitare e sorpassare, al che non puoi provvedere
che tu stesso. Raggiunto che tu abbia questo stato s’avanza il regno degli
spettri.
Cammina in questo modo da
risveglio a risveglio.
Non v’è pensiero tormentoso che
così tu non possa sbandire; esso resta indietro e non può più sollevarsi fino a
te; tu lo sovrasti, così come la corona di un albero cresce spaziando al
disopra dei rami inariditi.
Cadranno da te i dolori come
foglie appassite, una volta che tu sia tanto innanzi, che codesto risveglio
s’impossessi del tuo stesso corpo.
Una fenice tu sarai diventato.
Ottenere di violenza quel dono è cosa che sta in tuo potere.
❍ Giovanni Pascoli, Alexandros
Il
sogno è l’infinita ombra del Vero.
Gèmmea
l’aria, il sole così chiaro
che
tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e
del prunalbo l’odorino amaro
senti
nel cuore…
Ma
secco è il pruno, e le stecchite piante
di
nere trame segnano il sereno,
e
vuoto il cielo, e cavo al pié sonante
sembra
il terreno.
Silenzio,
intorno: solo, alle ventate,
odi
lontano, da giardini ed orti,
di
foglie un cader fragile. E’ l’estate,
fredda,
dei morti.
❍ D’Annunzio, La sabbia del tempo
Come
scorrea la calda sabbia lieve
per
entro il cavo della mano in ozio,
il
cor sentì che il giorno era più breve.
E
un’ansia repentina il cor m’assalse
per
l’appressar dell’umido equinozio
che
offusca l’oro delle piagge salse.
Alla
sabbia del Tempo urna la mano
era,
clessidra il cor mio palpitante,
l’ombra
crescente d’ogni stelo vano
quasi
ombra d’ago in tacito quadrante.
❍ D’Annunzio, La sera fiesolana
Fresche le mie parole nella
sera
Ti sien come il fruscìo che fan
le foglie
Del gelso ne la man di chi le coglie
Silenzioso e ancor s’attarda a
l’opra lenta
Su l’alta scala che s’annera
Contro il fusto che
sì’inargenta
Con le sue rame spoglie
Mentre la Luna è prossima a le
soglie
Cerule e parche innanzi a sé
distenda un velo
Ove il nostro sogno si giace
E par che la campagna già si
senta
Da lei sommersa nel notturno
gelo
E da lei beva la sperata pace
Senza vederla.
Laudata sii pel tuo viso di
perla,
o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi
occhi ove si tace
l’acqua del cielo|
Dolci le mie parole ne la sera
Ti sien come la pioggia che
bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la
primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su
le viti
e sui pini dai novelli rosei
diti
che giocano con l’aura che si
perde,
e su ’l grano che non è iondo
ancòra
e non è verde,
e su ‘l fieno che già patì la
falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli
olivi
che fan di santità pallidi i
clivi
e sorridenti.
Laudata sii per le tue vesti
aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti
cinge come il salce
il fien che odora!
Io ti dirò verso quali reami
D’amor ci chiami il fiume, le
cui fonti
Eterne a l’ombra de gli antichi
rami
Parlano nel mistero sacro dei
monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi
orizzonti
s’incùrvino come labbra che un
divieto
chiuda, e perché la volontà di
dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre
novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l’anima le possa
amare
d’amor più forte.
Laudata sii per la tua pura
morte,
o Sera, e per l’attesa che in
te fa palpitare
le prime stelle!
❍ D’Annunzio, La pioggia nel pineto
Taci.
Su le soglie
del
bosco non odo
parole
che dici
umane1;
ma odo
parole
più nuove
che
parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta.
Piove
dalle
nuvole sparse.
Piove
su le tamerici
salmastre
ed arse,
piove
su i pini
scagliosi
ed irti,
piove
su i mirti divini,
su
le ginestre fulgenti
di
fiori accolti2,
su
i ginepri folti
di
coccole3 aulenti,
piove
su i nostri vòlti
silvani.
piove
su le nostre mani
ignude,
su
i nostri vestimenti
leggieri,
su
i freschi pensieri
che
l’anima schiude
novella,
su
la favola bella
che
ieri
t’illuse,
che oggi m’illude,
o
Ermione.
Odi?
La pioggia cade
su
la solitaria
verdura
con
un crepitìo che dura
e
varia nell’aria
secondo
le fronde
più
rade, men rade.
Ascolta.
Risponde
al
pianto il canto
delle
cicale
che
il pianto australe5
non
impaura,
né
il ciel cinerino.
E
il pino
ha
un suono, e il mirto
altro
suono, e il ginepro
altro
ancòra, stromenti
diversi
sotto
innumerevoli dita.
E
immersi
noi
siam nello spirto
silvestre,
d’arborea
vita viventi;
e
il tuo vòlto ebro
è
molle di pioggia
come
una foglia,
e
le tue chiome
auliscono
come
le
chiare ginestre,
o
creatura terrestre
che
hai nome
Ermione.
Ascolta,
ascolta. L’accordo
delle
aeree cicale
a
poco a poco
più
sordo
si
fa sotto il pianto
che
cresce;
ma
un canto vi si mesce
più
roco
che
di laggiù sale,
dall’umida
ombra remota6.
Più
sordo e più fioco
s’allenta,
si spegne.
Sola
una nota
ancor
trema, si spegne,
risorge,
trema, si spegne.
Non
s’ode voce del mare.
Or
s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea
pioggia
che
monda,
il
croscio che varia
secondo
la fronda
più
folta, meno folta.
Ascolta.
La
figlia dell’aria
è
muta; ma la figlia
del
limo lontana,
la
rana,
canta
nell’ombra più fonda,
chi
sa dove, chi sa dove!
E
piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove
su le tue ciglia nere
sì
che par tu pianga
ma
di piacere; non bianca
ma
quasi fatta virente,
par
da scorza tu esca.
E
tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il
cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra
le pàlpebre gli occhi
son
come polle tra l’erbe,
i
denti negli alvèoli
son
come mandorle acerbe7.
E
andiam di fratta in fratta,
or
congiunti or disciolti
(e
il verde vigor rude
ci
allaccia i mallèoli8
c’intrica
i ginocchi)
chi
sa dove, chi sa dove!
E
piove sui i nostri vòlti
silvani,
piove
su le nostre mani
ignude,
su
i nostri vestimenti
leggieri,
su
i freschi pensieri
che
l’anima schiude
novella
su
la favola bella
che
ieri
m’illuse,
che oggi t’illude,
o
Ermione.
(1) Non
sento le parole che dici, che sono umane, e che vengono coperte dai suoni della
natura
(2) Riuniti
in racemi (in botanica, tipo di ramificazione e infiorescenza, sinonimo di grappolo
o racimolo)
(3) Bacche
profumate
(4) Forse
allusione a un "sogno d’amore", forse richiamo al termine latino fabula, che nella sua accezione classica
indica un mito mentre nella sua accezione medievale designa la vita come
"vanitas"
(5) La
pioggia dovuta all’azione dell’austro, vento umido e caldo che spira da sud
(6) Il
gracidare delle rane
(7) Candidi
(8) Caviglie
❍ D’Annunzio, La visita alla madre
morente (Notturno , 84)
Le mura di Pescara, l'arco di
mattone, la chiesa screpolata, la piazza coi suoi alberi patiti, l'angolo della
mia casa negletta.
E' la piccola patria. E' sensibile
qua e là come la mia pelle. Si ghiaccia in me, si scalda in me. Quel che è
vecchio mi tocca, quel che è nuovo mi repugna. La mia angoscia porta tutta la
sua gente e tutte le sue età.
La mia porta mi sembra più piccola.
L'androne è umido e tacito come una cripta senza reliquie. Vacillo sul primo
gradino della scala. Ho spavento del silenzio. Ho paura di vedere lassù le mie
sorelle col capo velato. Un ragnatelo trema nell'inferriata che dà su la corte.
Odo chiocciare. Odo stridere la carrucola del pozzo. Il passato mi piomba
addosso col rombo delle valanghe; mi curva, mi calca. Soffro la mia casa fino
al tetto, fino al colmigno, come se le avessi fatto le travature con le mie
ossa, come se l'avessi scialbata col mio pallore.
Non c'è nessuno in cima alla scala.
Comprendo. Quel silenzio è pietà e pudore. La sventura è su la seconda soglia,
e sola mi accompagna per mano.
La prima stanza è deserta. La
felicità d'una volta non vi lasciò se non coltelli affilati per dilaniarmi.
La seconda stanza è deserta. Ci
sono i libri della mia puerizia e della mia adolescenza. C'è il leggio musicale
del mio fratello emigrato. C'è il ritratto di mio padre fanciullo col
cardellino posato su l'indice teso.
Ho vissuto tant'anni nella
dimenticanza di questa cose; e queste cose possono rivivere così terribilmente
in me?
Nella terza stanza c'è il mio letto
bianco; c'è il vecchio armadio dipinto, con i suoi specchi appannati e
maculati; c'è l'inginocchiatoio di noce dove mi sedevo in corruccio e rimanevo
ammutolito, con una ostinazione selvaggia, per non confessare che mi sentivo
male.
Le ginocchia mi si rompono; e le
pareti mi prendono, mi vincolano a loro, mi girano, come una ruota di tortura.
Nella quarta stanza c'è il piccolo
Gesù di cera dentro la sua custodia di cristallo; c'è la Madonna dalle sette
spade; ci sono le imagini dei santi e le reliquie raccolte dalla sorella di mio
padre santamente morta; e ci sono le mie prime preghiere, quelle del mattino
così dolci, quelle della sera ancòra più dolci, che per rientrare nel mio cuore
mi sfondano il petto come se fossero divenute le armi dell'angelo implacabile.
Tre gradini salgono alla quinta
stanza, come tre gradini di altare. E' piena d'ombra, sotto la volta arcuata.
Rimbomba. Il cuore batte le mura con l'urto cieco del destino. Il vasto letto
la occupa, dove fui concepito e generato. Credo di udire dentro di me le grida
di mia madre che, quando nacqui, non penetrarono le mie orecchie sigillate.
L'odore indefinibile della malattia mi soffoca. Una mano mi tocca e mi fa
trasalire. Una mano fredda mi piglia e mi trae verso la stanza sesta.
E' la sesta stazione : il sudario
della Veronica.
Una voce piana mi dice: "E'
là." Mi agghiaccia. La riconosco. E' quella della serva ammirabile, della
creatura fedele, nata dalle nostre glebe, allevata nella nostra casa, chiamata
Maria.
“E’ là”
E’ mia madre?
Una povera povera cosa curva,
una cosa informe, una cosa di miseria e di pena, abbassata, umiliata, perduta.
E’ mia madre?
Mi trascino ai suoi piedi,
striscio sul pavimento. Sono vuoto di tutto, fuorché del terrore. Alzo la testa
spasimando come se mi si spezzasse una vertebra nel collo. Alzo la testa e
guardo.
Guardo quel viso.
Bisognava che la sorte mi
accecasse prima.
Non era così il viso del
Salvatore quando egli ebbe preso sopra di sé tutti i peccati del mondo?
Orribile e sublime, veramente,
con uno sguardo che non mi vede, che non mi riconosce, oscurato e fisso, dove
l’amore non è se non tristezza senza nome, tristezza sino alla morte e al di là
dalla morte.
Mia madre!
Una povera creatura avvilita,
percossa, sfigurata, e non so che spaventosa grandezza in cui entro come in un
luogo pio e tremendo, come nel mio sacrifizio stesso.
Sono come il suo prigioniero
atterrito. Imprigionata in lei la mia anima mi fissa dalla profondità di quelle
ignote pupille.
E l’umile donna della terra
nomina il mio nome, ripete il mio nome a quell’orecchio sempre più inclinato.
E allora le due mani si levano
di su le ginocchia. Tutta la vita s’arresta, perde colore, non è più niente.
C’è dunque qualcosa che può
farmi più male di quello sguardo senza lume?
C’è la bocca che non ha più
bellezza, che non ha più dolcezza, che non ha più forma umana, che non ha più
suono umano.
Le due palme s’abbattono sul
mio capo pesanti come se fossero esangui ed esanimi. E la bocca vuol dire il
mio nome, ma non ha se non un mugolio fioco.
E io son vuoto anche del mio
terrore. Non ho più senso. Conosco una morte che forse nessun altro figliuolo
di donna potrà mai conoscere.
❍ D’Annunzio, La contemplazione
della morte (Notturno, 94)
Oggi
contemplo la morte vestita di non so che celeste pudore, quale me la mostrarono
lassù nel paese gotico, certe tombe terragne del dugento.
Gli
occhi sono aperti come le corolle alla prima ora della luce; e le mani conserte
sembrano già partecipi della vita eterna.
Penso
all’arte di quel dio che, nel dì novissimo, rimodellerà i volti dei suoi eletti
a simiglianza della sua bellezza recondita.
Nel
mio volto supino la lesione del tempo e della vita, a un tratto, sarà
cancellata.
Ridiventerò
giovine nel marmo del mio sepolcro, come i trapassati nelle stele funerarie
degli Elleni.
Scolpito
in piedi, terrò per la briglia un gran cavallo alato, non somigliante né
all’Ippogrifo né a Pegaso.
La
morte non mi appare se non come la forma della mia perfezione.
Eternerà
tutti gli elementi che la vita commuove e commuta in me con una perpetua
alchimia.
Quale
“inno senza lira” accompagnerà il mio transito?
❍ D’Annunzio, La notte nella casa
d’Ilse, a Parigi (Notturno, 102)
Mi
torna il ricordo di un altro canto.
Ero
nella casa d’Ilse, in una notte della invernale Parigi chimerica.
La
stanza era piena del fumo che il vento di fuori respingeva per la canna del
camino acceso.
Isnayat-Khan,
cantore indiano, conosceva più di cinquecento modi. Mi guardava ad ogni
principio di canto. Voleva significarmi che cantava per me solo.
Per
me solo cantò il canto antelucano, il canto d’innanzi l’alba, misterioso come
il messaggio del vento inviato sopra l’affanno della terra da Colui “che è
intento ad accrescere la luce”.
❍ D’Annunzio, Il vecchio nel
giardino di Kiel (Notturno, 102)
Donatella
aveva latifondi nel Governo di Kiel. Presso lo stagno, tutto smeraldato di
anitre selvatiche, era un grande frutteto, un bel frutteto di ciliegi soli.
Lo
guardava un vecchio barbato come Carlomagno dalla barba fiorita. E questo
vecchio solo aveva cura dell’alveare. E le pecchie docili gli si adunavano
nella barba bianca. E la barba a volte gli diventava un lungo sciame d’oro. Ed
egli, addossato al tronco di un ciliegio prediletto, non dava crollo. Respirava
piano. Socchiusi gli occhi, cantava piano una cantilena della culla.
❍ D’Annunzio, la “beffa di
Buccari” (dai Canti della guerra latina
e dal Notturno)
Siamo trenta di una sorte,
e trentuno con la morte.
Eia, l’ultima! Alalà!
Siamo trenta su tre gusci,
su tre tavole di ponte:
secco fegato, cuor duro,
cuoia dure, dura fronte,
mani, macchine, armi pronte,
e la morte paro a paro. La
canzone del Quarnaro.
Siamo un pugno d’uomini su tre
piccoli scafi. Più dei motori possono i cuori. Più dei siluri possono le
volontà. E il vero treppiede della mitragliatrice è lo spirito di sacrifizio.
Da poppa a prua, ordegni ed
armi, vigilanza e silenzio; niente altro. La nostra notte è senza luna; e noi
non invochiamo le stelle. V’è una sola costellazione per l’anima sola: la Buona
Causa.
❍ L’ostensione mattutina del santo
(D’Annunzio, Novelle della Pescara )
La chiesa era tutta parata di
drappi rossi e di fogliami d’oro; dinanzi ai cancelli di bronzo ardevano undici
lampade d’argento lavorate dagli orefici per religione. Il sabato si doveva
esporre il busto dell’apostolo.
La sera i fedeli dormivano,
com’era costume, sul pavimento della basilica, aspettando l’ostensione
mattutina. Sul pavimento i pellegrini giacevano accumulati; dai loro corpi esalava
il calore e montava nell’aria. Alcune voci confuse uscivano a tratti da qualche
bocca inconscia nel sonno; le fiammelle tremolavano e si riflettevano su l’olio
nei bicchieri sospesi tra gli archi; e nei vani delle larghe porte aperte
scintillavano le stelle alla notte primaverile.
Su l’alba i dormienti si
destarono. L’aspettazione cresceva negli animi degli astanti e altra gente
sopraggiungeva. Fu aperto il cancello esterno; e il romore dei cardini risonò
nitidamente nel silenzio, si ripercosse in tutti i cuori. Fu aperto il secondo
cancello, poi il terzo, poi il quarto, il quinto, il sesto, l’ultimo.
La folla si precipitò verso il
tabernacolo; una preghiera tumultuaria si levò.
E in fondo, a traverso i sette
cancelli di bronzo, il busto dell’Apostolo luccicava come un tesoro.
❍ Teresa di Lisieux, Dal più piccolo fiore
E il mio canto sarà tanto più
melodioso
quanto più le spine saranno
lunghe e pungenti.
❍ Teresa di Lisieux, dalla poesia Quello che amai
O
tu che sostieni i mondi, che pianti le profonde foreste: tu che le rendi
feconde in un attimo, ascolta la mia preghiera.
❍ Suor Elisabetta della Trinità, dalla lettera alla
signorina Margherita Gollot, 16 ottobre 1900
Restiamo
in raccoglimento accanto a Colui che è
1, accanto all'Immutabile la cui luce risplende sempre su di noi.
Noi siamo coloro che non sono.
(1) cfr. Gal. 2, 20
❍ Rainer Maria Rilke, Rivela
quel che giace in fondo a noi
Ordina dunque: che lo spirito
aspetti la sua ora,
quando partorirà la morte, la
Signora:
sola e frusciante come un gran
giardino,
o una chiamata da lontano.
❍ Rainer Maria Rilke, Il povero tu sei
Il povero tu sei, tu non hai
mezzi,
la pietra sei che non ha luogo
Dei poveri, sei però il più
arcano,
il mendico dal volto nascosto;
la grande rosa della povertà,
l’eterna metamorfosi
dell’oro nella luce del sole.
❍ Rainer Maria Rilke, Dona
a ciascuno la sua morte
Signore, dà a ciascuno la sua
morte,
il morire che vien da quella
vita,
dove trovava amore, senso,
affanno.
Perché siamo soltanto buccia e
foglia.
la gran morte, che ciascuno
porta in sé,
è il frutto intorno al quale
tutto ruota.
Non
so se tra rocce il tuo pallido
viso
m’apparve, o sorriso
di
lontananze ignote
fosti,
la china eburnea
fronte
fulgente o giovine
suora
de la Gioconda:
o
delle primavere
spente,
per i tuoi mitici pallori
o
Regina o Regina adolescente:
ma
per il tuo ignoto poema
di
voluttà e di dolore
musica
fanciulla esangue,
segnato
di linea di sangue
nel
cerchio delle labbra sinuose,
Regina
de la melodia:
ma
per il vergine capo
reclino,
io poeta notturno
vegliai
le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
io
per il tuo dolce mistero
io
per il tuo divenir taciturno.
Non
so se la fiamma pallida
fu
dei capelli il vivente
segno
del suo pallore,
dolce
sul mio dolore,
sorriso
di un volto notturno:
guardo
le bianche rocce le mute fonti dei venti
e
l’immobilità dei firmamenti
e
i gonfii rivi che vanno piangenti
e
l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
e
ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
e
ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.
❍ Jacques Leclercq, Un giorno io verrò
Un giorno io verrò, e tu
leggerai sul mio viso
tutto lo sconforto, tutte le
lotte,
tutti gli scacchi.
E vedrai tutto il mio peccato.
E tu mi donerai il tuo volto.
❍ Elizaveta Jur’evna, Ho accolto la vita
Ho accolto la vita, Signore,
con amore e con foga ho
vissuto;
e con amore ora accolgo la
morte.
Ecco, il calice è colmo.
Ai tuoi piedi il calice è
sparso.
E ai tuoi piedi ho effuso la
vita.
❍ Tutti gli uomini sognano (da I Sette Pilastri della Saggezza di T.E. Lawrence)
Tutti gli uomini sognano, ma
non allo stesso modo. Coloro che sognano di notte, nei ripostigli polverosi
della mente, scoprono, al risveglio, la vanità di quelle immagini; ma quelli
che sognano di giorno, sono uomini pericolosi, perché può darsi che recitino il
loro sogno ad occhi aperti per attuarlo.
❍ La sottile arte del demonio (Etudes carmelitaines, 1933, p. 11)
Le
démon a mille tours dans son sac et son grand art en ce monde, où l’on ne croit
presque plus, c’est de faire nier qu’il existe, car il serait une preuve de
l’existence du surnaturel.
❍ Marthe Robin, Il velo d’ombra
La
morte dissiperà il velo d’ombra che mi nasconde una così adorabile meraviglia.
Andiamo dalla morte alla vita.
❍ David Maria Turoldo, A stento il nulla
Fede vera
Quando non una eco
risponde
al suo alto grido
e a stento il Nulla
dà forma
alla tua assenza.
❍ David Maria Turoldo, Mio ospite
sei il mio inevitabile Ospite
sconosciuto e muto.
tu non puoi celarti che qui
né puoi sfuggire alla sorte
della tua amata immagine.
❍ The Old Astronomer
to his Pupil (Sarah
Williams)
Per
quanto possa affondare nelle tenebre,
la
mia anima risalirà nella perfetta luce,
ho
amato troppo le stelle
per
temere la notte.
❍ Meditazioni sulla morte (Allan Edward
DePrey)
Se
mi addormentassi, in questa notte senza luna,
Senza
svegliarmi mai più,
Porterei
con me la luce scintillante
Dell’amore
negli occhi della mia donna.
Porterei
il tocco dell’erba rugiadosa
Umida
sotto i miei piedi all’alba,
E,
ahimé, com’è profumata, com’è dolce!
Dopo
che la pioggia se ne è andata.
Porterò
i sapori che ho conosciuto,
Del
pane, della carne, del vino,
E
li serberò nell’anima quando sarò uno scheletro
Perché
sono così buoni.
Nella
tomba con me porterò
Ogni
sospiro, odore e suono
E
prego che non mi abbandonino
Nel
mio riposo sotto la terra
Se
la memoria, invero sopravvive
Alla
lama selvaggia della morte,
Mi
permetterà di tenere con me la preziosa ricompensa
Di
ciò che amai in vita.
Ma
se mi attende una vuota oscurità
Priva
di tutto ciò che ho conosciuto
Non
maledirò il Fato crudele
che
mi ha gettato lì da solo.
Perché
mi furono dati anni per assaporare,
odorare,
vedere, sentire e amare.
Sebbene
predestinato, alla fine, alla perdita della carne,
Ho
avuto comunque i miei giorni gloriosi.
❍ Notte, notte (antica filastrocca inglese)
Notte,
notte, sempre questa notte
Ogni
notte per tutta la notte
Fuoco,
fiamma e luce di candela
Cristo
accolga la tua anima che anela
❍ Il canto degli angeli (Anthony De Mello)
Ascolta
il
canto
che
gli angeli cantavano
quando
nascesti
❍ L’ultima cosa da vedere (Anthony De Mello)
Qual
è l’ultima cosa
che
desideri vedere
prima
di chiudere gli occhi
nella
morte?
❍ La bellezza interiore (Anthony De Mello)
La
tua bellezza interiore
è
riservata
solo
agli occhi di Dio.
❍ Le parole con cui
Egli mi parlava
(Anthony De Mello)
Non
sapevo
che
il sole,
la
luna,
la
stella della sera,
erano
le parole
con
cui egli
mi
parlava;
perciò
non ho mai udito
il
loro canto,
il
loro grido,
il
loro silenzio cosmico.
❍ Una sola ora di vita (Anthony De Mello)
Dio
sa
che
non avevo diritto
ad
una sola ora di vita
–
o a una sola ora con te
❍ L'oscurità e la fiamma (Anthony De Mello)
L’oscurità
mostra
la
bruciante bellezza
della
fiamma.
Il
pensiero della morte
rivela
la
fragile
grazia
della
vita.
❍ L’eterno fluire (Anthony De Mello)
Mentre
tu fluisci
eternamente
io
sto seduto
e
guardo
pieno
di meraviglia.
❍ Per ogni fiore che sboccia (Anthony De Mello)
Mille
semi
debbono
perire
per
ogni fiore che sboccia.
Anche
da me verrai un giorno
e
non mi dimentichi,
così
finisce ogni tormento
e
la catena si spezza.
Ancora
lontana ed estranea mi appari,
sorella
morte,
sovrasti
come una stella fredda,
la
mia pena.
Ma
una volta mi starai vicina
e
tutta fiamma sarai.
Vieni,
o mia desiderata, sono qui,
prendimi,
sono tuo.
❍ Charles Baudelaire, Elevazione (da I fiori del male )
In
alto, sugli stagni, sulle valli,
sopra
i boschi, oltre i monti, sulle nubi
e
sui mari, oltre il sole e oltre l’etere,
al
di là dei confini delle sfere
stellate,
tu, mio spirito, ti muovi
agilmente:
dividi la profonda
immensità,
come un buon nuotatore
che
gode in mezzo alle onde, gaiamente,
con
virile e indicibile piacere.
Fuggi
lontano da questi miasmi
ammorbanti,
e nell’aria superiore
vola
a purificarti e bevi come
un
liquido divino e puro il fuoco
che
colma, chiaro, le regioni limpide.
Fortunato
colui che può con ala
vigorosa
slanciarsi verso campi
sereni
e luminosi, abbandonando
i
vasti affanni e i dolori, peso
gravante
sopra la nebbiosa vita;
colui
che lascia andare i suoi pensieri
come
le lodolette verso i cieli,
nel
mattino; colui che sulla vita
plana
e, sicuro, intende la segreta
lingua
dei fiori e delle cose mute
Chiuso
fra cose mortali
(Anche
il cielo stellato finirà)
Perché
bramo Dio?
❍ Il pensiero di Dio (Srinivasa Ramanujan,
matematico)
Un’equazione non significa nulla
per me se non esprime un pensiero di Dio.
❍ I matematici (Vito Volterra)
I matematici parlano con Dio.
I fisici parlano con i
matematici.
Tutti gli altri parlano tra
loro.
❍ La bellezza della matematica
La matematica pura è, a suo
modo, la poesia delle idee logiche (Albert Einstein)
Abbiamo sentito molto parlare
della poesia della matematica, ma ben poco di essa è mai stato cantato… Le
formulazioni più distinte e più belle di ogni verità devono infine assumere la
forma matematica (Henry David Thoreau)
Una dimostrazione eseguita con
eleganza è una poesia sotto ogni aspetto, tranne che nella forma in cui è
scritta (Morris Kline, La matematica nel
mondo occidentale )
C’è una ricchezza di
immaginazione sorprendente nella matematica della natura, e Archimede ebbe
almeno altrettanta immaginazione di Omero (Voltaire)
Il mondo delle idee che la
matematica dischiude o illumina, la contemplazione della bellezza e dell’ordine
divini che ispira, la connessione armoniosa delle sue parti, la gerarchia
infinita e l’evidenza assoluta delle verità di cui si occupa: queste, e altre
simili a queste, sono le ragioni più sicure dei titoli che essa può vantare
alla nostra considerazione; titoli che resterebbero impregiudicati e intatti
quand’anche il piano dell’universo si srotolasse come una carta ai nostri
piedi, e la mente dell’uomo fosse in grado di comprendere in un solo sguardo
l’intero piano della creazione (J.J. Sylvester)
Marcia o simbolico ospite, col
tuo passo sublime,
sino ai confini estremi dello
spazio e del tempo!
Là fermati fintanto che, in due
dimensioni,
ci appaia la figura, da
Dickenson dipinta,
di colui la cui mente, troppo
vasta pel nostro
spazio volgare, solo poté
fiorire appieno
felicemente libera in n
dimensioni.
❍ La dedica del nativo di
Flatlandia agli abitanti delle dimensioni superiori (Abbott, Flatlandia)
Agli
Abitanti dello spazio in
generale
e a H.C. in particolare
E’ dedicata quest’opera
Da un umile nativo della
Flatlandia
Nella speranza che,
Come egli fu iniziato ai
misteri
Delle tre dimensioni
Avendone sino allora conosciute
Soltanto due,
Così anche i cittadini di
quella regione celeste
Possano aspirare sempre più in
alto
Ai segreti delle quattro cinque
o addirittura
Sei dimensioni
In tal modo contribuendo
All’arricchimento
dell’immaginazione
E al possibile sviluppo
Della modestia, qualità
rarissima ed eccellente
Fra le razze superiori
Dell’umanità solida.
❍ Le ombre delle persone scomparse
(Andrew Hagan, The Missing)
Il mondo è pieno di persone
scomparse, il cui numero aumenta in continuazione. Affollano lo spazio che si
trova tra ciò che conosciamo dei diversi tipi di vita e ciò che abbiamo sentito
dire sui diversi tipi di morte. E vi vagano, solitarie e irriconoscibili,
semplici sembianze di esseri umani.
❍ L’incisione sulla soglia della stanza della caccia
infernale (Clive Barker, Il canyon delle
ombre)
Quamquam in fundis inferorum sumus,
oculos angelorum tenebimus
Anche se siamo nelle viscere
dell’Inferno, avremo gli occhi degli angeli
❍ Essere uomo (Rudyard Kipling)
Se riesci a non perdere la
testa, quando tutti intorno la perdono e se la prendono con te; se riesci a non
dubitare di te stesso, quando tutti ne dubitano, ma anche a cogliere in modo
costruttivo i loro dubbi; se sai attendere, e non ti stanchi di attendere; se
sai non ricambiare menzogna con menzogna, odio con odio, e tuttavia riesci a
non sembrare troppo buono, e a evitare di fare discorsi troppo saggi; se sai
sognare, ma dai sogni sai non farti dominare; se sai pensare, ma dei pensieri
sai non farne il fine; se sai trattare nello stesso modo due impostori –
trionfo e disastro – quando ti capitano innanzi; se sai resistere a udire la
verità che hai detto dai farabutti travisata per ingannar gli sciocchi; se sai
piegarti a ricostruire, con gli utensili ormai tutti consumati, le cose a cui
hai dato la vita, ormai infrante; se di tutto ciò che hai vinto sai fare un
solo mucchio e te lo giochi, all’azzardo, un’altra volta, e se perdi, sai
ricominciare senza dire una parola di sconfitta; se sai forzare cuore, nervi e
tendini dritti allo scopo, ben oltre la stanchezza, a tener duro quando in te
nient’altro esiste, tranne il comando della volontà; se sai parlare alle folle
senza sentirti re, o intrattenere i re parlando francamente, se né amici né
nemici riescono a ferirti, per tutti contando per te, ma troppo mai nessuno; se
riesci a occupare il tempo inesorabile dando valore a ogni istante della vita,
il mondo è tuo, con tutto ciò che ha
dentro, e, ancor di più, ragazzo mio, sei Uomo!
❍ La contemplazione del filosofo (Bertrand Russell, I problemi della filosofia)
La filosofia va studiata non
mirando ad alcuna risposta precisa alle sue domande, dal momento che nessuna
risposta precisa potrebbe, di regola, essere presa per vera, ma per l’interesse
delle domande in se stesse. Lo scopo è diventare un libero intelletto, un
intelletto che vedrà come Dio può vedere, senza un qui e un ora, senza
speranze e paure, senza gli ostacoli delle credenze comuni e dei pregiudizi
tradizionali, con calma, oggettivamente, col solo ed esclusivo desiderio della
conoscenza – una conoscenza che sia tanto impersonale, e puramente
contemplativa, quanto è possibile a degli uomini.
❍ Elogio dell’ombra (Jorge Luis Borges)
L’età estrema (tanti nomi le danno)
può essere il tempo della nostra felicità.
L’animale è morto o è quasi morto.
Rimangono l’uomo e la sua anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che non sono ancora le tenebre.
Nella mia vita sono sempre state troppe le
cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi
per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e assomiglia all’eternità.
I miei amici non hanno volto,
le donne sono quel che erano molti anni fa,
gli incroci delle strade potrebbero essere
altri,
non ci sono lettere sulle pagine dei libri.
Tutto questo dovrebbe intimorirmi,
ma è una dolcezza, un ritorno.
Delle generazioni di testi che ci sono
sulla terra
ne avrò letti solo alcuni,
quelli che continuo a leggere nella
memoria,
a leggere e a trasformare.
Dal Sud, dall’Est, dall’Ovest, dal Nord,
convergono i cammini che mi hanno portato
nel mio segreto centro.
Quei cammini furono echi e passi,
donne, uomini, agonie, resurrezioni,
giorni e notti,
dormiveglia e sogni,
ogni infimo istante dello ieri
e di tutti gli ieri del mondo,
gli atti dei morti,
il condiviso amore, le parole,
e la neve e tante cose.
Adesso posso dimenticarle. Arrivo al mio
centro,
alla mia algebra, alla mia chiave,
al mio specchio.
Prestò saprò chi sono.
❍ Il passo d’addio (Cristina
Campo)
Devota come un ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,
su acutissime lamine
in bianca maglia d’ortiche,
ti insegnerò, mia anima,
questo passo d’addio…
In principio Dio creò il mondo. Deserto e
vuoto.
Deserto e vuoto. E tenebre erano sopra la
faccia dell’abisso.
E quando vi furono uomini, nei loro vari
modi lottarono in tormento alla ricerca di Dio.
Ciecamente e vanamente, perché l’uomo è
cosa vana, e l’uomo senza Dio è un seme nel vento, trascinato qua e là non
trova luogo dove posarsi e dove germinare.
Essi seguirono la luce e l’ombra, e la luce
li condusse verso la luce e l’ombra li condusse verso la tenebra,
Ad adorare serpenti ed alberi, ad adorare
demoni piuttosto che nulla: a piangere per la vita oltre la vita, per un’estasi
non della carne.
Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre
sopra la faccia dell’abisso.
E lo spirito si muoveva sopra la faccia
delle acque.
E gli uomini che si volsero verso la luce
ed ebbero conoscenza della luce.
Le Religioni condussero gli uomini dalla
luce alla luce, alla conoscenza del bene e del male.
Ma la loro luce era circondata e colpita
dalle tenebre
Come l’aria dei mari temperati è trafitta
dal fiato immobile e morto della corrente artica.
Quindi sembrò come se gli uomini dovessero
procedere dalla luce alla luce, nella luce del Verbo.
Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi,
attardandosi, tornando, eppure mai seguenti un’altra via.
Ma sembra che qualcosa sia accaduto:
Gli uomini hanno abbandonato Dio non per
altri dei, ma per nessun dio.
La Chiesa ripudiata, la torre abbattuta, le
campane capovolte, cosa possiamo fare
Se non restare con le mani vuote e le palme
aperte rivolte verso l’alto?
Gli uomini hanno dimenticato tutti gli dei,
salvo l’Usura, la Lussuria e il Potere.
❍ La voce degli alberi (Robert Frost)
Mi domando perché vorremmo sentire
Degli alberi il fruscìo per sempre
Più di ogni altro rumore
Vicino a dove abitiamo.
Nel giorno noi li subiamo
Finché ogni misura di moto
E di fissità nella gioia
Perdiamo, e ascoltiamo assorti.
Son essi quel che di andare
Parla e mai non si muove;
E tuttavia ne parla benché sa,
Crescendo nel senno e negli anni,
Che adesso intende restare.
Punto i piedi sul pavimento,
Sulla spalla reclino la testa,
Se a volte li osservo ondeggiare
Dall’uscio o dalla finestra.
Per qualche dove io partirò,
L’inquieta scelta farò
Un giorno che stormiranno
Agitati da far trasalire
Le bianche nubi su di loro.
Io avrò meno da dire,
Ma me ne andrò.
❍ Furono ultime a
staccarsi le voci (Margherita Guidacci)
Furono ultime a staccarsi le voci. Non le
voci tremende
Della guerra e degli uragani.
E nemmeno voci umane ed amate,
Ma mormorii d’erbe e d’acque, risa di
vento, frusciare
Di fronde tra cui scoiattoli invisibili giocavano,
Ronzio felice d’insetti attraverso molte
estati
E tutto si confuse in una nota, in un fermo
E sommesso tumulto, come quello del sangue
Quando era vivo il nostro sangue.
Ma quando l'Angelo ci chiese: “Volete
ancora ricordare?”.
Noi stessi l’implorammo: “Lascia che venga
il silenzio!”.
❍ Il canto dell’ora presente
(Victor Hugo)
I passi smarriti fuori strada,
Che cercano il cammino negli estesi campi;
Le canne verdi e il fruscio del loro
lucente fogliame;
Gli angelus lontani che si sperdono nei
cieli,
L’edera che trema nelle fessure delle
volte;
Il vento, funesto al nocchiero che perisce
lontano;
I carri in difficoltà ove la strada
s’incurva,
Con l’asse che s’inceppa come s’impiglia la
mente;
La mendicante in lacrime che affranta si
trascina;
L’uomo che invoca Satana, l’uomo che invoca
Geova;
IL vocio dei passanti che a poco a poco si
spegne;
La voce del cuore che sente, il calpestio
di chi va;
Le onde che tu solo, o Dio, sai contare e
chiamare;
L’aria che fugge; il sasso lavato dal
ruscello;
E ciò che, sotto il peso dei vani progetti
degli uomini,
L’aratro dice al solco e la ruota al
selciato;
E la barca, su cui una lira nell’ombra
risuona,
Che passa, e lungi dalla riva s’abbandona
alla corrente,
E l’organo delle foreste che sui monti
sospira,
E quella voce, quel pianto, che giungono
dalle città!
…
Da quei mille rumori, temibili o propizi,
Nasce lo strano canto che canta, priva di
fiaccole,
Quest’epoca operosa, necrofora o nutrice:
L’oriente! L’oriente! che vede ad oriente,
o poeti?
❍ Uno sconosciuto è il mio amico (Par Lagerkvist)
Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io
non conosco.
Uno sconosciuto lontano lontano.
Per lui il mio cuore è colmo di nostalgia.
Perché egli non è presso di me.
Perché egli forse non esiste affatto?
Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua
assenza?
Che colmi tutta la Terra con la tua
assenza?
❍ Da Alla sua donna (Giacomo Leopardi)
Viva mirarti omai
Nulla spene m’avanza.
Se dell’eterne idee
L’una sei tu, cui di sensibil forma
Sdegni l’eterno senno esser vestita,
E fra caduche spoglie
Provar gli affanni di funerea vita;
O s’altra terra ne’ superni giri
Fra’mondi innumerabili t’accoglie,
E più vaga del Sol prossima stella
T’irraggia, e più benigno etere spiri;
Di qua dove son gli anni infausti e brevi,
Questo d’ignoto amante inno ricevi.
❍ El pueblo quieto (Federico Garcìa Lorca)
Di fronte alla chiesa c’è la casa
dove sono nato. E’ grande,
pesante, maestosa nella sua
vecchiaia… Ha delle inferriate che
suonano come campane. Da
bambino le facevamo suonare con una sbarra
di ferro; quel suo suono ci faceva
impazzire dall’allegria e giocavamo
a farle rintoccare a fuoco, a morto
e a battesimi… Dentro, la casa è
fredda e bassa. Sui suoi balconi le
piccole scolare recitavano versi e
canti quando passava la Madonna
dell’Amore Bello e io ero re con
un bengala in mano.
❍ Da Il giorno (Robert Lowell)
Stupefacente
il giorno è ancora qui
come lampo su un campo aperto,
terraferma e fugace
grondante variazione,
fresco come quando l’uomo per la prima
volta eruppe
come il croco ovunque sulla Terra.
❍ Ascoltate!
(Vladimir Majakovskij)
Ascoltate!
Se accendono
le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che è indispensabile
che ogni sera
al di sopra dei tetti
risplenda almeno una stella?
❍ Canto funebre (Herman Melville, Clarel, pellegrinaggio in Terrasanta)
Fermati, Morte! ti prego!
Offri gentile la tua mano
a lei che guidi in luoghi assai lontani;
non farle calpestare a piedi nudi
la cenere, ma lasciala provare
teneri muschi nel suo camminare,
ovunque vi volgiate. Schiva l’Orco;
punta dove le terre son cullate
dal chiardiluna – prati muti e solitari,
ove mai una foglia vien soffiata
da giglio nella mano di Azzaele.
E là, finché non giunga l’amor suo,
dàlle miele selvaggio e sacrosanto,
seducendola con squisiti incanti.
❍ Da Vieni creatore (Czeslaw Milosz)
Vieni, Spirito,
nella valle dei boschetti di noci, o quando
la neve
seppellisce gli abeti storpi.
Sono solo un uomo, ho quindi bisogno di
segni visibili, il costruire scale di astrazioni mi stanca presto.
Ho chiesto più volte che la figura in
chiesa levasse per me la mano.
Desta dunque un uomo, in un posto qualsiasi
della Terra
e permetti che guardandolo io possa
ammirare Te.
❍ La potentissima morte m’invitò più volte (Pablo Neruda, Canto generale)
La potentissima morte m’invitò più volte:
era come il sale invisibile delle onde,
e ciò che il suo invisibile sapore spargeva
era come frammenti di precipizi e di
altezze
o vaste costruzioni di vento e di bufera.
Io giunsi al ferreo taglio, alla più
angusta zona
dell’aria, al sudario d’agricoltura e di
pietra,
al vuoto stellare degli estremi passi
e alla vertiginosa strada a spirale:
ma, vasto mare, o morte!, tu non vieni di
onda in onda,
tu vieni come un galoppo di chiarore
notturno
o come gli assoluti numeri della notte.
Non sei mai riuscita a frugarti nella
tasca,
non era possibile la tua visita senza rosse
vesti:
senza il tappeto aurorale e di chiuso
silenzio:
senza gli alti o sepolti patrimoni di
pianto.
Non ho potuto amare in ogni essere un
albero
col suo breve autunno sulle spalle – la
morte di mille foglie -,
tutte le finte morti e le resurrezioni
senza terra, senza abisso:
ho voluto nuotare nelle più larghe
esistenze,
nelle più libere foci,
e quando, a poco a poco, l’uomo cominciò a
negarmi
e a chiudermi passo e porta perché non
toccassero
le mie mani originarie la sua ferita
inesistenza,
allora di strada in strada andai, di fiume
in fiume,
di città in città, e di letto in letto,
e la mia maschera salmastra attraversò il
deserto,
e nelle ultime case umiliate, senza
lampada, senza fuoco,
senza pane, senza pietra, senza silenzio,
solo,
vagai, morendo di mia stessa morte.
Sopra il leggìo di quercia è nell’altana,
aperto, il libro. Quella quercia ancora,
esercitata dalla tramontana,
viveva nella sua selva sonora;
e quel libro era antico. Eccolo: aperto,
sembra che ascolti il tarlo che lavora
E sembra ch’uno (donde mai? non, certo,
dal tremulo uscio, cui tentenna il vento
delle montagne e il vento del deserto,
sorti d’un tratto…) sia venuto, e lento
sfogli – se n’ode il crepitar leggiero –
le carte. E l’uomo non vedo io: lo sento,
invisibile, là, come il pensiero…
Un uomo è là, che sfoglia dalla prima
carta all’estrema, rapido, e pian piano
va,
dall’estrema, a ritrovar la prima.
E poi nell’ira del cercar sul vano
volta i fragili fogli a venti, a trenta,
a cento, con l’impaziente mano.
E poili volge a uno a uno, lenta-
mente, esitando; ma via via più forte,
più presto, i fogli contro i fogli avventa.
Sosta… Trovò? Non gemono le porte più;
tutto oscilla in un silenzio austero.
Legge?... Un istante; e volta le contorte
pagine, e torna ad inseguire il vero.
E sfoglia ancora; al vespro, che da nere
nubi rosseggia; tra un errar di tuoni,
tra un aliare come di chimere.
E sfoglia ancora, mentre i padiglioni
tumidi al vento l’ombra tende, e viene
con le deserte costellazioni
la sacra notte. Ancora e sempre: bene
io n’odo il crepito arido tra canti
lunghi nel cielo come di sirene.
Sempre. Io lo sento, tra le voci erranti,
invisibile, là, come il pensiero,
che sfoglia, avanti indietro, indietro
avanti,
sotto le stelle, il libro del mistero.
❍ Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (Cesare
Pavese)
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi –
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
❍ Litania notturna (Ezra Pound)
O Dio, purifica i nostri cuori
Purifica i nostri cuori.
La mia strada hai segnato
in piacevoli luoghi,
E la bellezza di questa tua Venezia
m’hai rivelata
Che la sua grazia è divenuta in me
una cosa di lacrime.
Quale grande gesto di bontà
abbiamo fatto in passato,
e dimenticato,
Che tu ci doni questa meraviglia,
O Dio delle acque?
O Dio della notte,
Quale grande dolore
Viene verso di noi,
Che tu ce ne compensi così
Prima del tempo?
O Dio del silenzio
Purifica i nostri cuori
Poiché abbiamo visto
La gloria dell’ombra della
Immagine della tua ancella,
Sì la gloria dell’ombra
della tua Bellezza ha camminato
Sull’ombra delle acque
In questa tua Venezia
E dinnanzi alla santità
Dell’ombra della tua ancella
Mi sono coperto gli occhi,
O Dio delle acque.
O Dio del silenzio,
Purifica i nostri cuori,
O Dio delle acque,
Illimpidiscici il cuore
Poiché ho visto
L’ombra di questa tua Venezia
Fluttuare sulle acque,
E le tue stelle
Hanno visto questa cosa, da loro corso
remoto
Hanno visto questa cosa
O Dio delle acque,
Come le tue stelle
A noi son mute nella loro corsa remota,
Così il mio cuore
in me è diventato silenzioso.
Purifica i nostri cuori
O
Dio delle acque.
❍ Saliremo sugli altipiani (Antonia Pozzi)
Saliremo sugli altipiani,
dove vola la rondine dell’alba
che bagna nelle fonti
le ali d’oro
ed intesse l nido
sulle case immense
dei monti.
Saliremo sugli altipiani
dove passan le nubi ad una ad una
lente a fior della neve
come velieri
su di un lago pallido.
Saliremo oltre i cembri, oltre i pini,
dove si è soli sotto il cielo nudo,
soli – se gridi nel silenzio il vento
il nostro nome
detto da Dio
e sia l’ora di andare.
❍ Mi sembra che
saprei aspettare la tua voce per secoli (Antonia Pozzi)
Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
Sono quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.
❍ Qualunque cosa tu faccia (Clemente Rebora)
Qualunque cosa tu dica o faccia
C’è un grido dentro:
Non è per questo, non è per questo!
E così tutto rimanda
A una segreta domanda:
L’atto è un pretesto.
Quasi specchiante cristallo
Sta la coscienza spietata
A chi brà cola opaco.
Sul viso c’è un solco
Per dove scorre il pianto:
Ma l’occhio inaridisce se guarda.
C’è un cuneo nel cuore,
E non si osa levarlo
Perché si teme il getto del sangue.
La solitudine è vita –
Ma un nodo scorsoio
Agli altri t’impicca.
Sì, puoi rizzare alte mura
E un convento in te stesso:
Ma vive l’anima impura
Del mondo che ha in disprezzo.
Nell’imminenza di Dio
La vita fa man bassa
Sulle riserve caduche,
Mentre ciascuno si afferra
A un suo bene che gli grida: addio!
❍ Gli angeli
(Rainer Maria Rilke)
Dove sono i giorni di Tobia,
quando uno degli angeli più radiosi si
stette all’umile porta di casa
travestito da viaggiatore?
Chi siete voi?
Voi, primi perfetti,
profili di vette, creste di tutto il Creato
rosse d’aurora, - polline della divinità in
fiore,
articolazioni di luce, anditi, scale,
troni,
spazi d’essenza, scudi di delizia, tumulti
di sentimento in tempeste d’entusiasmo, e a
un tratto, uno per uno,
specchi: la bellezza che da voi defluisce
la riattingete nei vostri volti.
❍ La luce nella tua mano (Peter
Wild)
Uno dei miei compagni di liceo
aveva inventato una caricatura che ebbe grande successo e che si poteva
estendere a piacere: disegnò i Padri, i suoi insegnanti, in processione, e
ciascuno tradiva il proprio carattere nel modo in cui teneva la candela.
Uno la lasciava gocciolare
senza badarvi, un altro la stringeva come per strangolarla, un terzo l’aveva spenta e trasformata in bastone da
passeggio, un quarto se l’era infilata nella cintura per poter adoperare le mani.
Quando, divenuto io stesso
monaco, partecipai alle processioni, avevo dimenticato quella caricatura, o
forse l’avevo rimossa; ma nel secondo anno di monastero, durante la festa di
San Michele, quando nella nostra chiesa si tengono accese soltanto le candele,
mi resi improvvisamente conto che nella caricatura c’ero anch’io.
Questo lampo di intuizione mi
attraversò quando vidi nella navata, nella fila dei pellegrini che
partecipavano alla cerimonia, una suora coreana che teneva la candela nel modo
giusto.
In lei il modo di tenerla non
rivelava più il carattere, ma mostrava come l’uomo può conformarsi alla luce:
le sue dita delicate, la forma della mano, il suo braccio, la sua posizione
eretta, persino il suo volto aperto alla luce erano completamente in funzione
della candela.
Da allora cerco di trattare la
luce come merita, quando la prendo in mano: mi lascio riscaldare e illuminare
tutto da essa, mi tengo aperto alla sua forza, in modo che, portando la
candela, io riceva qualcosa della sua vita lieve e luminosa, invece di
schiacciare la sua luce con la mia pesantezza.
❍ Le proprie paure (Jean Déchanet)
E’ un’arte non reprimere le
proprie paure o non sbarazzarsene (nella vita è possibile evitarle proprio come
è possibile far tacere i propri istinti, o eliminare e inibire gli appetiti del
corpo), ma distaccarsi da esse ascoltandole come se fossero rumori provenienti
dall’esterno, e non prestando loro più attenzione del necessario.
❍ Come alberi (David Maria Turoldo)
Ora tutto il mio essere è in
fiore;
il sangue a fiotti germoglia
al bacio di questo
primo sole di maggio:
ora anche le pietre
sono in amore, o Primavera.
Iddio come un uccello
tiene suo nido fra queste
selve:
noi siamo piantagioni di carne,
maturate nel solco delle case
ed Egli canta tra i nostri
rami.
E noi pure cantiamo:
la vita è pianto
che ora trasuda dai nostri rami
gonfi d’allegri sogni
soavi di profondo amore.
❍ Ogni volta che ti
sentirai smarrita (Susanna
Tamaro)
Ogni volta che ti sentirai
smarrita, confusa, pensa agli alberi, ricordati del loro modo di crescere.
Ricordati che un albero con
molta chioma e poche radici viene sradicato al primo colpo di vento, mentre in
un albero con molte radici e poca chioma la linfa scorre a stento.
Radici e chioma devono crescere
in egual misura, devi stare nelle cose e starci sopra, solo così potrai offrire
ombra e riparo, solo così alla stagione giusta potrai coprirti di fiori e di
frutti.
E quando poi davanti a te si
apriranno tante strade e non saprai quale prendere, non imboccarne una a caso,
ma siediti e aspetta.
Respira con la profondità
fiduciosa con cui hai respirato il giorno in cui sei venuta al mondo, senza
farti distrarre da nulla, aspetta e aspetta ancora.
Stai ferma, in silenzio, e
ascolta il tuo cuore.
Quando poi ti parla, alzati e
va’ dove lui ti porta.
❍ La visione spirituale (Ludwig
Hohl)
La visione spirituale non è il
contrario della visione sensoriale, ma il suo ampliamento: per questo a
chiunque si può insegnare a vedere l’aldilà, l’eternità.
La visione spirituale parte
dalle percezioni sensoriali, è la loro combinazione, procede per analogie, è
l’ampliamento delle percezioni sensoriali, ed al suo ampliamento non vi sono
limiti…
Per questo il confine fra
visione spirituale e percezione sensoriale non si può mai tracciare con
precisione: la seconda contiene già la prima.
❍ L’ultima rosa (da una poesia di Attilio
Bertolucci)
Coglierò per te
l’ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l’hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
❍ Misteriosa è la
rosa (Ruggero Guarini)
Misteriosa è la rosa, la nube,
la gazzella, l’ape, la nebulosa, la rondine, la stella, misterioso è il
ruscello, il girino, il mughetto, il turbine, il fuscello, il cristallo,
l’insetto, misteriosa è la roccia, misterioso è persino il microbo, la goccia,
il bruco, il sassolino; e tu, loico, d’un vago, forse grazioso enigma anche
nella tua imago non discerni lo stigma? Nulla è più inesplicabile di questo tuo
pensiero che nell’imperscrutabile non vede alcun mistero.
❍ Io sono la sabbia nella clessidra (Rose Ausländer)
Io sono la sabbia nella
clessidra
e scorro nella valle del tempo
che mi abbraccia.
❍ E’ pur sempre un prodigio sperare (David Maria Turoldo)
Può certo il fuoco morire in
seno alla terra
e placarsi il mare;
può non fiorire la primavera,
ma questo cuore è impossibile
che non si illuda ancora.
Ovvero a un albero somiglio
che non attende ormai di
fiorire.
Ma tu, Signore della vita,
manda la bufera a coprire il
torrente,
manda abbondanti piogge alle
mie radici.
❍ Un altro giorno, un’altra notte ancora (Attilio Bertolucci)
Un altro giorno, un’altra notte
ancora
senza il caro conforto dei tuoi
occhi
mentre l’ala del tempo più e
più sfiora
i tuoi capelli lontani.
Estivo è ormai questo silenzio
intorno alla mia casa di
campagna
e il sonno dei vivi e dei morti
quando il giorno se ne va.
❍ Il vero amore (Bede Griffiths)
Il vero amore, però, è sempre
la risposta all’amore di un altro, è un’autodonazione senza pensiero di
ritorno. Noi intanto possiamo ricevere, in quanto siamo risposti a dare. In
ultima analisi è sempre l’amore di Dio che ci attira a sé attraverso ogni amore
umano, spingendoci a ridonarci in cambio dell’amore che abbiamo ricevuto.
Questa è la ragione per cui ogni amore è santo, dall’amore degli atomi o degli
insetti fino a quello dell’uomo, esso è sempre un riflesso dell’amore di Dio.
❍ La potenza della meditazione
(Bede Griffiths)
Come posso io arrivare a
conoscere me stesso? Non col pensare, perché il pensiero riflette solo il mio
essere cosciente, ma con la meditazione. La meditazione va oltre il mentale
conscio, già dentro all’inconscio. Nella meditazione io posso divenire conscio
del mio essere radicato nella materia, nella vita, nella coscienza umana. Io
posso sperimentare la mia solidarietà con l’universo, con le più lontane stelle
dello spazio, con le più piccole particelle dell’atomo. Io posso sperimentare
la mia solidarietà con ogni essere vivente, con la terra, con i fiori, con
l’albero della noce di cocco, con gli uccelli e con gli scoiattoli, con ogni
essere umano. Io posso andare oltre l’apparenza delle cose nel tempo e nello
spazio e scoprire il Fondamento da cui esse provengono.
❍ Si fatica per anni (Leonardo Sinisgalli)
Si fatica per anni
a sciogliere i nodi,
a dare un’immagine
favolosa a una ciocca
illeggibile di segni perduti.
❍ Chi ama non
riconosce
(Leonardo Sinisgalli)
Chi ama non riconosce, non
ricorda,
trova oscuro ogni pensiero, è
straniero a ogni evento.
Mi sono accorto più tardi di
tutti gli anni
che l’aria sul colle è già più
leggera,
l’erba è tiepida di fermenti.
Dovevo arrivare così tardi a
non sentire più spaventi,
pestare aride stoppie, raspare
secche murate,
coprire la noia come uno
specchio col fiato.
Sono un uccello prigioniero in
una gabbia d’oro.
La selva variopinta è senza
colore per me.
L’anima s’è trovata la sua
stanza intorno a te.
❍ Le radici (Hans Leopold Davi)
Vorrei essere le radici, vivere
nascosto nell’oscurità sotterranea, nutrirmi di terra ed acqua affinché per
invisibili canali la linfa raggiunga l’ultima delle tue foglie, l’ultimo dei
tuoi fiori, l’ultimo dei tuoi frutti.
La gente si ferma a guardare:
guarda come sono verdi le foglie, come sono splendidi i fiori, come sono dolci
i suoi frutti.
Essi dimenticano le radici.
Ma io vorrei essere le radici.
❍ Benedetta tu, nuda materia (Teilhard de Chardin)
Benedetta tu, nuda materia,
terra arida, dura roccia; tu che non cedi se non alla violenza e ci sforzi a
lavorare, se vogliamo procurarci il pane.
Benedetta tu sia, pericolosa
materia, madre terribile; tu che ci divori se non ti incateniamo.
Benedetta tu sia, universale
materia, durata senza limiti, fiume senza sponde, triplice abisso di stelle, di
atomi, di generazioni, tu che dissolvendo le nostre strette misure ci riveli le
dimensioni stesse di Dio.
Benedetta tu sia, impenetrabile
materia, tu che tesa dovunque tra le nostre anime e il mondo delle essenze, ci
fai languire dal desiderio di bucare il velo senza cuciture dei fenomeni.
Benedetta tu sia, immortale
materia, tu che dissociandoti un giorno in noi, ci introdurrai per forza nel
cuore stesso di ciò che è. Senza di te, senza i tuoi attacchi, senza i tuoi
strappi, noi vivremmo inerti, puerili, ignoranti di noi stessi e di Dio.
Tu che ferisci e guarisci, tu
che ristori e che pieghi, tu che sconvolgi e costruisci, tu che incateni e che
liberi, linfa della nostra anima, mani di Dio, carne di Cristo, materia: ti benedico.
Io ti saluto sorgente armoniosa
delle anime, limpido cristallo dal quale sarà tratta la nuova Gerusalemme.
Io ti saluto, ambiente divino,
carica di potenza creativa, oceano agitato dallo Spirito, argilla impastata e
animata dal Verbo Incarnato.
❍ Loto immacolato (Franz Fassbind)
Loto,
immacolato sull’acqua,
l’ornamento dei petali
composto come versi virgiliani:
oh, gli esercizi spirituali
della natura!
Il culmine della gioia
al di là di ogni sfrenatezza,
e il vittorioso senso di
umiltà,
preformati nella crescita
di una rosa!
Ora il mio cuore non sa
più come battere.
Striscio indietro
nel grembo che mi portò.
Mi riattacco al cordone.
Noi abbiamo, ricordo, due
cuori:
uno ascolta l’altro;
due polmoni per respirare;
quattro mani per pregare,
anche se le mie sono ancora
deboli;
doppio coraggio:
ed io conosco allora
metà della paura.
Alla corte del rabbino
miracoloso di Sadagora
il padre imparò i difficili
misteri;
i suoi boccoli risuonavano di
leggende,
nelle mani teneva la foresta
ebraica.
Alberi di sacre lettere
allungavano le radici
da Sadagora fino a Czernowitz:
il Giordano si gettava allora
nel Prut.
Magiche melodie nell’acqua
il padrele cantava;
studiava e cantava;
l’eredità degli avi si fondeva
con la foresta e con le acque.
Dietro i campi, accanto al
mulino,
sorgeva la scala del sogno
appoggiata al cielo:
Giacobbe iniziava la lotta con
gli angeli
sempre vinceva la sua volontà.
Da Sadagora a Czernowitz,
e indietro alla Corte Santa,
andavano i miracoli,
si annidavano nei sentimenti;
il fanciullo imparava il cielo;
conosceva le dimensioni degli
angeli
le loro distanze e il loro
numero,
era esperto del labirinto della
cabala.
Una volta il diciassettenne
volle vedere l’altro lato.
Andò nella città terrena,
ma se ne innamorò,
le rimase attaccato.
Nel mare
un’arca
di stelle
attende
la cenere
sopravvissuta
al diluvio
di fuoco.
❍ Ama i tuoi nemici (Norbert Loacker)
Ama i tuoi nemici
altrimenti
non ti libererai mai di loro.
Di che cosa hai bisogno
per odiare?
Per prima cosa di una casa.
Dio ama i pellegrini
per il loro esercizio
del distacco.
Nel cuore dell’amore
è il ricordo.
Il tuo paese è dove
degli occhi ti vedono.
Dove gli sguardi si incontrano
nasci tu.
Sorretto da una chiamata,
sempre la stessa voce,
sembra che ce ne sia una sola
con cui chiamano tutti.
Sei caduto, ma non cadi.
Occhi ti prendono al volo.
Ci sei perché degli occhi ti
vogliono,
ti guardano e dicono
che tu ci sei.
❍ Preghiera di un alpino la notte prima di essere ucciso in
combattimento
Questa preghiera è stata
scritta da Pietro Torresan, alpino del battaglione Tolmezzo, caduto nel lontano conflitto sul fronte greco-albanese
del 1942. E’ stata trovata nella tasca della sua divisa da un tenente medico e
da un cappellano militare, dopo un sanguinoso scontro col nemico. Era scritta a
matita, su di un pezzo di carta intriso di sangue. Quella che segue è una
fedele trascrizione dell’originale.
Ascolta o Dio, io non ho mai
parlato con te, voglio salutarti. Come stai? Sai... mi dicevano che non esisti
e io, povero sciocco, credetti fosse vero. Stasera, quando stavo nascosto nel
fosso di una granata, vidi il tuo cielo... chi avrebbe mai creduto che per
vederti sarebbe bastato stendersi sul dorso? Non so se ancora vorrai darmi una
mano, credo che mi comprenderai. E’ strano che non ti abbia incontrato prima,
ma solo in un inferno come questo. Bene, ho già detto tutto. L’offensiva ci
aspetta... tra poco... mio Dio, non ho più paura da quando ho scoperto che mi
sei vicino. Il segnale: bene, devo andare. Dimenticavo di dirti... che ti amo.
Lo scontro sarà terribile stanotte... chissà... non sono mai stato tuo amico...
lo so, però... mi aspetterai se arrivo da Te? Guarda che sto piangendo... tardi
ti ho scoperto... quanto mi dispiace... perdonami... devo andare... buona
fortuna... che strano, senza paura vado alla morte. Amen.
❍ Oh i camini sulle
ingegnose dimore della morte (poesia ebraica sull’Olocausto)
Und wenn diese meine Haut
zerschlagen sein wird, so werde ich ohne mein Fleisch Gott schauen.
Hiob
O die
Schornsteine
Auf den
sinnreich erdachten Wohnungen des Todes,
Als
Israels Leib zog aufgelöst in Rauch
Durch die Luft –
Als Essenkehrer ihn ein Stern empfing
Der schwarz wurde
Oder war es ein Sonnenstrahl?
O die Schornsteine!
Freiheitswege für Jeremias und Hiobs Staub –
Wer erdachte euch und baute Stein auf Stein
Den Weg für Flüchtlinge aus Rauch?
O die Wohnungen des Todes,
Einladend hergerichtet
Für den Wirt des Hauses, der sonst Gast war –
O ihr Finger,
Die Eingangsschwelle legend
Wie ein Messer zwischen Leben und Tod –
O ihr Schornsteine,
O ihr Finger,
Und Israels Leib im Rauch durch die Luft!
E quando questa
mia pelle sarà dilaniata contemplerò Dio senza la mia carne.
Il libro di
Giobbe
Oh, i
camini
sulle
ingegnose dimore della morte,
quando
il corpo di Israele si disperse in fumo
per
l’aria –
e lo
accolse, spazzacamino, una stella
che
divenne nera
o era
forse un raggio di sole?
Oh, i
camini!
Vie di
libertà per la polvere di Giobbe e Geremia –
chi vi
ha inventato e, pietra su pietra, ha costruito
la via per
i fuggiaschi di fumo?
Oh, le
dimore della morte,
invitanti
per la padrona di casa
altrimenti
ospite –
Oh,
dita
che
posate la soglia
come un
coltello tra la vita e la morte –
Oh,
camini,
oh,
dita,
e il
corpo di Israele in fumo per l’aria!
❍ Poesia per i bambini dei campi di concentramento
O
notte dei bambini piangenti!
Notte
dei bambini segnati a morte
Il
sonno non può più entrare
Orribili
guardiane
Hanno
sostituito le madri
Tendono
la falsa morte nei muscoli delle mani
La
spargono sui muri e sulle travi
Cova
dappertutto nei nidi dell’orrore.
La
paura allatta i bambini al posto della mamma
Appena
ieri la mamma chiamava il sonno sopra di loro come una bianca luna,
In
un braccio metteva la bambola – le guance lavate dai baci, nell’altro un
animale di stoffa reso vivo dall’amore.
Soffia
ora il vento della morte, solleva le camicie sui capelli che nessuno più
pettinerà.
❍ Dalle ultime lettere di Vincent Van Gogh ai familiari
Mia
cara sorella, Qui ci sono magnifici tetti di paglia muscosa dai quali finirò
certo per realizzare qualcosa. Gli ultimi giorni a Saint-Rémy ho continuato a
lavorare in piena frenesia. Grandi mazzi di fiori, iris viola, immensi bouquets
di rose, paesaggi. Ma non sai quanto avrei voluto che tu vedessi gli uliveti,
che ora ho portato con me, con la loro varietà di cieli dai diversi toni di
giallo, rosa, azzurro.
Ho
un disegno di una vecchia vigna da cui intendo ricavare un quadro da trenta, e
poi uno studio di castagni rosa e uno di castagni bianchi. Ma, se le
circostanze me lo consentiranno, spero di fare un po’ di figura. Vaghe immagini
di quadri mi si presentano alla mente, occorrerà del tempo per mettere a fuoco
la visione, ma a poco a poco verrà
Mio
caro signor Isaäcson, volevo comunicarle il tentativo che ho intrapreso nel Sud
di dipingere degli uliveti... L’effetto prodotto dalla luce del giorno e dal
cielo consente di trarre dall’ulivo una moltitudine infinita di soggetti.
Quanto a me, ho cercato qualche effetto di contrasto tra le foglie cangianti e
i toni del cielo. Talvolta l’insieme è di un azzurro puro che avvolge l’istante
in cui dall’albero sboccia una pallida trama di fiori e tutt’intorno volano le
grandi mosche blu, le cetonie color smeraldo e miriadi di cicale. Poi, quando
le foglie color bronzo assumono tonalità più mature, il cielo risplende e si
vena di verde e di arancio, oppure, ad autunno inoltrato, quando prendono
vagamente la sfumatura violacea del fico maturo, ecco allora che l’effetto del
viola scaturisce vivido in contrasto al biancore del sole immenso nel suo
pallido alone color limone chiaro. A volte, dopo un acquazzone, ho visto
l’intero cielo tingersi di rosa e arancio chiaro in un effetto che conferiva un
senso delicato e una raffinata sfumatura ai grigioverdi argentati. E in mezzo
agli alberi c’erano donne, anch’esse rosa, intente nella raccolta.
Cara
madre, leggendo la vostra lettera sono rimasto colpito dal passaggio in cui
dite che durante il vostro soggiorno a Nuenen avete rivisto tutto provando
gratitudine per il fatto che una volta vi sia appartenuto e che poi l’abbiate
abbandonato, serenamente, lasciandolo agli altri. E tutto è trascorso,
sfuggente come immagini riflesse in uno specchio: la vita, il motivo di congedi
e partenze, il persistere dell’angoscia, null’altro da comprendere che questo. Per
quanto mi riguarda, la mia vita può ben continuare il suo corso solitario. Di
coloro ai quali sono stato maggiormente legato ho colto solo immagini in uno
specchio. E tuttavia, un fatto reale e tangibile è che oggi il mio lavoro si
realizza a un più alto grado di armonia. La pittura basta a se stessa. L’anno
scorso mi è capitato di leggere da qualche parte che scrivere un libro o
dipingere un quadro è come avere un figlio. Anche se non oso ricondurre al mio
caso personale questa affermazione, ho sempre pensato che, delle tre cose,
l’ultima fosse la più naturale, la migliore, sempre ammesso che sia così e che
le tre cose si equivalgano. E’ per questo che tento del mio meglio e,
nonostante il mestiere che svolgo resti giustamente il più incompreso, è il solo
che ai miei occhi ricongiunga il passato al presente.
Ieri
ho dipinto un vasto paesaggio dove si scorgono campi a perdita d’occhio, da
un’altura si vedono diversi tipi di vegetazione, un campo verde scuro di
patate, strisce di terra fertile e viola tra le superfici regolari, un campo di
piselli in fiore che biancheggia accanto, un altro di erba medica dai fiori
rosa con la minuscola figura di un uomo che sta falciando, un campo d’erba
lunga dalla sfumatura matura color rossiccio e poi grano, pioppi, un’ultima
riga di colline azzurre all’orizzonte ai cui piedi passa un treno, lasciandosi
dietro un’immensa scia di vapore bianco lungo il verde. Una strada attraversa
tutta la tela. A percorrerla è una piccola vettura e, ai bordi, case bianche
dai ruvidi tetti rossi. Una leggera pioggia riga l’insieme d’azzurro o di
grigio. C’è poi ancora un paesaggio con nulla più di un campo verde di frumento
che si estende fino a una villa bianca, circondata da un muro bianco davanti al
quale sta un unico albero.
Del
Sud conservo ancora un tentativo estremo – cipresso con stella – che raffigura
un cielo notturno con una luna, priva di bagliore, il cui gracile arco
crescente emerge appena dall’ombra opaca
proiettata dalla terra e una stella che, se si vuole, emana un eccesso di luce,
luce dolce di rosa e di verde in mezzo al cielo blu oltremare attraversato
dalla corsa delle nuvole. In basso, una strada bordata da alte canne gialle e
dietro le Basses Alpes blu, una vecchia locanda dalle finestre illuminate
d’arancio soffuso e poi un cipresso, altissimo in tutta la sua verticalità,
completamente scuro. Sulla strada una vettura trainata da un cavallo bianco e
due figure che passeggiano attardandosi nella notte.
E’
questo un momento in cui i rapporti tra i mercanti di pittori scomparsi e di
artisti viventi sono molto tesi. Ebbene, io nel mio lavoro rischio la vita e il
mio senno per metà vi è naufragato – pazienza – ma tu [il fratello], tu non fai
parte, per quanto ne sappia, di quei mercanti di uomini e puoi decidere da che
parte stare, comportandoti realmente con umanità.
Come
navigando su un mare infinito, che si estende nel tempo per l’eternità, la vita
è soltanto un viaggio senza ritorno verso luoghi sconosciuti. Lungo il cammino
le anime pure cambiano, oscurate da ombre di imperfezione. Imparerai a tue
spese come la guerra macchia l’anima di rabbia, vendetta, e di una dolorosa
saggezza appresa a forza quando la brutalità rappresenta l’unica via di uscita.
Quest’esperienza ti costringerà a chiederti se il prezzo da pagare era troppo
alto. Se avrai liberato degli uomini dall’oppressione, allora forse parte della
tenebra della tua anima troverà un riscatto nell’onore.
❍ Se è in me qualcosa che è più di
me (Maurice Blondel)
L’”unico necessario” trova la sua ragion d’essere soltanto
perché noi non adeguiamo noi stessi. Per dare l’equazione della nostra azione
volontaria, bisogna guardare in noi fin dove cessa ciò che è nostro. Come la
limpidezza di uno sguardo si vede nello specchio di uno sguardo limpido, così
la coscienza si conosce soltanto nella luce della vita interiore alla propria
vita. C’è nella profondità della mia coscienza un io che non è più io; in
esso rifletto la mia immagine. Mi vedo solo in esso: il suo mistero
impenetrabile è come il foglio argentato dello specchio che riflette di me la
luce. Ma se è in me qualcosa che è più di me, tuttavia nonè me più di quanto io
non si alui. Non adeguo me stesso perché l’adeguo. Non è perciò la faccia
oscura del mio pensiero, il risvolto invisibile della mia coscienza e della mia
azione, come se non dovessi vederlo che in me, e come se tutta la sua realtà
consistesse soltanto nell’idea che ne possiedo. Sono condotto necessariamente a
concepirlo solo perché sono necessariamente condotto a riconoscere ciò che mi
manca proprio in quel che faccio: identità assoluta del reale e dell’ideale,
della potenza e della saggezza, dell’essere e della perfezione.