ANTOLOGIA DI BRANI SPIRITUALI

mistici medioevali dell’Occidente

 

back to HomePage

 

 

 

     

Paolino alla corte di Re Edwino di Northumberland

Madonna Intelligenza (Dino Compagni)

Simeone nuovo teologo, Sono divenuto il mio corpo

Preghiera per i vivi  (Liturgia ortodossa)

Gregorio di Narek, dalla Ventunesima preghiera

Preghiera del lucernario (Liturgia bizantina)

Dalla liturgia eucaristica siriaca

Da una anafora siriaca del VI secolo

Efrem il siro, Donami, Signore, finché veglio

Efrem il Siro, Come uno specchio

Gregorio di Narek, Veglia su di me

Anonimo siriaco, Signore dei tempi e degli attimi

Pietro Bono, Margarita pretiosa, in Theatrum Chemicum, 1602)

La maschera della verità alchemica (dagli antichi testi alchemici)

Monte Athos, Codice dell’abate Xerocarca

Brani da La Filocalia

Dalla Lorica di S. Patrizio

Da Veni sancte Spiritus (Graduale romanum)

Evangeliario cristiano (XI sec.)

Parole del suicidio rituale cataro attuato mediante il taglio delle vene

Liturgia romana, dal Prefazio della III domenica di Quaresima

L’incarnazione (Messa giornaliera dei Domenicani)

Alberto Magno, Preghiera nella tentazione

Liturgia delle ore, Secondi vespri della seconda Domenica (V-VI secolo)

Da Vox clara ecce intonat (inno cristiano in latino del X secolo)

Dal trattato cabalistico Sefer Yetsirah (Libro della Creazione, II-VI sec.)

Nicola Cusano, La pace della fede

Nicola Cusano, Sono incapace di darti un nome

Jacopone da Todi, La trasformazione interiore

Jacopone da Todi, Stabat Mater

Cantico di frate sole (Francesco dAssisi)

O amore muto (Jacopone da Todi)

Girolamo Savonarola, L’abisso invoca l’abisso

Guido Guinizelli, Al cor gentil repara sempre amore

Guido Cavalcanti, Chi è questa che vèn

Inno alla Vergine Madre (Dante Alighieri, Paradiso, Canto XXXIII)

Dante Alighieri, Vita Nuova, I-III

Dante Alighieri, A ciascun’alma presa e gentil core (Vita Nuova, sonetto introduttivo)

Dante Alighieri, Oltre la spera che più larga gira (Vita Nuova, sonetto XLII)

Dante Alighieri, Perché ti vedi giovinetta e bella

Dante Alighieri, Amor, che movi tua vertù da cielo

Dante Alighieri, Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete (Convivio, Canzone prima)

Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, iscrizione sulla porta degli inferi.

Dante Alighieri, Paradiso, I, 4-12

Dante Alighieri, Paradiso, Canto XXVIII

Dante Alighieri, Vita Nuova, 7

Dante Alighieri, Vita Nuova, 8

Dante Alighieri, Morte Villana di pietà nemica (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Cavalcando (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Tutti li miei penser (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Donne ch'avete intelletto d'amore (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Amore e 'l cor gentil (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Ne li occhi porta la mia donna Amore (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Tanto gentile e tanto onesta pare (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Vede perfettamente onne salute (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Sì lungiamente m'ha tenuto Amore (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Color d'amor e di pietà sembianti (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Gentil pensero che parla di vui (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Lasso! per forza di molti sospiri (Vita Nuova)

Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, l’incontro con Satana

Giacomo da Milano, La penetrazione delle piaghe

Anonimo, La nube dell’inconoscenza

Il raccoglimento interiore (Jean Tauler)

Vieni, Santo Spirito (Preghiera tradizionale allo Spirito Santo)

 

 

 

Paolino alla corte di Re Edwino di Northumberland

back to index

 

Questo fatto si svolse poco tempo prima della nascita di Willibrordo, avvenuta nel 658. Gregorio Magno aveva mandato da Roma in Inghilterra alcuni benedittini per recare a quelle genti il messaggio di Cristo. Uno di loro, Paolino, si spinse fino nel lontano Northumberland. Il sovrano del luogo, re Edwino, si dimostrò piuttosto diffidente nei confronti del nuovo messaggio. Dopo qualche incertezza, decise di convocare un’assemblea di saggi. Durante la seduta si alzò un tale che disse: “O Re, immagina questa scena: tu siedi a mensa in compagnia dei tuoi conti e vassalli. E’ inverno. La sala è ben riscaldata,il camino acceso. Fuori mugghia la tempesta. Neve e ioggia sferzano. A un tratto, un uccellino entra volando nella sala. Si introduce da una porta e, poco dopo, esce fuori da un’altra. Nei pochi momenti durante i quali rimane nella sala, è al riparo dal gelo, ma non appena scompare dalla tua vista, ripiomba nel buio dell’inverno. Secondo me così avviene per la vita umana. Non sappiamo che cosa l’ha preceduta e nemmeno sappiamo che cosa la seguirà. Se la nuova dottrina ci offre qualche certezza in proposito, val la pena che l’accogliamo”.

 

 

Madonna Intelligenza (Dino Compagni)

back to index

 

L’amorosa Madonna Intelligenza

che fa nell’alma la sua residenza

che co’ la sua bieltà m’ha innamorato.

 

 

 

Simeone nuovo teologo, Sono divenuto il mio corpo

back to index

 

Vedo la bellezza, considero la luminosità,

rifletto la luce della tua grazia

e contemplo con stupore questo splendore indicibile,

sono fuori di me pensando a me stesso:

ciò che ero, quel che son diventato, che meraviglia!

 

dove posare queste membra che sono le tue,

per quali opere, per quali azioni, queste membra

potrei impiegarle, temibili come sono, e divine?

 

 

 

Preghiera per i vivi  (Liturgia ortodossa)

back to index

 

Salva coloro che mi odiano,

che mi offendono,

che mi perseguitano,

e non lasciare che si perdano a causa mia,

di me che sono peccatore.

 

 

 

Gregorio di Narek, dalla Ventunesima preghiera

back to index

 

Come potrò essere chiamato veggente,

quando ho soffocato la luce che era in me?

 

Come sarò stimato un essere sensibile,

io che ho chiuso le porte dei miei sensi?

 

Come si riconoscerà l’immagine della grazia incorruttibile

in me che da me stesso ho ucciso la mia anima?

 

Sono inutile fra il numero dei tuoi strumenti;

vile, fra le pietre dei tuoi muri;

disprezzato, nel rango degli eletti;

abietto, nel gruppo degli invitati.

 

 

 

Preghiera del lucernario (Liturgia bizantina)

back to index

 

O Dio che abiti una luce inaccessibile

 

Tu hai dato vita a ogni creatura

separando la luce dalle tenebre

e ponendo il sole a dominio del giorno

e la luna e le stelle a dominio della notte.

 

Tu ci permetti ora di stare davanti a te

per lodare il tuo Nome

e per offrirti la lode della sera:

ricevila come profumo di soave odore.

 

Accordaci una notte di pace;

rivestici delle tue armi di luce

e liberaci dalle tenebre del male.

 

Donaci il riposo, che ci hai concesso

come ristoro alla nostra debolezza.

 

Fa’ che anche durante questa notte

ci ricordiamo del tuo santo Nome,

e che ci leviamo nella luce dei tuoi comandamenti

per dar gloria a te,

che sei benedetto nei secoli dei secoli.

 

 

 

Dalla liturgia eucaristica siriaca

back to index

 

Ti scongiuro di custodire il mio spirito

da tutte le imboscate del nemico,

i miei occhi da ogni sguardo impuro,

le mie orecchie dall’ascolto di cose vane,

le mie mani dal compimento di qualsiasi lordura

e le mie viscere affinché siano mosse da te.

 

 

 

Da una anafora siriaca del VI secolo

back to index

 

Tu, che stupore è il tuo Nome

e tremore è la tua memoria

e meraviglia è la narrazione su di te

e timore è la storia della tua sostanza.

 

Tu che sai solo far grazia

 

Chiama le tue opere ad accogliere i tuoi doni.

 

 

 

Efrem il siro, Donami, Signore, finché veglio

back to index

 

Quando mi sarò addormentato,

allontana il peccato dal mio giaciglio.

 

I demoni si allontanino da me

con i loro consigli

Inviami un messaggero di luce

perché vegli sulle mie membra;

liberami dai desideri malvagi

 

il tuo sangue vegli su di me.

 

la tua forza protegga il mio corpo,

il mio riposo sia davanti a te,

come profumo d’incenso.

 

Il Maligno non si avvicini al mio giaciglio,

 

 

 

Efrem il Siro, Come uno specchio

back to index

 

La preghiera sia uno specchio davanti al tuo volto.

Sulla sua superficie luminosa si disegnino,

o Signore, i tratti della tua bellezza.

Non vi posi lo sguardo, Signore, il turpe Maligno,

perché non vi imprima

il segno della sua turpitudine.

 

Lo specchio accoglie

l’immagine di chiunque si presenti:

non si imprima nella nostra preghiera

il segno di tutti i nostri pensieri.

 

Si muovano in essa i moti del tuo volto,

perché sia riempita

come uno specchio

dalle tue bellezze.

 

 

 

Gregorio di Narek, Veglia su di me

back to index

 

Accosta la tua luce al mio volto oscuro

Cancella la mia vergogna, togli il mio peso.

Traccia una croce

sulla finestra della mia dimora.

Col tuo braccio disteso proteggi il luogo del mio riposo.

Conserva puro il soffio che hai posto nel mio corpo.

Donami un riposo dolce

al cuore di questa profonda notte.

Avvolgimi con la tua speranza

perché non sia vittima delle potenze del sogno.

Veglia, veglia su di me.

 

 

 

Anonimo siriaco, Signore dei tempi e degli attimi

back to index

 

Ecco

le tenebre che si spandono

e il giorno oscuro

sui continenti.

 

La sera spoglia ogni uomo,

 

gli leva le vesti,

lo mette a nudo.

Così la morte spoglia l’uomo dei suoi beni.

 

Appare il mattino

e rende le vesti

a coloro che se ne rivestono:

figura della Resurrezione.

 

Lode al Signore

che ha separato la notte dal giorno

li ha fatti parabole del mistero.

 

 

 

Pietro Bono, Margarita pretiosa, in Theatrum Chemicum, 1602)

back to index

 

Gli antichi alchimisti dalla loro arte seppero del venire della fine del mondo e della risurrezione dei morti. Poiché l’anima [mediante l’opera ermetica] viene di nuovo legata, in eterno, al suo corpo originario. Il corpo diviene del tutto glorificato ed incorruttibile e di una sottigliezza quasi incredibile, compenetrando ogni densità. La sua natura sarà tanto spirituale quanto corporale. Gli antichi filosofi (ermetici) hanno visto il Giudizio Universale in quest’Arte, cioè nella germinazione e nella nascita della loro pietra, perché in essa si realizza la riunione dell’anima da glorificare col suo corpo originario in una eterna gloria.

 

 

 

La maschera della verità alchemica (dagli antichi testi alchemici)

back to index

 

Obscurus per obscurius, per aenigmata, per similitudinem.

[detto anonimo]

 

Non ti lassare ingannare et non credere alla semplice lettera dei Philosophi in questa scientia, poiché dove hanno parlato più apertamente, quivi hanno parlato più oscuramente, cioè per enigma, overo per similitudine

Quello che gli sapienti hanno detto per similitudine, overo per analogia, molti lo pgliano secondo la lettera, però si trovani ingannati

[Braccesco, La espositione di Geber philosopho]

 

Quando i filosofi parlano senza raggiri, diffido della loro parola; quando si spiegano per enigmi, rifletto

[Schroeder]

 

Povero idiota! Sarai tu così ingenuo da credere che noi ti insegnamo apertamente e chiaramente il più importante dei segreti, e da prendere le nostre parole alla lettera? Io ti assicuro che chi vorrà spiegare ciò che i Filosofi scrissero col senso ordinario e letterale delle parole, si troverà preso nei giri di un labirinto, donde non potrà più liberarsi… e per danaro che spenda per sperimentare, tutto sarà buttato via

[Artefio]

 

 

 

Monte Athos, Codice dell’abate Xerocarca

back to index

 

Mettiti a sedere solo, in un angolo. Sta attento a quello che ti dico. Chiudi la porta ed eleva il tuo spirito al disopra di ogni cosa vana e temporale. Quindi abbassa il mento sul petto e con tutte le forze dell’anima apri l’occhio percipiente, che è nel mezzo del tuo cuore. Frena anche le uscite dell’aria, tanto da non respirare troppo facilmente. Sforzati di trovare il sito preciso del cuore, dove sono destinate ad abitare tutte le forze dell’anima. Da principio, incontrerai oscurità e resistenza di masse impenetrabili; ma se perseveri e continui questo lavoro, di giorno e di notte, finirai per provare una gioia inesprimibile; poiché, appena hai trovato il sito del cuore, lo spirito vede ciò che prima non è mai stato in grado di conoscere. Egli vede allora l’aria, che sta tra lui e il cuore, splendere chiara e percettibile d’una luce miracolosa.

 

 

 

Brani da La Filocalia

back to index

 

E quando l’intelletto, levatosi al di sopra di ogni realtà sensibile, emerge dal diluvio turbinoso che circonda queste realtà e osserva l’uomo interiore, vedendovi innanzitutto la ributtante maschera che gli è stata applicata dalla caduta, si studia di lavarla con il pianto dell’afflizione; quindi, dopo avere tolto via quella orribile copertura, con l’anima allora non più distratta ignobilmente da relazioni di ogni genere, si ritira senza turbamenti nei più intimi recessi e prega il Padre nel segreto, ed egli gli elargisce dapprima il dono capace di tutti i carismi, cioè la pace dei pensieri, con la quale rende perfetta l’umiltà che genera e contiene in sé ogni virtù.

L’umiltà non consiste in parole e atteggiamenti facili, per chi la voglia ottenere agevolmente, ma è quella testimoniata dal buono e divino Spirito e che è lo stesso Spirito che si rinnova nell’intimo, a creare.

Nella pace e nell’umiltà, come nella sicura fortezza del paradiso dell’intelletto, nasce ogni genere di alberi della vera virtù: nel luovo più centrale c’è la sacra reggia della carità, nel suo vestibolo, preludio del secolo futuro, fiorisce la gioia indicibile e che non può essere rapita. Infatti, la povertà è madre della mancanza di preoccupazioni e la mancanza di preoccupazioni lo è dell’attenzione e della preghiera; queste, poi, lo sono dell’afflizione spirituale e delle lacrime. Le lacrime distruggono le cattive predisposizioni e quando esse sono state cacciate via, la via della virtù è più facile da compiersi, tolti di mezzo gli ostacoli, e si aggiunge anche una coscienza non più condannabile.

 

Quando viene cacciata ogni turpe passione che abita nell’intimo, e – come il discorso ha già chiarito – l’intelletto stesso, l’anima, la adorna con la coltivazione delle virtù, procedendo verso  ciò che è più perfetto, disponendo ancora ascensioni pratiche, e con l’aiuto di Dio, lavando maggiormente se stesso, si deterge non solo di ogni cattiva impronta di male, ma toglie di mezzo anche quant’altro, fosse pure di meglio e di più utile, da possedere e da pensare. Quando poi, avendo oltrepassato le realtà intelligibili e i concetti di esse non liberi da fantasie e – avendo rinunciato a tutto come amato da Dio e insieme amante di Dio – sta davanti a Dio sordo e muto – come è scritto – allora viene plasmato come materia, nella forma più alta, in tutta sicurezza, poiché non essendoci nessuno di quelli di fuori che bussa alla porta, la grazia all’interno trasforma in meglio e illumina l’intimo oltre il credibile con luce ineffabile, rendendo perfetto l’uomo interiore.

Allora, quando il giorno risplende ed è sorta nei nostri cuori la stella del mattino – secondo il principe degli apostoli – esce colui cheè veramente uomo per il suo vero lavoro – secondo la parola profetica – e in virtù di questa luce, sale per la via o è condotto in alto ai monti eterni. In questa luce – cosa mirabile – diviene spettatore delle realtà mondane non disgiunto, o disgiunto – conforme il procedere della sua via – dalla materia che gli coesiste fin dall’inizio. Infatti non sale con ali immaginative della mente, che come cieca gira attorno a ogni cosa senza afferrare una percezione esatta e certa sia delle realtà sensibili assenti sia di quelle intelligibili che la superano; ma sale veramente, per la indescrivibile potenza dello Spirito, e con una intelligenza spirituale e indicibile ode parole ineffabili e vede le realtà invisibili.

Da allora, è e diviene interamente una realtà meravigliosa, e anche se non è lassù, gareggia con infaticabili cantori, divenuto veramente un altro angelo di Dio in terra, che conduce a lui, attraverso se stesso, ogni genera di creatura, poiché esso è insieme partecipe di tutte le cose e ora è consorte di Colui che è sopra a tutte, così da essere la perfezione dell’immagine.

Perciò il divino Nilo dice che “la struttura dell’intelletto è altezza intelligibile, simile al colore del cielo, sulla quale, nel tempo della preghiera, viene la luce della santa Triade”. E ancora: “Se uno vuol vedere la struttura dell’intelletto, si privi di tutti i concetti, e allora lo vedrà simile a zaffiro o a colore del cielo”. Ma fare questo senza impassibilità è impossibile, poiché occorre che Dio cooperi e gli ispiri la luce che gli è connaturale.

 

Ma anche il divino Mario dice: “Colui che è accerchiato da cattivi pensieri, come vedrà realmente esistente il peccato che è nascosto da essi, ed è tenebra e caligine dell’anima caduta da pensiero, parole e opere cattive? Ma chi non ha visto questo peccato che lo avolge, quando mai pregando a questo proposito ne sarà purificato? E se non sarà purificato, come troverà il luogo della purezza naturale? E se non l’avrà trovato, come vedrà la dimora interiore di Cristo? Pertanto bisogna insistere e bussare con la preghiera e cercare non solo di ottenere questa dimora, ma anche di custodirla, poiché ci sono di quelli che dopo averla ottenuta l’hanno persa. Infatti, una semplice conoscenza o anche un’esperienza accidentale di essa possono averla anche quelli che hanno incominciato tardi a imparare e i giovani; ma quanto alla pratica costante e paziente, ciò è solo di quelli che sono pii ed esperimentati tra gli anziani”.

 

 

 

Dalla Lorica di S. Patrizio

back to index

 

Io avanzo sulla mia strada

con la forza di Dio che mi sostiene

la sapienza di Dio che mi guida

l’occhio di Dio che mi dà luce

l’orecchio di Dio che mi fa ascoltare

la via di Dio che mi traccia la strada

lo scudo di Dio che mi protegge.

 

 

 

Da Veni sancte Spiritus (Graduale romanum)

back to index

 

Vieni, santo Spirito

 

Lava ciò che è sordido,

irriga ciò che è arido,

sana ciò che sanguina.

 

Piega ciò che è rigido,

scalda ciò che è gelido,

drizza ciò che è sviato.

 

 

 

Evangeliario cristiano (XI sec.)

back to index

 

Crux est reparatio vitae

Crux est destructio mortis

 

 

 

Parole del suicidio rituale cataro attuato mediante il taglio delle vene

back to index

 

“Vento (ανεμοϚ), liberati dal carcere!”

 

 

 

Liturgia romana, dal Prefazio della III domenica di Quaresima

back to index

 

Perciò ti rendiamo grazie,

e assieme agli angeli proclamiamo le tue potenze,

dicendo: Sanctus.

 

 

 

L’incarnazione (Messa giornaliera dei Domenicani)

back to index

 

Non attraverso il seme d'un uomo,

Ma per mezzo d'un soffio misterioso

Il Verbo di Dio s'è fatto carne,

Il frutto delle viscere è fiorito.

Il ventre della Vergine si gonfia

I cancelli del pudore persistono,

Gli stendardi delle virtù si agitano,

Dio risiede nel tempio.

 

 

 

Alberto Magno, Preghiera nella tentazione

back to index

 

Proteggimi perché non sia vinto dal tentatore.

 

muta per me in pane questi rigori della penitenza

che il tentatore chiama pietre,

e muta in pietre i godimenti

che chiama pane.

 

Egli non mi ponga sul pinnacolo del tempio

 

Non mi getti a terra con una falsa umiltà

 

Non mi trasporti sulla montagna dell’ambizione

 

Il tentatore lasci la presa,

i tuoi angeli si facciano prossimi

per custodirmi dal male.

 

 

 

Liturgia delle ore, Secondi vespri della seconda Domenica (V-VI secolo)

back to index

 

O Trinità santissima

O luce prima e unica:

ora che termina il giorno

infondi luce agli animi

 

Innalziamo un cantico all’alba

e ti invochiamo al vespero;

la nostra lode supplice

salga a te nei secoli.

 

 

 

Da Vox clara ecce intonat (inno cristiano in latino del X secolo)

back to index

 

Ecco una voce sonante

che dissipa le tenebre:

i sogni dileguino;

Cristo torna a splendere.

 

 

 

Dal trattato cabalistico Sefer Yetsirah (Libro della Creazione, II-VI sec.)

back to index

 

Le ventidue lettere fondamentali le incise, le plasmò, le soppesò, e le permutò, e formò con esse tutto il creato e tutto ciò che c’è da formare per il futuro.

Ventidue lettere fondamentali le pose in una ruota come fossero delle mura.

Come le combinò e le permutò? Alef con tutti gli Alef, Beit con tutti i Beit, Gimel con tutti i Gimel, Dalet con tutti i Dalet, Hei con tutti gli Hei, Vav con tutti i Vav, Zayin con tutti i Zayin, Chet con tutti i Chet, Tet con tutti i Tet, Yud con tutti gli Yud, Kaf con tutti i Kaf, Lamed con tutti i Lamed, Mem con tutti i Mem, Nun con tutti i Nun, Samech con tutti i Samech, Ayin con tutti gli Ayin, Pei con tutti i Pei, Tzadik con tutti gli Tzadik, Kuf con tutti i Kuf, Reish con tutti i Reish, Shin con tutti gli Shin e Tav con tutti i Tav e si trova che ogni creatura e ogni detto esce fuori da un unico Nome.

Due pietre costruiscono due case, tre pietre costruiscono sei case, quattro pietre costruiscono ventiquattro case, cinque pietre costruiscono centoventi case, sei pietre costruiscono settecentoventi case, sette pietre costruiscono cinquemilaquaranta case. Di qui in avanti, vai, e pensa a quello che la bocca non può dire e l’orecchio non può udire.

 

 

 

Nicola Cusano, La pace della fede

back to index

 

Placati dunque, Signore,

perché la tua collera è bontà,

e la tua giustizia è misericordia.

 

Abbi pietà della tua debole creatura.

 

 

 

Nicola Cusano, Sono incapace di darti un nome

back to index

 

Per vederti, l’intelligenza deve perciò farsi ignoranza

e stabilirsi nell’oscurità.

 

 

 

Jacopone da Todi, La trasformazione interiore

back to index

 

Rivestendo l’Amore, sarai spogliato di te stesso, sarai privato di te interamente e trasformato in Colui che ti guida.

 

 

 

Jacopone da Todi, Stabat Mater

back to index

 

E, se il corpo avrà la morte,

l’anima giunga alle porte

dell’eterna patria. Amen.

 

 

 

Cantico di frate sole (Francesco d’Assisi)

back to index

 

Altissimu, onnipotente, bon Signore,

tue so’ le laude la gloria e l’honore et onne bedictione.

 

Ad te solo Altissimo se konfano,

et nullu homo ène dignu te mentovare.

 

Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature,

spetialmente messor lo frate sole,

lo qual è iorno, et allumini noi per lui.

Et ellu è bello e radiante cum grande splendore:

da te, Altissimo, porta significatione.

 

Laudato si’ mi’ Signore, per sora luna e le stelle:

in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

 

Laudato si’ mi’ Signore, per frate vento,

et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,

per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

 

Laudato si’ mi’ Signore, per sor’aqua,

la quale è multo utile t humile et pretiosa et casta.

 

Laudato sì’ mi’ Signore, per frate focu,

per lo quale enallumini la nocte:

ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

 

Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra matre terra,

la quale ne sustenta et governa,

et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

 

Laudato si’ mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore

et sostengo infirmitate et tribulatione.

 

Beati quelli ke ‘l sosterranno in pace,

ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

 

Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,

da la quale nullu homo vivente po’ skapppare:

guai a cquelli ke morranno ne le peccata mortali;

beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,

ka la morte seconda no ‘l farrà male.

 

Laudate et benedicete mi’ Signore, et rengratiate

et serviateli cum grande humilitate.

 

 

 

O amore muto (Jacopone da Todi)

back to index

 

O amore muto

che non vuoi parlare, che non sei

conosciuto

amore che ti celi

in ogni stagione

che uno da fuori non senta

la tua affezione

e non la senta il ladro

di quel che hai guadagnato

e tu ne sia rubato –

più uomo ti cela e più il tuo fuoco

aumenta

e chi ti ha occultato

sempre altro fuoco aggiunge

ma l’uomo che viene spinto

a voler parlare di te

molte volte viene ferito

Se uomo

si schiude a dir quello che in sé intende

un vento viene da fuori

disperde quel che aveva ricevuto.

L’uomo che un lume alla candela accende

se vuol che arda quieto

lo tiene celato

e ogni porta

ha ben serrato

che non venga

il vento, il lume sia spento.

Questo amore ha posto il silenzio

sui sospiri

ha chiuso

l’uscita e non li lascia andare

li fa partorire dentro –

così la mente non si spande da quello che ha sentito.

Se esce un sospiro, esce

dietro a lui la mente,

va dietro vaneggiando

lascia que che le era presente

poi quando si riprende

non ritrova più

cos’aveva ricevuto.

Questo amore ha bandito

via da sé la ipocrisia,

via dal suo regno, non sia

mai più trovata

ha cacciato la gloria

falsa ed errante,

lei e ogni suo tributo.

 

 

 

Girolamo Savonarola, L’abisso invoca l’abisso

back to index

 

L’abisso invoca l’abisso:

l’abisso della mia miseria invoca l’abisso della tua misericordia,

l’abisso dei peccati invoca l’abisso delle grazie.

Ma l’abisso della misericordia è più grande dell’abisso della miseria.

Perciò l’abisso colmi l’abisso,

l’abisso della misericordia colmi l’abisso della miseria.

 

 

 

Guido Guinizelli, Al cor gentil repara sempre amore

back to index

 

Al cor gentil repara sempre Amore

Com’a la selva augello ‘n la verdura:

né fe’ Amore anti che gentil core,

né gentil core anti ch’Amor, Natura.

Ch’adesso con fo ‘l sole, [tosto che fu creato il sole]

sì tosto lo sprendore fo lucente, [subito fu creata la luce]

né fo davanti ‘l sole; [né ciò fu prima del sole]

e prende Amore in gentilezza loco

così propiamente

come calore in clarità de foco. [in una fiamma splendente]

 

Foco d’amore in gentil cor s’aprende

come vertute in pietra preziosa,

che da la stella valor no i descende [non le discende]

anti che ‘l sol la faccia gentil cosa,

Poi che n’à tratto fore

Per soa forza lo sol ciò che li è vile,

stella li dà valore:

così lo cor, ch’è fatto da Natura

asletto, pur, gentile, [asletto: eletto]

donna a guisa de stella lo ‘nnamura.

 

Amor per tal ragion sta ‘n cor gentile,

per qual lo foco in cima del dolero [torcia di cera]

splendeli al so diletto, clar, sottile; [vi splende, a piacer suo, limpido e sottile]

no li star’ altra guisa, tant’è fero. [Amore non starebbe nel cuore in altra guisa, tanto è altero]

Però prava natura

Rencontra Amor come fa l’aigua ‘l foco [è contraria ad Amore come l’acqua è contraria al caldo fuoco, per la sua natura fredda]

Caldo, per la freddura,

Amore in gentil cor prende rivera [prende stanza]

Per so consimel loco; [luogo di natura ad essa consimile]

com’adamas del ferr’en la miniera. [come la preziosa calamita sta nella miniera del ferro]

 

Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno;

vile reman, né ’l sol perde calore :

dis’omo alter « Gentil per schiatta torno » ; [divengo nobile per la mia stirpe]

lui sembl’al fango, al sol gentil valore. [lui lo paragono al fango, e la vera nobiltà al sole]

Chè non de’ dare om fede [Ché non si deve credere]

Che gentilezza sia, for de coraggio, [che la gentilezza venga, al difuori del coraggio, nella dignità che viene dai diritti ereditari]

in degnità de rede:

s’e’ da vertute non à gentil core, [se egli non riceve dalla virtù un cuore gentile]

com’aigua porta raggio; [come l’acqua serve da tramite al raggio luminoso]

e’l ciel riten le stelle e lo sprendore. [e il cielo trattiene in sé lo splendore delle stelle]

 

Sprende ‘n la ‘ntelligenzia de lo cielo [Dio effonde il suo lume nella intelligenza celeste]

Deo criator, più che ‘n nostr’occhi ‘l sole: [più che il sole non splenda negli occhi di noi mortali]

quella, che ‘ntende so fatto oltra ‘l velo, [e quella (l’intelligenza angelica) la quale intende senza l’impedimento del velo corporeo quello che le spetta di fare (per volontà celeste)]

lo ciel volgiando, a Lui obedir tole. [prende ad obbedire al creatore dando movimento ai cieli]

E con segue, al primero [e consegue il giusto compimento della idea creatrice primordiale]

Da Deo creato, giusto compimento,

così d’adovra ‘l vero [fa nascere la verità]

la bella donna – poi che ‘n gli occhi sprende

de l’om gentil – talento, [splende, effonde talento negli occhi dell’uomo gentile]

che mai da le’ obedir non si disprende. [che non si distoglie mai dall’obbedirla]

 

Donna, Deo me dirà, che prosumisti? [O donna, Dio mi dirà “che prosumisti?”]

(siando l’anima mia a lui davante) [quando la mia anima sarà dinanzi a Lui]

lo ciel passasti, e ‘nfino a me venisti

e desti, in vano amor, me per semblante; [e recasti me come paragone di un vano amore terreno]

ch’a me conven la laude

e a la Reina del reame degno, [e alla regina dell’alto regno (la Madonna)]

per cui cessa onne fraude. [per opera della quale ogni male si allontana]

Dir li potrò: tenea d’angel sembianza [aveva la sembianza di un angelo del tuo regno]

Che fosse del tu’ regno;

non me fo fallo, s’eo li posi amanza. [non vi colpa da parte mia se presi ad amarla]

 

 

 

Guido Cavalcanti, Chi è questa che vèn

back to index

 

Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira,

che fa tremar di chiaritate l’aere

e mena seco Amor, sì che parlare

null’omo pote, ma ciascun sospira?

 

O Deo, che sembra quando li occhi gira!

dical’Amor, ch’i’ nol savria contare:

cotanto d’umiltà donna mi pare,

ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ira.

 

Non si poria contar la sua piagenza,

ch’a le’ s’inchin ogni gentil vertute,

e la beltate per sua dea la mostra.

 

Non fu sì alta già la mente nostra

e non si pose ‘n noi tanta salute,

che propriamente n’aviàn canoscenza

 

 

 

Inno alla Vergine Madre (Dante Alighieri, Paradiso, Canto XXXIII)

back to index

 

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’etterno consiglio;

 

tu se’ colei che l’umana natura

nobilitasti sì, che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

 

Nel ventre tuo si raccese l’amore,

per lo cui caldo nell’etterna pace

così è germinato questo fiore.

 

Qui se’ a noi meridiana face

di caritate, e giuso, intra i’ mortali,

se’ di speranza fontana vivace.

 

Donna, se’ tanto grande e tanto vali.

che qual vuol grazia ed a te non ricorre,

sua disianza vuol volar sanz’ali.

 

La tua benignità non pur soccorre

a chi domanda, ma molte fiate

liberamente al dimandar precorre.

 

In te misericordia, in te pietate,

in te magnificenza, in te s’aduna

quantunque in creatura è di bontate.

 

Or questi, che dall’infima lacuna

dell’universo infin qui ha vedute

le vite spiritali ad una ad una,

 

supplica a te, per grazia, di virtute

tanto che posa con li occhi levarsi

più alto verso l’ultima salute.

 

E io, che mai per mio veder non arsi

più ch’i’ fo per lo suo, tutti i miei preghi

ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

 

perché tu ogne nube li disleghi

di sua mortalità co’ prieghi tuoi,

sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.

 

Ancor ti priego, regina, che puoi

ciò che tu vuoli, che conservi sani,

dopo tanto veder, li affetti suoi.

 

Vinca tua guardia i movimenti umani:

vedi Beatrice con quanti beati

per li miei prieghi ti chiudon le mani!

 

 

 

Dante Alighieri, Vita Nuova, I-III

back to index

 

I.

In quella parte del libro del la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d’assemplare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sententia.

 

II.

Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare. Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono. Apparve vestita di nobilissimo colore, umile, onesto e sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello punto dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole: "Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi". In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora ne l’alta camera ne la quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spezialmente a li spiriti del viso, sì disse questa parole: "Apparuit iam beatitudo vestra". In quello punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole: "Heu miser, quia frequenter impeditus ero deinceps!". D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui disponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria per la vertù che li dava la mia imaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente. Elli mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima; onde io ne la mia puerizia molte volte l’andai cercando, e vedeala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero: "Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di deo". E avvegna che la sua imagine, la quale continuamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a segnoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima vertù, che nulla sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove cotale consiglio fosse utile a udire. E però che soprastare a le passioni e atti di tanta gioventudine pare alcuno parlare fabuloso, mi partirò da esse; e trapassando molte cose le quali si potrebbero trarre de l’essemplo onde nascono queste, verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto maggiori paragrafi.

 

III.

Poi che fuoro passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto di questa gentilissima, ne l’ultimo di questi die avvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo, in mezzo a due gentili donne, le quali erano di più lunga etade; e passando per una via, volse li occhi verso quella parte ov’io era molto pauroso, e per la sua ineffabile cortesia, la quale oggi è meritata nel grande secolo, mi salutoe molto virtuosamente, tanto che me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine. L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse, era fermamente nona di quello giorno; e però che quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partio da le genti, e ricorsi a lo solingo luogo d’una mia camera, e puosimi a pensare di questa cortesissima.

E pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, ne lo quale m’apparve una maravigliosa visione: che me parea vedere ne la mia camera una nebula di colore di fuoco, dentro a la quale io discernea una figura d’uno segnore di pauroso aspetto a chi la guardasse; e pareami con tanta letizia, quanto a sé, che mirabile cosa era; e ne le sue parole dicea molte cose, le quali io non intendea se non poche; tra le quali intendea queste: "Ego dominus tuus". Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda, salvo che involta mi parea in uno drappo sanguigno leggermente; la quale lo giorno innanzi degnato di salutare. E ne l’una de le mani mi parea che questi tenesse una cosa la quale ardesse tutta, e pareami che mi dicesse queste parole: "Vide cor tuum". E quando elli era stato alquanto, pareami che disvegliasse questa che dormia; e tanto si sforzava per suo ingegno, che le facea mangiare questa cosa che in mano li ardea, la quale ella mangiava dubitosamente. Appresso ciò poco dimorava che la sua letizia si convertia in amarissimo pianto; e così piangendo, si ricogliea questa donna ne le sue braccia, e con essa mi parea che si ne gisse verso lo cielo; onde io sostenea sì grande angoscia, che lo mio deboletto sonno non poteo sostenere, anzi si ruppe e fui disvegliato. E mantenente cominciai a pensare, e trovai che l’ora ne la quale m’era questa visione apparita, era la quarta de la notte stata; s’ che appare manifestamente ch’ella fua la prima ora de le nove ultime ore de la notte.

 

 

 

Dante Alighieri,  A ciascun’alma presa e gentil core (Vita Nuova, sonetto introduttivo)

back to index

 

A ciascun’alma presa1 e gentil core

nel cui cospetto ven lo dir presente,

in ciò che mi rescrivan suo parvente2,

salute in lor segnor, cioè Amore.

Già eran quasi che atterzate l’ore3

del tempo che onne stella n’è lucente4,

quando m’apparve Amor subitamente,

cui essenza membrar mi dà orrore5.

Allegro mi sembrava Amor tenendo

meo core in mano, e ne le braccia

avea madonna involta in un drappo dormendo6.

Poi la svegliava, e d’esto core ardendo lei paventosa7 umilmente pascea:

appresso gir lo ne vedea piangendo8.

 

(1)  Innamorata

(2)  Affinché mi rispondano quel che a loro sarà parso

(3)  Era trascorso ormai un terzo

(4)  Della notte (il tempo in cui le stelle rilucono)

(5)  Mi atterrisce

(6)  Che dormiva

(7)  Che ne era intimorita

(8)  Dopo lo vedevo allontanarsi in lacrime

 

 

 

Dante Alighieri, Oltre la spera che più larga gira (Vita Nuova, sonetto XLII)

back to index

 

Oltre la spera che più larga gira1

passa ’l sospiro ch’esce dal mio core:

intelligenza nova2, che l’Amore

piangendo3 mette in lui, pur su lo tira.

Quand’elli è giunto là dove disira,

vede una donna, che riceve onore,

e luce sì, che per lo suo splendore

lo peregrino spirito la mira.

Vedela tal4, che quando ’l mi5 ridice,

io no lo intendo, sì parla sottile

al cor dolente, che lo fa parlare.

So io6 che parla di quella gentile,

però che spesso ricorda Beatrice,

sì ch’io lo ’ntendo ben, donne mie care.

 

(1)  E’ il cristallino o Primo Mobile. Si trova oltre il cielo delle stelle fisse e non ha altri cieli di là da sé. Oltre c’è, infatti, il trapasso nell’Empireo, sede propria di Dio, fuori di ogni dimensione, sia spaziale sia temporale

(2)  Una capacità di intendere del tutto nuova

(3)  Che l’Amore dolorosamente profonde al sospiro

(4)  La vede divenuta tale

(5)  Me lo ridice

(6)  So soltanto

 

 

 

Dante Alighieri, Perché ti vedi giovinetta e bella

back to index

 

Perché ti vedi giovinetta e bella

tanto che svegli ne la mente Amore,

pres’hai orgoglio e durezza nel core.

Orgogliosa se’ fatta e per me dura,

po’ che d’ancider me, lasso, ti prove:

credo che ’l facci per esser sicura

se la vertù d’Amore a morte move.

Ma perché preso più ch’altro mi trove1,

non hai respetto alcun del mi’ dolore.

Possi tu spermentar lo suo valore.

 

(1)  Siccome mi sorprendi più innamorato di qualsiasi altro

 

 

 

Dante Alighieri, Amor, che movi tua vertù da cielo

back to index

 

Amor, che movi tua vertù da cielo

come ’l sol lo splendore,

che là s’apprende più lo suo valore

dove più nobiltà suo raggio trova1;

e come el fuga oscuritate e gelo,

così, alto segnore,

tu cacci la viltate altrui del core,

né ira contra te fa lunga prova:

da te conven che ciascun ben si mova

per lo qual si travaglia il mondo tutto2;

sanza te è distrutto

quanto avemo in potenzia di ben fare,

come pintura in tenebrosa parte,

che non si può mostrare né dar diletto di color né d’arte.

Feremi ne lo cor sempre tua luce,

come raggio in stella3,

poi che l’anima mia fu fatta ancella

de la tua podestà primeramente4;

onde ha vita un disio che mi conduce

con sua dolce favella

in rimirar ciascuna cosa bella

con più diletto quanto è più piacente.

Per questo mio guardar m’è ne la mente

una giovane entrata, che m’ha preso,

e hagli un foco acceso

com’acqua per chiarezza fiamma accende;

perché nel suo venir li raggi tuoi,

con li quai mi risplende,

saliron tutti su ne gli occhi suoi5.

  Quanto è ne l’esser suo bella e gentile

ne gli atti ed amorosa,

tanto lo imaginar, che non si posa6,

l’adorna ne la mente ov’io la porto7;

non che da sé medesmo sia sottile8

a così alta cosa,

ma da la tua vertute ha quel ch’elli osa

oltre al poder che natura ci ha porto.

E’ sua beltà del tuo valor conforto,

in quanto giudicar si puote effetto

sovra degno suggetto9,

in guisa ched è ’l sol segno di foco;

lo qual a lui non dà né to’ virtute,

ma fallo in altro loco

ne l’effetto parer di più salute10.

  Dunque, segnor di sì gentil natura

che questa nobiltate

che avven qua giuso e tutt’altra bontate

lieva principio de la tua altezza11,

guarda la vita mia quanto ella è dura,

e prendine pietate,

ché lo tuo ardor per la costei bieltate

mi fa nel core aver troppa gravezza.

Falle sentire, Amor, per tua dolcezza,

il gran disio ch’i’ ho di veder lei;

non soffrir che costei

per giovanezza mi conduca a morte:

ché non s’accorge ancor com’ella piace,

quanto io l’amo forte,

né che ne li occhi porta la mia pace.

  Onor ti sarà grande se m’aiuti,

e a me ricco dono,

tanto quanto conosco ben ch’io sono

là ’v’io non posso difender la mia vita12:

ché gli spiriti miei son combattuti

da tal ch’io non ragiono,

se per tua volontà non hanno perdono,

che possan guari star sanza finita13.

Ed ancor tua potenzia fia sentita

da questa bella donna che n’è degna:

ché par che si convegna

di darle d’ogni ben gran compagnia,

com’a colei che fu nel mondo nata

per aver segnoria

sovra la mente d’ogni uom che la guata.

 

(1)  La sua potenza s’appoggia di più dove la sua luce trova maggiore nobiltà

(2)  E’ ben necessario che ognuno s’allontani da te, che sei origine di universali sofferenze

(3)  Come il raggio (del sole) colpisce le stelle

(4)  Prima di ogni cosa

(5)  Perché, quando occupò la mia mente, nei suoi occhi rifulse la tua luce, per mezzo della quale ella risplende dentro di me

(6)  Che non si arresta mai

(7)  L’accresce di pregi nella memoria, ove la porto

(8)  Acuto (l’imaginar)

(9)  Si può considerare effetto poggiato su nobile causa

(10) Ma lo rende altrove più potente nell’effetto

(11) Che questa nobiltà, che quaggiù appare, ed ogni altro bene hanno inizio dalla tua sublimità

(12) Tanto più che mi trovo ad un punto che non posso più difendermi dalla morte

(13) Che io non penso che, se per tua volontà non ottengano intercessione, possano resistere alla morte ancora per molto

 

 

 

Dante Alighieri, Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete (Convivio, Canzone prima)

back to index

 

Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete,

 

o voi che come puri intelletti fate muovere il terzo cielo (quello di Venere)

udite il ragionar ch’è nel mio core,

ch’io nol so dire altrui, sì mi par novo.

 

ascoltate i pensieri che sono nel mio cuore

che io non so ridirli ad altri, tanto mi paiono straordinari

El ciel che segue lo vostro valore,

gentili creature che voi sete,

mi tragge ne lo stato ov’io mi trovo.

 

 

Il cielo (di Venere), che segue l’operazione dei vostri intelletti angelici

nobilissime creature che voi siete

mi trascina nello stato in cui sono

Onde ‘l parlar de la vita ch’io provo,

par che si drizzi degnamente a vui:

però vi priego che lo mi ‘ntendiate.

 

Perciò il parlare della vita che sto provando

appare giusto che si indirizzi a voi

perciò vi prego che stiate ad intendermi

Io vi dirò del cor la novitate,

come l’anima trista piange in lui,

e come uno spirto contra lei favella,

che vien pe’ raggi de la vostra stella.

 

 

Io vi parlerò dell’evento straordinario che si sta verificando nel mio cuore,

come il pensiero di Beatrice piange in lui

e come il nuovo sentimento amoroso parla contro di quello

che giunge attraverso i raggi della vostra stella

Suol esser vita de lo cor dolente

un soave penser, che se ne gia

molte fiate a’ pie’ del nostro Sire,

ove una donna gloriar vedia,

di cui parlava me sì dolcemente

che l’anima dicea: “Io men vo’ gire”.

 

 

Soleva essere vita del cuore dolente

un pensiero soave, che andava

spesso si piedi del nostro Signore

dove vedeva una donna trionfante nella gloria dei beati (Beatrice, ormai morta)

di cui quello stesso pensiero parlava con tanta dolcezza

che l’anma diceva “io voglio andarmene”

Or apparisce chi lo fa fuggire

e segnoreggia me di tal virtute,

che ‘l cor ne trema che di fuori appare.

 

Ma ora appare un altro pensiero che lo fa fuggire

e che ha su di lui un così forte potere

che il mio cuore ne trema tanto che ciò appare anche esteriormente

Questi mi face una donna guardare,

e dice: “Chi veder vuol la salute,

faccia che li occhi d’esta donna miri,

sed e’ non teme angoscia di sospiri”

 

Questo nuovo pensiero mi fa guardare una donna

e dice “Chi vuol vedere la salvezza,

guardi negli occhi di questa donna

se non teme di dover affrontare l’esperienza di angosciosi sospiri

Trova contraro tal che lo distrugge

l’umil pensero, che parlar mi sole

d’un’angela che ‘n cielo è coronata

L’anima piange, sì ancor len dole,

e dice: “Oh lassa a me, come si fugge

questo piatoso che m’ha consolata!”

 

Ha ora un avversario così forte da distruggerlo

il pensiero umile che mi soleva parlare

d’un’angela che è incoronata in cielo

L’anima piange, tanto ancora glie ne duole

e dice: “ohimé, come fugge

questo pensiero che aveva pietà di me e che mi ha recato consolazione!

De li occhi miei dice questa affannata:

“Qual ora fu che tal donna li vide!

e perché non credeano a me di lei?

Io dicea: ‘Ben ne li occhi di costei

de’ star colui che le mie pari ancide!’

E non mi valse ch’io ne fossi accorta

che non mirasser tal, ch’io ne son morta”.

 

L’anima affannata dice dei miei occhi

“Maledetta l’ora in cui questa donna li vide!

e perché non credevano a ciò che io dicevo di lei?

Io dicevo: ‘Deve proprio stare negli occhi di costei

colui che uccide le anime come me!’

E non servì a nulla che io stessi attenta

che non guardassero costui per cui io ne son morto”

 

“Tu non se’ morta, ma se’ ismarrita,

anima nostra, che sì ti lamenti”

dice uno spiritel d’amor gentile;

“ché quella bella donna che tu senti,

ha transmutata in tanto la tua vita,

che n’hai paura, sì se’ fatta vile!

 

“Tu non sei morta, sei solo, ora, priva di spirito vitale,

o nostra anima, che così ti lamenti”

dice un gentile spiritello d’amore (il pensiero della nuova donna)

“poiché quella bella donna, di cui avverti la potenza

ha tanto mutato la tua vita,

che ne hai paura, tanto sei divenuta vile!”

Mira quant’elli è pietosa e umile,

saggia e cortese ne la sua grandezza,

e pensa di chiamarla donna, omai!

Ché se tu non t’inganni, tu vedrai

di sì alti miracoli adornezza,

che tu dirai: ‘Amor, segnor verace,

ecco l’ancella tua; fa che ti piace’”

 

Guarda come ella è ricca di pietà ed umile,

saggia e cortese nella sua grandezza

e pensa, ormai, di chiamarla signora!

Ché, se tu potrai vedere senza impedimenti, tu vedrai

virtù tanto mirabili che l’adornano

che dirai: “Amore, signore vero,

ecco la tua ancella; fa che ti piaccia’”

Canzone, io credo che saranno radi

color che tua ragione intendan bene,

tanto la parli faticosa e forte.

Onde, se per ventura elli addivene

che tu dinanzi da persona vada

che non ti paian d’essa ben accorte,

allor ti priego che ti riconforte,

dicendo lor, diletta mia novella.

“Ponete mente almen com’io son bella!”

 

Canzone, io penso che saranno pochi

coloro che comprenderanno ben il tuo contenuto

tanto lo esponi in modo difficile.

Perciò, se ti accade

di andare davanti a persone

che non ti appaiono ben esperte di esso,

allora ti prego di riconsolarti

o mia diletta, nuova composizione, dicendo loro:

‘Guardate almeno come sono bella!”

 

 

 

 

Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, iscrizione sulla porta degli inferi.

back to index

 

Per me si va nella città dolente,

per me si va ne l’etterno dolore,

per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore;

fecemi la divina podestate,

la somma sapïenza e ‘l primo amore.

Dinanzi a me non fuor cose create

se non etterne, e io etterno duro.

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.

 

 

 

Dante Alighieri, Paradiso, I, 4-12

back to index

 

Nel ciel che più della sua luce prende

fu’ io, e vidi cose che ridire

né sa né può chi di la sù discende;

perché appressando sé al suo disire,

nostro intelletto si profonda tanto,

che dietro la memoria non può ire.

Veramente quant’io del regno santo

ne la mia mente potei far tesoro,

sarà ora materia del mio canto.

 

 

 

Dante Alighieri, Paradiso, Canto XXVIII

back to index

 

Poscia che ’ncontro a la vita presente

de’ miseri mortali aperse ’l vero

quella che ’mparadisa la mia mente,

 

Dopo che Beatrice mi ebbe palesato la verità, parlando contro la corruzione della vita presente

 

come in lo specchio fiamma di doppiero

vede colui che se n’alluma retro,

 

Come colui che, di sorpresa, vede riflessa nello specchio la fiamma di una torcia, prima che l’abbia veduta, o immaginato di averla dietro di sé

prima che l’abbia in vista o in pensiero,

e sé rivolge, per veder se ’l vetro

li dice il vero, e vede ch’el s’accorda

con esso come nota con suo metro;

 

e si volge a guardare per vedere se lo specchio gli rivela la vera sorgente luminosa: la torcia, e s’accorge che l’immagine riflessa è identica a quella vera, come la musica, o canto, è commisurata alle parole e al ritmo.

così la mia memoria si ricorda

ch’io feci, riguardando ne’ belli occhi

onde a pigliarmi fece Amor la corda.

 

 

E com’io mi rivolsi e furon tocchi

li miei da ciò che pare in quel volume,

quandunque nel suo giro ben s’adocchi,

 

E come io mi girai e furono colpiti

i miei occhi da ciò che appare nel Primo Mobile

Ogni volta che si fissi attentamente l’occhio nel suo giro

un punto vidi che raggiava lume

acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca

chiuder conviensi per lo forte acume:

e quale stella par quinci più poca,

parrebbe luna, locata con esso

come stella con stella si colloca.

 

così luminoso e possente che l’occhio che esso illumina

deve chiudersi per la intensità

E la stella, che qui sembra più piccola, posta accanto a quel punto luminosissimo, sembrerebbe grande quanto la luna, in confronto alle altre stelle.

Forse cotanto quanto pare appresso

alo cigner la luce che ’l dipigne

quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,

distante intorno al punto un cerchio d’igne

si girava sì ratto, ch’avria vinto

quel moto che più tosto il mondo cigne:

 

Forse tanto distante quanto si vede l’alone che cinge da vicino l’astro che lo colora quando la nebbia di cui è formata è più densa, così – altrettanto vicino – appariva un cerchio di fuoco che girava intorno al punto di luce, in maniera tanto veloce, da cingere il moto stesso del Primo Mobile

e questo era d’un altro circumcinto,

 

Il primo cerchio di fuoco era ricinto tutto intorno da un secondo

e quel dal terzo e ’l terzo poi dal quarto,

dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.

 

 

Sopra seguiva il settimo sì sparto

già di larghezza, che ’l messo di Iuno

intero a contenerlo sarebbe arto.

 

Il settimo cerchio si allarga in tale dimensione e circonferenza da superare l’arcobaleno.

 

Così l’ottavo e il nono; e ciascheduno

più tardo si movea, secondo ch’era in numero distante più da l’uno:

 

Sopra il settimo seguivano, più ampi, l’ottavo e il nono cerchio.

Quanto pià sono lontani dall’unità (e cioè dal "punto" che è Dio) tanto più sono lenti.

e quello avea la fiamma più sincera

cui men distava la favilla pura,

 

Ed aveva la luminosità più vivida quello che distava meno da Dio ("favilla pura")

credo, però che più di lei s’invera.

 

ritengo per certo, poiché vede e conosce di più della divina essenza.

La donna mia, che mi vedea in cura

forte sospeso, disse: "Da quel punto

depende il cielo e tutta la natura.

 

 

Mira quel cerchio che più lì è congiunto;

 

Guarda il primo cerchio, che è più vicino al Primo Mobile

e sappi che ’l suo muovere è sì tosto

 

 

per l’affocato amore ond’elli è punto".

 

 

per il ferventissimo desiderio di Dio da cui è stimolato ("punto")

E io a lei: "Se ’l mondo fosse posto

con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,

sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;

 

E io a lei: "se le sfere del mondo fossero disposte con l’ordine evidente dei nove cerchi angelici, la spiegazione data mi avrebbe soddisfatto e convinto.

ma nel mondo sensibile si pote

veder le volte tanto più divine,

quant’elle son dal centro più remote.

 

Ma nel mondo della materia i cieli sono tanto più veloci e infiammati dell’amore divino, quanto più sono distanti dal loro centro (la Terra).

Onde, se ’l mio disio dee aver fine

in questo miro ed angelico templo,

che solo amore e luce ha per confine,

udir convienmi ancor come l’essemplo

e l’essemplare non vanno d’un modo;

ché io per me indarno a ciò contemplo.

"Se li tuoi diti non sono a tal nodo

sufficienti, non è maraviglia;

 

 

tanto, per non tentare, è fatto sodo!"

 

Più a lungo si lascia il nodo senza tentare di scioglierlo, più diviene stretto.

Così la donna mia; poi disse: "Piglia

quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;

 

 

ed intorno da esso t’assottiglia.

 

ed intorno ad essa esercita l’ingegno ("t’assottiglia")

Li cerchi corporai sono ampi e arti

secondo il più e 'l men del la virtute

che si distende per tutte lor parti.

 

I cieli sono ampi e stretti secondo la maggiore o minore virtù che viene e si diffonde in ogni loro parte (la virtù viene dalle intelligenze motrici).

Maggior bontà vuol far maggior salute;

 

La bontà più è grande e più vuol diffondere il suo benefico influsso ("salute")

maggior salute maggior corpo cape,

 

 

s’elli ha le parti igualmente compiute.

 

se tale corpo (cielo) in tutte le sue parti è ugualmente perfetto.

Dunque costui che tutto quanto rape

 

Dunque il Primo Mobile, che trascina con sé tutto l’altro universo…

l’altro universo seco, corrisponde

al cerchio che più ama e che più sape;

 

 

per che, se tu a la virtù circonde

la tua misura, non t’appaion tonde,

tu vederai mirabil consequenza

di maggio a più e di minore a meno,

in ciascun cielo, a sua intelligenza".

 

per cui, se tu nel confrontare l’ordine dei cieli con quello dei cori angelici poni come termine unico di confronto la "quantità estensiva" (l’ampiezza maggiore o minore) non vedi un rapporto giusto di misura; se invece introduci nell’esame il criterio della "quantitas intensiva" (della virtà maggiore o minore) comprendi come sia mirabile la corrispondenza tra l’ampiezza del cielo e la virtù angelica motrice.

Come rimane splendido e sereno

l’emisperio de l’aere, quando soffia

 

 

Borea da quella guancia ond'è più leno,

 

dall’angolo destro della bocca (nord-ovest) ed è più temperato e porta bel tempo

per che si purga e resolve la roffia

 

roffia: scorie

che pria turbava, sì che 'l ciel ne ride

 

 

con le bellezze d’ogni sua paroffia;

 

paroffia: parte, plaga

così fec’io, poi che mi provide

la donna mia del suo risponde chiaro,

e come stella in cielo il ver si vide.

E poi che le parole sue restaro,

 

 

non altrimenti ferro disfavilla

 

come emette faville il ferro incandescente battuto dal maglio

che bolle, come i cerchi sfavillaro.

 

 

L’incendio suo seguiva ogni scintilla;

 

Ogni scintilla (angelo) girava nel suo cerchio sfavillante

ed eran tante, che ’l numero loro

 

 

più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.

 

Leggenda per cui fu chiesto 1 chicco per la prima casella, 2 per la seconda, etc.

Io sentiva osannar di coro in coro

 

di coro in coro : da un cerchio all’altro

al punto fisso che li tiene a li ubi,

 

a Dio (punto fisso) che li lega alle loro sedi, a ciascuna gerarchia

e terrà sempre, ne’ quai sempre foro.

E quella che vedea li pensier dubi

ne la mia mente, disse: "I cerchi primi

t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.

 

 

Così veloci seguono i suoi vimi.

 

vimi : legami

per somigliarsi al punto quanto ponno;

e possono quanto a veder son sublimi.

 

più sono alti nella gerarchia angelica e più possono assomigliarsi a Dio.

Quelli altri amor che ’ntorno li vonno,

si chiamano Troni del divino aspetto,

per che ’l primo ternaro terminonno.

 

Il terz’ordine degli angeli che vanno (vonno) e girano vicino (’ntorno) a Dio, si chiamano Troni: seggi, da cui rifulge a noi più chiaramente l’aspetto di Dio giudice

per essere tali seggi specchio della divinità, furono posti a terminare la prima gerarchia (’l primo ternaro)

E dèi saper che tutti hanno diletto,

quanto la sua veduta si profonda

nel vero in che si queta ogni intelletto.

 

 

Quinci si può veder come si fonda

l’esser beato ne l’atto che vede,

non in quel ch’ama, che poscia seconda;

 

Da questo si può vedere come il fondamento della beatitudine consista nella visione di Dio, e non nel suo amore, come ritennero alcuni teologi.

e del vedere è misura mercede,

che grazia partorisce e buona voglia:

 

e la visione di Dio è commisurata al merito (mercede ) della creatura angelica, e il merito è dovuto alla grazia, che Dio stesso dona liberamente, e al buon volere (buona voglia ) di ciascuna.

così di grado in grado si procede.

L’altro ternaro, che così germoglia

in questa primavera sempiterna

 

 

che notturno Arïete non dispoglia,

 

la costellazione di Ariete brilla nel cielo notturno in autunno, dal 21 settembre al 21 ottobre

perpetualemente "Osanna " sberna

 

sberna : sverna, il canto degli uccelli al termine dell’inverno

con tre melode, che suonano in tree

ordini di letizia onde s’interna.

 

ogni ordine canta la propria melodia, nei tre cori beati di cui è formata la terna.

In essa gerarcia son l’altre dee:

 

l’altre dee : le altre intelligenze angeliche

prima Dominazioni, e poi Virtudi;

l’ordine terzo di Podestadi èe.

Poscia ne' due penultimi tripudi

Principati e Arcangeli si girano;

 

 

l’ultimo è tutto d’Angelici ludi.

 

il nono è tutto di angeli festanti.

Questi ordini di su tutti s’ammirano,

e di giù vincon sì, che verso Dio

tutti tirati sono e tutti tirano.

E Dionisio con tanto disio

a contemplar questi ordini si mise,

che li nomò e distinse com’io.

Ma Gregorio da lui poi si divise;

 

 

onde, sì tosto come li occhi aperse

in questo ciel, di se medesimo rise.

 

Non appena aprì gli occhi nella verità di Dio, si accorse dell’errore, e sorrise.

E se tanto secreto ver proferse

mortale in terra, non voglio ch’ammiri;

 

E se a un uomo mortale durante la vita terrena fu elargito di manifestare verità così occulte, non c’è da meravigliarsi

ché chi ’l vide qua su lil discoperse

con altro assai del ver di questi giri".

 

ché colui che vide quassù gli ordini angelici, essendo stato rapito al terzo cielo (S. Paolo) gli svelò la dottrina…

 

 

 

Dante Alighieri, Vita Nuova, 7

back to index

 

O voi che per la vita d'Amor passato,

attendete e guardate

s'elli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave;

e prego sol ch'audir mi sofferiate,

e poi imaginate

s'io son d'ogni tormento ostale e chiave.

Amor, non già per mia poca bontate,

ma per sua nobiltate,

mi pose in vita sì dolce e soave,

ch'io mi sentia dir dietro spesse fiate:

"Deo, per qual dignitate

così leggiadro questi lo core have?"

Or ho perduta tutta mia baldanza

che si movea d'amoroso tesoro;

ond'io pover dimoro,

in guisa che di dir mi ven dottanza.

Si che volendo far come coloro

che per vergogna celan lor mancanza,

di fuor mostro allegranza,

e dentro da lo core struggo e ploro.

 

 

 

Dante Alighieri, Vita Nuova, 8

back to index

 

Piangete, amanti, poi che piange Amore,

udendo qual cagion lui fa plorare.

Amor sente a Pietà donne chiamare,

mostrando amaro duol per li occhi fore,

perché villana Morte in gentil core

ha miso il suo crudele adoperare,

guastando ciò che al mondo è da laudare

in gentil donna sovra de l'onore.

Audite quanto Amor le fece orranza,

ch'io 'l vidi lamentare in forma vera

sovra la morta imagine avvenente;

e riguardava ver lo ciel sovente,

ove l'alma gentil già locata era,

che donna fu di sì gaia sembianza.

 

 

 

Dante Alighieri, Morte Villana di pietà nemica (Vita Nuova)

back to index

 

Morte villana, di pietà nemica,

di dolor madre antica,

giudicio incontastabile gravoso,

poi che hai data matera al cor doglioso

ond'io vado pensoso,

di te blasmar la lingua s'affatica.

E s'io di grazia ti voi far mendica,

convenesi ch'eo dica

lo tuo fallar d'onni torto tortoso,

non però ch'a la gente sia nascoso,

ma per farne cruccioso

chi d'amor per innanzi si notrica.

Dal secolo hai partita cortesia

e ciò ch'è in donna da pregiar vertute:

in gaia gioventute

distrutta hai l'amorosa leggiadria.

Più non voi discovrir qual donna sia

che per le propietà sue canosciute.

Chi non merta salute

non speri mai d'aver sua compagnia.

 

 

 

Dante Alighieri, Cavalcando (Vita Nuova)

back to index

 

Cavalcando l'altr'ier per un cammino,

pensoso de l'andar che mi sgradia,

trovai Amore in mezzo de la via

in abito leggier di peregrino.

Ne la sembianza mi parea meschino,

come avesse perduto segnoria;

e sospirando pensoso venia,

per non veder la gente, a capo chino.

Quando mi vide, mi chiamò per nome,

e disse: "Io vegno di lontana parte,

ov'era lo tuo cor per mio volere;

e recolo a servir novo piacere".

Allora presi di lui sì gran parte,

ch'elli disparve, e non m'accorsi come.

 

 

 

Dante Alighieri, Tutti li miei penser (Vita Nuova)

back to index

 

Tutti li miei penser parlan d'Amore;

e hanno in lor sì gran varietate,

ch'altro mi fa voler sua potestate,

altro folle ragiona il suo valore,

altro sperando m'apporta dolzore,

altro pianger mi fa spesse fiate;

e sol s'accordano in cherer pietate,

tremando di paura che è nel core.

Ond'io non so da qual matera prenda;

e vorrei dire, e non so ch'io mi dica:

così mi trovo in amorosa erranza!

E se con tutti voi fare accordanza,

convenemi chiamar la mia nemica,

madonna la Pietà, che mi difenda.

 

 

 

Dante Alighieri, Donne ch'avete intelletto d'amore (Vita Nuova)

back to index

 

Donne ch'avete intelletto d'amore,

i' vo' con voi de la mia donna dire,

non perch'io creda sua laude finire,

ma ragionar per isfogar la mente.

Io dico che pensando il suo valore,

Amor sì dolce mi si fa sentire,

che s'io allora non perdessi ardire,

farei parlando innamorar la gente.

E io non vo' parlar sì altamente,

 ch'io divenisse per temenza vile;

ma tratterò del suo stato gentile

a respetto di lei leggeramente,

donne e donzelle amorose, con vui,

ché non è cosa da parlarne altrui.

Angelo clama in divino intelletto

e dice: "Sire, nel mondo si vede

maraviglia ne l'atto che procede

d'un'anima che 'nfin qua su risplende".

Lo cielo, che non have altro difetto

che d'aver lei, al suo segnor la chiede,

e ciascun santo ne grida merzede.

Sola  Pietà nostra parte difende,

ché parla Dio, che di madonna intende:

"Diletti miei, or sofferite in pace

che vostra spene sia quanto me piace

là 'v' è alcun che perder lei s'attende,

e che dirà ne lo inferno: O mal nati,

gitta nei cor villani Amore un gelo,

per che onne lor pensero agghiaccia e pere;

e qual soffrisse di starla a vedere

diverria nobil cosa, o si morria.

E quando trova alcun che degno sia

di veder lei, quei prova sua vertute,

ché li avvien, ciò che li dona, in salute,

e sì l'umilia, ch'ogni offesa oblia.

Ancor l'ha Dio per maggior grazia dato

che non pò mal finir chi l'ha parlato.

Dice di lei Amor: "Cosa mortale

come esser pò sì adorna e sì paura?"

Poi la reguarda, e fra se stesso giura

che Dio ne 'ntenda di far cosa nova.

Color di perle ha quasi, in forma quale

convene a donna aver, non for misura:

ella è quanto de ben pò far natura;

per essemplo di lei bieltà si prova.

De li occhi suoi, come ch'ella li mova,

escono spirti d'amore inflammati,

che feron li occhi a qual che allor la guati,

e passan sì che 'l cor ciascun retrova:

voi le vedete Amor pinto nel viso,

là 've non pote alcun mirarla fiso.

Canzone, io so che tu girai parlando

a donne assai, quand'io t'avrò avanzata.

Or t'ammonisco, perch'io t'ho allevata

per figliuola d'Amor giovane e piana,

che là 've giugni tu dichi pregando:

"Insegnatemi gir, ch'io son mandata

a quella di cui laude so' adornata".

E se non vuoli andar sì come vana,

non restare ove sia gente villana:

ingegnati, se puoi, d'esser palese

solo con donne o con omo cortese,

che ti merranno là per via tostana.

Tu troverai Amor con esso lei;

raccomandami a lui come tu dei.

 

 

 

Dante Alighieri, Amore e 'l cor gentil (Vita Nuova)

back to index

 

Amore e 'l cor gentil sono una cosa,

sì come il saggio in suo dittare pone,

e così esser l'un sanza l'altro osa

com'alma razional sanza ragione.

Falli natura quand'è amorosa,

Amor per sire e 'l cor per sua magione,

dentro la qual dormendo si riposa

tal volta poca e tal lunga stagione.

Bieltate appare in saggia donna pui,

che piace a gli occhi sì, che dentro al core

nasce un disio de la cosa paicente;

e tanto dura talora in costui,

che fa svegliar lo spirito d'Amore.

E simil face in donna omo valente.

 

 

 

Dante Alighieri, Ne li occhi porta la mia donna Amore (Vita Nuova)

back to index

 

Ne li occhi porta la mia donna Amore,

per che si fa gentil ciò ch'ella mira;

ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira,

e cui saluta fa tremar lo core,

sì che, bassando il viso, tutto smore,

e d'ogni suo difetto allor sospira:

fugge dinanzi a lei superbia ed ira.

Aiutatemi, donne, farle onore.

Ogne dolcezza, ogne pensero umile

nasce nel core a chi parlar la sente,

ond'è laudato chi la prima la vide.

Quel ch'ella par quanto un poco sorride,

non si pò dicer né tenere a mente,

sì è novo miracolo e gentile.

 

 

 

Dante Alighieri, Tanto gentile e tanto onesta pare (Vita Nuova)

back to index

 

Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia quand'ella altrui saluta,

ch'ogne lingua deven tremando muta,

e li occhi no l'ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,

benignamente d'umiltà vestuta;

e par che sia una cosa venuta

da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,

che dà per li occhi una dolcezza al core,

che 'ntender no la può chi no la prova:

e par che de la sua labbia si mova

un spirito soave pien d'amore,

che va dicendo a l'anima: Sospira.

 

 

 

Dante Alighieri, Vede perfettamente onne salute (Vita Nuova)

back to index

 

Vede perfettamente onne salute

chi la mia donna tra le donne vede;

quelle che vanno con lei son tenute

di bella grazia a Dio render merzede.

E sua bieltate è di tanta vertute,

che nulla invidia a l'altre ne procede,

anzi le face andar seco vestute

di gentilezza, d'amore e di fede.

La vista sua fa onne cosa umile;

e non fa sola sé parer piacente,

ma ciascuna per lei riceve onore.

Ed è ne li atti suoi tanto gentile,

che nessun la si può recare a mente,

che non sospiri in dolcezza d'amore.

 

 

 

Dante Alighieri, Sì lungiamente m'ha tenuto Amore (Vita Nuova)

back to index

 

Sì lungiamente m'ha tenuto Amore

e costumato a la sua segnoria,

che sì com'elli m'era forte in pria,

così mi sta soave ora nel core.

Però quando mi tolle sì 'l valore,

che li spiriti par che fuggan via,

allor sente la frale anima mia

tanta dolcezza, che 'l viso ne smore,

poi prende Amore in me tanta vertute,

che fa li miei spiriti gir parlando,

ed escon for chiamando

la donna mia, per darmi più salute.

Questo m'avvene ovunque ella mi vede,

e sì cosa umil, che nol si crede.

 

 

 

Dante Alighieri, Color d'amor e di pietà sembianti (Vita Nuova)

back to index

 

Color d'amor e di pietà sembianti

non preser mai così mirabilmente

viso di donna, per veder sovente

occhi gentili o dolorosi pianti,

come lo vostro, qualora davanti

vedetevi la mia labbia dolente;

sì che per voi mi ven cosa a la mente,

ch'io temo forte non lo cor si schianti.

Eo non posso tener li occhi distrutti

che non reguardin voi spesse fiate,

per desiderio di pianger ch'elli hanno:

e voi crescete sì lor volontate,

che de la voglia si consuman tutti;

ma lagrimar dinanzi a voi non sanno.

 

 

 

Dante Alighieri, Gentil pensero che parla di vui (Vita Nuova)

back to index

 

Gentil pensero che parla di vui

sen vene a dimorar meco sovente,

e ragiona d'amor sì dolcemente,

che face consentir lo core in lui.

L'anima dice al cor: "Chi è costui,

che vene a consolar la nostra mente,

ed è la sua vertù tanto possente,

ch'altro penser non lascia star con nui?"

Ei le risponde: "Oi anima pensosa,

questi è uno spiritel novo d'amore,

che reca innanzi me li suoi desiri;

e la sua vita, e tutto 'l suo valore,

mosse de li occhi di quella pietosa

che si turbava de' nostri martiri."

 

 

 

Dante Alighieri, Lasso! per forza di molti sospiri (Vita Nuova)

back to index

 

Lasso! per forza di molti sospiri,

che nascon de' penser che son nel core,

li occhi son vinti, e non hanno valore

di riguardar persona che li miri.

E fatti son che paion due disiri

di lagrimare e di mostrare dolore,

e spesse volte piangon sì, ch'Amore

li 'ncerchia di corona di martìri.

Questi penseri, e li sospir ch'eo gitto,

diventan ne lo cor sì angosciosi,

ch'Amore vi tramortisce, sì lien dole;

però ch'elli hanno in lor li dolorosi

quel dolce nome di madonna scritto,

e de la morte sua molte parole.

 

 

 

Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, l’incontro con Satana

back to index

 

Vexilla Regis prodeunt Inferni

 

S’avanzano i vessilli del Re dell’Inferno

 

 

 

Giacomo da Milano, La penetrazione delle piaghe

back to index

 

O piaghe amorosissime del mio Signore Dio! Penetrai un giorno in esse con gli occhi aperti, e i miei occhi si riempirono di sangue.

 

 

 

Anonimo, La nube dell’inconoscenza

back to index

 

All’inizio è normale che tu avverta dentro di te nient’altro che una sensazione di oscurità, come se si trattasse di una nube, la nube dell’inconoscenza.

Ti sembrerà di non sapere nulla, di non provare nulla, nelle profondità del tuo essere, al di fuori di un nudo anelito verso Dio. Qualunque cosa faccia, tale oscurità e tale nube tra te e il tuo Dio permane.

Ti sentirai frustrato per l’incapacità di comprendere Dio con la mente. E il tuo cuore non conoscerà la dolcezza del suo amore. Impara a sentirti a tuo agio in questa oscurità tutte le volte che puoi, lasciando che la tua anima implori il Dio che ami. Infatti se mai ti capiterà di vederlo e di sentirlo come realmente è, in questa vita, ciò avverrà solo in questa oscurità e in questa nube.

 

 

 

Il raccoglimento interiore (Jean Tauler)

back to index

 

Ora l’uomo con tutte le sue facoltà e anche con la sua anima si raccoglie ed entra nel tempio (il suo io interiore) in cui, in tutta verità, trova Dio, che inabita e opera. L’uomo quindi perviene a sentire Dio non alla maniera dei sensi e della ragione, o come qualcosa che si capisce o si legge e che penetra in lui mediante i sensi; egli piuttosto lo degusta e lo gode come qualcosa che sgorga dal "fondo" dell’anima come dalla sua propria fonte, o da una fontana, senza esservi stato portato, poiché una fontana è meglio di una cisterna, l’acqua della cisterna diventa stagnante ed evapora, mentre la fonte sgorga, prorompe, zampilla: è vera, non presa a prestito; è dolce.

(Omelia per il giovedì prima della Domenica delle Palme , I)

 

In seguito, si dovrebbe aprire il fondo dell’anima e la volontà profonda alla sublimità della divinità gloriosa, che bisogna guardare con grande e umile timore e rinnegando se stessi. Colui che in questo modo getta dinanzi a Dio la propria ignoranza illusoria e infelice, inizia allora a capire le parole di Giobbe il quale disse: "Lo spirito passò dinanzi a me" (Gb 6,15). Da questo passaggio dello spirito è sorto un grande tumulto nell’anima. E quanto più chiaro è stato questo passaggio, quanto più vero, non mischiato a impressioni naturali, tanto più rapida, forte, immediata, vera e pura, sarà l’opera che ha luogo nell’anima, la spinta che la capovolge; e più chiara sarà anche la conoscenza che ci si è fermati lungo il sentiero della perfezione. Il Signore viene allora come bagliore lampeggiante, riempie il fondo dell’anima di luce e in essa vuole insediarsi come Maestro artigiano. Non appena ci si rende consapevoli della presenza del Maestro, si deve, con tutta passività, lasciare a lui l’opera.

(Seconda omelia per l’Esaltazione della Croce , 5)

 

 

Vieni, Santo Spirito (Preghiera tradizionale allo Spirito Santo)

back to index

 

Vieni, Santo Spirito,

manda a noi dal cielo

un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,

vieni, datore dei doni,

vieni, luce dei cuori.

Consolatore perfetto,

ospite dolce dell’anima,

dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo,

nella calura, riparo,

nel pianto, conforto.

O luce beatissima,

invadi nell’intomo

il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza,

nulla è nell’uomo

nulla senza colpa.

Lava ciò che è sordido,

bagna ciò che è arido,

sana ciò che sanguina.

Piega ciò che è rigido,

scalda ciò che è gelido,

drizza ciò ch’è sviato.

Dona ai tuoi fedeli

Che solo in te confidano

I tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,

dona morte santa,

dona goia eterna.

Amen.